Solidità. È ciò che Alessandro Bramanti, trentaquattro anni, un bell’appartamento al centro di Roma, una Maserati fiammante, donne quanto basta, soldi da spendere e una posizione di socio in un prestigioso studio di architettura, persegue ogni giorno. Sicuro di sé, deciso, arrogante e molto competitivo non ha tempo per la leggerezza. Eppure tutto cambia quando, in una serata da dimenticare, Aurora Sándor entra nella sua vita ribaltando ogni certezza. Ventiduenne silenziosa e affascinante, una tenacia resiliente e una levità in grado di aprire orizzonti inaspettati, lei possiede il dono prezioso di saper volare. Il loro primo incontro è un disastro e tuttavia, complice il destino, le loro strade si incrociano ancora. E questa volta con esiti inattesi. Lui è rigido, impaziente e facile all’irritazione, lei è sognatrice, mite, eterea e la loro diversità sembra un ostacolo insormontabile. Poi un viaggio a Stoccolma costellato da incomprensioni ma anche da una strana complicità capace di superare le distanze. Nelle differenze si crea una magia e stare insieme diventa bello, un percorso romantico alla riscoperta di sé stessi, giorni impetuosi sulle spiagge selvagge della Maremma, il desiderio e la voglia di amarsi che sfondano gli argini della riservatezza. Ma un evento greve può minare la felicità precipitandoli in basso e cambiando tutto. E allora servono ali di carta per sollevarsi in aria e inseguire i tracciati tortuosi del vento. Entrambi lo sanno. L’hanno scoperto insieme. E questo, forse, basterà.
RECENSIONE
Ritorna Vera Demes a pochi mesi dalla sua ultima pubblicazione, avvenuta a Natale con Winter Melody. Un’autrice che sembra avere un processo creativo in continua fermentazione e che richiama alle parole del famoso pittore Picasso: “L’ispirazione esiste, ma ti deve trovare già all’opera”.
Lei pronta lo è sempre, per quanto scrivere un romanzo non è da tutti. Un percorso che spesso è catartico, e che richiede spirito di osservazione, tempo di sedimentare esperienza, elaborare emozioni e uno sguardo attento sulla realtà, per interpretarla a proprio modo e da cui allontanarsi per raccontare in parole quanto vissuto, percepito.
Ali di carta è una storia particolarmente sentita, che racchiude già nella scelta del titolo il significato profondo di quanto spesso sia necessario abbandonare i pesi che gravano su di noi, fardelli che ci impediscono di vedere con lucidità persone, situazioni e che ci rendono fragili.
La sua sicurezza poggiava su solide basi. Un’educazione rigida, regole inflessibili, poco spazio per i sentimentalismi e un mondo di valori incorrotti che lo aveva forgiato rendendolo forte. Raziocinio, buon senso, capacità di lettura della realtà, amore per l’arte e la cultura e un sano distacco dalla volgarità. Non avrebbe mai fallito. Non avrebbe potuto neppure volendo. Era fatto così.
A essere descritto così Alessandro, protagonista maschile di questo racconto: architetto di successo, uomo inflessibile e razionale, un vincente. Una vita costellata di progetti a medio e lungo termine, dove nulla è lasciato al caso, tutto è sotto controllo. Nessun legame che lo veda coinvolto in una relazione, né sentimentale né familiare di rilievo, se non con il socio e amico Tito. Un’esistenza solida fondata sulla solitudine dove niente e nessuno sembra fare la differenza.
«E ricordati sempre ciò che ti dicevo da bambina». La suora era rimasta sulla soglia, il cielo che si stava sciogliendo in un crepuscolo rosato e le campane di una chiesa che chiamavano a raccolta i fedeli per l’ultima funzione domenicale. «Tu sei aria. In un mondo greve». Aurora sorrise poi le lanciò un bacio sulla punta delle dita e corse via. Sperava che fosse così. Librarsi in alto. Sempre più leggera. Sganciandosi dalle zavorre della vita. Senza rimpianti.
Aurora, secondo il significato dei nomi “splendente, rosseggiante, luminosa”, che riporta anche a una divinità che nella mitologia romana si rinnovava ogni giorno all’alba e volava attraverso il cielo, annunciando l’arrivo della mattina. Questo è il nome scelto per la protagonista femminile, leggiadra come un colibrì, bella come una fata. Una giovane ragazza con un passato e un’infanzia intrisi di dolore, vissuto insieme al fratello Damiano, il quale ha con lei un rapporto conflittuale. Nonostante le profonde ferite che la vita le ha inferto, nonostante le delusioni e le cadute, Aurora mostra una grande dignità, un’integrità morale che le permette di rispettare i propri valori, quelli dell’amicizia, dell’affetto fraterno, e soprattutto il rispetto verso sé stessa. Fondamenta su cui basa la sua esistenza.
Alessandro, detto Alex, e Aurora, da tutti chiamata Rory il colibrì, si incontreranno per scontrarsi, dividersi, non comprendersi fino a che sarà il destino a ribaltare i ruoli, rimuovendo strati di pregiudizio, corazze costruite ad hoc per difendersi dal dolore e della paura di soffrire. La loro storia è costellata di cadute, perdite e divari profondi ma è anche permeata di luce, quella che permette di fendere le ombre e consentire al cuore di volare, librarsi in alto e soprattutto liberarsi dai fardelli che lo rendono pesante e ancorato a terra.
Ali di carta ricorda con forza le parole che nel 1985 proferì il grande Italo Calvino, ovvero «il planare sulle cose dall’alto, senza avere macigni sul cuore». Qui c’è tutto sull’essenzialità della leggerezza, sul suo profondo significato.
In un mondo dove spesso predomina l’Io, dove il Noi scompare del tutto, è grazie alla leggerezza che riusciamo ad avvicinarci all’altro, a sentirci comunità e tessere il filo dell’empatia e della solidarietà. Un sentimento che ci spinge fuori dal ghetto dell’indifferenza e ci porta nel campo libero del piacere di sentirci in qualche modo, non virtuale, connessi, da relazioni anche sottili, leggere appunto, ma non per questo meno importanti.
«Sul serio mi aiuterai?». «Mi piacciono i passerotti indifesi». Lei sorrise e, con una mano, gli sfiorò i riccioli passandogli accanto. Damiano la guardò uscire dal locale e gli parve di averla sempre conosciuta. La sentì vicina come nessuno. Un’empatia immediata, indelebile, priva di artifici. Più di sua sorella. Più della vita che avevano condiviso. Fu strano ma bello. E lo rese felice.
Ad amplificare questo messaggio anche la storia del fratello di Aurora, Damiano, grazie alla quale si propone con vigore il tema della diversità e delle discriminazioni. Il legame che instaura con Ginger, personaggio comprimario che emerge forte tra le pagine, mostra quanto «non avere macigni nel cuore» porti a vivere con pienezza la propria identità, senza paura, senza più nascondersi.
Ali di carta celebra quanto la leggerezza sia una naturale prevenzione contro il rancore, l’odio, una forma di espressione dell’intelligenza, che si oppone alla rigidità di chi è ottuso e fa fatica a cambiare idea e dubitare.
Come diceva il poeta francese Paul Valéry, «Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma»: osserviamo il volo di una rondine, il suo planare dall’alto che non ha nulla a che vedere con lo svolazzare di una piuma, priva di consistenza e solidità. E, nel caso degli uomini, di personalità.
Vera Demes con questo libro solleva il lettore e lo porta in alto, in quel mondo fantastico dove non esistono il tempo e le lacrime, ma soltanto la bellezza di un cuore leggero, libero pronto a nuove storie tutte da scoprire.
E se un giorno ti svegliassi e non ricordassi chi sei? Dall’autrice dei bestseller Dieci piccoli respiri e Quattro secondi per perderti Abbandonata nella campagna dell’Oregon, dove la credono morta, una giovane donna sfida ogni previsione e sopravvive, ma quando si sveglia non ha alcuna idea di chi sia, o di cosa le sia successo. La donna si dà il nome di Acqua, per un piccolo tatuaggio che scopre sul suo corpo, il solo indizio di un passato che non ricorda. Accolta da Ginny Fitzgerald, una signora irascibile ma gentile che vive in una fattoria, Acqua comincia lentamente a ricostruire la propria vita. Ma mentre cerca di rimetterne insieme i frammenti, altre domande si fanno strada nella sua mente: chi è il vicino di casa che in silenzio lavora sotto il cofano della sua Barracuda? Perché Ginny non gli fa mettere piede nella sua proprietà? E perché Acqua sente di conoscerlo? Jesse Welles non sa quanto tempo ci vorrà prima che la memoria di Acqua riaffiori. Per il suo bene, Jesse spera che non accada mai. Per questo cerca di tenersi alla larga da lei. Perché avvicinarsi troppo potrebbe far riemergere cose che è meglio lasciare sepolte. Ma si sa, l’acqua trova sempre una strada per tornare in superficie…
RECENSIONE
«Cosa è stato? Solo un brutto sogno? Oppure… era un ricordo»
L’importanza del ricordo ha un valore inestimabile. Si dice che si tratti del filo conduttore che lega il passato col presente, tessendo la tela di ciò che costruisce il futuro. Ricordare amplifica e offre la possibilità di dare valore stesso all’esperienza.
