Solidità. È ciò che Alessandro Bramanti, trentaquattro anni, un bell’appartamento al centro di Roma, una Maserati fiammante, donne quanto basta, soldi da spendere e una posizione di socio in un prestigioso studio di architettura, persegue ogni giorno. Sicuro di sé, deciso, arrogante e molto competitivo non ha tempo per la leggerezza. Eppure tutto cambia quando, in una serata da dimenticare, Aurora Sándor entra nella sua vita ribaltando ogni certezza. Ventiduenne silenziosa e affascinante, una tenacia resiliente e una levità in grado di aprire orizzonti inaspettati, lei possiede il dono prezioso di saper volare. Il loro primo incontro è un disastro e tuttavia, complice il destino, le loro strade si incrociano ancora. E questa volta con esiti inattesi. Lui è rigido, impaziente e facile all’irritazione, lei è sognatrice, mite, eterea e la loro diversità sembra un ostacolo insormontabile. Poi un viaggio a Stoccolma costellato da incomprensioni ma anche da una strana complicità capace di superare le distanze. Nelle differenze si crea una magia e stare insieme diventa bello, un percorso romantico alla riscoperta di sé stessi, giorni impetuosi sulle spiagge selvagge della Maremma, il desiderio e la voglia di amarsi che sfondano gli argini della riservatezza. Ma un evento greve può minare la felicità precipitandoli in basso e cambiando tutto. E allora servono ali di carta per sollevarsi in aria e inseguire i tracciati tortuosi del vento. Entrambi lo sanno. L’hanno scoperto insieme. E questo, forse, basterà.
RECENSIONE
Ritorna Vera Demes a pochi mesi dalla sua ultima pubblicazione, avvenuta a Natale con Winter Melody. Un’autrice che sembra avere un processo creativo in continua fermentazione e che richiama alle parole del famoso pittore Picasso: “L’ispirazione esiste, ma ti deve trovare già all’opera”.
Lei pronta lo è sempre, per quanto scrivere un romanzo non è da tutti. Un percorso che spesso è catartico, e che richiede spirito di osservazione, tempo di sedimentare esperienza, elaborare emozioni e uno sguardo attento sulla realtà, per interpretarla a proprio modo e da cui allontanarsi per raccontare in parole quanto vissuto, percepito.
Ali di carta è una storia particolarmente sentita, che racchiude già nella scelta del titolo il significato profondo di quanto spesso sia necessario abbandonare i pesi che gravano su di noi, fardelli che ci impediscono di vedere con lucidità persone, situazioni e che ci rendono fragili.
La sua sicurezza poggiava su solide basi. Un’educazione rigida, regole inflessibili, poco spazio per i sentimentalismi e un mondo di valori incorrotti che lo aveva forgiato rendendolo forte. Raziocinio, buon senso, capacità di lettura della realtà, amore per l’arte e la cultura e un sano distacco dalla volgarità. Non avrebbe mai fallito. Non avrebbe potuto neppure volendo. Era fatto così.
A essere descritto così Alessandro, protagonista maschile di questo racconto: architetto di successo, uomo inflessibile e razionale, un vincente. Una vita costellata di progetti a medio e lungo termine, dove nulla è lasciato al caso, tutto è sotto controllo. Nessun legame che lo veda coinvolto in una relazione, né sentimentale né familiare di rilievo, se non con il socio e amico Tito. Un’esistenza solida fondata sulla solitudine dove niente e nessuno sembra fare la differenza.
«E ricordati sempre ciò che ti dicevo da bambina». La suora era rimasta sulla soglia, il cielo che si stava sciogliendo in un crepuscolo rosato e le campane di una chiesa che chiamavano a raccolta i fedeli per l’ultima funzione domenicale. «Tu sei aria. In un mondo greve». Aurora sorrise poi le lanciò un bacio sulla punta delle dita e corse via. Sperava che fosse così. Librarsi in alto. Sempre più leggera. Sganciandosi dalle zavorre della vita. Senza rimpianti.
Aurora, secondo il significato dei nomi “splendente, rosseggiante, luminosa”, che riporta anche a una divinità che nella mitologia romana si rinnovava ogni giorno all’alba e volava attraverso il cielo, annunciando l’arrivo della mattina. Questo è il nome scelto per la protagonista femminile, leggiadra come un colibrì, bella come una fata. Una giovane ragazza con un passato e un’infanzia intrisi di dolore, vissuto insieme al fratello Damiano, il quale ha con lei un rapporto conflittuale. Nonostante le profonde ferite che la vita le ha inferto, nonostante le delusioni e le cadute, Aurora mostra una grande dignità, un’integrità morale che le permette di rispettare i propri valori, quelli dell’amicizia, dell’affetto fraterno, e soprattutto il rispetto verso sé stessa. Fondamenta su cui basa la sua esistenza.
