TATOO
di Annalisa Sinopoli
Tatuare significa eseguire un tatuaggio su una superficie cutanea, ossia sulla pelle. Ma in realtà è molto di più.
Un tatuaggio è una forma di espressione di sé, il desiderio di cogliere un attimo e imprimerselo sulla pelle per sempre, per trattenere un momento o un sentimento e non lasciarlo scappare.
A volte è anche il desiderio di trasgredire, di andare oltre le norme stabilite da altri, tatuare la propria pelle è anche un modo per rivendicare la propria personalità e unicità.
I tatuaggi esistono fin dall’antichità, la testimonianza più antica è quella di Otzalet, un uomo mummificato risalente al 3000 a.c., ritrovato sulle Alpi nel 1991 sul cui corpo erano presenti alcuni tatuaggi così come in alcune mummie egizie, ottenuti sfregando carbone polverizzato su incisioni verticali della cute.
Il tatuaggio nasce con una inclinazione punitiva fin dai tempi dei Persiani in Occidente: i Persiani, i Traci, gli antichi Greci fino agli antichi romani avevano tutti l’usanza di segnare schiavi e prigionieri che cercavano di scappare con segni tatuati, anche se a volte si trattava più di vere e proprie marchiature a fuoco, che palesava la natura del loro reato, o talvolta la punizione.
Le parti maggiormente usate per incidere o segnare la pelle dello schiavo o del prigioniero erano di solito il viso, il collo e le mani così da essere sempre visibili agli altri.
A volte un condannato faceva rielaborare il suo tatuaggio punitivo per cancellare il segno originale, coprendolo con qualcosa d’altro, ma altre volte, i prigionieri creavano i propri tatuaggi per dimostrare l’affiliazione a un gruppo o orgoglio verso il loro crimine o la posizione sociale.
Con il passare degli anni però il tatuaggio ha cambiato forma, metodo, uso e significato.
I Celti per esempio adoravano divinità animali quali il toro, il cinghiale, il gatto, gli uccelli e i pesci e in segno di devozione se ne tracciavano i simboli sulla pelle.
Presso gli antichi romani, che credevano fermamente nella purezza del corpo umano, il tatuaggio era vietato ed adoperato esclusivamente come strumento per marchiare criminali e condannati; solo successivamente, in seguito alle battaglie con i britannici che portavano tatuaggi come segni distintivi d’onore, alcuni soldati romani cominciarono ad ammirare la ferocia e la forza dei nemici tanto quanto i segni che portavano sul corpo e cominciarono essi stessi a tatuarsi sulla pelle i propri marchi distintivi.

ESEMPIO TATOO STILE TRIBALE
Nell’XI e XII secolo i crociati portavano sul corpo il marchio della Croce di Gerusalemme, questo permetteva, in caso di morte sul campo di battaglia, di fare in modo che il soldato ricevesse l’appropriata sepoltura secondo i riti cristiani.
Dopo le Crociate, il tatuaggio sembra scomparire dall’Europa, ma continua a fiorire in altri continenti.
Nei primi anni del 1700, i marinai europei vengono a contatto con le popolazioni indigene delle isole del Centro e Sud Pacifico, dove il tatuaggio aveva un’importante valenza culturale.
Il termine fu coniato nel 1769 dal Capitano inglese James Cook che, approdando a Tahiti, osservando e annotando le usanze della popolazione locale trascrivesse per la prima volta la parola Tattow (poi Tattoo), derivata dal termine “tau-tau”, onomatopea che ricordava il rumore prodotto dal picchiettare del legno sull’ago per bucare la pelle.
I tatuaggi iniziarono a dilagare così tra i ceti più bassi. Pirati e marinai si tatuavano per ostentare la propria forza bruta e l’assoluto disprezzo di ogni regola sociale e per essi, rappresentavano amuleti o protezioni, tra un viaggio e l’altro.
Gli equipaggi che nel XVIII secolo si erano spinti nelle isole del Pacifico avevano apprezzato la tipica arte del tatuaggio, riportandola nel Vecchio Continente, dove invece in epoca medievale era stata proibita dalla Chiesa.
Ecco quindi che soprattutto nell’ 800 tra i marinai divenne consuetudine tatuarsi simboli di buon auspicio per “proteggersi” durante i lunghi viaggi in mare: la prassi era quella di farne uno alla vigilia del viaggio e un altro quando si giungeva a destinazione. Il terzo si faceva una volta tornati a casa sani e salvi. A questi se ne sommava un altro in caso di nuova partenza, un quinto al ritorno e così via.
Avere tatuaggi in numero pari significava dunque trovarsi lontano da casa, mentre se erano dispari voleva dire essere al sicuro con la famiglia. La tradizione dei tatuaggi “dispari” si è quindi poi diffusa anche fuori dall’ambiente marinaresco ed è tuttora rispettata da molti arrivando anche ai giorni nostri.
I tatuaggi dei marinai, ancora oggi, possono poi avere un preciso significato: chi ha un un dragone per esempio vuol dire che è stato in Cina, chi una tartaruga invece ha varcato l’equatore.
Dai porti, i tatuaggi passarono poi, alle carceri e alle storie del malaffare e della malavita, tanto da diventare un vero e proprio status symbol della criminalità.
Da qui le considerazioni negative sul tatuaggio, quale non solo segno di disagio, di censura, ma anche una vera e propria struttura semantica del mondo carcerario con la diffusione delle teorie di Cesare Lombroso, pioniere e “padre” della moderna criminologia.
Con la pubblicazione, nel 1876, del saggio “L’uomo delinquente”, egli mette infatti in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione morale innata del delinquente:
“ Il segno tatuato è fra quelle anomalie anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente. Il delinquente nato mostra specifiche caratteristiche antropologiche che lo avvicinano agli animali e agli uomini primitivi e l’atto di tatuarsi di criminali recidivi è sintomo di una regressione allo stato primitivo e selvatico”.
Il saggio è ricco di descrizioni di tatuaggi e delle storie degli uomini che li portavano, soldati ma soprattutto detenuti, criminali e disertori.
L’uomo delinquente così diventa anche un catalogo approfondito di tutte le tipologie di tatuaggio che potevano essere reperite all’epoca, fornendo un ampio squarcio sulle usanze del tempo, Lombroso cataloga infatti i tatuaggi secondo questo elenco:
- segno d’amore (iniziali, cuori, versi)
- simboli di guerra (date, armi, stemmi)
- segni legati al mestiere (strumenti di lavoro, strumenti musicali)
- segni legati alla religione (croci, Cristi, Madonne, Santi)
- segni raffiguranti gli animali (serpenti, cavalli, uccelli).
Curioso sapere che la nascita dei bellissimi tatuaggi orientali che tutti oggi conosciamo sia dovuta all’imposizione nell’antico Giappone di dure leggi repressive che vietavano alla popolazione di basso rango di portare kimoni decorati.
In segno di ribellione queste stesse persone cominciarono a portare, nascosti sotto i vestiti, enormi tatuaggi che coprivano tutto il corpo partendo dal collo per arrivare ai gomiti e alle ginocchia.
Il Governo nel 1870 dichiarò illegale questa pratica ritenuta sovversiva, ma il tatuaggio continuò a fiorire e a prosperare nell’ombra motivo per cui la Yakuza, la mafia giapponese, adottò ben volentieri la pratica “fuorilegge” del tatuaggio su tutto il corpo.
I loro disegni, molto elaborati, rappresentavano solitamente conflitti irrisolti ma riproducevano anche simboli di qualità e caratteristiche che questi uomini intendevano emulare.
Ad esempio una carpa rappresentava forza e perseveranza, un leone attitudine a compiere imprese coraggiose.
Nel ‘900, però, nelle società occidentali il tatuaggio non venne più considerato espressione di arte e di libertà, ma venne associato ad un disordine morale.
Negli anni 20 i circhi americani assunsero più di 300 persone tatuate da capo a piedi come attrazioni per il pubblico.
Per mezzo secolo, i tattoo diventarono marchio di minoranze etniche, marinai, veterani di guerra, malavitosi, carcerati … e considerati indici di arretratezza e disordine mentale.
È però dalla fine degli anni ’60, inizio anni ’70 in poi che la cultura del tatuaggio ha conosciuto una progressiva diffusione, prima nelle sottoculture giovani hippy e fra i motociclisti e poi ha conquistato lentamente ogni strato sociale e ogni fascia d’età.
È solo, infatti, con il dilagare della controcultura degli anni ’60-80 che il tatuaggio affascina chi sceglie di stupire e porsi in alternativa alla mentalità comune, per i punk e i bikers ad esempio era espressione di ribellione e rabbia.


ESEMPIO TATOO “OLD SCHOOL”
Negli anni 70 – 80 i tattoos per via della loro natura indelebile rappresentavano da un lato, un simbolo di fedeltà alla gang e dall’altro un segno di riconoscimento utilizzato per identificarsi in essa ed inviare un messaggio di intimidazione a membri di altre gang.
Un’altra data molto importante nella storia del tatuaggio è il 1891 quando il newyorkese Samuel O’Reilly rielaborando un’invenzione di Thomas Edison, la penna elettrica progettata per la duplicazione di documenti, progettò la prima macchinetta da tatuaggi, rendendo improvvisamente obsolete le tecniche precedenti, più lente e soprattutto molto più dolorose.
In passato la tecnologia utilizzata per creare i disegni era molto primitiva visto che ci si doveva arrabattare con quello che si reperiva ed era nota come “puntura a mano”, dove il soggetto usava un ago da cucire avvolto in filo di cotone fino nelle vicinanze della punta che poi veniva intinto nell’inchiostro e usato pungendo la parte da tatuare.
Questo metodo creava segni distintamente imperfetti poiché non si usavano guide e l’ago penetrava a differenti profondità nella epidermide motivo per il quale si rischiavano anche infezioni.
Questi tatuaggi solitamente avevano un aspetto più primitivo dei tatuaggi realizzati con una macchina, perché una linea continua è difficile da ottenere con questo sistema.
Che abbia valenza puramente estetica, o che sia impresso a ricordo di un momento importante della propria vita, o ancora esprima la volontà di un ritorno alle origini, a valori antichi e profondi che la società moderna sembra avere dimenticato, il tatuaggio vive oggi un momento di grande rinascita, liberandosi finalmente della coltre di pregiudizi che da decenni lo intrappolava.
Ma perché è riemerso anche fra di noi, nella modernità, l’uso di tatuarsi?
Secondo l’evoluzionista Richard Dawkins oggi è sempre più difficile farsi riconoscere con status symbol materiali o sociali, che sono una sorta di “prolungamento” del nostro corpo (mente compresa). Tornare al corpo “ricamandolo” è in fondo la cosa più semplice, alla portata di tutti.
Secondo la psicologia, la parte del corpo che una persona decide di tatuarsi è importante tanto quanto il tatuaggio in sé. Vediamo qualche esempio:
- Parte sinistra del corpo. La scelta tatuarsi a sinistra del corpo rimanda a un legame con il passato e indica persone più pessimiste, che tendono ad analisi introspettive.
- A destra del corpo. Ha uno sguardo proiettato verso il futuro e si tratta di una persona aperta ai cambiamenti, con un carattere aperto, positivo e solare. Allo stesso tempo la scelta denota un attaccamento alla realtà, un pragmatismo, la tendenza a non lasciare volare la fantasia.
- Le gambe. Indica un’incapacità di crescere e di riflettere. È tipica degli eterni bambini.
- Il tronco. Indica concretezza e risolutezza nelle proprie decisioni.
- Le braccia. Indicano che l’individuo sta attraversando un periodo di maturazione.
- Le caviglie. Una delle zona preferita dalle donne gelose e dagli uomini molto competitivi. Infatti si tratta di una zona abbastanza esposta.
- Le zone nascoste del corpo. Sono i tatuaggi tipici delle persone insicure e timide
Esistono moltissimi stili di tatuaggi, che variano nell’uso dei colori, disegni e dimensioni, a parte, logicamente, del significato. Di seguito, vi presentiamo alcuni di questi stili:
Old school – Tribale – Water color – Realistico – Orientale – Lettering – Biomeccanico – Dotwork
Di seguito il link all’approfondimento di ogni tecnica:
https://www.esneca.it/blog/stili-di-tatuaggi-piu-diffusi/
IL PANDORO
di Annalisa Sinopoli
Oggi vi raccontiamo la storia del dolce che insieme al panettone costituisce uno degli immancabili nelle tavole nel periodo natalizio: il pandoro che ci accompagna questa volta a Verona città a cui è indissolubilmente legato.
Il piatto più famoso della città di Romeo e Giulietta, consumato soprattutto durante le festività è oggetto ogni anno della sfida tra il pandoro veronese e il panettone milanese nelle case di tutti gli italiani: c’è chi preferisce la morbidezza e la dolcezza dello zucchero, c’è soprattutto chi odia i canditi, e poi c’è chi preferisce il panettone.
Sebbene tra gli scritti di Plinio il Vecchio risalenti al I secolo d.C. esista una ricetta realizzata con farina, burro, olio che segue un procedimento molto simile a quello della preparazione odierna, le origini del pandoro risalgono al 1200 e sono riconducibili alle cene dei nobili di Venezia. A Natale veniva servito “il pan de oro”, un dolce dalla forma conica, ricoperto da foglie d’oro, destinato ai palati dei più ricchi.