Questo romanzo, il primo che leggo di questa autrice, fonda le sue basi sulla ricostruzione di una giovane vita, quella della protagonista Jane, alias Alexandria, che in attesa di ritrovare la sua identità si farà chiamare Acqua. Una scelta dettata da un elemento che fluisce, si adatta, nasconde ma riesce anche a svelare ciò che ha sotto.
Anche io voglio essere come l’acqua. Voglio essere volitiva, andare dove sono destinata ad andare». Le sfioro la guancia con il naso. «Sei qui, giusto?». Trattiene il fiato e si stacca per voltarsi e guardarmi in faccia, l’eccitazione che le brilla negli occhi. «Adesso so quale tatuaggio voglio».
Un tatuaggio, frammenti di sensazioni che confondono e rassicurano insieme a tantissime domande troppo difficili da capire sono tutto quello che resta a questa giovane ragazza dal volto deturpato e un dolore pesante che si porta dentro ma di cui ignora ogni origine.
Tra queste pagine intrise di fatica emotiva e voglia di ricominciare a vivere, l’autrice è bravissima a disseminare cauti ma basilari indizi per aiutare gradualmente il lettore, sempre più coinvolto in un saliscendi di flashback e momenti presenti, da comporre come un mosaico fatto di migliaia di pezzi sparsi, a trovare il filo conduttore della storia.
Quando Acqua viene aiutata dalla dottoressa che le ha salvato la vita e dal marito sceriffo a uscire dall’ospedale non comprende esattamente le ragioni di cosa l’abbiano portata lì, ma la solitudine la attanaglia al punto da non avere scelta. La sua mente è una tela bianca, così vuota da accecarla. L’unico appiglio? L’istinto di sopravvivenza che reclama la sua seconda possibilità.
Osservo e mi chiedo che cosa renda le persone quelle che sono. È la somma dei comportamenti appresi e delle esperienze fatte? E se loro, com’è accaduto a me, non potessero ricordare quelle esperienze, farebbero comunque le cose nello stesso identico modo? O se ne discosterebbero? Quanto sono simile a quella che sono stata un tempo?
Acqua si trova così una nuova casa grazie a Ginny, l’anziana burbera vicina di casa della dottoressa e lo sceriffo, che decide di accoglierla tra le sue mura. Quello che nascerà tra loro sarà un lento e indissolubile legame fatto di silenzi, rispetto e senso di protezione.
A rendere questo romanzo ancora più avvincente è il percorso che Acqua compie, giorno dopo giorno, per ritrovare sé stessa. L’unico faro di cui può servirsi sono le sensazioni più fisiche, la familiarità dell’odore di un profumo, l’intensità di due occhi che non riesce a definire.
Sono catturata dal suo sguardo intenso. Mi invade la sensazione di qualcosa di familiare nel momento in cui fisso con attenzione gli occhi che assomigliano a quelli del padre–sormontati da spettacolari sopracciglia e così scuri che potrebbero passare per neri.
Chi è Jesse? Un semplice meccanico, qualcuno di cui aver paura oppure di cui fidarsi?
99 giorni è una storia che avvolge, cattura e convince. Il tempo che scorre avanti e indietro per creare la trama di un puzzle a tratti cupo e crudele, composto di ricordi terribili, pericolosi e pezzi di un passato che sembrano tornare a galla da un momento all’altro, così dirompenti da fare male, ferire nell’anima.
Due giovani vite, un passato oscuro, verità da ritrovare, un presente appeso ad un filo, sottilissimo.
Un romantic suspense da leggere tutto di un fiato, per riscoprire quanto in un mondo veloce come il nostro, a tratti isterico, dove tutto si consuma in un battito di ciglio, in uno scambio di chat, la memoria sia una parte da tutelare e proteggere.
Riappropriarci della capacità di ricordare serve a recuperare il valore del nostro tempo presente, e interiorizzare le esperienze che facciamo per lasciarne traccia in noi, imprimendo le nostre emozioni.
“Lʼamore si costruisce attraverso i piccoli gesti quotidiani”
Le giornate di Viola, dopo il divorzio, sono occupate dalla cura della figlia Lisa, quattro anni, e dalla sua professione di veterinaria allʼacquario di Livorno.
Per Kai la ricerca scientifica è una vocazione; si è specializzato per lavorare in Antartide, nella base più estrema del mondo, dove trascorre molti mesi lʼanno come un eremita.
Nel Parco Nazionale dellʼArcipelago Toscano iniziano a verificarsi anomali spiaggiamenti di tartarughe, viene deciso di ricercarne la causa affidandosi a degli esperti. Così, i due scienziati, si trovano a collaborare per capire lʼorigine del preoccupante fenomeno.
Interrotti dal virus che ferma il mondo, anche le loro vite ne sono sconvolte. Ciò che è dato per scontato si ribalta e, la quarantena insieme, diventa unʼ ottima palestra per costruire il loro amore.
Perché anche nei tempi più bui è possibile scoprire la propria fonte di luce.
RECENSIONE
In occasione dell’ultimo FRI, l’evento che riunisce amanti ed estimatori del genere romance dello scorso marzo ad Assago mi è capitato tra le mani questo libro di Monica Peccolo, autrice livornese che è stata una piacevole scoperta.
“Il mare guarisce” il libro in questione è un romanzo che potrei definire ibrido, a metà strada tra romance e narrativa sentimentale e che in virtù di questa sua duplice identità ho trovato originale.
Finalmente una prospettiva un po’ nuova che ha saputo intrecciare elementi molto distanti tra loro in modo armonico.
Le tematiche predominanti sono il rispetto e la cura dell’ambiente, nello specifico del mare e delle sue creature, che si intersecano nella narrazione con il lock down a cui ci ha costretti la pandemia.
E devo dire che in entrambi gli scenari va dato il merito all’autrice di non essere mai scivolata nella retorica o nel giudizio nonostante si possano considerare due temi scottanti, sicuramente attuali ma spinosi.
Non semplice costruire una trama su due basi così differenti eppure Monica Peccolo ci è riuscita dando a tutto l’ impianto narrativo un perfetto equilibrio.
Ambientato nella meravigliosa cornice del Parco dell’arcipelago toscano ci presenta due tipi diversi di narrazione: la prima ci introduce alla scoperta dei protagonisti dal punto di vista professionale.
Uno scienziato nomade e una veterinaria dell’acquario di Livorno, coinvolti in un viaggio di ricerca nelle isole dell’arcipelago che immerge il lettore nel fascino e nella bellezza di queste terre, grazie a descrizioni accurate dei paesaggi e delle attività professionali, degli animali e delle atmosfere che si vivono stando in mare, senza risultare mai noiose o prolisse, tutt’altro .
Un mondo pieno di vita ma fragile, minacciato dalle azioni umane che i protagonisti Viola e Kai cercano di difendere con il loro lavoro.
E poi accade che le parti si invertono e sembra essere la natura a costituire una minaccia per l’esistenza dell’uomo.
«No, a casa tutto bene. Mi hanno detto… ho controllato in rete. Hanno esteso la zona rossa a undici comuni fra Lombardia e Veneto» li informò con tono allarmato.
Dalle spiagge dell’ arcipelago ci ritroviamo nella casa di Viola, il primo lock down costringe Kai alla convivenza con la veterinaria e la figlioletta di 4 anni e si assiste ad un cambio di registro narrativo: meno descrizioni rispetto alla prima parte, più dialoghi, riflessioni interiori dei personaggi, si entra nei loro pensieri, paure, desideri, nella loro vita al di là del lavoro.
L’autrice tratteggia due persone ordinarie, una mamma single lavoratrice che deve camminare in equilibrio tra la quotidianità e il mestiere di genitore e uno scienziato che ha scelto un altro tipo di isolamento come rifugio a paure e fallimenti passati, con i quali è immediato e spontaneo immedesimarsi.
Due di noi insomma, catapultati però all’improvviso in un momento storico surreale ma necessario.
È forte in questa parte del racconto la similitudine tra l’immobilità del momento storico e la quiete che caratterizza le profondità dell’ambiente marino.
Viola pensò che, forse, nellʼera moderna per la prima volta i due emisferi, terrestre e acquatico, sperimentavano una vicinanza di quel tipo. Era quella la pace che si viveva immersi negli oceani e a cui le creature marine erano abituate?
Entriamo nella quotidianità dei protagonisti che però non è scandita dalla normalità ma da una chiusura forzata di ogni attività umana all’interno della quale la relazione tra i due evolve non senza difficoltà proprio attraverso piccoli gesti quotidiani di condivisione e resilienza.
Sono proprio questi a rappresentare la forza del racconto, i piccoli gesti quotidiani che sono gli stessi che scandiscono le nostre giornate e i nostri rapporti umani, a testimoniare che si possono narrare amore, forza e perdono senza grandi scenari o trame dagli intrecci troppo complicati, tenendo l’attenzione del lettore comunque alta.