Alessandro, detto Alex, e Aurora, da tutti chiamata Rory il colibrì, si incontreranno per scontrarsi, dividersi, non comprendersi fino a che sarà il destino a ribaltare i ruoli, rimuovendo strati di pregiudizio, corazze costruite ad hoc per difendersi dal dolore e della paura di soffrire. La loro storia è costellata di cadute, perdite e divari profondi ma è anche permeata di luce, quella che permette di fendere le ombre e consentire al cuore di volare, librarsi in alto e soprattutto liberarsi dai fardelli che lo rendono pesante e ancorato a terra.
Ali di carta ricorda con forza le parole che nel 1985 proferì il grande Italo Calvino, ovvero «il planare sulle cose dall’alto, senza avere macigni sul cuore». Qui c’è tutto sull’essenzialità della leggerezza, sul suo profondo significato.
In un mondo dove spesso predomina l’Io, dove il Noi scompare del tutto, è grazie alla leggerezza che riusciamo ad avvicinarci all’altro, a sentirci comunità e tessere il filo dell’empatia e della solidarietà. Un sentimento che ci spinge fuori dal ghetto dell’indifferenza e ci porta nel campo libero del piacere di sentirci in qualche modo, non virtuale, connessi, da relazioni anche sottili, leggere appunto, ma non per questo meno importanti.
«Sul serio mi aiuterai?». «Mi piacciono i passerotti indifesi». Lei sorrise e, con una mano, gli sfiorò i riccioli passandogli accanto. Damiano la guardò uscire dal locale e gli parve di averla sempre conosciuta. La sentì vicina come nessuno. Un’empatia immediata, indelebile, priva di artifici. Più di sua sorella. Più della vita che avevano condiviso. Fu strano ma bello. E lo rese felice.
Ad amplificare questo messaggio anche la storia del fratello di Aurora, Damiano, grazie alla quale si propone con vigore il tema della diversità e delle discriminazioni. Il legame che instaura con Ginger, personaggio comprimario che emerge forte tra le pagine, mostra quanto «non avere macigni nel cuore» porti a vivere con pienezza la propria identità, senza paura, senza più nascondersi.
Ali di carta celebra quanto la leggerezza sia una naturale prevenzione contro il rancore, l’odio, una forma di espressione dell’intelligenza, che si oppone alla rigidità di chi è ottuso e fa fatica a cambiare idea e dubitare.
Come diceva il poeta francese Paul Valéry, «Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma»: osserviamo il volo di una rondine, il suo planare dall’alto che non ha nulla a che vedere con lo svolazzare di una piuma, priva di consistenza e solidità. E, nel caso degli uomini, di personalità.
Vera Demes con questo libro solleva il lettore e lo porta in alto, in quel mondo fantastico dove non esistono il tempo e le lacrime, ma soltanto la bellezza di un cuore leggero, libero pronto a nuove storie tutte da scoprire.
E se un giorno ti svegliassi e non ricordassi chi sei? Dall’autrice dei bestseller Dieci piccoli respiri e Quattro secondi per perderti Abbandonata nella campagna dell’Oregon, dove la credono morta, una giovane donna sfida ogni previsione e sopravvive, ma quando si sveglia non ha alcuna idea di chi sia, o di cosa le sia successo. La donna si dà il nome di Acqua, per un piccolo tatuaggio che scopre sul suo corpo, il solo indizio di un passato che non ricorda. Accolta da Ginny Fitzgerald, una signora irascibile ma gentile che vive in una fattoria, Acqua comincia lentamente a ricostruire la propria vita. Ma mentre cerca di rimetterne insieme i frammenti, altre domande si fanno strada nella sua mente: chi è il vicino di casa che in silenzio lavora sotto il cofano della sua Barracuda? Perché Ginny non gli fa mettere piede nella sua proprietà? E perché Acqua sente di conoscerlo? Jesse Welles non sa quanto tempo ci vorrà prima che la memoria di Acqua riaffiori. Per il suo bene, Jesse spera che non accada mai. Per questo cerca di tenersi alla larga da lei. Perché avvicinarsi troppo potrebbe far riemergere cose che è meglio lasciare sepolte. Ma si sa, l’acqua trova sempre una strada per tornare in superficie…
RECENSIONE
«Cosa è stato? Solo un brutto sogno? Oppure… era un ricordo»
L’importanza del ricordo ha un valore inestimabile. Si dice che si tratti del filo conduttore che lega il passato col presente, tessendo la tela di ciò che costruisce il futuro. Ricordare amplifica e offre la possibilità di dare valore stesso all’esperienza.
Questo romanzo, il primo che leggo di questa autrice, fonda le sue basi sulla ricostruzione di una giovane vita, quella della protagonista Jane, alias Alexandria, che in attesa di ritrovare la sua identità si farà chiamare Acqua. Una scelta dettata da un elemento che fluisce, si adatta, nasconde ma riesce anche a svelare ciò che ha sotto.
Anche io voglio essere come l’acqua. Voglio essere volitiva, andare dove sono destinata ad andare». Le sfioro la guancia con il naso. «Sei qui, giusto?». Trattiene il fiato e si stacca per voltarsi e guardarmi in faccia, l’eccitazione che le brilla negli occhi. «Adesso so quale tatuaggio voglio».