Nello stesso periodo a Verona si serviva il nadalin, un dolce a forma di stella con farina, latte e lievito. Da questi due dolci e dal levà, altra preparazione dolciaria tipica della città veronese, nasce il pandoro moderno.
L’inventore del pandoro è stato Domenico Melegatti, fondatore dell’omonima industria dolciaria, che il 14 ottobre 1894 ha depositato all’ufficio brevetti un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte, la cui forma è opera dell’artista Angelo Dall’Oca Bianca, pittore impressionista.
Melegatti ai dolci storici sopracitati ha aggiunto uova e burro, eliminando le mandorle e i granelli di zucchero dalla superficie del nadalin. Il nome non sarebbe solo un omaggio al dolce veneziano: la leggenda vuole che un garzone, prendendo in mano la prima fetta illuminata dal sole, abbia esclamato << l’è proprio un pan de oro.>>

Gli ingredienti usati per la ricetta classica del pandoro sono tra i più semplici – fior di farina, uova, burro, zucchero e lievito di birra – a fronte di una preparazione decisamente complessa che abbisogna di una lavorazione che richiede diverse fasi.
Basti solo pensare che ci sono ben quattro fasi di lievitazione.
Un segreto, che non tutti conosceranno, per gustarsi a pieno il Pandoro è quello di riscaldarlo un po’ prima di mangiarlo.
Insomma non è Natale senza l’eterna sfida tra Pandoro e panettone.
E voi quale preferite?
Di seguito il link alla ricetta per i più intraprendenti, preso dalle ricette della famosa Benedetta protagonista del programma televisivo: https://www.fattoincasadabenedetta.it/ricetta/pandoro/
IL PANETTONE: TRA STORIA E LEGGENDA
di Annalisa Sinopoli
Con questo editoriale vi portiamo in giro per l’Italia a conoscere i dolci tipici del periodo natalizio: oggi è la volta del dolce simbolo di Milano, un prodotto che rappresenta la storia e la tradizione della città meneghina ma che vanta una genesi immersa nella leggenda ed è tra i più apprezzati e conosciuti nel mondo.

I primi passi nella storia del panettone si compiono in un documento scritto nel 1470 da Giorgio Valagussa, precettore degli Sforza, che riporta il cosiddetto “rito del ciocco”: a Natale in ogni casa si metteva un grosso ceppo di legno sul fuoco. Poi tutti i commensali mangiavano delle fette di pane di frumento distribuite dal capofamiglia, che ne conservava una per l’anno successivo, come buon augurio.
Quel pane aveva, soprattutto per i poveri, un valore speciale. I fornai infatti, tranne quelli che panificavano per i nobili, durante l’anno avevano il divieto di usare farina di frumento, pregiata e prerogativa dei ricchi. Le Corporazioni milanesi avevano però deciso che a Natale tutti mangiassero lo stesso pane, detto “Pan de Sciori” o “Pan de Ton”, cioè pane dei signori, di lusso, che veniva arricchito con zucchero, burro e uova.
Dalla loro comparsa i panettoni sono ancora molto bassi, simili a focacce, il lievito fa la sua comparsa solo nell’800.
La sua nascita è legata a numerose leggende: la più famosa narra che il panettone sarebbe nato alla corte di Ludovico il Moro, signore di Milano nel lontano XV secolo. Era la Vigilia di Natale quando, in occasione del banchetto, il cuoco ufficiale della famiglia Sforza bruciò inavvertitamente un dolce. Per recuperare la situazione Toni, lo sguattero che lavorava in cucina, decise di utilizzare un panetto di lievito che aveva tenuto da parte per Natale. Lo lavorò aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un impasto particolarmente lievitato e soffice.

Il dolce venne apprezzato così tanto che la famiglia Sforza decise di chiamarlo “pan di Toni”, da cui deriverà nei secoli a venire il termine “panettone”.
Questaperò non è l’unica leggenda legata a tale dolce natalizio: Messer Ulivo degli Atellani, falconiere, abitava nella Contrada delle Grazie a Milano. Innamorato di Algisa, bellissima figlia di un fornaio, si fece assumere dal padre di lei come garzone e, per incrementare le vendite, provò a inventare un dolce: con la migliore farina del mulino impastò uova, burro, miele e uva sultanina. Poi infornò. Fu un successo strabiliante, tutti vollero assaggiare il nuovo pane e qualche tempo dopo i due giovani innamorati si sposarono e vissero felici e contenti.
Un’altra versione, meno accreditata delle altre, riterrebbe la nascita del panettone collegabile a suor Ughetta. Costei decise di rallegrare il Natale in convento aggiungendo zucchero e cedro candito all’impasto del pane da cui venne fuori un dolce morbido e profumato che oggi conosciamo, per l’appunto, come panettone.
Ecco perché Ughetta e Ughetto, stando al parere degli esperti, sarebbero i nomi indissolubilmente legati al fatto che nel panettone vi sia l’uvetta.
Non a caso in dialetto milanese l’uvetta è chiamata “ughet”!
Tornando alla storia la forma attuale del panettone venne ideata negli anni Venti, quando Angelo Motta, prendendo ispirazione dal kulic, un dolce ortodosso che si mangia a Pasqua, decise di aggiungere nella ricetta anche il burro e di avvolgere il dolce nella carta paglia, rendendolo come lo vediamo oggi.
Il panettone è oggi il dolce natalizio per eccellenza, da Milano si è diffuso in tutto il mondo, diventando ovunque un simbolo di festa e di alta pasticceria.
Di seguito il link alla ricetta se volete cimentarvi: https://www.ricettadicucina.com/it/ricette/ricetta-del-panettone-tradizionale-milanese/
HALLOWEEN E I SUOI SIMBOLI
di Annalisa Sinopoli
I costumi e le tradizioni di Halloween possono cambiare da luogo a luogo e di generazione in generazione, ma spesso i simboli rimangono gli stessi. Quello che a volte cambia è il significato che gli si attribuisce.
Ma perché sono stati scelti proprio questi simboli?
In questo articolo vi raccontiamo come sono nati e perché questi 10 simboli sono associati a questa festività.

JACK-O-LANTERN (zucca intagliata)
Il simbolo della zucca di Halloween ha avuto origine molto tempo fa in Irlanda, coi Celti, e inizialmente non si trattava affatto di una zucca, potete trovare il nostro editoriale dell’anno scorso che lo racconta.
STREGA
Nella cultura celtica, le streghe erano considerate delle guaritrici dotate di poteri soprannaturali. Il nome inglese Witch deriva da Wicca, che significa “persona saggia”.
Quando la cultura celtica si incontrò con altre religioni, tutto ciò che si pensava fosse soprannaturale divenne temuto e da evitare, anche le streghe.
Il cristianesimo considerava la stregoneria come manifestazione del male e del demonio mentre la guarigione, che una volta era considerata utile, era ora vista dalla chiesa come adorazione pagana e magia nera.
Da qui, l’idea che le streghe siano cattive e spaventose.
PIPISTRELLO
Anche se siamo abituati ad associare i pipistrelli ai vampiri, la tradizione per cui questo animale è diventato un simbolo di Halloween risale, ancora, alla festa celtica di Samhain.
I fuochi sacri che bruciavano la notte di Samhain attiravano molti insetti volanti, che a loro volta fungevano da richiamo per numerosi pipistrelli, che di questi insetti si nutrono.
FANTASMA
I fantasmi sono sempre stati un simbolo di Halloween: questa associazione deriva dal fatto che durante la festa di Samhain, il popolo celtico credeva che i fantasmi fossero nelle vicinanze perché il velo tra il mondo dei vivi e dei morti era più sottile.
Si riteneva infatti che nella notte tra il 31 di ottobre e il 1 di novembre gli spiriti dei morti potessero camminare tra i vivi, visitando i loro cari e le loro vecchie case, fuori dalle quali venivano posizionate le zucche illuminate come mezzo per tenere lontani gli spiriti malvagi.