È in questa seconda parte del libro che si entra nella vita interiore dei personaggi e nelle difficoltà e nelle fragilità che si portano dietro, complicati dalle circostanze estreme del lock down.
«Sono sempre complicati i rapporti familiari.» «Quando diventi genitore, analizzi spesso il tuo presente e il tuo passato, scopri e comprendi molto.
Genitorialità, gestione dei conflitti, impegno ambientale, costruzione di una relazione, capacità di autoanalisi, resilienza, amicizia, professionalità, sacrificio…
Tante tematiche ma un unico forte messaggio, semplice ma chiaro:
«Questa prima pandemia dellʼera moderna ci ha ricordato che la nostra identità è profondamente intrecciata con quella degli altri ecosistemi del pianeta. L’idea che siamo parte della natura e non separati da essa, è un concetto che le nostre società ultra tecnologiche sembrano aver dimenticato.»
Così alla fine della lettura il titolo del libro acquisisce agli occhi del lettore una doppia valenza: il mare è in grado di guarire l’animo umano per la bellezza e la quiete che è in grado di regalare a chi sa rispettarlo, e guarirà dai suoi mali se tutti insieme metteremo impegno e azioni concrete per fermare la sua distruzione i cui effetti stanno già minando la coesistenza tra uomo e natura.
Per qualche minuto, ogni preoccupazione era accantonata dinnanzi all’immobile quiete del mare che tutto guariva. La Natura infettava e sanava: era così da milioni di anni.
Pensavo di essere in un’estate che non sarebbe mai finita, m’illudevo di vivere la vita perfetta senza capire che ero la cicala che canta ma destinata a morire in inverno. Senza comprendere che in una stagione lunga e senza vita mi ero già immerso da solo quando ho sacrificato Enea per il mio alter ego Brando. Quando ho detto sì al mondo dell’Hardcore, quando ti ho sospinta a farne parte trascinandoti nella mia stessa miseria colorata d’oro, ma nera sotto alla patina. Quando ho detto no a ciò che volevi darmi e che avrebbe illuminato quel buio. Che ci avrebbe salvati entrambi. Ho creduto di essere un vincente, anche se avevo dovuto lasciarmi qualcosa indietro. Invece non sapevo niente, e il vero potere è il tuo, che mi rendi fragile con la tua fragilità.
Un’altra storia d’amore e di ombre, appassionata e intensa, dalla penna dell’autrice di Baby Don’t Cry e Crazy For You, che hanno venduto migliaia di copie. I protagonisti sono collegati all’opera Baciami prima di andare, ma per leggere questo romanzo non ne è necessaria la lettura.
RECENSIONE
Siamo tutti imperfetti e fallibili, e spesso dobbiamo cadere per comprendere l’errore e risollevarci. Credo nelle seconde occasioni, nel pentimento, nel perdono, e l’ho riversato in questa storia.
Che Paola Garbarino sia un’autrice di talento è noto, ma quanto sia intensa e particolarmente brava a interpretare in parole emozioni come la sofferenza e il tormento si conferma con questo libro, Come le cicale in inverno.
Una storia intrisa di tante sfumature, che vanno dal nero più carico del dolore vivo che graffia la pelle, fino al bianco più accecante della speranza di farcela, nonostante le ferite più profonde.
Leggere questa storia avvolge, coinvolge e permette al cuore di fermarsi e ricominciare a battere più forte, più volte. Un aritmia che scompensa l’anima e che mostra tutte le luci e ombre di chi ha attraversato il buio e cerca di ritrovare la luce che lo riporterà a casa, per connettersi nuovamente con sé stesso.
Non cadrò mai più in letargo come le cicale in inverno. Vivrò ogni momento, sempre. Perché la vita vale sempre, anche quando fa male, persino quando sembra che non ci sia speranza, quando la salvezza sembra impossibile.
Ad aprire la storia Enea, uno dei protagonisti del precedente romanzo di Paola Garbarino, Baciami prima di andare, pubblicato lo scorso giugno.
Un ragazzo a cui dedicare un libro a sé era doveroso perché già nel suo esordio Enea aveva colpito per la sua enigmatica oscurità, il suo fascino misterioso; un personaggio che meritava di essere raccontato e di cui grazie a queste nuove pagine conosciamo meglio il passato, con le cadute e le croci.
Un viaggio tortuoso costellato di condizionamenti familiari, conflitti interiori, prigioni sociali e voglia di libertà non solo fisica ma anche di personale espressione che lo mettono in cammino lontano da casa.
L’autrice è magistrale nel descriverne la sofferenza, i dubbi, le paure che lo attanagliano via via, e che lo conducono in un vortice impietoso di colpa ed errori, facendogli perdere la sua identità, rinunciando a sé stesso, fino a che Enea scompare per divenire Brando, lasciando indietro i panni di un’artista appassionato e svestirsi, in ogni modo possibile e immaginabile.
Un compromesso. Stavo per fare un compromesso con me stesso e la realtà. Era odioso, ma sentivo di non avere altra scelta.
Perdere sé stessi non vuol dire non avere nulla di buono nella propria vita, ma averlo e non riuscire a gioirne, perché non si sa cosa farne, come comportarsi.
Un’incapacità che Enea vive sulla sua pelle, lui tormentato e attanagliato da una morsa inficiante di sensi di colpa che lo scaraventano in un buco buio, oscuro, in cui corazzarsi di armi per proteggersi dalle emozioni diviene l’unica difesa a non sentire più il dolore che i ricordi gli infliggono, a non vedere chi appare nella sua vita come un forte anche se lieve raggio di sole.
Invece non sapevo niente, e il vero potere è il tuo, che mi rendi fragile con la tua fragilità.
Ginevra è una delle protagoniste femminili più sensibili, forti e determinate che abbia mai letto di questa talentuosa scrittrice. Una giovane ragazza tanto fragile e spezzata quanto appassionata e penetrante, dall’anima frantumata, che fugge da un passato desolante e da cui scappa a perdifiato senza sosta, fino a cadere in una pozzanghera fatta di melma e fango.
Capii che per far sopravvivere lei, avrei dovuto vivere con la maschera di Jenny. Da oggi sarei stata Jenny, e avrei fatto qualunque cosa per andarmene da questo posto, da questa bestia che mi usava.
Trasformarsi per sopravvivere, dimenticare la propria identità per andare avanti. Eppure, nonostante le ferite Ginevra respira e vede ancora, al di là dello spesso telo scuro in cui si è nascosta dal mondo, lei tanto sottile quanto forte, tanto indifesa quanto capace di non aver perso l’ascolto del suo cuore.
Gli occhi erano due schegge blu cobalto in cui brillava una luce che non riuscivo a cogliere, qualcosa che mi turbava, che non avevo mai visto in una ragazza finita in questo mondo, perché chi arrivava qui aveva problemi passati o presenti che avevano già smorzato o spento qualsiasi luce interiore.
È in lei che Enea intravede un calore perduto, ammaliante e seducente al punto da spaventarlo, fino a che tenerla a distanza diviene necessario, perché è Brando a predominare, a decidere. Non vi sono spazi di cessione di emozioni per chi è macchiato di colpa, per chi è incastrato in una prigione di sbagli.
Brando e Jenny, due anime tormentate e perdute che incrociano le loro strade per poi perdersi per ritrovare sé stessi. Un percorso di crescita interiore, soprattutto per Enea, che dovrà espiare colpe, redimersi nel profondo per prepararsi a un nuovo inizio.
Infatti è a lui che è dedicata l’immagine di copertina, che ritrae un ragazzo bendato, incapace di vedere, al buio.
Ritrovare la luce sarà un viaggio lungo, difficile, che metterà distanze e sospenderà il futuro, e che farà inizialmente in solitaria, per poi ritrovare il battito del cuore con Mina, bellissima protagonista del precedente romanzo che ritroviamo qui. Grazie a queste pagine comprendiamo meglio il loro legame, una connessione intima e particolarmente intensa che li aiuterà reciprocamente a comprendere meglio sé stessi, cedere ai il loro desideri ed essere finalmente pronti ad aprirsi agli altri.
Paola Garbarino offre ai suoi lettori una storia intensa, sofferta in cui il ritrovamento della fede nella vita, in sé stessi e nel futuro si intreccia a un itinerario in salita, non banale, fatto di pause, silenzi, che richiede tempo, ascolto. Una lettura ad alto tasso di emozioni che ricorda quanto valga sempre la pena viaggiare, muoversi, sperimentare, anche da soli, anche appesantiti da bagagli pesanti da portare:
Non cadrò mai più in letargo come le cicale in inverno. Vivrò ogni momento, sempre. Perché la vita vale sempre, anche quando fa male, persino quando sembra che non ci sia speranza, quando la salvezza sembra impossibile.