Un tatuaggio, frammenti di sensazioni che confondono e rassicurano insieme a tantissime domande troppo difficili da capire sono tutto quello che resta a questa giovane ragazza dal volto deturpato e un dolore pesante che si porta dentro ma di cui ignora ogni origine.
Tra queste pagine intrise di fatica emotiva e voglia di ricominciare a vivere, l’autrice è bravissima a disseminare cauti ma basilari indizi per aiutare gradualmente il lettore, sempre più coinvolto in un saliscendi di flashback e momenti presenti, da comporre come un mosaico fatto di migliaia di pezzi sparsi, a trovare il filo conduttore della storia.
Quando Acqua viene aiutata dalla dottoressa che le ha salvato la vita e dal marito sceriffo a uscire dall’ospedale non comprende esattamente le ragioni di cosa l’abbiano portata lì, ma la solitudine la attanaglia al punto da non avere scelta. La sua mente è una tela bianca, così vuota da accecarla. L’unico appiglio? L’istinto di sopravvivenza che reclama la sua seconda possibilità.
Osservo e mi chiedo che cosa renda le persone quelle che sono. È la somma dei comportamenti appresi e delle esperienze fatte? E se loro, com’è accaduto a me, non potessero ricordare quelle esperienze, farebbero comunque le cose nello stesso identico modo? O se ne discosterebbero? Quanto sono simile a quella che sono stata un tempo?
Acqua si trova così una nuova casa grazie a Ginny, l’anziana burbera vicina di casa della dottoressa e lo sceriffo, che decide di accoglierla tra le sue mura. Quello che nascerà tra loro sarà un lento e indissolubile legame fatto di silenzi, rispetto e senso di protezione.
A rendere questo romanzo ancora più avvincente è il percorso che Acqua compie, giorno dopo giorno, per ritrovare sé stessa. L’unico faro di cui può servirsi sono le sensazioni più fisiche, la familiarità dell’odore di un profumo, l’intensità di due occhi che non riesce a definire.
Sono catturata dal suo sguardo intenso. Mi invade la sensazione di qualcosa di familiare nel momento in cui fisso con attenzione gli occhi che assomigliano a quelli del padre–sormontati da spettacolari sopracciglia e così scuri che potrebbero passare per neri.
Chi è Jesse? Un semplice meccanico, qualcuno di cui aver paura oppure di cui fidarsi?
99 giorni è una storia che avvolge, cattura e convince. Il tempo che scorre avanti e indietro per creare la trama di un puzzle a tratti cupo e crudele, composto di ricordi terribili, pericolosi e pezzi di un passato che sembrano tornare a galla da un momento all’altro, così dirompenti da fare male, ferire nell’anima.
Due giovani vite, un passato oscuro, verità da ritrovare, un presente appeso ad un filo, sottilissimo.
Un romantic suspense da leggere tutto di un fiato, per riscoprire quanto in un mondo veloce come il nostro, a tratti isterico, dove tutto si consuma in un battito di ciglio, in uno scambio di chat, la memoria sia una parte da tutelare e proteggere.
Riappropriarci della capacità di ricordare serve a recuperare il valore del nostro tempo presente, e interiorizzare le esperienze che facciamo per lasciarne traccia in noi, imprimendo le nostre emozioni.
Pensavo di essere in un’estate che non sarebbe mai finita, m’illudevo di vivere la vita perfetta senza capire che ero la cicala che canta ma destinata a morire in inverno. Senza comprendere che in una stagione lunga e senza vita mi ero già immerso da solo quando ho sacrificato Enea per il mio alter ego Brando. Quando ho detto sì al mondo dell’Hardcore, quando ti ho sospinta a farne parte trascinandoti nella mia stessa miseria colorata d’oro, ma nera sotto alla patina. Quando ho detto no a ciò che volevi darmi e che avrebbe illuminato quel buio. Che ci avrebbe salvati entrambi. Ho creduto di essere un vincente, anche se avevo dovuto lasciarmi qualcosa indietro. Invece non sapevo niente, e il vero potere è il tuo, che mi rendi fragile con la tua fragilità.
Un’altra storia d’amore e di ombre, appassionata e intensa, dalla penna dell’autrice di Baby Don’t Cry e Crazy For You, che hanno venduto migliaia di copie. I protagonisti sono collegati all’opera Baciami prima di andare, ma per leggere questo romanzo non ne è necessaria la lettura.
RECENSIONE
Siamo tutti imperfetti e fallibili, e spesso dobbiamo cadere per comprendere l’errore e risollevarci. Credo nelle seconde occasioni, nel pentimento, nel perdono, e l’ho riversato in questa storia.
Che Paola Garbarino sia un’autrice di talento è noto, ma quanto sia intensa e particolarmente brava a interpretare in parole emozioni come la sofferenza e il tormento si conferma con questo libro, Come le cicale in inverno.
Una storia intrisa di tante sfumature, che vanno dal nero più carico del dolore vivo che graffia la pelle, fino al bianco più accecante della speranza di farcela, nonostante le ferite più profonde.
Leggere questa storia avvolge, coinvolge e permette al cuore di fermarsi e ricominciare a battere più forte, più volte. Un aritmia che scompensa l’anima e che mostra tutte le luci e ombre di chi ha attraversato il buio e cerca di ritrovare la luce che lo riporterà a casa, per connettersi nuovamente con sé stesso.