GATTO NERO
Di tutti i simboli di Halloween, il gatto nero ha sicuramente dovuto pagare un prezzo altissimo per guadagnarsi il proprio posto nei festeggiamenti.
A partire dai tempi di Samhain, il simbolismo legato al gatto nero portò molti gatti a essere bruciati vivi.
I druidi credevano che gli umani malvagi potessero trasformarsi in gatti, il che li portò a rinchiudere i gatti in gabbie e gettarli nei fuochi sacri.
Più tardi nei secoli, si diffuse la credenza che anche le streghe potessero trasformarsi in gatti, e il gatto nero divenne il simbolo del famiglio (un demone domestico) di una strega.
Anche in questo caso, se una strega veniva processata e uccisa, il suo gatto avrebbe fatto la stessa ffine
È interessante notare che il simbolismo del gatto nero è molto diverso in altri paesi del mondo, dove i gatti sono visti come animali di buon auspicio.
SCHELETRO
Gli scheletri sono simboli di Halloween abbastanza impressionanti, perché sono un duro promemoria dell’inevitabilità della morte. Ci ricordano che Halloween è sempre stata una festa dei morti.
Nonostante questo sono diventati così popolari che oggi si utilizzano in diverse forme come decorazioni.
TESCHIO MESSICANO
Il teschio messicano è un simbolo ricorrente durante El Dia De Los Muertos, il giorno dei morti messicano. Può anche riferirsi a un teschio di zucchero, o calavera in spagnolo.
Il teschio messicano è molto diverso da un teschio tradizionale perché è riccamente decorato e colorato.
Esso viene creato come offerta per una persona cara e può essere profondamente personale e specifico per il defunto.
A differenza del tradizionale teschio di Halloween, un teschio messicano è un simbolo di ricordo, tristezza, lutto e celebrazione tutto insieme.
SPAVENTAPASSERI
Gli spaventapasseri si possono trovare, oggi, sia come decorazione per Halloween che per l’autunno in generale.
Sono più che semplici simboli di Halloween, sono un simbolo della stagione autunnale e del raccolto.
Erano usati da molte culture nei campi, a volte con teschi di animali come teste. Durante i rituali di raccolta gli spaventapasseri venivano bruciati per festeggiare e le ceneri tornavano al suolo.
Sono diventati simboli di Halloween perché, indipendentemente dalla cultura e dal raccolto, il loro scopo fondamentale è suscitare paura, avendo lo scopo di spaventare gli intrusi.
GUFO
Esattamente come il pipistrello, anche il gufo viene associato alla notte di Halloween sin dalla festa di Samhain, e per lo stesso motivo (si avvicinavano ai fuochi sacri per cacciare gli insetti che questi attiravano).
Nel Medioevo, il simbolismo del gufo prese una svolta oscura quando si iniziò ad associare anche questo animale alle streghe.
I suoni spettrali emessi dai gufi venivano associati all’avvicinarsi di una strega, che magari stava proprio volando in cielo in quel momento.
Nel simbolismo legato al gufo si è anche associato l’incontro con questa creatura come presagio di morte o indicatore della presenza di fantasmi.
Esistono numerose leggende e superstizioni sui gufi, ma non tutte li ritengono animali negativi.
I gufi sono anche noti per essere saggi, delle guide, portatori di buona fortuna e, in alcune culture, addirittura animali sacri.
RAGNO
Il simbolismo del ragno è molto diffuso nel folklore e nella mitologia, dove i ragni possono essere visti come tessitori del destino e oracoli della morte.
Inoltre, il ragno è un altro animale che, storicamente, è stato visto come un fedele compagno della strega.
Questo, insieme al fatto che si trova spesso in luoghi tetri come edifici abbandonati, scantinati, caverne buie e cimiteri, lo lega alla festa di Halloween.
Per non parlare di quante persone al mondo soffrono di aracnofobia… e non a torto, considerato quanti esemplari velenosi esistono in natura.
Come avete potuto leggere i simboli legati a questa festa sono molti e sempre più hanno preso piede anche nella nostra cultura regalandoci giorni dedicati all’attesa della notte più spaventosa dell’anno contornati dagli oggetti che li raffigurano e che ci ricordano che non tutte le cose che fanno paura in realtà debbano per forza avere una connotazione negativa.
I NOSTRI AMICI GATTI
di Lucia Pietropaolo
«Tu sei il Grande Gatto, il vendicatore degli dei e il giudice delle parole, quelle che presiede i capi sovrani e governa il grande Cerchio; tu sei davvero il Grande Gatto.»
(Iscrizione nella Valle dei Re)
Oggi voglio raccontarvi qualcosa su degli esseri speciali per la vita di molti di noi: i gatti. Sono semplici animali da compagnia o creature con uno sguardo che va oltre l’umana comprensione? Nell’antico Egitto i gatti erano venerati e considerati sacri, probabilmente anche per la loro abilità nel cacciare ratti e serpenti. Molte divinità egizie erano raffigurate con testa di felino, basti pensare a Bastet, che all’inizio era rappresentata con feroci connotati di leonessa per poi tramutarsi gradualmente in una gatta protettrice della maternità e della vita domestica. Si narra che in segno di lutto in caso di morte di un gatto domestico i proprietari si rasassero addirittura le sopracciglia. Un dettaglio piu macabro invece riguarda il ritrovamento di corpi mummificati di gatti all’interno di scavi: pare che fossero stati uccisi di proposito, mummificati e posti all’interno delle tombe dei loro nobili proprietari come pegno per gli Dei.

Oggi sono molto più semplicemente animali da compagnia che hanno mantenuto quell’aria di fierezza, superiorità e anche un po’ di sano snobismo. Qualche curiosità su di loro? 1. Possono dormire anche fino a 10 ore al giorno. 2. Passano fra il 30 ed il 50% del loro tempo a pulirsi, questo fa si che il loro odore si affievolisca e che i predatori stiano lontani.3. Fanno le fusa non solo quando sono felici, ma anche quando stanno male o partoriscono.4. I gatti amano le scatole perché probabilmente si sentono al sicuro in un luogo chiuso, come nell’utero materno. 5. Il gatto più ricco del mondo è Grumpy cat, gatta nota per il suo broncio causato dal nanismo felino e con un patrimonio di quasi 100 milioni di dollari frutto del merchandising.

Scrivere qualche curiosità su questi anomali fantastici è stato anche un modo di omaggiare Ciccetto, il mio piccolo, grande amico che purtroppo ci ha lasciato pochi giorni fa. Vi consiglio di guardare l’episodio bonus di The Sandman, Dream of a thousand cats: potrete capire molto di più sulla magica esistenza dei felini, senza considerare quante storie straordinarie che hanno per protagonisti i gatti sono state raccontate in letteratura. Libri che testimoniano quanto i gatti abbiano avuto il potere di salvare vite.


Tra i più noti, A spasso con Bob, che racconta il bellissimo legame che si instaura tra un gatto randagio e un ragazzo senza un futuro. Un incontro che cambierà totalmente le loro vite, come accade nella meravigliosa storia di In viaggio con Nala, dove una piccola gattina diventa la compagna di viaggio di un ragazzo scozzese, divenuto ormi una celebrità sui social. Un libro di cui abbiamo parlato anche nel nostro blog. Per chi se la fosse persa, ecco il link: https://readingmarvels.com/2021/01/26/in-viaggio-con-nala-di-dean-nicholson/
Se volete seguire le avventure di Nala ancor in viaggio per il mondo in bici col suo amico, lo potete fare grazie alla loro pagina IG, con più di 1 milione di follower.
Insomma, che ne pensate? Amici speciali o creature magiche? Forse entrambi.
GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE – 21 SETTEMBRE
di Annalisa Sinopoli
PACE, termine che deriva dal latino pax che significa legare, unire, saldare.
Quattro lettere che nascondono un mondo di possibilità al loro interno a indicare una condizione che consente all’umanità di aspirare anche ad altri importanti valori, che hanno dato significato al lungo cammino umano, come la libertà, la giustizia, la democrazia e l’uguaglianza.
È oggi 21 settembre che si festeggia la Giornata internazionale della pace, istituita il 30 novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la quale dichiarò che il Giorno sarebbe stato osservato, come un giorno di pace e di non-violenza, e volse un invito a tutte le nazioni e persone a cessare le ostilità durante il giorno.
Raccomandò di lavorare per costruire una nuova visione della pace basata sui valori universali di rispetto per la vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la tolleranza, i diritti umani e l’uguaglianza tra uomo e donna.

È una giornata fondamentale in un mondo afflitto dalle guerre. Da quelle tristemente note come la guerra in Siria, quella in Yemen e in Ucraina ai conflitti meno veicolati mediaticamente come quelli che interessano tantissime minoranze nel mondo; questa giornata ha lo scopo di far luce su queste guerre perché il primo passo per la fine delle ostilità risiede nella consapevolezza comune che la guerra è sempre ingiusta.
Il simbolo della pace (☮) fu creato da Gerald Holtom nel 1958 e raggiunse il successo nel decennio successivo prima a sostegno della Campagna per il disarmo nucleare e successivamente più in generale dell’antimilitarismo.
Esso consiste in un cerchio con una linea al centro che lo divide e che a sua volta si ramifica in altre due linee
Il successo del simbolo si deve probabilmente alla sua semplicità e fu interpretato falsamente anche come la rappresentazione stilizzata di un amplesso, aderendo così allo slogan sessantottino «Fate l’amore, non fate la guerra».



Holtom spiegò inizialmente di essersi ispirato all’alfabeto semaforico utilizzato nelle segnalazioni nautiche: il simbolo, secondo la sua versione iniziale, rappresenterebbe le lettere N e D, appunto Nuclear Disarmament.
Un altro simbolo della pace è la bandiera arcobaleno: simbolo di pace presso molte civiltà antiche la bandiera della pace si distingue da quella arcobaleno utilizzato dalla lega LGBT per la dicitura pace e per il numero e l’ordine dei colori (7 in quella della pace con i colori freddi in alto e 6 per quella del movimento senza l’azzurro con i colori caldi in alto ).
QUEEN ELIZABETH II
di Lucia Pietropaolo
Oggi vogliamo proporvi un memoriale su una donna che tutti credevamo eterna, ma è venuta a mancare da pochi giorni: la regina per eccellenza, Sua Maestà Elisabetta.
Sono onestamente dispiaciuta per la sua scomparsa e anch’io, come forse voi tutti, pensavo sinceramente fosse immortale. 96 anni e 70 anni di regno, Elisabetta ha davvero segnato un’epoca. Non era assolutamente destinata a diventare sovrana, era solo terza in linea di successione, ma tutto cambiò quando suo zio Edoardo VIII abdicò in favore di suo fratello Giorgio VI per poter sposare Wallis Simpon.


Elisabetta divenne sovrana a soli 21 anni, giurando di servire il suo popolo fino alla fine. Una vita sicuramente dorata ma anche molto impegnativa, contraddistinta dal porre sempre il dovere prima di ogni altra cosa. Sopravvissuta ai numerosi scandali di figli e nipoti ha dato prova di grande ottimismo nel futuro e di un senso dell’umorismo straordinario nonostante il suo aspetto severo.


Vi lascio alcune curiosità su questa figura iconica:
1. Durante la seconda guerra mondiale si arruolò nell’esercito ed imparò a guidare camion e ambulanze.
2. Pur guidando non aveva la patente.
3. Nel momento in cui la sovrana poggia la forchetta gli altri commensali hanno 5 minuti di tempo per finire il pasto.
4. Durante la cerimonia dei giochi olimpici girò un breve video accanto a Daniel Craig impersonando una Bond Girl.
5. Durante una mostra floreale un giardiniere le spiegò che in passato il mughetto veniva usato come veleno. Lei rispose: “ Questa settimana me ne hanno regalato 2 mazzi, forse mi vogliono morta”.
È sicuramente difficile riassumere in poche righe una vita straordinaria, ed è molto difficile aggiungere qualcosa che non sia già stato detto. La regina ha raggiunto il suo principe, sicuramente indebolita e resa fragile dalla dipartita del consorte, ed in questo umana come tutti gli sposi che hanno trascorso una lunga vita assieme.
Vorrei solo che tutti noi riflettessimo su alcune cose: a prescindere dalla simpatia o antipatia nei confronti della regina, voi accettereste un destino così impegnativo? Accettereste di anteporre il dovere alla vostra felicità? Sareste in grado di reggere alla pressione delle aspettative altrui e alla consapevolezza di rappresentare un intero paese?
Buon viaggio sua Maestà, verso un regno molto diverso dal Suo.
Per gli appassionati di astrologia lascio anche il link del tema natale della regina Elisabetta realizzato dall’astrologo Giacomo Ciabatti: https://youtu.be/qBDvmQfwM1M
PASSEGGIATA LETTERARIA
di Annalisa Sinopoli
A Trieste, nel rione di San Giovanni, esiste una zona chiamata “Piccola Parigi”, un quartiere situato tra la parte alta della via Giulia e la cintura a monte di via dello Scoglio costituito da caratteristiche casette colorate che sembrano una sorta di villaggio.
La via ispirata a Parigi è Via Zanella in fondo alla quale la leggenda racconta Napoleone, di passaggio a Trieste, ebbe a trovar rifugio momentaneo per i suoi destrieri.
Tempo addietro mi è capitato di leggere un libro consigliato da un caro amico che si è rivelato per il momento una delle migliori lettura di quest’anno.
Un romanzo di formazione scritto con uno stile che ho adorato, capace di mettere in luce con leggerezza e profondità al tempo stesso il processo di crescita e di realizzazione di un essere umano, passando per le diverse tappe dell’esistenza tra gioie e difficoltà.
Caratterizzato da una scrittura fluida, a tratti ironica e a tratti disincantata ma densa di significato la storia raccontata è ambientata proprio in questo piccolo borgo di Trieste: La piccola Parigi appunto.
È attraverso le vite dei personaggi che abitano questo borgo che l’autore Massimiliano Alberti mette in luce il legame con le proprie radici che molti lettori potrebbero riconoscere come proprio, e la volontà di conservare la memoria storica di questa parte della città.

