LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

Titolo: La piccola Parigi
Autore: Massimiliano Alberti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 novembre 2020
Editore: Infinito Edizioni

TRAMA


Un omaggio a una delle tante perle che, nel corso della storia, la regina della Senna ha “nascosto” nei sobborghi di molte metropoli europee. Vicoli stretti, costruzioni basse e rustiche. Proprio come a Montmartre, nel grembo della bella e unica Trieste tante piccole case sorgono accatastate una vicina all’altra, in un’area che ricorda lo spirito Bohémien ma senza le notti del Moulin Rouge o de Le Chat Noir. Niente Cancan. Storie di sola gente e di gente sola, in questo luogo. Talvolta di andate e di ritorni. Di calzini appesi accanto al fuoco e di corti umide. Storia d’amore e d’amicizia. Di Lorenzo e di Marie Jeanne. Del matto Willy Boy e dei suoi “pen pen” urlati al cielo. Di Tullio e di Christian. Di gatto Benny e gatta Maria. Della Dea Incantatrice e Assassina: la Brown Sugar. Storia di mamma Rosalia. Di una carta da gioco appiccicata su di un muro in una viuzza nascosta. E di un rione ormai dimenticato fra nuovi e sovrastanti palazzi. Benvenuti nella Piccola Parigi. “Non state sognando, esiste realmente…!”. (Brigitte Bardot) Parte dei diritti d’autore derivanti dalla vendita di questo libro sono devoluti in beneficienza a “Il Gattile” di Trieste.

RECENSIONE


Sono nato e cresciuto in quella città all’estremo nord- est dello Stivale, dove per più di cinque secoli sventolò la bandiera degli Asburgo e, per ben tre volte, il tricolore francese. E fu proprio nella terza e ultima occupazione della Grande Armée che vennero edificate delle piccole case accatastate spalla contro spalla. Una ristretta lingua di terra che da valle risale una collina.


Trieste, una città variegata e vivace, come tutte le città di mare, crocevia di culture che si mescolano da secoli (non sempre pacificamente) e che proprio in virtù di questa peculiarità nasconde al suo interno tesori insospettabili come “La piccola Parigi”.

Perché intitolare il libro proprio a questa particolare zona di Trieste lo racconta Massimiliano Alberti in questo suo secondo lavoro e lo fa con maestria.

Questo è il caso in cui l’ambientazione è molto di più che un semplice luogo, non è solo uno spazio fisico in cui far scorrere la storia, ma è la storia stessa.

Perché i luoghi a volte non sono solo posti, ma sono radici da cui dipende il futuro sviluppo della pianta da cui traggono nutrimento.

Così come dice l’autore non si possono scegliere le famiglie da cui nascere, gli amici dell’infanzia e in questa ottica nemmeno il luogo in cui venire al mondo.


E non basta sfuggire ai pregiudizi della propria città o dell’intera provincia o persino del Paese, ma è inevitabile confrontarsi anche– anzi, innanzitutto– con quelli del quartiere in cui si è nati, di cui in qualche modo si è figli.


Volenti o nolenti siamo figli della nostra realtà e questo romanzo lo racconta con una leggerezza capace però di andare in profondità, con un’ironia elegante e con una prosa originale, semplice ma non banale capace di rievocare il periodo legato alla giovinezza di chiunque sia stato bambino negli anni 80.


Così, giusto per assaporare l’odore di corti e viuzze umide, tolgo il velo da un quadro ben diverso dalla romantica definizione di vecchio borgo: gradini scoscesi, malte decadenti, un albero secolare graziato dal Comune e biancheria intima appesa su spaghi sfilacciati trainati da carrucole cinguettanti.


Sembra proprio di vederlo questo scorcio di una città ricca di storia come Trieste, di cui ammetto con un po’ di vergogna, non conoscevo l’esistenza pur abitando a pochi chilometri da essa.