Quando le viene proposto di diventare la violoncellista dei Cult Of Essence, band indie folk in ascesa, capitanata dall’ambizioso frontman Eric Jordan, River Price sale su quel bus senza guardarsi indietro. In fondo, non ha nulla da perdere visto che ha già perso tutto, compresa una vaga affezione nei confronti della vita. River vive suonando per strada, le sue radici le ha recise da tempo e non ha il sogno di un futuro a cui affidarsi. Al contrario di Eric, che invece da quel futuro è tragicamente ossessionato. Un sogno che coltiva da dieci anni e che sarà il riscatto per la sua famiglia, che merita tutto ciò che lui sarà in grado di offrire con la fama e la ricchezza. E poi c’è la musica, su cui lui ha basato la sua intera esistenza, a costo di rinunciare a tutto il resto, amore compreso. Niente e nessuno dovrà frapporsi fra lui e quel futuro, nemmeno quella violoncellista prelevata dalla strada e che lo ha stregato dal primo istante. Ciò di cui Eric non tiene conto però è l’amore sconfinato che quella ragazzina a cui piace “danzare nell’oscurità” ha tutta l’intenzione di donargli, persino senza ricevere nulla in cambio.
RECENSIONE
You can’t start a fire You can’t start a fire without a spark This gun’s for hire Even if we’re just dancin’ in the dark
Quante volte abbiamo ballato sulle note di questo pezzo? Probabilmente moltissime, considerando che è stato pubblicato la prima volta quasi quarant’anni fa, nel 1984. Una canzone che ha fatto la storia della musica consacrando il suo autore, Bruce Springsteen, sull’Olimpo dei più grandi musicisti di sempre. La genesi del brano fu particolarmente complessa perché nel testo Bruce espresse il profondo senso di inadeguatezza e isolamento che nutriva verso lo show business, un’amarezza che ricorreva già dal precedente successo, The River: «Più che ricco o famoso o di successo, io volevo soprattutto diventare grande» come ha detto lui stesso. Il testo lo scrisse in una notte, esprimendo di getto tutta la frustrazione per l’imposizione della sua discografica di creare una hit. Già dalla prima strofa i suoi sentimenti divampavano cristallini: «Mi sveglio di notte e non ho niente da dire. Torno a casa la mattina, vado a dormire con la stessa sensazione. Sono solo stanco e annoiato da me stesso. Hey piccola potresti essermi d’aiuto?».
Un ritmo incalzante insieme a cui un testo disarmante che gridava voglia di autenticità in un mondo falso furono determinanti a raggiungere la vetta di tutte le maggiori classifiche di allora.
Una canzone bellissima e potente, proprio come questo libro, che ripercorre alcune tematiche che nel testo del famoso brano emergono vivide, trovando la loro massima espressione tra queste pagine appassionate: la voglia di successo, il prezzo da pagare per poterlo raggiungere, il complesso mondo dello show business con le sue insidie e patinate apparenze, la caduta nelle dipendenze per chi è troppo fragile e giovane per sopportare la pressione mediatica che ne consegue. Un effetto a catena disastroso e oggi ancora più devastante con l’avvento dei social, che spesso porta ad annullarsi, per far predominare il personaggio sull’essenza della persona.
Moloko Blaze, autrice eclettica e sperimentatrice, torna al suo pubblico con ciò che la rappresenta maggiormente, ovvero un genere di racconti profondamenti originali, in cui la chiave di lettura risiede spesso nelle complessità dell’animo umano, con l’insieme di ciò che lo rende fragile, sbagliato, controverso, spezzato e imbrigliato in tormentati conflitti interiori. Percorsi di crescita che non risparmiano nulla ai lettori ma soprattutto ai protagonisti, come avviene in queste pagine indimenticabili, intrise della passione bruciante che si scatena tra due giovani musicisti, Eric e River, uniti dalla musica ma divisi da molto altro: l’ambizione, l’insicurezza, il senso di inadeguatezza, la voglia di successo e la paura di soffrire.
«Non puoi accendere un fuoco passando il tempo a piangere sopra un cuore infranto, anche se stiamo solo danzando nell’oscurità.»
Così cantava The Boss, un inno a non farci sopraffare dal dolore o dalle emozioni negative e non permettere che queste ci controllino, proprio come accade a River, meravigliosa creatura, protagonista di questa storia.
A lei non importava ricevere affetto, ma non si faceva alcuno scrupolo a darne. River era sempre stata una di quelle ragazze un po’ ingenue nelle relazioni, poco strategiche. Ne era abbastanza consapevole, eppure non lo sentiva come un difetto, amava quella caratteristica di sé. Non aveva mai avuto paura di affezionarsi.
River è un’anima ferita, gravata da un passato che l’ha martoriata di sensi di colpa fino a farla (quasi) annullare. Vicende che l’hanno lesionata nel profondo, anestetizzandola alle emozioni e riempendola di vulnerabilità, accuratamente nascoste agli altri. Il suo candore emotivo disorienta e confonde fino a intenerire, rendendola un personaggio sfaccettato non convenzionale e per questo di intensa autenticità. Dotata di un talento musicale innato che ammalia, quando suona è capace di trasportare in un’altra dimensione non solo sé stessa, permettendo alla musica di divenire un rifugio personale dove fondersi e proteggersi così dal mondo, ma anche chi l’ascolta.
Un cuore che sanguina è un cuore che batte. Un respiro mozzato è la vita che esplode. L’unico modo di scoprire se esisti è farti male. Farti male è l’unica strada che ti fa stare bene. L’ombra è ciò che ti fa accorgere della luce. Tu sei l’unico modo per sapere chi sono io.
Il suo violoncello le offre ricordi struggenti ma anche attimi di preziosa serenità, la stessa che sembra aver perduto per sempre. Il suono è dolce e armonico, ma anche corposo, tipico di uno strumento tanto difficile quanto affascinante, soprattutto per chi ha l’animo sensibile, proprio come lei.
Ed è proprio attraverso la musica che River prova a rimettersi in strada, facendolo in ogni modo possibile, sia metaforicamente che letteralmente, accettando di salire sul tour bus di una giovane band composta da talentuosi musicisti indie-folk:
I Cult Of Essence erano tutti carini, ma Eric Jordan aveva qualcosa che lo poneva subito sotto un altro riflettore. Aveva carisma e lo riversava quasi tutto sul palco, ma ne conservava una piccola quantità per usarlo a suo piacimento nelle situazioni che lo richiedevano.
Determinato, magnetico, ambizioso, leader naturale non solo di un gruppo di musicisti ma anche di amici che riconoscono in lui il mentore di un progetto di vita, su cui scommettere ogni attimo della loro esistenza, ogni desiderio o sogno in cui condensare i loro singoli talenti e generare una particolare alchimia.
Eric concentra in sé ogni aspetto tipico di una rockstar: la sfrontata bellezza, l’indiscusso carisma, il fisico sexy, il perfetto magnetismo da frontman e una voce graffiante e oscura. Caratteristiche che se da una parte fanno impazzire migliaia di groupies (come negare l’evidenza, d’altronde), dall’altra gli promettono di avere sempre più successo, soprattutto grazie ad una mente lucida e determinata che gli evita di cadere nelle comuni spirali di auto-distruzione, di cui spesso sono vittime protagonisti di questo calibro.
Ci troviamo stavolta davanti a un uomo adulto (seppur appena trentenne), centrato e con uno spiccato senso di responsabilità non solo per sé stesso ma anche verso gli altri, come i suoi compagni e la sua adorata famiglia, composta dal padre e dalla sorellastra Dana.
Un protagonista schietto, puro, molto lontano dal poter essere definito stereotipato:
«Continui a non rispondere, Nashville.» Lei scrollò le spalle, come se il motivo non fosse importante. «Ecco…io…io credo di aver perso un po’ la bussola.» «Per cui hai deciso di perderti ancora di più salendo sul nostro tour bus» concluse lui, come se fosse anche un suo pensiero. River non poté fare altro che interpretare quel commento come un modo per dire che entrambi erano saliti su quel bus per perdersi ancora e ancora, non avendo idea di quale fosse la loro direzione. Ma dubitava che per lui fosse davvero così. Lui sapeva benissimo cosa voleva raggiungere e i tempi in cui lo avrebbe fatto.
Due protagonisti caratterizzati in modo così originale e accurato da essere veri, credibili. Eric col suo implacabile pragmatismo e la sua solida personalità; River con la sua candida sensibilità miscelata ad arte a una confondente onestà emotiva.
Tra loro nascerà un sodalizio artistico raro e prezioso, capace di distaccarli dalla realtà e farli toccare livelli di immersione emotiva che sfiora la perfezione. Non solo da un punto di vista musicale. Emozioni così forti e sconosciute da spaventare entrambi, fino a respingersi, cercarsi, nascondersi, volersi, perdersi e disperarsi fino a farsi inghiottire in un vortice di luce e buio, vita e morte, amore e odio.
La verità era che mi spaventava la sua luce tanto quanto la sua ombra.
Un viaggio on the road stupendo e avvincente, grazie al quale il significato stesso del viaggio si estende in molte direzioni: scoprire nuove realtà e umanità, oltrepassare la propria comfort zone, allargare la mente e soprattutto crescere e maturare per conoscere meglio sé stessi, affrontando angosce, manchevolezze e sensi di colpa, in un lungo e duro percorso a ostacoli.
Viaggiare è un modo di cambiare, una trasformazione che avviene attraverso la visione di nuovi luoghi e il contatto con persone diverse. Se da una parte Eric è in viaggio per affermarsi e migliorare la propria esistenza, per River è fuga, ricerca di libertà e pace.