Non cadrò mai più in letargo come le cicale in inverno. Vivrò ogni momento, sempre. Perché la vita vale sempre, anche quando fa male, persino quando sembra che non ci sia speranza, quando la salvezza sembra impossibile.
Ad aprire la storia Enea, uno dei protagonisti del precedente romanzo di Paola Garbarino, Baciami prima di andare, pubblicato lo scorso giugno.
Un ragazzo a cui dedicare un libro a sé era doveroso perché già nel suo esordio Enea aveva colpito per la sua enigmatica oscurità, il suo fascino misterioso; un personaggio che meritava di essere raccontato e di cui grazie a queste nuove pagine conosciamo meglio il passato, con le cadute e le croci.
Un viaggio tortuoso costellato di condizionamenti familiari, conflitti interiori, prigioni sociali e voglia di libertà non solo fisica ma anche di personale espressione che lo mettono in cammino lontano da casa.
L’autrice è magistrale nel descriverne la sofferenza, i dubbi, le paure che lo attanagliano via via, e che lo conducono in un vortice impietoso di colpa ed errori, facendogli perdere la sua identità, rinunciando a sé stesso, fino a che Enea scompare per divenire Brando, lasciando indietro i panni di un’artista appassionato e svestirsi, in ogni modo possibile e immaginabile.
Un compromesso. Stavo per fare un compromesso con me stesso e la realtà. Era odioso, ma sentivo di non avere altra scelta.
Perdere sé stessi non vuol dire non avere nulla di buono nella propria vita, ma averlo e non riuscire a gioirne, perché non si sa cosa farne, come comportarsi.
Un’incapacità che Enea vive sulla sua pelle, lui tormentato e attanagliato da una morsa inficiante di sensi di colpa che lo scaraventano in un buco buio, oscuro, in cui corazzarsi di armi per proteggersi dalle emozioni diviene l’unica difesa a non sentire più il dolore che i ricordi gli infliggono, a non vedere chi appare nella sua vita come un forte anche se lieve raggio di sole.
Invece non sapevo niente, e il vero potere è il tuo, che mi rendi fragile con la tua fragilità.
Ginevra è una delle protagoniste femminili più sensibili, forti e determinate che abbia mai letto di questa talentuosa scrittrice. Una giovane ragazza tanto fragile e spezzata quanto appassionata e penetrante, dall’anima frantumata, che fugge da un passato desolante e da cui scappa a perdifiato senza sosta, fino a cadere in una pozzanghera fatta di melma e fango.
Capii che per far sopravvivere lei, avrei dovuto vivere con la maschera di Jenny. Da oggi sarei stata Jenny, e avrei fatto qualunque cosa per andarmene da questo posto, da questa bestia che mi usava.
Trasformarsi per sopravvivere, dimenticare la propria identità per andare avanti. Eppure, nonostante le ferite Ginevra respira e vede ancora, al di là dello spesso telo scuro in cui si è nascosta dal mondo, lei tanto sottile quanto forte, tanto indifesa quanto capace di non aver perso l’ascolto del suo cuore.
Gli occhi erano due schegge blu cobalto in cui brillava una luce che non riuscivo a cogliere, qualcosa che mi turbava, che non avevo mai visto in una ragazza finita in questo mondo, perché chi arrivava qui aveva problemi passati o presenti che avevano già smorzato o spento qualsiasi luce interiore.
È in lei che Enea intravede un calore perduto, ammaliante e seducente al punto da spaventarlo, fino a che tenerla a distanza diviene necessario, perché è Brando a predominare, a decidere. Non vi sono spazi di cessione di emozioni per chi è macchiato di colpa, per chi è incastrato in una prigione di sbagli.
Brando e Jenny, due anime tormentate e perdute che incrociano le loro strade per poi perdersi per ritrovare sé stessi. Un percorso di crescita interiore, soprattutto per Enea, che dovrà espiare colpe, redimersi nel profondo per prepararsi a un nuovo inizio.
Infatti è a lui che è dedicata l’immagine di copertina, che ritrae un ragazzo bendato, incapace di vedere, al buio.
Ritrovare la luce sarà un viaggio lungo, difficile, che metterà distanze e sospenderà il futuro, e che farà inizialmente in solitaria, per poi ritrovare il battito del cuore con Mina, bellissima protagonista del precedente romanzo che ritroviamo qui. Grazie a queste pagine comprendiamo meglio il loro legame, una connessione intima e particolarmente intensa che li aiuterà reciprocamente a comprendere meglio sé stessi, cedere ai il loro desideri ed essere finalmente pronti ad aprirsi agli altri.
Paola Garbarino offre ai suoi lettori una storia intensa, sofferta in cui il ritrovamento della fede nella vita, in sé stessi e nel futuro si intreccia a un itinerario in salita, non banale, fatto di pause, silenzi, che richiede tempo, ascolto. Una lettura ad alto tasso di emozioni che ricorda quanto valga sempre la pena viaggiare, muoversi, sperimentare, anche da soli, anche appesantiti da bagagli pesanti da portare:
Non cadrò mai più in letargo come le cicale in inverno. Vivrò ogni momento, sempre. Perché la vita vale sempre, anche quando fa male, persino quando sembra che non ci sia speranza, quando la salvezza sembra impossibile.