Un quadro che non ha nulla di poetico ma che suscita comunque un’emozione dinanzi all’ immagine di un quartiere povero, come ce ne sono in ogni città, teatro di scorribande tra ragazzi prima e della salita intrapresa per diventare adulti dopo.

All’interno di questo dipinto si dipanano infatti vicende capaci di portare in superficie sensazioni che dimorano nei corridoi della memoria, quella che riporta all’infanzia e all’adolescenza, ricordi frammentati di una stagione che non c’è più ma che se proviamo ad unire come puntini, creano un’ immaginaria porta, quella che una volta varcata consacra il difficile ingresso nell’età adulta.

Sono Lorenzo, Tullio e Christian ad accompagnarci a conoscere la piccola Parigi, un quartiere della città sul mare costituito da casette colorate risalenti alla dominazione francese e che per questo riportano struttura e caratteristiche dell’architettura parigina, che sarà il teatro del consolidarsi delle prime amicizie importanti, dei primi tormenti amorosi, della nascita dei sogni e l’incontro con i fallimenti, la presa di consapevolezza di sé attraverso i propri successi, ma soprattutto attraverso gli insuccessi.

Un borgo antico in cui case ed esistenze stanno in piedi in modo precario, oppure la cui facciata curata e abbellita cela in realtà al proprio interno stanze povere di amore, arredate da sporcizia e solitudine.

Ma in cui dimorano anche affetti e sogni da realizzare, alleanze e progetti futuri.

Questo libro è un piccolo mondo da scoprire, dove l’esistenza umana con tutte le sue contraddizioni e complessità viene raccontata con toni poetici, dal sapore nostalgico, ma aderenti alla realtà, in cui un oggetto riparato, una carta da gioco, le mura di un vecchio manicomio e una coperta sporca raccontano delle esistenze dei protagonisti e nello stesso tempo anche di noi, anche più delle parole.

Credo che tutti possediamo degli oggetti che per noi hanno  un significato speciale , evocativi di un ricordo, di un affetto, di un periodo.

Così accade anche nel libro, dove così come per i protagonisti determinati oggetti assumono un significato molto più importante del loro mero utilizzo, così restano impressi nella memoria del lettore che riesce a sentire come questi siano testimoni di momenti importanti, simbolo di un passaggio, un cambiamento, un’ evoluzione o una presa di coscienza e l’autore riesce così a darvi un’anima.

Se gli oggetti costituiscono una sorta di traccia, un sassolino lasciato lungo il cammino della vita dei personaggi c’è però anche un altro elemento che si interseca con le vicende narrate, legate tra loro da un filo rosso : l’amore per i gatti.

Gli amici felini sono i coprotagonisti di questo libro, creature solitarie ma capaci di amare, indipendenti a volte approfittatrici, con grande capacità di adattamento e sovente un sano menefreghismo, il cui affetto va conquistato e meritato.

Un elemento che ad un attento osservatore si evince già dalla copertina, bellissima: mi ha colpito istantaneamente capace di instillare curiosità e un po’ del fascino della Parigi degli artisti.

Una nota di merito rivolto all’autore è quello di aver dato anche una piccola voce al tema delle malattie mentali, una realtà spesso trascurata di cui nel mio territorio si possono ancora toccare i resti, come quelli del vecchio manicomio citato nel libro e di cui Trieste simboleggia la rivoluzione.

È vero che non tutto si può aggiustare?

Lascio ai lettori la risposta che deciderà di darsi al termine della lettura, che per me è la migliore di questo inizio anno.

Un libro che racconta il faticoso e complicato processo che si chiama crescere:  Lorenzo è il ritratto perfetto di come ancor più delle vittorie siano in realtà le difficoltà che incontriamo e le cadute che facciamo a essere determinanti nella nostra formazione.

Un insegnamento che prima o poi la vita dà ad ognuno di noi.


Così, oltre ai convenzionali saluti, aggiunsi in fondo un sincero ti voglio bene. Dopotutto, pensai, era dalle sconfitte che avevo imparato a vivere.


IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

Titolo: Il sapore delle parole inaspettate
Autore: Giulia Zorat
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 14 maggio 2020
Editore: IoScrittore

TRAMA


Mordere un sogno, strappare un sorriso, asciugare una lacrima. Cinque anime, cinque esistenze si perdono e si ritrovano dietro la porta di una minuscola patisserie ai margini di Parigi; Jacques e Josephine, capaci di impastare le loro vite con sapiente delicatezza, necessari l’una all’altro come ingredienti di un dolce mai finito. Irene, il cui sguardo racconta la capacità di equilibrare sbagli antichi e nuove possibilità; Enea il suo piccolo tesoro, dieci anni di poesia leggera, diretta e invincibile come l’infanzia. Infine François, che trova il coraggio di scrollarsi di dosso il gelo che gli opprime l’esistenza e abbracciare l’amore, come si fa in una notte di festa, d’inverno. Intorno a tutto Parigi, che sa essere scura e accogliente, come un mot du chocolat, un dolce al cui interno si trovano esattamente le parole che avevamo bisogno di sentire

RECENSIONE


Che le parole abbiano un peso ed un’ importanza a seconda di come vengono utilizzate è un fatto assodato, ma se c’è un aspetto che forse è ancora più rilevante è il potere che possono avere soprattutto a seconda del momento in cui giungono a noi.

Nessun sapore, nemmeno quello della pietanza più buona può eguagliare quello di parole che giungono nel momento perfetto, e cioè quando non te le aspetti ma sono esattamente quelle che ti servivano in quel preciso momento, l’unico giusto per assaporarle.

Una telefonata per dire a qualcuno che gli vogliamo bene, un messaggio di un amico che vuole farti un saluto nonostante gli impegni, un buongiorno da uno sconosciuto che incroci sulla strada e la giornata può svoltare, l’umore può cambiare, alcune domande possono trovare risposta, un pensiero o un’idea, una nuova consapevolezza prendono forma nella mente ma anche nel cuore.

Sono questi infatti i luoghi in cui le parole attecchiscono, in entrambi i sensi sia chiaro, per fare del bene e però anche per fare del male, diventando veicolo di emozioni la cui intensità è ancora maggiore se giungono inattese.

Una cosa che fanno anche i libri se ci pensate, quando in mezzo a tante troviamo quelle perfette per lo stato d’animo del momento, quelle che parlano di noi, quelle che rispondono alle nostre domande in sospeso.

Giulia Zorat ne fa un uso ammirevole, per stile, profondità, dolcezza e verità.

Raccontando attraverso cinque personaggi diversi la nascita, la vita e la morte.

Tre fasi della vita di tutti, come tre sono le parti in cui è suddiviso il romanzo, e tre come le componenti del titolo della rubrica di un giornale parigino da cui tutto avrà origine e termine.

È stata una lettura sorprendentemente ricca di riflessioni, soprattutto in relazione alla solitudine che secondo me è il fulcro dell’intera vicenda ma che viene espressa e raccontata in modo diverso.

Avete mai pensato a quanti modi ci sono per sentirsi soli?

Molti e differenti come siamo noi e le nostre vite e forse per questo “Il sapore delle parole inaspettate” mi ha attirata, inconsapevole forziere di pensieri sulle sensazioni che ci accompagnano durante quei momenti dell’esistenza in cui la solitudine ci rende immobili.

A modo loro tutti i personaggi del libro si trovano in una condizione di immobilismo, in un guscio in cui sono protetti ma incompleti, smarriti.

Jacques che non ricorda più come si fa a esistere da soli, Irene che si è fermata ai suoi vent’anni e non conosce il gusto di vivere veramente, Enea che soffre per un’assenza importante, Francois un quarantenne in crisi esistenziale.

Quest’ultimo potrebbe infastidire per l’apatia che dimostra, quasi esistesse e basta anziché vivere, insoddisfatto all’ennesima potenza, consumato dalle domande a cui non sa dare risposte, colmo di rimpianti ma incapace di spostarsi dal rimuginare su di essi.