Dancing in the dark racchiude in sé l’eterno fascino del viaggio, con le sue molteplici accezioni, capaci di rispecchiare la vita stessa. Vita e viaggio, effettivamente, sono forme di movimento e contengono il desiderio di cambiamento. Il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso, che ha una funzione formativa, come accade ai due protagonisti, che impareranno a entrare in contatto con loro stessi, e ad aprire finalmente il loro cuore all’altro. Un cammino tutto in salita, spesso sull’orlo del precipizio, in bilico, soprattutto per River:
L’acqua l’aveva sempre affascinata. L’acqua era in grado di ripulire, ma anche di distruggere. L’acqua poteva far nascere una vita ma poteva anche uccidere. L’acqua di un fiume era viva, dinamica, sempre in movimento, ma correva inesorabile verso l’oceano, annullandosi in esso. River si sentiva ben rappresentata dal suo nome, si sentiva esattamente come un fiume. Il lago era diverso, più stabile, meno impervio. Più solido. River lo associava all’immagine che aveva sempre avuto di Eric.
È proprio lei che dovrà percorrere la strada più lunga, come l’acqua più inquieta e tormentata che deve attraversare strettoie e superare pendii per raggiungere la quiete del lago. È lei che evolverà maggiormente, per lasciarsi alle spalle dolore, eccessi, ingenuità, ossessioni, insicurezze, che la intrappolano in dipendenze e relazioni tossiche cercate per annullarsi e non sentire niente. Un itinerario che la porterà ad attingere alle sue risorse interne, mostrando quanto questo “pulcino” abbia in realtà più coraggio e forza di volontà di quanto non ci si aspetti.
L’autrice alterna il racconto tra la terza e la prima persona. Una scelta originale che mette in prospettiva una parte della narrazione e, simultaneamente, consente al lettore di entrare nei pensieri del protagonista maschile (solitamente tenuti nel mistero grazie al POV solo femminile) in modo diretto . Stavolta avviene diversamente: è Eric a mostrare i suoi pensieri, mentre River è più distante. Uno scambio sofisticato e ritmato a dovere tra punti di vista differenti, che amplifica la natura dei due protagonisti: la schiettezza di lui e l’oscurità di lei.
L’aveva intitolata “Dark River”, e ora lei gli avrebbe dimostrato quanto oscuro fosse il fiume che lo avrebbe travolto. Cominciò a muoversi sinuosa come una sirena, lentamente ma accogliendolo fino in fondo, fino a farsi male. Fino a fare male. Voleva entrare in lui, così come lui era entrato in lei, nel suo ventre, nei suoi occhi, nel suo cuore. Si era piantato lì al centro del petto, come un seme. Ne era cresciuta una pianta che le aveva donato una nuova linfa vitale. Era così che si sentiva quando faceva l’amore con lui. L’atterriva e la galvanizzava contemporaneamente, due estremità che escludevano qualsiasi via di mezzo.
L’autrice, Moloko Blaze, conferma con questa uscita il suo profondo legame con la musica, di cui è una grande conoscitrice e che trasmette con amore incondizionato ai suoi lettori. Già in altre sue precedenti opere, come Playing Time, era chiaro quanto la musica fosse connessa all’atmosfera della storia, come a ricreare ogni volta il perfetto scenario per i suoi protagonisti.
È grazie alla musica che si creano incontri, intrecciano sguardi, generano emozioni in un scadenzato fluire di parole e sonorità magnifiche, quelle dei Cult of Essence, in cui Eric e River troveranno il loro palcoscenico, grazie anche a canzoni scritte in modo autentico e convincente, tanto da poter essere composte in musica.
River si lasciò sfuggire un sorriso amaro. Avevano un altro brano, parole e parole emergevano come piante su un campo seminato. Raccoglievano i suoi frutti, li rendevano presentabili, li lucidavano per la vendita. Davano al mondo qualcosa che all’inizio era sottoterra, al buio. Davano al mondo buona parte di loro stessi, consapevoli di aver costruito qualcosa in continua crescita, una creatura viva che di giorno in giorno regalava un ramo, un fiore. Un’idea. Insieme a Eric le veniva tutto facile, anche vivere.
Un aspetto importante è rappresentato dalla folta schiera di personaggi comprimari, molto interessanti e soprattutto ben assortiti: i membri della band, ognuno con le sue manie/debolezze/diversità; il manager Brian; la seducente e velenosa promoter Sandra; il pusher Rubens; l’antagonista Kenneth, leader della band rivale; i familiari dei protagonisti fino all’autista – bodyguard Phil.
Ognuno di loro è perfettamente delineato e collocato per funzionare a dovere come fosse un elemento di un’orchestra, che per rendere al meglio deve entrare in sintonia l’uno con l’altro. Un esercizio perfetto che crea le basi per offrire ai protagonisti il loro percorso individuale, e calibrare al meglio luci e ombre sul palco e dare ad ogni scena la perfetta atmosfera.
Ognuno ha un ruolo designato, nessuno esce o entra dalla scena in modo improprio, grazie all’esperta conduzione di una regista impeccabile, che non lascia nulla al caso.
Non mi sarei mai liberato del sogno di lei. Mi sarebbe rimasto incollato all’anima come una canzone, una lacrima invisibile che avrebbe solleticato il mio cuore per sempre. Un cuore che per molto tempo avevo creduto inutilizzabile.
Quanta voglia di vita si intesse in queste pagine, che richiamano con forza le parole del brano che le ha ispirate: per accendere un fuoco serve una scintilla.
Una lettura che travolge e convince facendo riflettere sull’importanza di avere una passione nella propria vita per qualcosa, qualsiasi cosa che possa accendere il fuoco della gioia e mantenere viva la speranza di farcela, nonostante tutto, pur muovendosi nel buio.
Si parla anche di “fame” e della necessità, a volte, di avere una “reazione d’amore”, adducendo al bisogno di connessione e intimità, non solo in ambito romantico, ma anche nel trovare qualcuno che ci capisca a un livello più profondo. Un viaggio in cui ritrovare se stessi, come accade tra Eric e River, che impareranno a uscire dall’oscurità insieme, dopo aver iniziato ad amarsi in silenzio, di nascosto, dietro una tenda, nel buio di una cuccetta sospesa sulla strada, tra promesse infrante e sogni da avverare.
Ho deciso di farmi trascinare dalla corrente.
Insieme a te.
Ho paura dell’acqua scura.
Ma è bello avere paura. Insieme a te.
Dancing in the dark, letteralmente “ballando col buio”, è una storia graffiante, a tratti cruda ma di una profondità emotiva che spiazza.
Una storia d’amore meravigliosa come una canzone indimenticabile, una di quelle che restano in testa e tatuano l’anima. Sensazioni forti come una corsa a perdifiato, verso il successo o per riconnettersi alla vita, su un bus che sfreccia sull’asfalto senza fermarsi, all’inseguimento di desideri da raggiungere, priorità da rivedere, cuori da salvare.
Tra cadute, risalite, rincorse e attese Moloko Blaze racconta la vita, scrivendo una delle sue storie più belle e intense.
Può una caramella diventare il metro di paragone per qualsiasi tipo di relazione si voglia instaurare… o evitare? Influencer, genio dell’informatica, bellissima e famosa, Cheryl è l’unica delle sette ragazze del Cosmo Palace a non aver incontrato l’amore. Perché non lo vuole. D’altronde, la vita le ha insegnato fin da subito che fidarsi di qualcuno equivale a mettere tutto a repentaglio, persino il proprio futuro. Quindi tanto vale gettarsi a capofitto nel lavoro. Nonostante gli haters. Nonostante gli stalker. Nonostante le minacce provenienti da un passato che vorrebbe cancellare, ma con il quale non può fare a meno di confrontarsi giorno per giorno. Tuttavia, quando la sua nuova applicazione per cuori solitari attira un serial killer, le sue amiche e i suoi collaboratori smettono di fare finta che tutto vada bene. E le affibbiano una guardia del corpo. Un uomo che tutti, nel palazzo, conoscono, ma di cui nessuno sa nulla. O quasi. Perché Cheryl in realtà lo segue e lo evita da tempo, attratta eppure spaventata. Dai suoi occhi che nascondono segreti tanto oscuri quanto dilanianti. Dal suo corpo, che sembra una mappa di promesse e giuramenti. Dal suo cuore, che lui si rifiuta di condividere. Come fa lei con le sue caramelle. Perché lui, Richard, è rotto dentro. E non sembra avere nessuna intenzione di lasciarle maneggiare i frammenti della propria anima ferita. Ma forse, se è vero che una caramella tira l’altra…
RECENSIONE
Ultimo capitolo di una serie amatissima e che conferma la bravura di Charlotte Lays a offrire storie mai uguali.
