TUTTO IL BUIO DEI MIEI GIORNI di Silvia Ciompi

Tutto il buio dei miei giorni

TUTTO IL BUIO DEI MIEI GIORNI di Silvia Ciompi

Titolo: Tutto il buio dei miei giorni
Autore: Silvia Ciompi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Contemporary Romance
Narrazione: POV alternato (Teschio e Camille)
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 20 Maggio 2018
Editore: Sperling & Kupfer

TRAMA


«Noi siamo cicatrici, siamo incendi, siamo bruciature e cenere.»

Camille ha vent’anni, ama lo stadio nelle domeniche di primavera, con le maniche corte e le bandiere mosse dal vento, e ama la sua curva, in ogni stagione. Lì salta sugli spalti, tiene il tempo con le mani: è la cosa che ama di più al mondo. È l’unico posto dove si sente davvero viva.

Ma un giorno, proprio fuori dallo stadio, la sua vita si spezza. Un’auto con a bordo un gruppo di ultras la investe.Tra di loro c’è anche lui: in curva tutti lo chiamano Teschio. Sembra il cliché del cattivo ragazzo, ricoperto di tatuaggi e risposte date solo a metà. Eppure Teschio e Camille sono come due libri uguali rilegati con copertine differenti. Due anime che non hanno fatto in tempo a parlarsi prima, a guardarsi meglio. Si sono passati accanto migliaia di volte, ma non sono mai stati davvero nello stesso posto. Lo sono ora.

Ora che il dolore si è mangiato tutto ciò che Camille era.

Tutto il buio dei miei giorni è lo straordinario esordio di Silvia Ciompi, una giovane autrice italiana, già apprezzata su Wattpad da oltre tre milioni di lettrici, e tuttora in vetta alle classifiche. Una potente e struggente storia d’amore che ci ricorda che, quando tutto sembra perduto, l’amore è l’unica luce dentro al buio.


RECENSIONE


Quando tutto sembra perduto, l’amore è l’unica luce.


E’ da questa frase che traggo ispirazione per iniziare a parlare di una storia scoperta quasi per caso due anni fa, quando la lettura iniziava a prendere sempre più spazio nella mia vita fino a divenire una necessità, una dimensione personale irrinunciabile. Un libro che col tempo ho consigliato e non ho mai dimenticato, per poi decidermi finalmente a rileggerlo.

Se dovessi trovare una parola che possa riassumere questo libro direi “luce”. Un termine dai mille significati che potrebbe fuorviare rispetto al titolo del libro. Silvia Ciompi ha effettivamente raccontato una storia difficile, dolorosa, in cui la sofferenza non risparmia nessuno, nemmeno il lettore e forse neppure lei al momento di scriverla.

Camille è un ragazza di vent’anni come tante, con due genitori che la amano, una vita appena iniziata all’università e amiche fidate con cui condivide tempo e sogni. La sua più grande passione è andare allo stadio per seguire la squadra di calcio della sua città, cantando a squarcia gola i cori della curva intonati ad ogni partita.


Non solo mi divertivo, ma non mi sentivo più fuori posto, mi sentivo incastrata perfettamente con quel luogo.


Con gli anni l’amore trasmessole dal padre si è insinuato sotto pelle, facendo diventare lo stadio con i suoi colori e i suoi rumori il luogo dove si sente più viva e al centro di sé stessa.


La curva divenne il mio posto. Più crescevo, più imparavo ad amarla e a capirla.

Con gli anni smisi di credere alle favole, ma dentro di me rimase comunque quella sensazione di essere chiusa in un mondo a parte, piccolo ed enorme allo stesso tempo, con le sue regole, i suoi odori, i suoi soprannomi. L’ho imparato crescendoci dentro.


Teschio, alias Luca, ha ventotto anni ed è conosciuto da tutti per i suoi modi bruschi e, a volte, anche violenti che nel corso degli anni gli hanno provocato problemi con la giustizia. Un ragazzo al quale la vita ha concesso troppo poco, ma molto per cui diffidare.