Quando le viene proposto di diventare la violoncellista dei Cult Of Essence, band indie folk in ascesa, capitanata dall’ambizioso frontman Eric Jordan, River Price sale su quel bus senza guardarsi indietro. In fondo, non ha nulla da perdere visto che ha già perso tutto, compresa una vaga affezione nei confronti della vita. River vive suonando per strada, le sue radici le ha recise da tempo e non ha il sogno di un futuro a cui affidarsi. Al contrario di Eric, che invece da quel futuro è tragicamente ossessionato. Un sogno che coltiva da dieci anni e che sarà il riscatto per la sua famiglia, che merita tutto ciò che lui sarà in grado di offrire con la fama e la ricchezza. E poi c’è la musica, su cui lui ha basato la sua intera esistenza, a costo di rinunciare a tutto il resto, amore compreso. Niente e nessuno dovrà frapporsi fra lui e quel futuro, nemmeno quella violoncellista prelevata dalla strada e che lo ha stregato dal primo istante. Ciò di cui Eric non tiene conto però è l’amore sconfinato che quella ragazzina a cui piace “danzare nell’oscurità” ha tutta l’intenzione di donargli, persino senza ricevere nulla in cambio.
RECENSIONE
You can’t start a fire You can’t start a fire without a spark This gun’s for hire Even if we’re just dancin’ in the dark
Quante volte abbiamo ballato sulle note di questo pezzo? Probabilmente moltissime, considerando che è stato pubblicato la prima volta quasi quarant’anni fa, nel 1984. Una canzone che ha fatto la storia della musica consacrando il suo autore, Bruce Springsteen, sull’Olimpo dei più grandi musicisti di sempre. La genesi del brano fu particolarmente complessa perché nel testo Bruce espresse il profondo senso di inadeguatezza e isolamento che nutriva verso lo show business, un’amarezza che ricorreva già dal precedente successo, The River: «Più che ricco o famoso o di successo, io volevo soprattutto diventare grande» come ha detto lui stesso. Il testo lo scrisse in una notte, esprimendo di getto tutta la frustrazione per l’imposizione della sua discografica di creare una hit. Già dalla prima strofa i suoi sentimenti divampavano cristallini: «Mi sveglio di notte e non ho niente da dire. Torno a casa la mattina, vado a dormire con la stessa sensazione. Sono solo stanco e annoiato da me stesso. Hey piccola potresti essermi d’aiuto?».
Un ritmo incalzante insieme a cui un testo disarmante che gridava voglia di autenticità in un mondo falso furono determinanti a raggiungere la vetta di tutte le maggiori classifiche di allora.
Una canzone bellissima e potente, proprio come questo libro, che ripercorre alcune tematiche che nel testo del famoso brano emergono vivide, trovando la loro massima espressione tra queste pagine appassionate: la voglia di successo, il prezzo da pagare per poterlo raggiungere, il complesso mondo dello show business con le sue insidie e patinate apparenze, la caduta nelle dipendenze per chi è troppo fragile e giovane per sopportare la pressione mediatica che ne consegue. Un effetto a catena disastroso e oggi ancora più devastante con l’avvento dei social, che spesso porta ad annullarsi, per far predominare il personaggio sull’essenza della persona.
Moloko Blaze, autrice eclettica e sperimentatrice, torna al suo pubblico con ciò che la rappresenta maggiormente, ovvero un genere di racconti profondamenti originali, in cui la chiave di lettura risiede spesso nelle complessità dell’animo umano, con l’insieme di ciò che lo rende fragile, sbagliato, controverso, spezzato e imbrigliato in tormentati conflitti interiori. Percorsi di crescita che non risparmiano nulla ai lettori ma soprattutto ai protagonisti, come avviene in queste pagine indimenticabili, intrise della passione bruciante che si scatena tra due giovani musicisti, Eric e River, uniti dalla musica ma divisi da molto altro: l’ambizione, l’insicurezza, il senso di inadeguatezza, la voglia di successo e la paura di soffrire.
«Non puoi accendere un fuoco passando il tempo a piangere sopra un cuore infranto, anche se stiamo solo danzando nell’oscurità.»
Così cantava The Boss, un inno a non farci sopraffare dal dolore o dalle emozioni negative e non permettere che queste ci controllino, proprio come accade a River, meravigliosa creatura, protagonista di questa storia.
A lei non importava ricevere affetto, ma non si faceva alcuno scrupolo a darne. River era sempre stata una di quelle ragazze un po’ ingenue nelle relazioni, poco strategiche. Ne era abbastanza consapevole, eppure non lo sentiva come un difetto, amava quella caratteristica di sé. Non aveva mai avuto paura di affezionarsi.