Lady Bonbon non è un semplice romance bensì la combinazione di più generi che rendono questa storia appassionante, portando il lettore su livelli diversi di emozioni. Da una parte la personalità della protagonista, Cheryl, che spicca fuori dalle pagine, del resto come accaduto alle altre sei amiche del condominio Cosmo Palace: caparbia, indipendente e orgogliosa, una donna affermata, stella dei social e assennata lavoratrice. Vive pensando alla sua carriera, ma nasconde dentro di sé fantasmi che la perseguitano rendendola fragile come un piano di cristallo:
Proprio qui, con i piedi sul cemento freddo, la luce asettica dei neon che illuminano le auto di lusso degli altri inquilini, mi chiedo se capirò mai cosa mi faccia stare davvero bene. Credo che prima dovrei smettere di farmi domande scomode che riaprono ferite mai chiuse e mi portano a curiosare nella vita della mia madre biologica.
Durante la lettura l’autrice è stata accurata a disseminare indizi e dettagli che delineano ad arte un passato che sembra aver incatenato questa ragazza, impedendole di provare o più che altro esprimere le sue emozioni più profonde, quasi come si trovasse rinchiusa in un gelo emotivo.
Un’adozione che sembra avere inferto ferite insanabili, un’adolescenza che pesa sull’età adulta come un macigno, nonostante la presenza amorevole di amiche presenti e soprattutto di due genitori a cui è impossibile imputare nulla che non sia affetto e devozione verso di lei. Che cosa la tormenta? Sarà proprio lei a raccontare al lettore i suoi pensieri, cosa la ossessiona, attraverso un flusso di ricordi che fanno emergere un senso di irrisolutezza invalidante. Ma questo è un lato molto intimo di Cheryl, un aspetto che tiene ben sotto traccia. Solo chi la conosce sa, come come le fidatissime amiche.
Il nostro bel portiere, alias Bentley. Nei miei sogni faccio spesso sesso sfrenato con lui, a dirla tutta. Bentley non è il suo vero nome e non è neppure un portiere, ma giuro che queste cose non le ho scoperte violando qualche sistema: erano ricerche autorizzate. Non so quanto lo sia io, invece, a fantasticare su di lui più spesso di quanto sia lecito per una donna della mia età che non ha mai avuto problemi a fare le proprie esperienze. Solo che Bentley… Lui non è solo alto, snello e straordinariamente educato. Quello lo sono anche i bravi ragazzi della porta accanto. Lui ha i lineamenti severi di chi è stato addestrato a salvare vite, ma è pronto a uccidere anche solo provandoci.
A scalfire i suoi sguardi riesce solo Richard Bentley, all’apparenza un uomo duro, severo, che si distingue per i suoi modi gentili e sicuri. È lui a far suscitare in Cheryl pensieri soverchianti in grado di ribollire il sangue, ma tenerlo a distanza sembra così facile e necessario, eppure ingiusto. Un personaggio, Richard, particolarmente centrato da questa abile penna; un uomo di ferro, a cui affidare la propria sicurezza sembra naturale; eppure, anche lui nasconde ferite nell’anima che lo hanno rotto definitivamente. Cheryl e Richard hanno una connessione profonda, quelle delle persone che non chiedendo aiuto cercano di mostrarsi corazzati e in grado di superare ogni problema, senza bisogno di nessuno.
«Comunque credo che tu sia la persona giusta per questo incarico dal momento che, per quanto sia assurdo, non sei il solo ad avere problemi relazionali tra i due.» «La cosa dovrebbe rincuorarmi?»
Sarà il destino a metterli l’uno di fronte all’altra, in un vortice di situazioni che portano la storia a intrecciarsi con forti tonalità suspense, fino a che sarà il giallo a predominare su tutto.
Si piega così da bere il mio respiro dalle labbra. «Non stai valutando i rischi, Lady Bonbon.» «Tu ne vali ognuno, Richard.»
Il rischio di lasciarsi andare ai sentimenti a volte ha un prezzo, altissimo, quello della fiducia, del perdono e la voglia di rinascere dalle ceneri staccandosi da un passato che va lasciato dove è. Solo così è possibile fare posto al presente e immaginarsi un futuro.
Una storia che non è solo romance, ed è questo che rende la lettura appassionante e avvincente. Tematiche forti e attuali come la gogna mediatica, il mondo sommerso e oscuro del dark web con il suo popolo di hackers fino agli haters, coloro che dietro lo schermo si divertono a offendere e riversare odio verso gli altri. Charlotte Lays chiude in bellezza questa serie, mostrando come scrivere romance sia un esercizio quanto mai intrigante che intrattiene, permette di evadere ma può essere in grado di far riflettere su cosa sia intorno a noi, e da cui magari tenersi alla larga.
Tratto dal libro: Ti mangio il cuore di Carlo Bonino e Giuliano Foschini
Genere: Drammatico/Romantico
Film per il cinema
Tipo di finale: Chiuso
Data di pubblicazione: 22 settembre 2022
Produzione: Indigo Film, Rai Cinema
TRAMA
L’amore proibito tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, la bella moglie del boss mafioso di Camporeale, riaccende un’antica faida tra due famiglie rivali nel promontorio del Gargano.
RECENSIONE
Oggi vi parlo di un film visto di recente, liberamente ispirato ad un libro di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, Ti mangio il cuore.
Il libro è un’inchiesta sulla mafia del Gargano, una mafia meno conosciuta di altre ma altrettanto spietata, con criminali che uccidono le loro vittime sparando loro in volto, in modo da cancellare la loro memoria e mettendo in pratica sui corpi rituali molto crudi.
Il film dal quale il libro è tratto è in bianco e nero e si apre con una sparatoria che stermina un’intera famiglia. Un bimbo è l’unico sopravvissuto e anni dopo vendicherà la sua famiglia.
Le immagini in bianco nero catapultano lo spettatore in un ambiente rurale, duro ed aspro, dove gli uomini hanno perso la loro umanità e le bestie hanno probabilmente più sensibilità degli esseri umani. Un amore proibito tra Marilena ed Andrea, rappresentanti di due clan rivali, è l’inizio di una tragedia immane.
Il personaggio di Marilena, interpretato da una bravissima Elodie, è ispirato alla figura di Rosa Di Fiore, prima vera pentita della mafia garganica che ha avuto figli da due diversi capi clan, in lotta fra di loro. “Spulciando” su internet ho appreso che Rosa è figlia di una famiglia perbene, cosa che mi ha veramente colpita: una donna onesta che si innamora di due criminali dai quali avrà dei figli, e che fortunatamente capisce che invece a loro deve dare un futuro migliore.
Sono le figure di donne diverse a essere tratteggiate in questa pellicola: ci sono madri spietate come la suocera di Rosa, complici dei crimini dei loro figli, e ci sono madri che invece sanno di dover crescere i propri in maniera onesta.
Poi c’è Marilena che è sì la compagna di due boss, ma è anche una donna sensibile che probabilmente si è trovata in una situazione più grande di lei e non sa come uscirne.
La scena finale della processione di paese, con le donne vestite di nero e coperte dal velo, è particolarmente struggente e restituisce dignità ad una donna che ha deciso di cambiare completamente vita nonostante le difficoltà che questo comporta.
La regia del film è di Pippo Mezzapesa, e a lui va un plauso per aver saputo rendere al meglio la tragicità di diverse vite umane e dell’arretratezza culturale dove la donna è solo un accessorio dell’uomo, una banale incubatrice che deve mettere al mondo uomini in grado di comandare e uccidere.
Il libro inchiesta degli autori raccoglie testimonianze su questa mafia spietata, detta anche la mafia dei montanari: quegli stessi montanari che si rendono conto di quanto sia facile nascondere armi e droga contrabbandate in un territorio complesso come quello del Gargano.
Nel libro sono raccolte diverse storie, tra le quali quella di Rosa di Fiore appunto alla quale si è ispirato Mezzapesa nella realizzazione del film. Possiamo quindi dire che la differenza principale tra film e libro è che nel primo, pur facendo riflettere su un problema ancora attuale come quello della mafia, la narrazione è principalmente indirizzata al legame sentimentale fra i due protagonisti e l’odio delle loro rispettive famiglie, quasi ricordando il dramma dei Montecchi e dei Capuleti.
Consiglio a tutti la visione di questo film, crudo ma bellissimo, e la lettura dell’omonimo romanzo che offre un’analisi approfondita della mafia del Gargano.
Titolo: Cancella il giorno che mi hai incotrato e Puoi fidarti di me
Autore: Leisa Rayven
Serie: Star Crossed
Genere: Contemporary
Narrazione: POV alternato
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 2015
Editore: Fabbri editore
TRAMA
Cassandra e Ethan. Quando sono sul palco insieme, a nessuno sfugge l’attrazione e la potente alchimia che si sprigiona tra loro appena si sfiorano o si guardano negli occhi. Una passione che toglie il respiro, davanti alla quale è impossibile restare indifferenti. Tanto che all’Accademia d’Arte di New York vengono scelti come protagonisti per lo spettacolo di fine anno, Romeo e Giulietta, la storia d’amore più famosa di tutti i tempi. Però, una volta calato il sipario e smessi gli abiti di scena, il rapporto tra Ethan e Cassandra si rivela complicato e ingestibile. Anni dopo, scritturati di nuovo per interpretare una coppia di amanti, Cassandra e Ethan si ritrovano sul palco ad affrontare i demoni del loro passato e il fuoco di quella passione che, nonostante il tempo, non ha mai smesso di ardere. Ma può un amore così intenso e lacerante finire davvero? Se Romeo e Giulietta li ha fatti avvicinare, questa nuova pièce rischia di distruggerli una volta per tutte
RECENSIONE
Questa è la storia di un grande amore, uno di quelli che si potrebbe raccontare in un libro, e nel caso specifico l’autrice bestseller internazionale Leisa Rayven di volumi ne ha scritti ben due.