E invece ha suscitato in me un’immediata e spontanea empatia confermandosi il mio personaggio preferito, perché si sveste di fronte al lettore mettendo a nudo fragilità e incapacità che tutti abbiamo e che pochi sono disposti ad ammettere persino con sé stessi.

Attraverso le elucubrazioni mentali di Francois Giulia Zorat ci permette di osservare dal di fuori quei rimpianti, quelle occasioni mancate e quel senso di fallimento che prima o poi tutti proviamo almeno una volta nella vita e riconoscerli perché provati su di sé.


Ho imparato che bisogna sapere ascoltare gli altri e arrendersi al fatto che qualche volta bisogna lasciarsi guidare da chi è più esperto, perché la cosa più importante che ho imparato è che non si viene al mondo per stare da soli con se stessi.


Sullo sfondo di una città che può accentuare questa condizione se non si è capaci di trovare un appiglio, un luogo che sia un rifugio.

Parigi è così come la descrive l’autrice:


È una città dove non sei mai da sola, eppure ti ci senti e allora diventa fondamentale avere un legame per sopravvivere qui, uno di quei legami primordiali che nascono in un posto lontano molto simile a quello da cui proviene la vita e ti accompagnano ovunque. Un legame intimo e imprescindibile, costruito sulla gestualità e sugli sguardi in una città in cui non servono parole, perché tutto intorno fa già troppo rumore.


Ed è in questa cacofonia di rumori, prodotti di vite, situazioni e persone che si sfiorano o che incrociano il loro cammino, che la piccola pasticceria di Irene diventa questo appiglio, questo luogo in cui dare per un po’ una spallata a quella sensazione di solitudine e inadeguatezza ma soprattutto dove inaspettatamente si trovano anche molte risposte attraverso parole di cioccolato.

Una pasticceria che non è solo un luogo ma uno spazio in cui anime diverse si incontrano, nato dall’amore tra Jacques e Josephine ma che poi diventa il salvagente di molti altri personaggi.

Ognuno dei quali rappresenta una stagione della vita con le fragilità e le pene che si porta dietro, ma sono fragilità di cui avere cura, preziose perché fanno di noi ciò che siamo e perché costituiscono spesso le parti belle del nostro essere.


Le cose belle sono fragili, è la regola. Non fai in tempo ad abituartici che svaniscono.


Giulia Zorat ci regala un libro che è un misto di dolcezza e amarezza, di sogni attesi e altri disillusi, di domande a cui ognuno di noi cerca una risposta diversa perché possa considerarsi corretta.

Proprio come le parole quelle dette, scritte, pensate quando meno ce lo aspettiamo ma che incredibilmente giungono proprio quando ne avevamo più bisogno.

Le stesse che in alcuni pomeriggi di aprile poco primaverili mi ha regalato questo libro, permettendomi di condividere le riflessioni di Francois, i timori di Irene, e vedere attraverso gli occhi del piccolo Enea.

E di cui inconsapevolmente avevo bisogno proprio in quel momento, sebbene non potessi saperlo prima di giungere all’ultima pagina letta.

Perché è proprio così che fanno le parole importanti, quelle capaci di aprire o chiudere porte, accendere un’ idea, regalare un’ emozione: arrivano inaspettate proprio quando non le stai cercando.


ODIAMI, BACIAMI, PERDIMI di Arianna Di Luna

ODIAMI, BACIAMI, PERDIMI di Arianna Di Luna

Titolo: Odiami, baciami, perdimi
Autore: Arianna Di Luna
Serie: trilogia
Genere: Contemporary Romance
Narrazione: POV alternato (Andrea e Viola)
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Aprile 2022
Editore: Sel Publishing