River è un’anima ferita, gravata da un passato che l’ha martoriata di sensi di colpa fino a farla (quasi) annullare. Vicende che l’hanno lesionata nel profondo, anestetizzandola alle emozioni e riempendola di vulnerabilità, accuratamente nascoste agli altri. Il suo candore emotivo disorienta e confonde fino a intenerire, rendendola un personaggio sfaccettato non convenzionale e per questo di intensa autenticità. Dotata di un talento musicale innato che ammalia, quando suona è capace di trasportare in un’altra dimensione non solo sé stessa, permettendo alla musica di divenire un rifugio personale dove fondersi e proteggersi così dal mondo, ma anche chi l’ascolta.
Un cuore che sanguina è un cuore che batte. Un respiro mozzato è la vita che esplode. L’unico modo di scoprire se esisti è farti male. Farti male è l’unica strada che ti fa stare bene. L’ombra è ciò che ti fa accorgere della luce. Tu sei l’unico modo per sapere chi sono io.
Il suo violoncello le offre ricordi struggenti ma anche attimi di preziosa serenità, la stessa che sembra aver perduto per sempre. Il suono è dolce e armonico, ma anche corposo, tipico di uno strumento tanto difficile quanto affascinante, soprattutto per chi ha l’animo sensibile, proprio come lei.
Ed è proprio attraverso la musica che River prova a rimettersi in strada, facendolo in ogni modo possibile, sia metaforicamente che letteralmente, accettando di salire sul tour bus di una giovane band composta da talentuosi musicisti indie-folk:
I Cult Of Essence erano tutti carini, ma Eric Jordan aveva qualcosa che lo poneva subito sotto un altro riflettore. Aveva carisma e lo riversava quasi tutto sul palco, ma ne conservava una piccola quantità per usarlo a suo piacimento nelle situazioni che lo richiedevano.
Determinato, magnetico, ambizioso, leader naturale non solo di un gruppo di musicisti ma anche di amici che riconoscono in lui il mentore di un progetto di vita, su cui scommettere ogni attimo della loro esistenza, ogni desiderio o sogno in cui condensare i loro singoli talenti e generare una particolare alchimia.
Eric concentra in sé ogni aspetto tipico di una rockstar: la sfrontata bellezza, l’indiscusso carisma, il fisico sexy, il perfetto magnetismo da frontman e una voce graffiante e oscura. Caratteristiche che se da una parte fanno impazzire migliaia di groupies (come negare l’evidenza, d’altronde), dall’altra gli promettono di avere sempre più successo, soprattutto grazie ad una mente lucida e determinata che gli evita di cadere nelle comuni spirali di auto-distruzione, di cui spesso sono vittime protagonisti di questo calibro.
Ci troviamo stavolta davanti a un uomo adulto (seppur appena trentenne), centrato e con uno spiccato senso di responsabilità non solo per sé stesso ma anche verso gli altri, come i suoi compagni e la sua adorata famiglia, composta dal padre e dalla sorellastra Dana.
Un protagonista schietto, puro, molto lontano dal poter essere definito stereotipato:
«Continui a non rispondere, Nashville.» Lei scrollò le spalle, come se il motivo non fosse importante. «Ecco…io…io credo di aver perso un po’ la bussola.» «Per cui hai deciso di perderti ancora di più salendo sul nostro tour bus» concluse lui, come se fosse anche un suo pensiero. River non poté fare altro che interpretare quel commento come un modo per dire che entrambi erano saliti su quel bus per perdersi ancora e ancora, non avendo idea di quale fosse la loro direzione. Ma dubitava che per lui fosse davvero così. Lui sapeva benissimo cosa voleva raggiungere e i tempi in cui lo avrebbe fatto.
Due protagonisti caratterizzati in modo così originale e accurato da essere veri, credibili. Eric col suo implacabile pragmatismo e la sua solida personalità; River con la sua candida sensibilità miscelata ad arte a una confondente onestà emotiva.
Tra loro nascerà un sodalizio artistico raro e prezioso, capace di distaccarli dalla realtà e farli toccare livelli di immersione emotiva che sfiora la perfezione. Non solo da un punto di vista musicale. Emozioni così forti e sconosciute da spaventare entrambi, fino a respingersi, cercarsi, nascondersi, volersi, perdersi e disperarsi fino a farsi inghiottire in un vortice di luce e buio, vita e morte, amore e odio.
La verità era che mi spaventava la sua luce tanto quanto la sua ombra.
Un viaggio on the road stupendo e avvincente, grazie al quale il significato stesso del viaggio si estende in molte direzioni: scoprire nuove realtà e umanità, oltrepassare la propria comfort zone, allargare la mente e soprattutto crescere e maturare per conoscere meglio sé stessi, affrontando angosce, manchevolezze e sensi di colpa, in un lungo e duro percorso a ostacoli.
Viaggiare è un modo di cambiare, una trasformazione che avviene attraverso la visione di nuovi luoghi e il contatto con persone diverse. Se da una parte Eric è in viaggio per affermarsi e migliorare la propria esistenza, per River è fuga, ricerca di libertà e pace.