Due volumi che racchiudono un percorso di vita tortuoso, costellato di cadute e risalite, che per anni ha unito e separato due giovani ragazzi, troppo inesperti per gestire il sentimento travolgente che nasce tra loro, così potente da divenire spietato per entrambi.
Avverto il suo sguardo su di me ancora prima di vederlo. Resisto alla tentazione di cercarlo: se c’è una cosa che ho imparato è che con Ethan Holt devo tenere a bada l’istinto. Quando non l’ho fatto, tra noi è andato tutto a rotoli. Era l’istinto a dirmi che lui poteva darmi qualcosa, mentre invece non era affatto così.
Una delle particolarità che colpisce di questa dilogia è il lungo viaggio di crescita personale che coinvolge i due protagonisti. Nonostante la tipologia di coppia (lei timida e insicura e lui solitario e carismatico) non sia particolarmente originale ciò che avvince è il messaggio che traspare chiaro: ci sono anime gemelle destinate a non riuscire a stare insieme, perché l’amore non basta.
Quella che unisce fin da subito i Ethan e Cassie è una connessione profonda, un senso di riconoscimento che l’autrice spiega benissimo, facendo entrare nella scena chi legge ad una velocità spiazzante.
Restiamo immobili per qualche secondo; mentre ci guardiamo negli occhi, l’aria tra noi si solidifica, legandoci come parti di un unico corpo.
Ci muoviamo più in fretta, eppure ogni gesto è perfetto, preciso. È una complicata coreografia che non abbiamo mai provato, ma che in qualche modo i nostri muscoli ricordano. È una sensazione incredibile. Siamo in quello stato magico in cui a volte gli attori riescono a entrare, quando l’energia scorre liberamente e apre il cuore, la mente e il corpo.
Un esercizio sul palco in grado di creare in pochi attimi un’istante di magia. Ethan e Cassie sono attratti l’uno dall’altra, come pezzi di magnete che si ricongiungono insieme anche non volendo, nonostante la distanza e il dolore.
Eppure, al di là di un destino complice ma anche perverso, questa storia ricorda con intensità quanto talvolta l’amore non sia sufficiente per mantenere una relazione, nonostante che quell’anima che abbiamo incontrato sia il riflesso della nostra. Capita che ci siano complicazioni inconciliabili, oppure costi fisici ed emotivi troppo alti da poter sostenere. Ci sono amori impossibili che ci fanno vivere frammenti di tempo perfetti, fugaci e intensi, ma che, sin dal principio, hanno incisa la data di scadenza.
Shakespeare una volta ha scritto: “Mai è stato liscio il corso del vero amore”. Una citazione che sembra essere dedicata proprio a questa storia d’amore, ambientata nell’affascinante mondo del teatro, in cui i due protagonisti, Ethan e Cassie, sono troppo giovani per poter vivere e gestire un sentimento fin troppo grande per la loro maturità, destabilizzandoli entrambi:
«Perché sei così…» «Così come? Fastidiosa? Irritante?» «Bipolare.» Questa non me l’aspettavo. «Oh. Io… Eh?» Sospira e scuote la testa. «Ti ho vista prima mentre fingevi di essere come loro. Gli hai dato quello che volevano, ed è assurdo visto che sono degli schifosi leccaculo, finti come una banconota da tre dollari. Però con me sei irrequieta, permalosa e ingenua da non crederci. Cos’è, non ti piaccio abbastanza da recitare anche con me?»
Già dal primo incontro, Ethan osserva Cassie da lontano, studiandone le mosse da dietro le quinte. Lui abile osservatore, capace di intercettare le emozioni, che è abituate a trattenere dentro di sé. Vederla davvero sarà istintivo, naturale, come se avesse a disposizione una lente di ingrandimento capace di andare oltre la superficie, oltrepassando quel lato apparente che Cassie è abile a offrire di sé ogni volta che si sente inadeguata, lei attrice dal talento innato.
Sarà la passione per il teatro a farli conoscere, il talento a legarli e l’amore a dividerli fino a che la vita deciderà per loro, rimettendoli sulla stessa strada, seppur profondamente cambiati. Decidere quale sarà l’attimo in cui finalmente potersi capire e fidarsi sarà un’impresa quasi impossibile.
Tra vicende che legano il presente al passato, Leisa Rayven racconta la storia di un amore giovanile bellissimo e tormentato centellinando sfumature, svelando gradualmente verità nascoste, segreti troppo dolorosi da poter essere condivisi.
La verità è che a convincermi a cambiare davvero non è stato incontrarti, ma incontrarti e poi perderti.
Ethan e Cassie si cercano, si inseguono fino a ferirsi, si proteggono rinunciando a quello che li unisce, ribaltando i ruoli di chi scappa e chi resta, e il momento giusto per essere felici sembra non arrivare mai. Una rincorsa fatta di ostacoli, dubbi e incertezze, ovvero i passaggi centrali che segnano il processo di crescita che permette di cambiare ed elaborare i vuoti, le mancanze e i fallimenti che spesso rendono prigionieri.
Odiare Ethan è semplice. Mi aiuta a non pensare a quanto lo amo.
La loro crescita emotiva parla al cuore del lettore e convince, mostrando quanto a volte la vita ci mette davanti degli ostacoli che in realtà possono divenire trampolini a superare i muri più invalicabili. Battaglie che riusciamo a vincere nutrendo la nostra forza d’animo, elaborando il dolore di una perdita, sviluppando uno spirito di accettazione che ci consenta di metterci al centro della nostra esistenza. Solo così Ethan e Cassie riescono a non perdersi nel labirinto delle loro insicurezze, anche mediante la distanza fisica, perché voler stare bene con noi stessi dipende sempre e solo da noi. Siamo noi a decidere.
Una volta il legame tra noi era intermittente; ora invece è stabile, e Ethan è pronto a viverlo. Ho ancora paura, ma voglio viverlo anch’io. Desidero che lui sia il primo e l’ultimo uomo della mia vita.
Una dilogia che racchiude in sé la bellezza di un amore grande, quello che si incontra una sola volta nella vita.
DIMENTICARE GLI EX E ALTRI ESERCIZI ZEN di Miss Black
Titolo: Dimenticare gli ex e altri esercizi zen
Autore: Miss Black
Serie: Autoconclusivo
Genere: Erotic
Narrazione: POV singolo (Jo)
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Novembre 22
Editore: Self publishing
TRAMA
Josephine immaginava una vita con Andrew. Erano perfetti. Entrambi giornalisti, lui direttore del canale all-news in cui lavoravano entrambi, affiatati a letto, grande intesa intellettuale. Ma Andrew l’ha scaricata e la vita di Jo è andata a pezzi. Proprio in quel momento però, neanche fosse un segno del destino, Jo riceve in eredità una casa nell’Essex. È il luogo perfetto in cui rintanarsi per leccarsi le ferite e meditare sulla propria vita. Andare avanti non è per niente facile. È ossessionata dal ricordo di Andrew. Ogni mattina si sveglia pensando a lui, il corpo che lo desidera fisicamente, la mente che continua a ripercorrere ogni istante della loro relazione. Di Patrick O’Rourke neanche si accorge. Certo, Patrick è bello, è l’uomo più bello che abbiano mai visto da quelle parti. Al pub locale le ragazze cercano modi sempre nuovi per avvicinarlo, fallendo ogni volta. Jo per fortuna è immune. Ma lo è davvero?
RECENSIONE
Un titolo che racchiude in sé due missioni, piuttosto impegnative, ovvero superare un amore (dopo un tradimento e un licenziamento) e rinascere mettendo tutto in prospettiva. Facile a dirsi, difficile a farsi, soprattutto se l’ex in questione diventa un’ossessione che tortura sia fisicamente che mentalmente la protagonista del nuovo romance firmato Miss Black. Una storia incentrata su tematiche profonde come il senso di colpa, l’elaborazione di un lutto, presentato sotto molteplici forme. In primis quello di una relazione finita malamente, fatto che a essere onesti metterebbe a dura prova moltissime persone. E quindi cosa fare?
Nessun fiocco di neve cade mai nel posto sbagliato.
Guardandoci indietro, è strano notare come spesso le casualità trascinino verso certe decisioni piuttosto che altre, trasformandosi in veri e propri segni del destino. Vi è mai capitato? È quasi come se l’Universo ci desse qualche suggerimento in merito al nostro futuro. Nulla ci viene imposto, ovvio, ma spesso capitano degli eventi piuttosto indicativi, come alla protagonista, che si ritrova senza lavoro e con una casa ereditata da uno zio quasi sconosciuto. Questi eventi possono essere interpretati come segni del destino da chi sa guardare oltre la semplice razionalità, anche se Jo pensa solo a sopravvivere al mondo che le è appena crollato addosso, alla fine di un amore di cui non si dà pace.