Potevo lasciarmi scappare l’opportunità di vedere la Piccola Parigi dal vivo abitando a pochi chilometri da essa e vedere così le stradine che hanno visto giocare e crescere Lorenzo, Tullio e Christian?
Ovviamente no quindi è con sommo piacere che ho partecipato all’evento organizzato dalla Camerata Strumentale Italiana CSI con Proloco Mitreo e Proloco Trieste, con l’ospitalità di DREAM 22 B&B, la passeggiata letteraria nel borgo che dà il titolo al libro di Massimiliano Alberti il quale ha accompagnato il folto gruppo di visitatori. Ad allietare la visita le musiche del fisarmonicista Roberto Daris che ha eseguito brani di Edith Piaf e Yves Montand e la lettura di alcuni passi del romanzo dalla voce narrante di Lorenzo Zuffi.
Un borgo che ha conservato tutto il fascino del passato pur inframmezzato da edifici di più recente costruzione che poco hanno di armonico con le caratteristiche di queste piccole casette colorate, costruite in un susseguirsi di saliscendi tra viette nascoste, giardini selvaggi, scorci che sembrano trasportarti in un’altra città, tanto si è immersi in un’altra dimensione che non sembra di essere a Trieste.
È stato una passeggiata ricca di emozioni, rilassante, piacevole, a tratti persino bizzarra, fatta di ascolto di buona musica, rievocativa delle atmosfere della Parigi di un tempo, di parole che ci hanno ricordato come è essere innamorati, avere timore del futuro, inseguire i propri sogni.



In mezzo a muri adornati con quadri di artisti sconosciuti ( alcuni dei quali si sono imbattuti in questo folto stuolo di curiosi mentre si recavano nelle loro abitazioni improvvisamente invase da inattesi visitatori) cancelli antichi e meno antichi, giardini più o meno incolti, con piante e fiori ad abbracciare muri e mattoni a vista con la forza e la tenacia di cui solo la natura è capace.
Amici felini padroni di queste strade forse più che i loro coinquilini umani, personaggi più o meno folkloristici che sembrano usciti proprio dalle pagine di Massimiliano Alberti.
Una visita che si è conclusa presso il BeB Dreams 22 in cui la presentazione del libro è stata arricchita dalle testimonianze di due anziani abitanti del borgo, memoria storica del posto e delle vicende in esse accadute.
Non posso che consigliare la lettura di questo romanzo di cui potete trovare la recensione su Reading Marvels al seguente link: https://readingmarvels.com/?s=La+piccola+Parigi+
E se possibile consiglio caldamente la visita alla Piccola Parigi di cui questa del 3 settembre era la terza data proposta.
Grazie a Massimiliano Alberti per la gentilezza e la passione che ha fatto trasparire dalle sue parole, scritte e non, a testimoniare l’amore per un pezzo di storia della città di Trieste che grazie alle sue pagine è stato possibile ammirare.
LA LEGGENDA DELLA NOTTE DI SAN LORENZO
di Annalisa Sinopoli
La notte di San Lorenzo è il momento perfetto del mese in cui si possono osservare le stelle cadenti. È una notte affascinante che spinge milioni di persone a volgere lo sguardo al cielo per vedere lo spettacolo unico delle stelle cadenti.
La leggenda trae origine dal martirio di San Lorenzo che, arso vivo sulla graticola, ha ricordato la forma delle stelle cadenti, quasi fossero i tizzoni ardenti che hanno portato il santo alla morte.
Il 10 agosto, giorno in cui nel calendario cristiano si ricordano il santo e il suo martirio, non sempre è il momento migliore per vedere le stelle cadenti in tutto il loro splendore. I giorni a ridosso della data, sia prima che dopo, spesso sono più ricchi di stelle cadenti.

Fin dall’antichità si riteneva che il destino degli uomini fosse scritto nelle stelle. Stelle che potevano essere osservate nel cielo al momento della nascita di un bambino.
Tuttavia, quando una stella cade ciò significa che il destino non è più scritto e quel bambino, divenuto uomo, può veder cambiato il proprio futuro. Per questo motivo, chi vede una stella cadente ha il diritto di esprimere un desiderio riguardo il proprio futuro. La speranza è che la “caduta” di quella stella possa dare la possibilità di cambiare il proprio destino e realizzare un sogno.
Nell’antichità le stelle cadenti erano viste come segni di cattivi presagi, perché si credeva che fossero le lacrime delle divinità. Ma l’avvento del cristianesimo ha cambiato di significato del fenomeno celeste. Le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo non sono altro che le lacrime dal martire.
In ricordo del suo martirio è nata l’usanza di poter esprimere un desiderio», cioè di chiedere una “grazia”.
Un tempo inoltre gli uomini che guardavano intensamente le stelle erano i marinai. Osservare il cielo stellato era l’unico modo per orientarsi in mare di notte. E chi navigava utilizzando questa ‘tecnologia’ osservava il cielo desiderando fortemente di far ritorno, incolume, a casa. Dunque la tradizione di unire le stelle ai desideri arriva anche dall’abitudine dei marinai di orientarsi grazie al firmamento.
In realtà la definizione di stella cadente è impropria: le stelle sono caratterizzate da una luce fissa, e non “cadono” affatto. In effetti, quelle che noi vediamo, sono meteore e la spiegazione si deve cercare nella scienza.
Il motivo per cui queste scie luminose appaiono nel cielo terrestre proprio a metà agosto è dovuto al fatto che è in questo periodo che la Terra passa attraverso lo sciame delle Perseidi, meteore appunto. Quelle che vediamo, quindi, non sono stelle cadenti, ma Perseidi.
Per vederle al meglio le stelle cadenti meglio assicurarsi di essere al buio, le luci della città non sono l’ideale per scorgere delle scie nel cielo stellato, meglio approfittare di prati, spiagge, parchi, e munendosi di pazienza restare tutta la notte col naso all’insù, pronti ad esprimere i vostri desideri!
IL MITO DEL GELATO (CONFEZIONATO)
di Annalisa Sinopoli
I gelati confezionati sono uno dei protagonisti indiscussi dell’estate e delle vacanze.
La storia racconta che il primo gelato confezionato sia comparso nel 1948, grazie a un’idea di Angelo Motta, la cui azienda ha rappresentato l’emblema dell’industria dolciaria dei primi ‘900.
Angelo Motta fonda a Milano una piccola bottega di pasticceria artigianale nel 1919, puntando sul suo prodotto più apprezzato, il panettone. In meno di 10 anni, con l’apertura di altri 7 laboratori, la piccola bottega diventa una fabbrica vera e propria.
Arriviamo alla Seconda guerra mondiale, alla sua fine e al mito americano che inizia a diffondersi in Italia. In questo periodo Angelo Motta ormai navigato imprenditore, da forma a un prodotto rivoluzionario: nel 1948 compare il primo gelato confezionato, uno stecco di legno ricoperto da gelato al gusto fiordilatte, il MOTTARELLO.

In realtà l’idea è presa in prestito da Harry Burt, un produttore di caramelle americano che nel 1920 decise di creare un gelato al cioccolato che avesse come supporto lo stecco di un lecca-lecca di sua produzione.
Ma è solo grazie alla capillare distribuzione mediata dalla Motta, ormai colosso dell’industria dolciaria, che il Mottarello in breve tempo conquista uno spazio nella scala dei bisogni degli italiani del dopoguerra.
Il primo gelato confezionato diventa il simbolo di una società che ambisce alla spensieratezza, che ostenta la propria ricchezza ampliando il paniere dei beni alimentari.
L’automobile, il frigorifero e la televisione, le vacanze estive… negli anni Sessanta tutto ciò che è moderno e industriale automaticamente diventa simbolo di ricchezza e benessere.
E il moderno gelato non fa eccezione. Proprio in questo periodo si rafforza in modo netto il legame tra gelato e vacanze al mare. Il “gelato da passeggio” diventa un simbolo della nuova generazione e in meno di dieci anni i consumi triplicano.
Il Mottarello è solo il primo di una lunga serie, di tutti i successivi gelati confezionati, dalle strane forme e nomi indimenticabili: nel 1970 la Sammontana crea il Barattolino, il primo secchiello confezione famiglia di gelato sfuso, che supera la concezione del gelato industriale monoporzione.

Dopo Motta e Sammontana, è la volta di Sanson, Tanara, Soave, Algida, Chiavacci, Eldorado, Alemagna e Tre Marie. Complice l’ingresso del frigorifero nei bar e nei caffè, in molti intuiscono le potenzialità di questo nuovo mercato.

È il passaggio da una dimensione voluttuaria al consumo quotidiano, favorito dalla comparsa del frigorifero con il congelatore nelle case italiane.

Il gelato non più esclusiva dei banchi frigoriferi di bar e caffè, può essere trasportato a casa e conservato in frigo per essere mangiato come dessert, come merenda, o come sfizio.
Chi non ricorda il gelato preferito della propria infanzia: ancora oggi questo prodotto è legato indissolubilmente alle vacanze, al mare e alla spensieratezza dell’estate.
Vi auguriamo, anche così, di passare delle Buone Vacanze.
LA STORIA DEL BIKINI
di Annalisa Sinopoli
È il 5 luglio 1946: il sarto francese Louis Réard, dopo aver visto una donna a St. Tropez arrotolare le estremità del costume per abbronzarsi meglio, inventa il bikini: 4 triangoli di stoffa uniti da laccetti, per un totale, si dice, di appena 194 cm quadrati, che per la prima volta lasciano esposto l’ombelico femminile, e tesi a un risparmio ancora maggiore di tessuto. La fantasia del modello originale riprende le scritte di una pagina di giornale.
Il nome è ispirato a quello dell’Atollo Bikini, le isole del Pacifico in cui proprio nei giorni del lancio, gli Stati Uniti stanno conducendo test nucleari. Per Réard, l’effetto del costume sull’opinione pubblica sarà pari a quello di una “bomba atomica”. In effetti, il due pezzi di Réard sciocca l’opinione pubblica, proprio per via dell’ombelico scoperto, un tabù fino ad allora. Il sarto non trova modelle disposte a posare con la sua creazione, così ingaggia Micheline Bernardini, spogliarellista di Parigi (nella foto).


Sono passati 76 anni ma in realtà la storia dei costumi da bagno è molto antica, come testimoniano i mosaici romani di Villa del Casale in Sicilia.

Le ragazze raffigurate sono atlete e il costume a due pezzi veniva usato esclusivamente per svolgere attività sportiva come corsa campestre, lancio del disco e della palla.
Come spesso accade non abbiamo scoperto niente di nuovo a parte un po’ di pelle pronta per l’abbronzatura!
GIORNATA INTERNAZIONALE DEI BLOGGER
di Annalisa Sinopoli
“Il blog permette di far maturare talenti e passioni che, diversamente, non avrebbero né possibilità di espressione né, tantomeno, una platea così vasta a cui indirizzarsi. Tanti cantanti, artisti, musicisti, aspiranti registi, chef, personal trainer, artigiani curano con dedizione il proprio spazio virtuale e regalano la propria creatività agli “avventori” del blog.”
“Il blogger amplifica con il proprio contributo la ricchezza dei contenuti culturali e sociali nel web, alimentando la rete con il suo pensiero, condivide una visione di vita, che, per alcuni, costituisce una missione: molti giovani giornalisti freelance e ricercatori universitari hanno espresso, attraverso il proprio diario di bordo, critiche severe nei confronti dei regimi totalitari, fondamentalismi religiosi, organizzazioni criminali, rischiando per tale motivo la propria libertà personale e spesso la vita.”
Queste alcune dichiarazioni del Il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani, che considera nella nostra società essenziale il ruolo dei blogger in relazione alle denunce delle violazioni della persona e divulgazione delle tematiche umanitarie.
Ma cosa è precisamente un blog?
È sicuramente uno degli strumenti di comunicazione più diffusi nel mondo: giornali online, diari personali, siti di promozione professionale, luoghi di confronto virtuale.
Il primo blog apparve nel 1993 e fu creato da Tim Bernes Lee. Il contenuto del blog era semplicemente una lista di link accompagnati da un commento.
Nel 1996 Dave Winer realizzò un blog denominato “24 Hours of Democracy”, il cui obiettivo era creare un punto d’incontro online per discutere anche sulla libertà di espressione nel Web. Questa iniziativa riscosse notevole successo, portando Winer alla creazione di un’impresa per lo sviluppo di software per blog.
Ma la parola “weblog” è opera di Jorn Barger, che la utilizzò nel 1997 per definire la sua collezione di link.
Nel 1999 il termine“weblog” venne troncato in “blog” dando origine ad una serie di vocaboli da esso derivati: blogger, bloggare, blogosfera.
Dal 1999 apparvero una serie di portali dedicati ai blog: Eatonweb Portal, Blogger e poi WordPress e Splinder.
L’entusiasmo di inizio 2000 che riteneva i blog rivoluzionari dal punto di vista comunicativo negli anni si è andato placando.