Zitto e schivo, con quel carattere imbruttito dalla vita, storto e spigoloso.


Teschio è un ultras che vive per lo stadio insieme al gruppo di amici con cui è cresciuto in periferia, con cui condivide valori e ritualità come in una famiglia, quella alla quale sente di appartenere davvero, l’unica rimasta. Una fede profonda fatta di gesti, parole, urla e silenzi che lo identificano nel profondo.


Io non mi sono mai sentito davvero solo. Con un padre in carcere e una madre morta di cancro, rientro a pieno titolo tra le persone che sulla carta non hanno nessuno, eppure non mi sono mai sentito solo. I miei amici non sono mai stati amici ma fratelli, quel genere di legame che va oltre alle botte date e prese, agli insulti, alle ferite fisiche che ci siamo inferti l’un l’altro. Lo stadio non è mai stato uno stadio, ma casa mia.


Teschio e Camille si sono incontrati mille volte allo stadio, ma non si sono mai conosciuti. Si sono visti solo una volta, scambiandosi uno sguardo tra le fila della curva in un giorno di pioggia, con la faccia bagnata tra i cori dello stadio. Si sono guardati negli occhi solo un’istante, fulminati da una connessione fugace che segnerà l’inizio del legame che li unirà inesorabilmente per poi spezzarli, ognuno a proprio modo.


Erano rimasti incastrati l’uno nell’altra. Lei era arrossita ma non si era voltata. E avevano continuato a guardarsi, a scavarsi buchi dentro, zitti e fermi, inzuppati di pioggia. Poi Camille aveva abbassato gli occhi, Teschio si era acceso una sigaretta e non si erano guardati più.


Quante volte e in quanti modi ci si può spezzare? Quante ferite si è in grado di sopportare per non impazzire?

Impossibile rispondere senza leggere questa storia, in cui dolore, sofferenza e amore si mischiano magistralmente come nuvole e sole prima del temporale, come i più intensi colori al tramonto, in cui il cielo si stria di rosso, arancio e viola.

Tutto il buio dei miei giorni fa male al cuore, lo fa sanguinare in un susseguirsi di emozioni fortissime, un elettroshock che blocca i muscoli cardiaci. Quando tutto sembra perduto il battito riparte fino a che l’adrenalina si rilascia per non far sentire più dolore. Forza, vigore e un amore totalizzante irrompono come un’esplosione, capace di far bruciare i muscoli, urlare d’odio, corrodere col rimorso e far sentire spezzati dai rimpianti, fino a togliere il sonno per la fiducia ricevuta.


E mi baci, torni a farmi respirare. Sei il mio ossigeno e io ti odio. Odio la tua pelle sulla mia. Perché sono un codardo: non ce l’ho la forza di mollarti qui a sopravvivere. E te sei peggio di me, spezzata, te mi fai restare, mi vuoi tanto che fa male da morire.


Ho amato Camille per la sua forza, la sua voglia di vita, perchè lotta e cede, e non vuole reagire, perchè ha paura e chiede ossigeno per respirare. Nonostante lei abbia perso la speranza continua a vedere la luce, quella della vita, anche quando non lo sa, anche quando non crede più. Ne sente il calore Camille, aldilà del buio, della disperazione, aldilà di sé stessa.


Qualche volta me lo sono chiesta se morire faccia male, più male di vivere, più male di questo. Perché anche per morire ci vuole fegato, ci vuole rabbia, ci vuole vita. Non può morire qualcosa che è già morto. E io non sento niente, non ce l’ho più la vita dentro.


Ho amato Teschio per la sua fragile cattiveria, per le sue vigliacche paure, per il suo odio verso sé stesso, per l’amore che accende in Camille, il modo in cui la fa bruciare di rabbia per non farla spegnere, per la sua anima danneggiata.


«Mi sono perso in un’altra persona e non riesco a respirare se non c’è lei. E non so come dirglielo, mi servi te, mi serve che mi prendi a calci. Perché io la amo, e prima di rovinarla mi ammazzo da solo. Ma’… stavolta non ne esco, stavolta ci rimango.»