Anche se l’aveva scaricata nel modo più infame e vigliacco possibile, Jo continuava a sentire la sua mancanza. Di quello che erano stati. Di quello che avrebbero ancora potuto essere, se lui non si fosse invaghito di un’altra. A lei, all’altra, Jo non pensava.
Jo incarna tantissime persone che come lei non si rassegnano, nonostante il tradimento e l’umiliazione. Un personaggio davvero credibile e umano, che si ama e intenerisce. Un dolore da affrontare, lo spirito di sopravvivenza da gestire.
Quella casa enorme persa nel nulla, senza dubbio malridotta, poteva diventare la sua tana per un po’. Come le tane delle volpi, scavate tra le radici degli alberi. Prese le chiavi dallo scomparto porta oggetti.
Un luogo isolato, una vita da ricostruire. Basta così? No, a rendere tutto più complicato (e intrigante) l’incontro con uno sconosciuto, un uomo che a vederlo sognare è immediato. Miss Black si diverte a mettere sulla strada di Jo la nemesi di colui che il cuore glielo ha ridotto a brandelli, ovvero Patrick, detto Pat.
Solitario, gentile, falegname, bello da impazzire, eppure ritroso ad ogni tipo di relazione, casto per scelta. Buffo? Una delle parti più intense è quanto il loro rapporto basi le sue fondamenta sull’amicizia, che a lungo andare si consolida in complicità fino a trasformarsi in vera intimità, non solo del corpo ma della mente. Pat è bellissimo sotto ogni punto di vista, l’amico che salva, che riesce a stare in silenzio e che è capace di farti vibrare sotto le sue mani.
Quando sarebbe stata di nuovo bene? Sarebbe stata di nuovo bene? O sarebbe rimasta così per sempre? Frastornata, disperata, sotto molti punti di vista pazza furiosa? La frase zen del giorno era: Se vuoi volare, rinuncia a tutto ciò che ti pesa. Più facile a dirsi che a farsi.
Jo si mette nelle sue mani, appunto, come un vecchio mobile a cui ridare vita. Un’opera d’arte che prende tempo, richiede amore e pretende pazienza. Pat le insegna a ricominciare dalle cose semplici, per condividere con lei quelle cure che la renderanno più viva di prima, fino a metterla nuovamente in connessione con sè stessa.
Incredibile l’accuratezza che questa autrice, sempre sorprendente, ha messo nel descrivere il mestiere del protagonista: le diverse lavorazioni da usare su ogni tipo di legno, la sapienza di dosare il giusto olio fino ai tempi opportuni di attesa. Ogni aspetto tecnico che Pat racconta a Jo sembra uscire dalle labbra appassionate di un vero artigiano.
Pat, artigiano anche dell’anima, fin troppo perfetto esteriormente da essere vero, e al contempo riservato e silenzioso. Una figura enigmatica, intrigante, quella di un uomo che ha deciso di allontanarsi dal buio di un passato in cui di perfetto non c’era nulla. Scoprire di cosa si tratta sarà davvero inaspettato, per dare un significato diverso all’espiazione di una colpa.
C’era qualcosa di profondamente doloroso in quell’uomo, quando ti prendevi il disturbo di guardare. Oltre l’aspetto da modello di intimo, oltre l’immagine di tranquillo artigiano. Una riservatezza che chiedeva di non essere scalfita. Ma nessuna freddezza.
Un romanzo bellissimo e profondo, che lascia nel lettore quel senso di verità e realtà che fa pensare alla vita come ad un viaggio fatto ad ostacoli ma in cui spesso mettere in prospettiva ciò che ci accade ci preserva da ulteriori sbagli. Leggere i segni che il destino ci lancia non è facile, ma ignorarli a volta può costare caro.
È possibile imparare a prendere la vita in modo diverso rispetto a come siamo abituati, aprendo la mente a nuove interpretazioni. Spesso, infatti, quello che ci capita è atto al nostro bene e ci aiuta a creare il nostro futuro nel migliore dei modi. Anche e forse soprattutto quando gli eventi risultano per noi fastidiosi o dolorosi.
Come diceva il Dalai Lama–Jo l’aveva letto nel suo libro di massime zen–“Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere”.
Miss Black interpreta il romance a modo tutto suo, offrendo protagonisti credibili proprio perché imperfetti (anche se Pat è indegnamente perfetto, per la maggior parte del tempo), fatti di luce e ombra, con delle trame mai scontate, regalando quell’inestimabile necessità di evasione di cui tutti abbiamo bisogno grazie ad un mix unico di ironia, focosa sensualità e momenti di riflessione asciutta, mai banale.
Come sempre, leggere Miss Black è come assumere un supplemento vitaminico ad alta concentrazione di energia e relax. Mica facile, eh?
L’amore è solo questione di chimica? Sì, se ti chiami Isaac Goldsmith, sei il professore di biologia molecolare più S.N.S. (sadico, nerd e sexy) di tutta Berkeley e credi nei legami atomici primari più di quelli tra esseri umani. Tutto può essere spiegato con una semplice formula, anche i sentimenti. Eppure, se c’è un’unica cosa in cui Isaac ha sempre creduto, è l’amicizia con Audrey Carpenter. Almeno finché non si è trasferita in Inghilterra facendo perdere le sue tracce.
Audrey Carpenter ha una fissazione per i romanzi rosa e due obiettivi: innamorarsi del suo personale Mr Darcy e scrivere la biografia di Kate Middleton. È davvero un peccato che quel tizio travestito da Darcy si sia rivelato un idiota e che la biografia da scrivere sia quella dell’unica persona che Audrey non avrebbe mai voluto rivedere: Isaac Goldsmith, il suo ex migliore amico del liceo.
E così, quando Audrey torna in America dopo quindici anni, non crede ai propri occhi: dov’è finito il suo (ex) migliore amico? Perché il ragazzino nerd con cui ha divorato ghiaccioli davanti alla tivù, che le ha dato ripetizioni di chimica e con cui ha condiviso tutto o quasi… è diventato un professore scontroso, affascinante e con un sorriso sciogli-mutandine?Lavorare fianco a fianco? Si può fare. Andare d’accordo? Ci si può ragionare. Essere di nuovo complici? Impossibile. Perché chi dice che tra uomo e donna può esserci tutto, tranne che amicizia… be’, in questo caso ha ragione da vendere!
RECENSIONE
Paola Chiozza si è decisamente superata questa volta con La chimica dell’amore!
Audrey è una ghost writer piuttosto in gamba, Isaac il suo ex migliore amico diventato professore di biologia molecolare. Un oceano li divide, eppure il loro antico legame sembra ancora covare sotto le ceneri: è come tornare ai tempi del liceo e rispolverare vecchi, bellissimi e dolorosi ricordi.
Audrey non ha perso le vecchie abitudini, è ancora un’inguaribile romantica alla ricerca del suo Mr Darcy, la ragazza con l’agenda sulla quale appuntare la lista dei pro e dei contro, e Isaac è il solito super razionale che crede solo nella scienza e negli atomi. Potrebbero sembrare totalmente slegati fra di loro, e invece è proprio la loro diversità il vero collante del loro rapporto.
Paola Chiozza è stata bravissima nel creare due personaggi, e descriverli in due diverse fasi dell’esistenza: l’adolescenza e l’età adulta. Audrey e Isaac hanno un universo di ricordi comuni: la goffaggine dell’adolescenza, l’essere considerati praticamente invisibili, l’amore non corrisposto verso una persona, interi pomeriggi passati insieme per ripetizioni e per conquistare l’oggetto del proprio desiderio. Isaac amava Kerstin, migliore amica di Audrey, Kerstin non amava Isaac ma fingeva di amarlo…e Audrey chi amava?
Ho assolutamente amato questa storia di amori complicati e tormentati, i dialoghi brillanti e la grande umanità di questi personaggi di carta nei quali ognuno di noi può immedesimarsi. Perché ognuno di noi è stato adolescente e sa cosa significhi e quale tormento interiore ci si porti dentro.
“Le persone che amano si comportano proprio così. Vagano disperate alla ricerca di qualcuno che le completi e, quando lo trovano, il caos si placa. Siamo fatti di particelle nel senso più profondo delle cose”.
La storia di Audrey e Isaac è anche impregnata di tanto erotismo, di tutta quella chimica non pienamente espressa da adolescenti.
“Tutti i baci del mondo dovrebbero essere così, Assoluti. Come se da loro dipendesse tutto. Vita, morte, gioia e dolore. Dovrebbero togliere e ridare il respiro, essere in grado di fermare i battiti del cuore, governare tutte le leggi certe che spiegano l’amore. O che provano a farlo”.
Audrey e Isaac sono due amabili professionisti trentenni ancora un po’ adolescenti per certi versi, e rivedersi dopo tanti anni li porterà inevitabilmente a crescere.
“ Quando due atomi sono abbastanza vicini si scatena un’attrazione incontrollabile fra elettroni e nuclei”