Con il boom dei social network infatti si pensò che il blog stesse per attraversare un periodo di crisi, si temeva che Facebook e Twitter sarebbero diventate l’unica piazza in cui gli utenti avrebbero condiviso i loro pensieri e contenuti.
Ciò non è avvenuto, anzi, il blog ha sempre mantenuto una sua identità e si è vestito di ruoli istituzionali: l’editoria ha strizzato l’occhio al nuovo strumento, inserendo sui siti giornalistici pagine dedicate ai blog personali delle firme più seguite, ma anche le aziende hanno sostituito sempre più i vecchi siti vetrina con siti dinamici, periodicamente aggiornati e basati su questo sistema.
È innegabile che questi personalissimi siti online abbiano apportato un contributo fondamentale nel rinnovare le modalità comunicative sul web e nel difendere la libertà d’espressione.
È proprio per ricordare questi due aspetti che, nel 2010, nasce a Cepu (Filippine) il World Bloggers’ Day che festeggiamo oggi il 2 maggio!
Celebrare l’inalienabile facoltà di espressione è una priorità da non sottovalutare, se si considera che non pochi blogger sono morti per difendere fino alla fine la propria libertà di parola, denunciando violenze e soprusi spesso taciuti dai media tradizionali.
Tra questi si trova Omid Reza Mir Sayafi, blogger e giornalista iraniano morto alla soglia dei trent’anni mentre era incarcerato per quanto pubblicato.
Come lui, anche Zakariya Rashid Hassan al-Ashiri, del Bahrein, ucciso dopo solo sette giorni di arresto, o il brasiliano Edinaldo Filgueira, assassinato da uomini armati all’uscita dal lavoro a causa delle critiche pubblicate nei confronti del governo locale.
Un blog non è quindi semplicemente uno spazio per esprimersi online, ma è la dimostrazione che si può avere uno spazio in cui esprimersi liberamente, a volte anche a costo della propria vita.
Celebriamo insieme allora il valore su cui si fonda questa forma di comunicazione e cioè l’inalienabilità della libertà di espressione ricordando alcune delle semplici regole che sempre dovrebbero regolare le comunicazioni sul web.
Citiamo le più importanti:
- Sii responsabile delle tue parole e anche dei commenti che escono sul tuo blog
- Se qualcuno si comporta male online, faglielo notare
- Non dire nulla online che non diresti anche di persona
Auguri a tutti i bloggers quindi, sempre e comunque pensatori liberi!
GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO
a cura di Annalisa Sinopoli
Aprile è il mese libresco per eccellenza: il 23 aprile si festeggia la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore con il patrocinio dell’ UNESCO e si inaugura Il maggio dei libri, la campagna nazionale di valorizzazione della lettura come elemento di crescita personale e collettiva, promossa dal Centro per il libro e la lettura del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, giunta nel 2022 alla dodicesima edizione.
Due modi diversi con un fine comune per incoraggiare la lettura. Perché leggere unisce, allarga gli orizzonti, ci fa scoprire mondi inimmaginabili e ci predispone a superare confini geografici e mentali, verso la libertà di pensiero e di opinione.
Tiziano Terzani amava dire:
«I migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole il silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo senza chiedere nulla.»
La Giornata mondiale del libro è stata istituita nel 1996, grazie all’UNESCO, per promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la tutela del copyright. Il libro e la lettura sono considerati un mezzo di approfondimento e di conoscenza, strumenti di informazione e di cultura.
L’idea di celebrare la Giornata del libro nasce in Catalogna, più di 400 anni fa. La tradizione catalana vuole che, proprio nello stesso giorno, in cui si celebra San Giorgio, ogni uomo doni una rosa alla sua donna. Così ancora oggi i librai della Catalogna usano regalare una rosa per ogni libro venduto il 23 aprile. E a Barcellona la tradizionale passeggiata per le Ramblas che invade di banchetti pieni di libri e di rose era uno degli eventi più suggestivi dell’anno.
La data del 23 aprile è stata scelta in quanto, in questo giorno, nel 1616, ricorre l’anniversario della morte di tre scrittori considerati dei pilastri della cultura universale: lo spagnolo Miguel de Cervantes, l’inglese William Shakespeare e il peruviano Garciloso de la Vega.
In realtà, Cervantes e Garcilaso de la Vega sono morti il 23 aprile secondo il calendario gregoriano, mentre Shakespeare è morto il 23 aprile secondo quello giuliano, all’epoca ancora in vigore in Inghilterra, e quindi dieci giorni dopo.

La lettura consente di entrare in mondi, vite e tempi diversi e dà la possibilità di avvicinarsi a esperienze e realtà lontane da quella in cui si vive, accrescendo così la consapevolezza di quanto il mondo che ci circonda sia poliedrico.
E allora diteci quali sono secondo voi i libri da leggere assolutamente almeno una volta nella vita? Difficile rispondere ma fortunatamente ce n’è per tutti i gusti.
Infatti, citando Piero Citati:
«Se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi.»
Buon book day a tutti!
FESTA DELLA DONNA
a cura di Annalisa Sinopoli
L’8 marzo molte donne sono solite festeggiare con cene, serate insieme e divertimento una giornata interamente dedicata a loro: mimosa, uscite con le amiche, ma anche riflessioni sulla condizione femminile e la parità di genere.
Ma siamo sicuri di essere a conoscenza delle vere origini di questa festività attorno alla quale circolano storie non del tutto vere?
Conosciuta in Italia semplicemente con il nome di Festa della Donna, nel mondo è meglio nota come Giornata Internazionale della donna, per enfatizzare la sua origine e la storia di lotte per i diritti e l’emancipazione femminile. La vera storia della Festa della Donna non è così conosciuta né è sempre molto chiara, in quanto, nel raccontare i motivi per cui si festeggia il genere femminile l’8 marzo, ci si è avvalsi di falsi storici che si sono imposti come veri per molti anni.
Insieme al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la Festa della donna è la giornata dedicata ai diritti di genere, il simbolo di un percorso storico tutto al femminile costellato di conquiste sociali, economiche e politiche.
La nascita della Giornata internazionale della donna affonda le sue radici nel lontano 1907, quando a Stoccarda si svolse il VII Congresso della II Internazionale socialista in cui, oltre ai temi legati al colonialismo e alla possibilità di una guerra europea, si discusse della questione femminile e del suffragio universale.
Vi parteciparono alcune importanti personalità marxiste del tempo tra cui la tedesca Clara Zetkin e i russi Lenin e Martov.
Un anno dopo, nel febbraio del 1908, la socialista Corinne Brown coordinò la Conferenza del Partito Socialista a Chicago, aperta a tutte le donne, in cui i temi principali furono lo sfruttamento del lavoro femminile, le discriminazioni sessuali e il diritto di voto.
Quell’assemblea passò alla storia con il nome di Woman’s Day e, seppur non riscosse un immediato successo, spinse il Partito Socialista americano a dedicare l’ultima domenica di febbraio del 1909 all’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto per le donne.



Nel 1910 a New York furono tremila le donne che celebrarono il Woman’s Day (un numero incredibile se pensiamo alla condizione femminile di quegli anni), come diretta conseguenza dell’imponente sciopero di camiciaie iniziato verso la fine del 1909 e proseguito fino al febbraio dell’anno successivo.
Quel che accadde nella Grande Mela contribuì, in occasione della seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste svoltasi a Copenaghen nel 1910, ad alimentare la proposta di istituire una giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Il Woman’s Day continuò a essere celebrato negli Stati Uniti e in varie nazioni europee ma in giorni e mesi diversi da paese a paese, fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale che interruppe i festeggiamenti in tutti i territori coinvolti.
Le manifestazioni legate al Woman’s Day subirono quindi un’interruzione forzata a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Fino a quel momento non era stata stabilita una data riconosciuta a livello internazionale per la giornata della donna e l’evento veniva celebrato in giorni e mesi differenti da paese a paese.
Le cose cambiarono l’8 marzo del 1917 data in cui le donne russe marciarono su San Pietroburgo alla guida di una grande manifestazione per chiedere la fine della guerra.
Fu il punto di partenza per una serie di successive dimostrazioni popolari che decreteranno l’epilogo dell’impero Romanov e aprirono la strada al riconoscimento dell’8 marzo come data simbolo della Giornata Internazionale dell’operaia proclamata dalla Seconda Conferenza internazionale delle donne comuniste svoltasi a Mosca nel giugno del 1921.
Un altro momento storico importante lega invece l’8 marzo al fiore diventato simbolo della festa della donna: la mimosa fiore simbolo della festività solo in Italia.
La Seconda Guerra Mondiale era terminata da poco e in occasione delle celebrazioni per l’8 marzo 1946, tre donne, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, partigiane e attive nella vita politica di quegli anni, cercarono e trovarono nella mimosa quel fiore economico e di stagione che passerà alla storia come l’emblema dell’8 marzo.



Fu scelto questo fiore perché è uno dei pochi fiori che sboccia in questo periodo: il colore giallo, così brillante, cancella all’istante il grigiore invernale, aprendo la strada agli altri fiori della primavera. Questa pianta è originaria dell’isola della Tasmania, Australia, ed è stata importata in Europa nel XIX secolo. Dopo esser stato scelto come fiore per la festa della donna, la mimosa ha assunto il significato di forza e femminilità: le donne per combattere la causa dovevano avere forza di carattere, ma senza perdere la propria identità femminile. Nel linguaggio dei fiori invece la mimosa esprime innocenza, libertà, autonomia, pudore, sensibilità.
Spesso la storia è vittima di leggende che per quanto affascinanti creano confusione e mistificano la realtà. Anche la nascita della festa della donna è figlia di un falso mito che ancora oggi viene presentato come un fatto realmente accaduto da cui è nata l’idea di istituire una giornata dedicata alle donne.
Si racconta che l’8 marzo del 1908 le operaie dell’industria tessile Cotton di New York rimasero vittime dell’incendio divampato all’interno dell’azienda dove erano state segregate dai proprietari in risposta allo sciopero indetto dalle lavoratrici che chiedevano condizioni di lavoro migliori e salari più alti. Una storia vera solo in parte.
A New York l’incendio scoppiò davvero ma non nel 1908 bensì nel marzo del 1911 e la fabbrica era la Triangle, vittima di una delle più gravi disgrazie industriali del XX secolo che causò la morte di 146 persone in maggioranza donne. Com’è possibile che la memoria storica sia stata manipolata fino a questo punto?
La risposta si può trovare nella forte connotazione politica che la festa della donna ha assunto sin dalla sua nascita, cui si somma la solitudine del comunismo russo contrapposto al capitalismo americano, una diatriba alimentata dalle vicende della Seconda Guerra Mondiale e resa ancora più aspra negli anni della Guerra Fredda.
Ad oggi ancora molte conquiste devono essere fatte dal punto di vista sociale e culturale nei riguardi delle donne ma conoscere le radici di una festività legata alle lotte che molte prima di noi hanno portato a termine, perchè noi potessimo godere delle libertà che abbiamo oggi, è senz’altro una buona base su cui costruire le conquiste future.
Alcuni consigli di lettura che condivido con voi, da leggere sempre, al di là di questa ricorrenza:



Auguri a tutte le donne quindi, di tutte le generazioni e di tutti i tempi.
CARNEVALE
a cura di Lucia Pietropaolo
Buongiorno a tutti! Oggi voglio parlarvi delle origini del Carnevale, visto che stiamo per arrivare proprio a questo periodo dell’anno.
Da bambina adoravo mascherarmi, mia madre mi comprava delle maschere bellissime e mi parlava anche delle maschere tipiche delle varie regioni italiane. Innanzitutto bisogna dire che il Carnevale di oggi trae origine da antiche festività pagane, feste che permettevano, seppur solo in quei giorni, di eliminare qualsiasi differenza tra le classi sociali. Il carnevale può essere ricollegato ai Saturnali della Roma antica ( i travestimenti in onore del Dio Saturno per festeggiare l’inizio della primavera) e alle feste dionisiache del periodo classico greco ( i festeggiamenti in onore di Dioniso, dio del vino).
Pensate alla libertà di poter sovvertire la realtà, alla fantasia che permette di potersi scambiare i ruoli.
Successivamente la Chiesa ha cercato di dare un’impronta cristiana a questa festa di matrice “libertina”, difatti il culmine del Carnevale coincide con l’inizio della quaresima e del digiuni prima di Pasqua. Carnevale, da “carnem levare”, cioè togliere la carne, cosa che realmente avviene nel periodo di quaresima.
A tal proposito consiglio di dare uno sguardo all’opera di Pieter Bruegel “Combattimento tra Carnevale e Quaresima”: la sinistra dell’opera rappresenta la piena opulenza, la destra persone smunte e ristrettezze.
Un dipinto che rientra nel gruppo delle opere moraleggianti. Più precisamente va inserito tra le “rappresentazioni enciclopediche”, un genere che fu proprio Bruegel a inventare e a rendere di successo. In questo particolare filone pittorico il grande maestro fiammingo, come una sorta di “filoso”, osserva “dall’alto” le vicissitudini dell’umanità, le sue bassezze e le sue virtù, cercando di riproporle con assoluto realismo. L’atteggiamento di Bruegel non è, però di biasimo, anzi egli osserva il mondo di cui fa parte, con piena e sincera partecipazione, con un umorismo bonario e comprensivo.

Oggi abbiamo sicuramente perso l’origine di Carnevale, probabilmente nessuno ne è davvero consapevole, l’importante è che sia rimasto il concetto di poter allentare le tensioni e festeggiare in maniera spensierata, seppure per un periodo limitato di tempo.
Fonti: pagine sul web e pagina Facebook/Instagram Calendario pagano.
SAN VALENTINO: tra mito, leggenda, storia e tradizione.
a cura di Annalisa Sinopoli
Sebbene molti innamorati siano soliti festeggiare ogni 14 febbraio forse non tutti loro sanno quali sono le origini di questa festività e il perchè venga celebrata proprio in questa data.
Ecco allora alcune curiosità tra mito e storia che raccontano l’origine della festa per gli innamorati di tutto il mondo.
La festività religiosa prende il nome dal santo Valentino di Terni e venne istituita nel 46 da papa Gelasio Primo, andando a sostituirsi alla precedente festa pagana dei Lupercalia (feste di radice arcaica in onore del dio Luperco).
Nei giorni intorno alla metà di febbraio infatti, nell’antica Roma era usanza celebrare feste legate al ciclo di morte e rinascita della natura, alla sovversione delle regole e alla distruzione dell’ordine per permettere al mondo e alla società di purificarsi e rinascere.
Queste feste erano accompagnate da vari rituali, mascherate, cortei, e giornate in cui i servi prendevano il posto dei padroni e viceversa, con l’intento di innescare un processo appunto di rinascita rimettendo in atto il caos primigenio.
Parte di queste manifestazioni ritualistiche è sopravvissuta fino a oggi, mediata dalla morale cristiana, nelle tradizioni del Carnevale.
In particolar modo, alcune pratiche arcaiche della fertilità prevedevano che le donne di Roma si sottoponessero, in mezzo alle strade, ai colpi vibrati da gruppi di giovani uomini nudi, armati di fascine di rami strette da spaghi. Attraverso le frustate di questi uomini che simboleggiavano il dio agreste Fauno-Luperco, le donne ricevevano una benedizione che ne propiziava la fertilità.
Non solo, i sacerdoti dovevano entrare nella grotta dove si riteneva che la Lupa avesse allattato Romolo e Remo, per effettuare sacrifici propiziatori. Nel frattempo in città si versava il sangue di vari animali, e il Dio Lupercus inseriva in un’urna i nomi di uomini e donne i quali venivano successivamente estratti a sorte da un Cupido con le sembianze di un bambino.
Queste coppie avrebbero dovuto vivere insieme per un intero anno, per portare a termine il rito di fertilità. Questi riti furono definiti deplorevoli già nel tardo Impero Romano, e furono definitivamente banditi dai papi cristiani.
Secondo alcune leggende fu quindi la Chiesa a scegliere questo Santo per rimpiazzare il Dio Lupercus, venerato nell’antica Roma proprio in questo periodo dell’anno.
La data del 14 Febbraio è riconducibile al giorno in cui Valentino venne martirizzato, ma secondo alcuni miti scegliere questo giorno per celebrare le coppie, è dipeso proprio anche dai Lupercalia di cui sopra.
La leggenda narra che in questo contesto San Valentino era uno dei pochi vescovi della sua epoca a ufficializzare le unioni fra fidanzati cristiani.
In particolare il mito narra di un giovane centurione romano di nome Sabino che, passeggiando per una piazza di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia e se ne innamorò follemente.
Sabino chiese ai genitori di Serapia di poterla sposare ma ricevette un secco rifiuto: Sabino era pagano mentre la famiglia di Serapia era di religione cristiana.
Per superare questo ostacolo, la bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal loro Vescovo Valentino per avvicinarsi alla religione della sua famiglia e ricevere il battesimo, cosa che lui fece in nome del suo amore.
Purtroppo, proprio mentre si preparavano i festeggiamenti per il battesimo di Sabino ( e per le prossime nozze), Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu chiamato al capezzale della ragazza oramai moribonda. Sabino supplicò Valentino affinché non fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe stata solo una lunga sofferenza. Valentino battezzò il giovane, ed unì i due in matrimonio e mentre levò le mani in alto per la benedizione, un sonno beatificante avvolse quei due cuori per l’eternità.
Sempre secondo la leggenda Valentino venne arrestato e giustiziato perchè colpevole di aver unito in matrimonio una donna cristiana con un uomo pagano.
E qui il mito si mescola alla storia in quanto Valentino effettivamente era inviso ai potenti del suo tempo. La sua esistenza venne sempre spesa all’insegna della carità e dell’umiltà e fu costellata da numerosi interventi miracolosi.
Il largo seguito che ebbe durante l’impero prima di Claudio e poi di Aureliano però non giocò a suo favore tanto che cominciarono a perseguitarlo.
A ciò si aggiunge il fatto che Valentino organizzava in segreto numerosi matrimoni, esplicitamente vietati dall’imperatore Claudio.
La goccia che fece traboccare il vaso fu proprio la celebrazione tra la cristiana Serapia e il legionaro romano pagano Sabino di cui narra la leggenda.
Nato e cresciuto a Terni, città nella quale divenne Vescovo, Valentino morì circa a 97 anni di età, proprio il 14 Febbraio durante l’impero di Aureliano, pare decapitato sulla Via Flaminia, fuori dalle porte di Roma su ordine del prefetto Placido Furio.
Da quel momento il suo teschio viene esposto ogni anno come reliquia nella Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma, ornato di rose rosse.
A Terni, dove Valentino è patrono, ancora oggi viene celebrata la Festa della Promessa: giovani in procinto di sposarsi e coppie sposate da anni si scambiano un voto d’amore.
Tra il XIX e il XX secolo la festa degli innamorati divenne molto popolare ma la connotazione religiosa sbiadì del tutto.
Fu per questo probabilmente che nel 1969 la Chiesa cattolica decise di cancellarla dalle festività ecclesiastiche e da quel momento il nome di San Valentino sparì dal calendario.
Ma nell’immaginario collettivo e nella storia della Chiesa il Santo non venne dimenticato e rimase indissolubilmente legato agli innamorati.
Certo la festa di San Valentino come la conosciamo oggi non è certo quella stabilita da Gelasio I.