Dancing in the dark racchiude in sé l’eterno fascino del viaggio, con le sue molteplici accezioni, capaci di rispecchiare la vita stessa. Vita e viaggio, effettivamente, sono forme di movimento e contengono il desiderio di cambiamento. Il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso, che ha una funzione formativa, come accade ai due protagonisti, che impareranno a entrare in contatto con loro stessi, e ad aprire finalmente il loro cuore all’altro. Un cammino tutto in salita, spesso sull’orlo del precipizio, in bilico, soprattutto per River:
L’acqua l’aveva sempre affascinata. L’acqua era in grado di ripulire, ma anche di distruggere. L’acqua poteva far nascere una vita ma poteva anche uccidere. L’acqua di un fiume era viva, dinamica, sempre in movimento, ma correva inesorabile verso l’oceano, annullandosi in esso. River si sentiva ben rappresentata dal suo nome, si sentiva esattamente come un fiume. Il lago era diverso, più stabile, meno impervio. Più solido. River lo associava all’immagine che aveva sempre avuto di Eric.
È proprio lei che dovrà percorrere la strada più lunga, come l’acqua più inquieta e tormentata che deve attraversare strettoie e superare pendii per raggiungere la quiete del lago. È lei che evolverà maggiormente, per lasciarsi alle spalle dolore, eccessi, ingenuità, ossessioni, insicurezze, che la intrappolano in dipendenze e relazioni tossiche cercate per annullarsi e non sentire niente. Un itinerario che la porterà ad attingere alle sue risorse interne, mostrando quanto questo “pulcino” abbia in realtà più coraggio e forza di volontà di quanto non ci si aspetti.
L’autrice alterna il racconto tra la terza e la prima persona. Una scelta originale che mette in prospettiva una parte della narrazione e, simultaneamente, consente al lettore di entrare nei pensieri del protagonista maschile (solitamente tenuti nel mistero grazie al POV solo femminile) in modo diretto . Stavolta avviene diversamente: è Eric a mostrare i suoi pensieri, mentre River è più distante. Uno scambio sofisticato e ritmato a dovere tra punti di vista differenti, che amplifica la natura dei due protagonisti: la schiettezza di lui e l’oscurità di lei.
L’aveva intitolata “Dark River”, e ora lei gli avrebbe dimostrato quanto oscuro fosse il fiume che lo avrebbe travolto. Cominciò a muoversi sinuosa come una sirena, lentamente ma accogliendolo fino in fondo, fino a farsi male. Fino a fare male. Voleva entrare in lui, così come lui era entrato in lei, nel suo ventre, nei suoi occhi, nel suo cuore. Si era piantato lì al centro del petto, come un seme. Ne era cresciuta una pianta che le aveva donato una nuova linfa vitale. Era così che si sentiva quando faceva l’amore con lui. L’atterriva e la galvanizzava contemporaneamente, due estremità che escludevano qualsiasi via di mezzo.
L’autrice, Moloko Blaze, conferma con questa uscita il suo profondo legame con la musica, di cui è una grande conoscitrice e che trasmette con amore incondizionato ai suoi lettori. Già in altre sue precedenti opere, come Playing Time, era chiaro quanto la musica fosse connessa all’atmosfera della storia, come a ricreare ogni volta il perfetto scenario per i suoi protagonisti.
È grazie alla musica che si creano incontri, intrecciano sguardi, generano emozioni in un scadenzato fluire di parole e sonorità magnifiche, quelle dei Cult of Essence, in cui Eric e River troveranno il loro palcoscenico, grazie anche a canzoni scritte in modo autentico e convincente, tanto da poter essere composte in musica.
River si lasciò sfuggire un sorriso amaro. Avevano un altro brano, parole e parole emergevano come piante su un campo seminato. Raccoglievano i suoi frutti, li rendevano presentabili, li lucidavano per la vendita. Davano al mondo qualcosa che all’inizio era sottoterra, al buio. Davano al mondo buona parte di loro stessi, consapevoli di aver costruito qualcosa in continua crescita, una creatura viva che di giorno in giorno regalava un ramo, un fiore. Un’idea. Insieme a Eric le veniva tutto facile, anche vivere.
Un aspetto importante è rappresentato dalla folta schiera di personaggi comprimari, molto interessanti e soprattutto ben assortiti: i membri della band, ognuno con le sue manie/debolezze/diversità; il manager Brian; la seducente e velenosa promoter Sandra; il pusher Rubens; l’antagonista Kenneth, leader della band rivale; i familiari dei protagonisti fino all’autista – bodyguard Phil.
Ognuno di loro è perfettamente delineato e collocato per funzionare a dovere come fosse un elemento di un’orchestra, che per rendere al meglio deve entrare in sintonia l’uno con l’altro. Un esercizio perfetto che crea le basi per offrire ai protagonisti il loro percorso individuale, e calibrare al meglio luci e ombre sul palco e dare ad ogni scena la perfetta atmosfera.
Ognuno ha un ruolo designato, nessuno esce o entra dalla scena in modo improprio, grazie all’esperta conduzione di una regista impeccabile, che non lascia nulla al caso.