TRAMA


Luglio 2010.
Viola, diciassette anni, non sa cosa sia peggio: il fatto che sua madre abbia deciso di trasferirsi a Parigi, costringendola a lasciare la scuola e tutti i suoi amici, o il fatto che invece di portarla con sé l’abbia spedita a vivere da suo padre, che per lei è praticamente uno sconosciuto.
Tuttavia, la nuova vita non sarebbe neanche così male: il papà è un tipo a posto e fare nuove amicizie non è affatto difficile. Andrebbe tutto alla grande se non ci fosse lui.
Andrea.
Il ragazzo giusto da cui stare alla larga.
Freddo, sarcastico, strafottente. Bello come il demonio, vestito sempre di nero, riservato e misterioso fino all’ossessione, prova per lei un’antipatia feroce e sembra inspiegabilmente determinato a rovinarle la vita. Peccato che dopo un’estate trascorsa a incontrarsi e scontrarsi, e a sperare di non rivedersi mai più, Viola debba affrontarlo ancora una volta. E sarà difficile evitarlo, visto che è il suo nuovo compagno di banco.
E sarà ancora più difficile fingere di non essere attratta dal mistero che lo circonda.
Perché Andrea sembra sapere benissimo chi sia Viola.
È Viola a non sapere nulla di lui.
Cedere all’attrazione o forzare la mano e scoprire cosa nasconde?
In entrambi i casi, lei ha tutto da perdere e lui non ha niente da guadagnare.
Tranne forse il fatto che a forza di odiarsi, hanno iniziato a volersi.

RECENSIONE


Tre parole ricche di emozioni contrastanti che ben descrivono la travagliata storia d’amore di due ragazzi, Andrea e Viola, che ho rincontrato a distanza di anni dalla prima uscita con grande piacere in nuova versione rieditata.
Tre libri appassionanti che costituiscono una bellissima trilogia in cui Arianna Di Luna ha ripercorso i suoi esordi di giovane e già talentuosa autrice, quando si presentò al grande pubblico del romance grazie ad una storia tormentata e davvero coinvolgente.


Avrei cambiato scuola, vita, casa, tutto. Avrei ricominciato da capo insieme a papà.


Un salto nel vuoto con poche certezze quello che si trova a dover fare Viola, giovanissima protagonista di questa storia. Diciassette anni non sono molti per affrontare così tanti e drastici cambiamenti in un colpo solo: trasferirsi in una nuova realtà, passando da una grande capitale ad una piccola cittadina sul mare; lasciare gli amici di una vita e la madre, unico riferimento affettivo conosciuto. Ma la sfida più difficile è quella di costruire da zero il rapporto con un padre praticamente estraneo, con cui riallacciare ricordi e una confidenza mai avuta.

Questa storia si apre così, con il racconto di un profondo cambiamento, la metamorfosi di una giovane vita in procinto di sbocciare quasi a preannunciare il travolgente percorso di trasformazione che la vedrà protagonista, ma non da sola.


L’avevo visto in faccia una volta sola, al buio, di sfuggita, ma lo riconobbi lo stesso. Era immobile accanto al bancone, da solo. E mi fissava. Il mio stomaco fece una capriola. Non avevo sbagliato, era di una bellezza sfacciata, quasi dolorosa, e non ero l’unica a notarlo.


Un’ombra, una presenza quasi inquietante che pedina, segue, controlla, quasi fosse un fantasma. Eppure Andrea è reale, come lo è il suo odio per questa giovane sconosciuta, ignara di avere delle colpe, all’oscuro di essere nel mirino di qualcuno che è sprofondato nel risentimento, suo malgrado.

Si dice che il rancore sia come l’ossido, si estende e finisce per debilitare tutta la struttura, tutta l’identità, tutta la persona. E’ così che accade ad Andrea, che nella semioscurità di una dimensione personale fatta di un’avversione bruciante, inizia a perdere i contorni di sentimenti che ben presto lo spingeranno fuori controllo, verso una direzione quasi inaccettabile, verso un’attrazione quasi impossibile da definire.