Dobbiamo allora spostarci nel XV secolo, quando Carlo duca d’Orleans, mentre era prigioniero nella Torre di Londra, scriveva bigliettini d’amore alla moglie, chiamandola “dolce Valentina”, rifacendosi a un verso dell’Amleto di Shakespeare.
Ofelia, infatti recita: “Domani è san Valentino e, appena sul far del giorno, io che son fanciulla busserò alla tua finestra, voglio essere la tua Valentina”.
Da qui, l’idea nata in tempi moderni, di scambiarsi messaggi d’amore in occasione di San Valentino.
Soprattutto nei paesi di cultura anglosassone, e per imitazione anche altrove, il tratto più caratteristico della festa di san Valentino è infatti lo scambio di “valentine“, bigliettini d’amore spesso sagomati nella forma di cuori stilizzati o secondo altri temi tipici della rappresentazione popolare dell’amore romantico (la colomba, l’immagine di Cupidocon arco e frecce, e così via).
Questa tradizione ha alimentato la produzione industriale e la commercializzazione su vasta scala di biglietti d’auguri dedicati a questa ricorrenza.
Tanto che è stato stimato che ogni anno vengono spediti il 14 febbraio circa un miliardo di biglietti d’auguri, numero che colloca questa ricorrenza al secondo posto, come numero di biglietti acquistati e spediti, rispetto al Natale.
Che dire la parola scritta evidentemente ha ancora il suo perché nell’espressione del sentimento amoroso. Lo sappiamo bene noi inguaribili lettrici di romance.
Buon San Valentino! ♥️
L’ASTROLOGIA COME DISCIPLINA.
Intervista all’astrologo Giacomo Ciabatti, a cura di Lucia Pietropaolo
Buongiorno a tutti e innanzitutto…buon 2022!
Da grande appassionata di stelle ho pensato di proporvi un articolo sull’origine dell’astrologia, anche in virtù di un ingresso in questo nuovo anno in cui tutti riponiamo grandi aspettative. L’astrologia è una disciplina antichissima, fusa con l’astronomia che studia tutti i tipi di corpi celesti. È un po’ come se l’astrologia fosse stata per tanti anni una sorta di sorellastra, di Genoveffa, una parente che ci racconta cose particolari e non viene mai creduta. Ma come vi dicevo questa disciplina ha origine antichissime, parliamo di tempi remoti, addirittura dei babilonesi, degli antichi popoli sumeri che studiavano come gli astri potessero influenzare la vita umana (la disciplina è stata poi perfezionata da Greci ed Egizi). Non voglio parlarvi di banali oroscopi da giornale, l’astrologia è molto più di un segno zodiacale, per me scoprirla è stato davvero imparare a decifrare e a capire aspetti della mia vita e della personalità.
Voglio svelarvi un piccolo segreto: anni fa sono riuscita a scoprire il mio orario di nascita, scritto dietro ad una foto di me bambina. Ho scoperto di avere l’ascendente in vergine, ma oltre a quello e al fatto di essere toro non avevo le idee molto chiare. Mi sono sempre chiesta come potesse un oroscopo essere uguale per migliaia di persone ( per noi Toro generalmente l’oroscopo è: attenti alla dieta, siamo considerati i golosacci per eccellenza dello zodiaco), e per quale motivo la rubrica di vari giornali fosse sempre esattamente la stessa per tutti i segni zodiacali.
Due anni fa ho conosciuto casualmente un grande astrologo di indubbie capacità, e mi sono fatta redigere un tema natale grazie al quale ho potuto capire moltissime cose: è stato un po’ come essere nudi davanti ad uno specchio, messi di fronte al proprio vero io. E oggi ho approfittato per porre alcune domande proprio a lui, l’astrologo Giacomo Ciabatti, che è stato molto disponibile e felice di essere intervistato per Reading Marvels.
“Giacomo, dicci qualcosa sulle teorie a sostegno del meccanismo astrologico, parlaci delle origini dell’astrologia”.
L’astrologia ha origini antichissime, oggi in alcuni contesti è ridicolizzata e trattata banalmente anche in tv. All’origine dei tempi essa aveva un che di destinico, l’osservazione delle luci e degli astri veniva tradotta come un messaggio del volere divino, il destino dell’ uomo era già scritto e non c’era spazio per il libero arbitrio. Successivamente, dal dopo Galileo, si è sviluppata una teoria delle energie, di come gli astri e gli umani potessero interagire fra di loro. Pensiamo anche all’influenza che la luna ha sulle maree, o addirittura sul ciclo mestruale e sulla crescita dei capelli. La terza e ultima teoria è quella degli astri intesi come simboli, archetipi, mezzi attraverso i quali l’uomo può decifrare il mondo nel quale vive: interpretare i simboli del tema natale può essere un modo per lavorare sulle proprie zone d’ombra e anche un modo di capire come sfruttare i propri talenti. Qui l’uomo non è vittima del destino, ma ha la possibilità di modellare la propria vita.
“Come e quando è nata questa passione che ti ha portato a diventare astrologo?”
Avevo 11 anni, stavo giocando a pallone con mio cugino e poi siamo rientrati in casa della nonna a bere qualcosa. Lì c’era mia zia che stava leggendo il tema natale ad una persona: sentire parlare di Saturno ed Urano è stata come una folgorazione, ho riconosciuto qualcosa che sapevo già di amare. Ho iniziato a leggere, studiare, per poi fare il tema natale di parenti, familiari e anche della mia professoressa di francese, che non riusciva a credere come un ragazzino potesse avere ideato qualcosa del genere. Successivamente mi sono laureato, ho iniziato a lavorare con successo nel campo delle assicurazioni, ma ero consapevole che non fosse quello il mio destino.
“ Come ci si sente a sapere prima di altri qualcosa che sta per arrivare? “
È una sensazione particolare, essere consapevoli che l’umanità sta prendendo una direzione sbagliata e nessuno se ne rende conto. È un po’ sentirsi una Cassandra, non creduta, con un senso di solitudine e frustrazione perché il messaggio che vuoi far partire non arriva a destinazione. Ma al tempo stesso senti anche soddisfazione di poter essere d’aiuto a molte persone, senti anche un senso di responsabilità, che poi è lo stesso che dovrebbero avere sedicenti astrologi ospiti su vari canali televisivi: nessuno dice mai che le previsioni basate sul solo segno zodiacale possono dare solo indicazioni generiche, e che bisogna stilare un previsionale individuale per avere un quadro completo dell’individuo.
Ringraziando Giacomo per il tempo che mi ha dedicato, vi lascio questo link della sua pagina Facebook dove sono consultabili video e previsionali fatti due anni fa, dicembre 2019: previsioni su chiusure e pericoli per la salute pubblica, in tempi ancora non sospetti.
Il 2022 ci darà ancora qualche parziale motivo di preoccupazione, ma dallo studio fatto sui movimenti planetari da Giacomo la sintesi è questa:
“In tarda primavera e la prima parte dell’estate ci sarà il nostro rialzo. Da fine marzo 2023 ne siamo completamente fuori” nel senso che avremo consapevolezza collettiva anche dell’origine del virus. Tali miglioramenti previsti sono legati infatti a una causa naturale o accidentale della comparsa del virus durante il duro ciclo planetario chiusosi nel 2020. In caso di azione dolosa il processo di rinascita sarà molto più doloroso e partirà da rivolte e proteste a fine inverno 2023. Lo capiremo se l’autunno 2022 dovesse presentare ancora forti allarmi e non soltanto deboli ricadute”.
Un grazie ancora a Giacomo Ciabatti.
Per chi volesse saperne di più, qualche consiglio di lettura:
“Trattato pratico di astrologia” di Andrè Barbault
6 Gennaio: la leggenda della Befana.
a cura di Annalisa Sinopoli
Vi siete mai chiesti quali siano le origini della leggenda della Befana?
Mettetevi comodi perché bisogna andare molto indietro nel tempo, traendo essa origine dal culto del Mitraismo e da antichi riti pagani di origine celtica legati all’inverno boreale, assimilati poi dai Romani fino ad arrivare alla figura della vecchietta sulla scopa che festeggiamo oggi.
Il nome Befana descrive una figura folcloristica legata alle festività natalizie che secondo la tradizione è una donna molto anziana che vola su una logora scopa, per fare visita ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, la notte dell’Epifania, e riempire le calze lasciate appese sul camino o vicino a una finestra. La leggenda vuole che i bambini che durante l’anno si sono comportati bene riceveranno dolci, caramelle, frutta secca o piccoli giocattoli. Ma chi avrà fatto il monello troverà le calze riempite con del carbone o aglio.
Il termine deriva dalla corruzione lessicale di Epifania, dal greco ἐπιφάνεια, epifáneia, che si è evoluta attraverso bifanìa e befanìa.
L’Epifania è la festa con cui ogni 6 gennaio la Chiesa cattolica celebra la prima volta in cui, secondo i Vangeli, Gesù Cristo si mostrò in pubblico (il termine viene dal verbo greco ἐπιφαίνω, mostrarsi, rivelazione). La data fu stabilita al 6 gennaio contando 12 giorni dalla nascita alla prima volta in cui Gesù venne mostrato in pubblico secondo i Vangeli: cioè quando fu visitato dai Magi che vennero ad adorarlo a Betlemme.
Attenzione perché il 12 è un numero dalla forte connotazione simbolica per la tradizione pagana presente già in età romana, un particolare affascinante che non conoscevo e di cui vi racconto l’origine.
L’origine della Befana è probabilmente connessa a un insieme di riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C. ed è legata ai cicli stagionali in agricoltura, relativi al raccolto dell’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo.
Gli antichi Romani fecero loro questi riti adattandoli al calendario romano, celebrando il passaggio tra la fine dell’anno solare (il solstizio d’inverno) e la ricorrenza del Sol Invictus, un appellativo religioso usato per diverse divinità nel tardo Impero romano richiamanti la nascita del sole (la vittoria della luce sulle tenebre).
Ed ecco ritornare la simbologia del numero 12: la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura: i Romani credevano che in queste dodici notti, che rappresentano i dodici mesi del calendario romano, delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura “volante”.
Tale figura femminile, secondo alcuni, fu dapprima identificata in Diana, per altri invece sarebbe collegata ad una antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine “strenna”) e durante la quale ci si scambiavano regali.
Per altri ancora la Befana si rifarebbe ad alcune figure importate della stessa mitologia germanica, Holda e Berchta, sempre come una personificazione al femminile della natura invernale.

A partire dal IV secolo d.C. la Chiesa di Roma cominciò a condannare tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche.
Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell’attuale figura, il cui aspetto, benché benevolo, fu chiaramente associato a quella di una strega: non a caso, fu rappresentata su una scopa volante, antico simbolo della purificazione delle case e delle anime, in previsione della rinascita della stagione, fu successivamente ritenuto strumento di stregoneria, anche se, nell’immaginario, la Befana cavalca la scopa al contrario, cioè tenendo le ramaglie davanti a sé.
Non fate l’errore quindi di credere che la Befana sia una strega: non solo cavalca la scopa al contrario ma ha un carattere benevolo nei confronti dei bambini che si rifà alle figure di Santa Lucia e San Nicola, anche loro distribuitori di doni.
Per ripararsi adeguatamente la Befana indossa gonnoni lunghi, lisi e rattoppati in maniera allegra; spesso indossa il grembiule. Usa inoltre calzettoni pesanti antifreddo e scarpe comode, ma non stivali alla guascone molto più adatti alle streghe delle fiabe.
Sulle spalle a volte ingobbite ha sempre uno scialle di lana pesante e colorata e non un mantello svolazzante.
Una Befana vera non ha il cappello a punta, come spesso appare erroneamente nel web o in televisione, ma usa esclusivamente un fazzolettone di stoffa pesante (la pezzóla) o uno sciarpone di lana annodato in modo vistoso sotto il mento.
Originariamente la Befana era metaforicamente il simbolo dell’anno appena passato, un anno ormai vecchio. I doni che la vecchietta portava, erano dei simboli di buon auspicio per l’anno che sarebbe iniziato.
La tradizione la vuole quindi “vecchia” ad indicare la fine di un ciclo: con il solstizio d’inverno si passa dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all’allungarsi del periodo di luce, a livello di calendario legale, con la fine dell’anno si entra nel nuovo anno gregoriano, a livello liturgico si conclude il Tempo Liturgico forte, natalizio, e comincia quello Ordinario.
Proprio per questo il giorno dell’Epifania, quando si festeggia anche la Befana, viene recitato “Epifania, tutte le feste porta via”.
E per questo motivo il suo aspetto è brutto, poiché rappresenta gli eventi cattivi dell’anno precedente, che porta via con sé sulla scopa.
Questa povera vecchietta diventa così un simbolo da sacrificare con l’avvento del nuovo anno; per questo motivo, in alcune località, vi è ancora l’usanza di bruciare dei fantocci vestiti con degli stracci come conclusione delle festività natalizie e come simbolo del “vecchio” che si può bruciare.
Secondo la tradizione se i bambini non si sono comportati bene troveranno nella calza il carbone, antico simbolo rituale dei falò. Condannata quindi dalla Chiesa, l’antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male.



Ed ecco che nasce l’antica leggenda cristiana risalente al XII secolo circa: la leggenda narra che in una freddissima notte d’inverno Baldassare, Gasparre e Melchiorre, nel lungo viaggio per arrivare a Betlemme da Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchietta che indicò loro il cammino.
I Re Magi, allora, invitarono la donna ad unirsi a loro, ma, nonostante le insistenze la vecchina rifiutò. Una volta che i Re Magi se ne furono andati, essa si pentì di non averli seguiti e allora preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli, ma senza successo. La vecchietta, quindi, iniziò a bussare ad ogni porta, regalando ad ogni bambino che incontrava dei dolcetti, nella speranza che uno di loro fosse proprio Gesù Bambino.
Da allora gira il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
Ultima curiosità: in Italia la casa della Befana si trova ufficialmente a Urbania, pittoresco borgo della provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, aperta tutto l’anno.
In questo paese dell’entroterra marchigiano, la “nonnina” che vola su una scopa viene celebrata ogni anno: la cittadina si trasforma in un vero e proprio paese dei balocchi per vivere la Festa della Befana.
Per le vie del centro vengono appese oltre 4 mila calze: i porticati vengono addobbati a festa e le luminarie risplendono in tutto il centro storico.