Due anime fragili, spezzate ma tanto forti da comunicare con l’odio, l’unico sentimento in grado di accenderli e incidersi, reciprocamente, ferite profonde che gli consentono di sentirsi vivi.

Teschio e Camille sono state due cicatrici che con questa rilettura si sono trasformate in tatuaggi indelebili di inchiostro nero, marchi a fuoco sulla pelle.

Tutto il buio dei miei giorni è una storia che abbaglia di luce, come quella che acceca Camille sul tetto dell’ospedale, quella che impedisce a Teschio di vedere fuori dalla chiesa e quella innocente degli occhi verdi di lei. La luce bianca di un fulmine, come il titolo di “The Lightning Strike” degli Snow Patrol, canzone che rappresenta per me la colonna sonora di questo libro. Un brano dal ritmo crescente e caratterizzato da sonorità sporcate da voci lontane, in cui si parla del potere distruttivo delle tempeste e di quello salvifico del tempo, in grado di trasformare e lenire. Come per quel modo doloroso che Teschio e Camille impareranno per riuscire ad per amarsi, bruciando in un’unica fiamma, per sentirsi ancora vivi.


TI amo. Mi manchi. Ti odio. Ti vorrei vedere morto. Ti odio. Torna. Me lo sogno ogni notte che alla fine la porta si apre e tu sei lì, mi guardi e non dici niente. Mi guardi e basta. E io ti odio con tutta me stessa, te lo grido in faccia che ti odio. Ti mordo, ti strappo via la carne, mi riprendo tutto. Tutto quello che mi hai tolto, tutto quello che mi hai dato e io non lo volevo. Io non lo volevo uno come te, un amore così, un buio che non riesci a vederne la fine. Io non lo volevo.


Le lettere che Camille scrive a sé stessa sono intense poesie, belle a tal punto da avermi commossa per la loro autentica semplicità, parlando di dolore ma anche di speranza. Passaggi che rendono, a mio avviso, questa autrice una poetessa moderna.


Cara me, ho pensato che mi piacerebbe averti qui, qui vicino per sentirti dire che non importa quanto io stia male adesso, io vivrò, il cielo sarà ancora lì e sarà azzurro per lasciarsi guardare come quando ero bambina. Mi piacerebbe che un po’ della forza che dovrò avere per superare tutto questo me la spedissi qui nel tuo passato, nel mio presente, e che mi venissi ad abbracciare a lungo, per tutto il tempo che serve a farmi sentire ancora una persona vera.

Spero che tu stia bene, spero che tu abbia imparato a sorridere di nuovo, lo spero con tutto il cuore. Perché una vita senza più sorridere è peggio di tutto quello che ho perso per strada fino adesso.


E’ stato meraviglioso ritornare a vedere il mare che Silvia Ciompi ama tanto, immaginare l’inverno sulla costa con la sabbia e il vento che sporcano i vestiti, la voglia di urlare allo stadio, lo squallore dei calcinacci di un bagno in disuso, l’oscurità delle zone portuali e le storie di persone vere, autentiche dai sogni infranti che con la vita fanno a cazzotti tutti i giorni. Teschio e Camille non sono i soli a illuminare questo libro; insieme a loro gli amici di una vita come Bolo, Vale, Fabio, Serena, Eleonora e quelli appena trovati come Margherita e il gruppo del Santa Cecilia. Personaggi unici, veri che esprimono le molteplici forme dell’amicizia, quella spontanea che resta, non chiede e che capisce i silenzi.

E’ da storie così che ho imparato a connettermi in modo più profondo con me stessa e con la mia vita, per apprezzarne ogni sfaccettatura, anche quella apparentemente più insignificante ma che invece di valore ne ha tanto. Sono racconti così che mi ricordano il potere e la bellezza dei libri.

Un capolavoro da leggere.

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Recensione precedentemente pubblicata da Alessia sul blog All Colours of Romance