Era caldo, solido, rassicurante. Aveva appena detto che non mi voleva, eppure mi stringeva come se avesse paura di perdermi da un momento all’altro. Sentii le sue labbra indugiare sui miei capelli, sentii che respirava forte.


Un destino perverso unirà due giovani vite, destinate a volersi nonostante l’odio, a cercarsi nonostante la distanza.
E cosa succede se l’odio più radicato diventa altro? L’odio è l’istintiva difesa che il nostro IO oppone al mondo esterno, per proteggersi da fonti di dispiacere, di potenziale dolore, un sentimento che si focalizza sul pensiero più che sulla persona.
Ed è infatti nel momento in cui Andrea vede Viola per come è, con le sue paure, le sue fragilità, la sua innata semplicità che la rende bella come non mai, che inizia in lui la trasformazione.

Fino quasi alla metà del primo libro conosciamo solo i pensieri di Viola, lasciando nel mistero le emozioni di Andrea. Una scelta narrativa che supporta bene il pathos che travolge il lettore in modo crescente pagina dopo pagina, fino a quando divamperà la loro sofferta storia d’amore.


Fuoco. Il nostro primo bacio fu fuoco puro. Una fiammata violentissima, un incendio che incenerisce tutto ciò che tocca. Mi strinse così forte da sollevarmi, premette la bocca sulla mia con una foga che mi lasciò senza fiato.


In un susseguirsi di allontanamenti e riavvicinamenti, Andrea e Viola si troveranno coinvolti in un sentimento dalla portata inimmaginabile, in cui complicatissimi intrecci familiari troppo difficili da sciogliere, come fossero un’inestricabile matassa pronta a fagocitare tutto e tutti, sconvolgeranno le loro vite.

Una trilogia dal ritmo narrativo serrato, soprattutto nel secondo capitolo dove tra fughe e prove di coraggio immenso, i due giovani protagonisti vivranno un amore straordinario, quasi invincibile, dove metteranno in gioco tutto, fino a rischiare la vita.

Un amore disperato, assoluto, capace di commuovere anche il più forte dei cuori, ricordando quanto spesso l’amore possa confinare con la follia e l’incoscienza, con la convinzione di essere invincibili.


La preoccupazione e la paura lo stavano logorando. E all’improvviso la verità mi piombò addosso, mi sconfisse. Non eravamo forti, non eravamo invincibili. Avevamo percorso migliaia di chilometri, sopportato il freddo, la pioggia, la tensione di essere in viaggio e di cercare sempre di essere invisibili. Pensavamo di farcela, perché eravamo insieme e tutto il resto non contava nulla, ma non era vero. Stavamo perdendo. Io stavo perdendo. E avrei fatto perdere anche lui.


Andrea e Viola dovranno affrontare un percorso di crescita difficilissimo, in cui ogni caduta, salita, muro da oltrepassare varrà la pena di essere affrontato, anche se arrivare alla fine non sarà affatto immediato, perché il tempo può guarire ma anche creare distanze.

Sette lunghi anni sono il tempo necessario a ridefinire le priorità, a superare i timori mentre si diventa adulti, per vivere la bellezza di un amore così totalizzante da incutere paura, da accettare inclusi gli errori e il dolore. Un amore così forte aver dato la forza di scalare montagne, ricoperto chilometri, per riportare due ragazzi, divenuti un uomo e una donna, al punto di partenza, tra le dune di una spiaggia sferzata dall’inverno, teatro dove tutto ha avuto inizio.


Nell’acqua gelida sentii che appoggiava la testa sulla mia nuca. Le sue labbra mi sfiorarono la pelle. «No. Non me ne vado, non ti lascio.» Qualcosa mi si incrinò dentro. La sua voce tremava, sembrava essere sul punto di spezzarsi. Smisi di lottare, mi arresi. Il mio corpo si ammorbidì. Lui sentì la mia resa, mi strinse più forte.


Grazie Arianna di averci fatto rivivere le tue origini con Andrea e Viola, due protagonisti indimenticabili che chiedevano solo di essere ricordati.