Durante il giorno dell’Epifania, ma anche in tutti gli altri giorni, la Befana accoglie i bambini che arrivano da ogni parte d’Italia, mostrando loro come si prepara il carbone, come si tesse al telaio, o raccontando storie di fantasia e legate al territorio in cui abita, ricco di tradizioni e cultura.
Vengono organizzati anche giochi tradizionali, concorsi a tema e animazioni di strada.
Qui di seguito il link all’evento:
http://www.festadellabefana.com/
In letteratura citiamo tra gli altri il racconto per bambini scritto da Gianni Rodari e pubblicato da Editori Riuniti nel 1964. Da questa storia è stato tratto un cartone animato a cura di Enzo D’Alò
Giovanni Pascoli scrisse una poesia intitolata La befana.
Preparatevi perché tutti lo sanno: la Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, con le toppe alla sottana, viva viva la Befana!
Buona Epifania a tutti!
La leggenda del Krampus
a cura di Lucia Pietropaolo
Ormai siamo vicinissimi al Natale, qui in Trentino da dove vi scrivo c’è un’atmosfera meravigliosa: la magia della neve, luci che illuminano anche i vicoli più stretti, qui il Natale è davvero sentito. Ma non c’è solo la luce di una festa che tutti attendiamo con ansia, c’è anche il buio di una tradizione secolare, di una leggenda che si esprime ancora oggi con delle sfilate e rappresentazioni in maschera: la leggenda del mostruoso e diabolico Krampus. Il termine Krampus deriva dal bavarese “krampn”, ossia putrefatto, morto, ed è riferito proprio a questa figura mostruosa, questo demone che si diverte a terrorizzare i bambini cattivi.
Pare che molti secoli fa, in tempi di carestia, dei ragazzi si fossero travestiti da demoni, indossando pelli di caprone e maschere terrificanti, per depredare i villaggi vicini. Ma tra questi ragazzi era presente anche il diavolo in persona, scoperto a causa dei suoi zoccoli e messo in fuga dal vescovo Nicola. Dopo la sconfitta il demone fu costretto a servire Nicola, che diventò un eroe per tutta la popolazione. È facile capire come Nicola fosse Nikolaus, poi diventato Santa Klaus.



Il Krampus accompagna Nicola durante la distribuzione dei regali, che spettano ai bimbi buoni. Ma se ci sono bambini cattivi il Krampus li porta via per sempre dalle loro famiglie.
Mi è capitato diverse volte di incrociare i Krampus la prima settimana di dicembre, le loro maschere sono “diabolicamente” belle, i costumi magnifici anche se ovviamente poco profumati derivando da pelli animali…Una piccola curiosità: i Krampus non devono mai togliere la maschera in pubblico. Qui in Val di Fassa ho assistito anche a sfilate di Krampus, musica heavy metal e vin brule a rendere ancora più magnetica l’atmosfera. Le sfilate sono ancora più suggestive in Alto Adige e i Krampus sono anche più cattivi, ricordo una polemica di diversi anni riguardo krampus che picchiavano la folla…in realtà ci sono figuranti che per mestiere fanno questo, amano farsi inseguire e picchiare!
Ho sempre amato questa leggenda, questa figura mostruosa che poi tanto mostruosa non è: il Krampus è il male che si manifesta esponendosi e che alla fine viene dominato, un richiamo all’eterna lotta tra bene e male.
Di seguito qualche suggerimento di lettura (da brividi, attenzione!) e un film (sempre in stile horror) per chi volesse sapere di più su questa leggenda.
LIBRO: “Krampus” di Davide Stockovaz QUI
FILM: “Krampus, Natale non è sempre Natale” del 2015 QUI
Buon Natale a tutti!
PERCORSI DA FAVOLA PER SCOPRIRE LA TRADIZIONE DEL KRAMPUS
a cura di Annalisa Sinopoli
È proprio vero che a volte il Natale regala magia. Quest’anno mi ha offerto la possibilità di provare un’esperienza del tutto nuova e molto suggestiva: camminare nella neve su un sentiero in mezzo al bosco di sera. L’Advent Pur è un’iniziativa promossa dal comune di Valbruna, in provincia di Udine, che offre a tutti la possibilità di assaporare la montagna in questo modo così particolare.
E così armata di lanterna, un considerevole strato di vestiti caldi e molta curiosità ho intrapreso questa passeggiata dell’Avvento. Inutile dire che la montagna innevata ha già un suo fascino particolare, aggiungiamoci l’imbrunire che cambia volto al paesaggio, una luna piena e luminosa in un cielo disseminato di stelle come solo in montagna può essere e il fascino si moltiplica.



Il sentiero di circa 2,5 km senza dislivello, fruibile da famiglie e bambini è arricchito da una serie di sculture in legno raffiguranti le leggende di questo piccolo paese, culla però di antiche tradizioni e incontro di culture.
Come non citare la leggenda delle streghe con fattezze di rana, scacciata dai bambini a suon di coperchi e mestoli, o l’usanza di sbattere sulle gambe rami di abete per scacciare le sventure e dare il benvenuto al nuovo anno o ancora quella più famosa dei Krampus che accompagnano San Nicolò nella distribuzione di doni nella notte del 5 dicembre.
Durante il percorso rischiarato dalle lanterne e percorribile a piedi così come a bordo di una slitta trainata da cavalli, è possibile così conoscere le tradizioni del solstizio d’inverno, ammirare animali da fattoria e presepi in legno. A guarnire questo già ghiotto scenario c’è anche la musica, un sottofondo immancabile a Natale con strumenti di altri tempi come il corno alpino (Alpenhorm) o l’organo da tavolo. In alcuni vecchi stavoli è possibile ripararsi dalle rigide temperature bevendo the caldo e scaldandosi attorno al fuoco, e per i più piccoli c’è persino un piccolo “ufficio postale” dal quale è possibile spedire la propria letterina a Babbo Natale.
La cosa che mi ha colpito è stato il coinvolgimento e l’impegno di tutta la comunità dietro a questo bellissimo progetto. Un desiderio di trasmettere le vecchie tradizioni del posto alle nuove generazioni coinvolgendole concretamente e attivamente in un’iniziativa che fa tornare allo stupore dell’infanzia.
Quello che riemerge davanti ad uno spettacolo così affascinante come può esserlo sentire gli scarponi scricchiolare sul terreno, osservare il luccichio dei cristalli di neve come fosse un mare di cristallo bianco rischiarati solo da una fioca lanterna e dalla luna, attorniati dal silenzio del bosco e avvolti dall’atmosfera natalizia. Un’esperienza che consiglio a tutti per ritrovare la magia perduta del Natale di quando eravamo bambini e la meraviglia che sempre suscita la bellezza della natura.
Per leggere con i bambini questa leggenda vi suggerisco un libro che leggo ogni anno ai miei alunni:


Nella cultura popolare c’è una verità che permane immutata nel tempo, radicandosi nelle più profonde pieghe dell’animo umano. Si dice che questa ultima generazione di bambini sia nata per immersione nella cultura mediatica; ma l’infanzia quella vera quella fatta da bambini che vanno a scuola, che giocano, che crescono, che sognano è ancora un mondo a parte. A noi adulti l’onere di tramandare la nostra storia e le nostre tradizioni; ai bambini il compito di gestirla e mantenerla nel tempo.
Il Tarvisiano, luogo ricco di fascino e di segreti richiami, di figure mitiche che giungono nella notte dei tempi come esseri magici. Quando inizia l’inverno e l’aria si fa frizzante, la neve ricopre ombre e silenzi e i suoi cristalli brillano al chiaro di luna, un solo rumore riecheggia nel bosco: sì sono proprio loro, i Krampus che ogni anno riappaiono dalla foresta e come per magia le nostre paure ritornano.
Questo libro è un regalo per tutti i bambini grandi e piccoli che ancora oggi sentendo il tenebroso suono dei campanacci rivivono arcaiche emozioni che conserveranno per sempre nel ricordo del loro “mondo bambino”.
Auguri di Buon Natale a tutti, grandi e piccini!
Le origini della festa di Halloween
a cura di Lucia Pietropaolo
Halloween, una delle mie feste preferite in assoluto.
Le zucche intagliate, la leggenda di Jack O’ Lantern, il velo che divide i due mondi.
Ma Halloween è solamente una festa commerciale importata dall’America, qualcosa di diabolico oppure ha forse origini molto più antiche?
Da appassionata di esoterismo ho cercato di reperire quante più informazioni possibili, per cui vi chiedo quindi di aprire la vostra mente ad antiche nozioni e tradizioni di mondi ormai perduti.
Il termine Halloween dovrebbe derivare da ” All hallows eve”, termine anglosassone per definire la vigilia di Ognissanti.
Scavando ancora più a ritroso scopriamo che il vero nome di questa festività è Samhain, che significa “fine dell’estate”: il 31 Ottobre era per i Celti la data di fine del lavoro nei campi.
Possiamo quindi dire che il Capodanno per loro non era il 1 Gennaio ma il 1 Novembre, poichè si passava dalla fine della stagione calda a quella invernale: la notte tra il 31 Ottobre e il 1 Novembre rappresentava per questa popolazione un momento importante di transizione, un evento da festeggiare.
“Samonios” era un periodo sospeso a cavallo tra l’estate ed il freddo dell’inverno, una sorta di limbo, un giorno particolare in cui il “Velo” che divide il mondo terreno da quello degli spiriti si fa molto più sottile ed è più semplice ricevere messaggi dai nostri cari defunti.
L’avvento del cristianesimo nei secoli successivi non ha del tutto cancellato queste tradizioni pagane, anzi si è sovrapposto a queste conferendogli un significato diverso dall’originale. Possiamo dire che è erronea e fuorviante la tesi che Halloween sia una festa satanica di origine americana, anche se è sicuramente vero che oggi Halloween/Samhain è una festa molto commerciale e forse priva del suo vero e primordiale significato, ovvero quello di celebrare la fine ed attendere un nuovo inizio.
Un’altra piccola curiosità: la zucca che amiamo tanto intagliare ed esporre fuori dai balconi per Halloween all’inizio era…..una rapa!

Sapete chi era Jack-o-Lantern? un ubriacone al quale il diavolo tentò di strappare l’anima proprio il giorno di Halloween. Tramite alcuni stratagemmi, Jack riuscì ad intrappolare il diavolo proteggendosi con delle croci disegnate su un portafogli e poi sul tronco di un albero: dietro promessa di essere lasciato in pace Jack liberò il demonio. Anni dopo Jack morì, ma non lo vollero in Paradiso perché era un peccatore, e non lo volle nemmeno il diavolo che era tenuto a rispettare il patto. Forse mosso a pietà, il demonio offrì a Jack un tizzone per illuminare il suo viaggio di anima vagabonda, e il povero spirito mise il tizzone all’interno di una rapa bucherellata per ripararlo dal vento.
Da allora Jack vaga sulla terra.
La rapa divenne una zucca solo successivamente, quando gli immigrati irlandesi andarono a cercare lavoro in America ma, non avendo a disposizione il loro tubero, decisero di utilizzare le zucche di cui il paese era tanto ricco: le tradizioni irlandesi si diffusero velocemente negli Stati Uniti, e dagli Stati Uniti di nuovo verso l’Europa dei giorni nostri.
Vorrei quindi rasserenare chi pensa che in questo giorno “Satana vada in giro a raccattare anime” ( vi giuro che mi hanno detto questo): Halloween può essere un giorno davvero speciale, un giorno in cui sentire più vicini i nostri cari defunti.
E’ ancora in uso la tradizione di lasciare un’offerta per gli spiriti e di mettere a tavola un piatto in più per loro, in questo giorno dove hanno il permesso di tornare sulla Terra per farci visita.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire su questo giorno, ho voluto solo lasciarvi alcuni cenni storici e piccole curiosità sperando di aver stuzzicato il vostro interesse.
Per le mie ricerche ho letto un libro davvero interessante, ovvero “Le vere origini di Halloween” oltre ad un articolo molto interessante di Aradia Morningstar – Stregoneria e Tarocchi ( curiosate sulla loro pagina Facebook).
Per i più piccini, ma anche per gli adulti, suggerisco un film di animazione dolcissimo: “Coco”, Disney Pixar del 2017.
Non mi resta che augurarvi Happy Halloween!
– 31 Ottobre 2021 –