Non mi sarei mai liberato del sogno di lei. Mi sarebbe rimasto incollato all’anima come una canzone, una lacrima invisibile che avrebbe solleticato il mio cuore per sempre. Un cuore che per molto tempo avevo creduto inutilizzabile.
Quanta voglia di vita si intesse in queste pagine, che richiamano con forza le parole del brano che le ha ispirate: per accendere un fuoco serve una scintilla.
Una lettura che travolge e convince facendo riflettere sull’importanza di avere una passione nella propria vita per qualcosa, qualsiasi cosa che possa accendere il fuoco della gioia e mantenere viva la speranza di farcela, nonostante tutto, pur muovendosi nel buio.
Si parla anche di “fame” e della necessità, a volte, di avere una “reazione d’amore”, adducendo al bisogno di connessione e intimità, non solo in ambito romantico, ma anche nel trovare qualcuno che ci capisca a un livello più profondo. Un viaggio in cui ritrovare se stessi, come accade tra Eric e River, che impareranno a uscire dall’oscurità insieme, dopo aver iniziato ad amarsi in silenzio, di nascosto, dietro una tenda, nel buio di una cuccetta sospesa sulla strada, tra promesse infrante e sogni da avverare.
Ho deciso di farmi trascinare dalla corrente.
Insieme a te.
Ho paura dell’acqua scura.
Ma è bello avere paura. Insieme a te.
Dancing in the dark, letteralmente “ballando col buio”, è una storia graffiante, a tratti cruda ma di una profondità emotiva che spiazza.
Una storia d’amore meravigliosa come una canzone indimenticabile, una di quelle che restano in testa e tatuano l’anima. Sensazioni forti come una corsa a perdifiato, verso il successo o per riconnettersi alla vita, su un bus che sfreccia sull’asfalto senza fermarsi, all’inseguimento di desideri da raggiungere, priorità da rivedere, cuori da salvare.
Tra cadute, risalite, rincorse e attese Moloko Blaze racconta la vita, scrivendo una delle sue storie più belle e intense.
Può una caramella diventare il metro di paragone per qualsiasi tipo di relazione si voglia instaurare… o evitare? Influencer, genio dell’informatica, bellissima e famosa, Cheryl è l’unica delle sette ragazze del Cosmo Palace a non aver incontrato l’amore. Perché non lo vuole. D’altronde, la vita le ha insegnato fin da subito che fidarsi di qualcuno equivale a mettere tutto a repentaglio, persino il proprio futuro. Quindi tanto vale gettarsi a capofitto nel lavoro. Nonostante gli haters. Nonostante gli stalker. Nonostante le minacce provenienti da un passato che vorrebbe cancellare, ma con il quale non può fare a meno di confrontarsi giorno per giorno. Tuttavia, quando la sua nuova applicazione per cuori solitari attira un serial killer, le sue amiche e i suoi collaboratori smettono di fare finta che tutto vada bene. E le affibbiano una guardia del corpo. Un uomo che tutti, nel palazzo, conoscono, ma di cui nessuno sa nulla. O quasi. Perché Cheryl in realtà lo segue e lo evita da tempo, attratta eppure spaventata. Dai suoi occhi che nascondono segreti tanto oscuri quanto dilanianti. Dal suo corpo, che sembra una mappa di promesse e giuramenti. Dal suo cuore, che lui si rifiuta di condividere. Come fa lei con le sue caramelle. Perché lui, Richard, è rotto dentro. E non sembra avere nessuna intenzione di lasciarle maneggiare i frammenti della propria anima ferita. Ma forse, se è vero che una caramella tira l’altra…
RECENSIONE
Ultimo capitolo di una serie amatissima e che conferma la bravura di Charlotte Lays a offrire storie mai uguali.
Lady Bonbon non è un semplice romance bensì la combinazione di più generi che rendono questa storia appassionante, portando il lettore su livelli diversi di emozioni. Da una parte la personalità della protagonista, Cheryl, che spicca fuori dalle pagine, del resto come accaduto alle altre sei amiche del condominio Cosmo Palace: caparbia, indipendente e orgogliosa, una donna affermata, stella dei social e assennata lavoratrice. Vive pensando alla sua carriera, ma nasconde dentro di sé fantasmi che la perseguitano rendendola fragile come un piano di cristallo:
Proprio qui, con i piedi sul cemento freddo, la luce asettica dei neon che illuminano le auto di lusso degli altri inquilini, mi chiedo se capirò mai cosa mi faccia stare davvero bene. Credo che prima dovrei smettere di farmi domande scomode che riaprono ferite mai chiuse e mi portano a curiosare nella vita della mia madre biologica.
Durante la lettura l’autrice è stata accurata a disseminare indizi e dettagli che delineano ad arte un passato che sembra aver incatenato questa ragazza, impedendole di provare o più che altro esprimere le sue emozioni più profonde, quasi come si trovasse rinchiusa in un gelo emotivo.
Un’adozione che sembra avere inferto ferite insanabili, un’adolescenza che pesa sull’età adulta come un macigno, nonostante la presenza amorevole di amiche presenti e soprattutto di due genitori a cui è impossibile imputare nulla che non sia affetto e devozione verso di lei. Che cosa la tormenta? Sarà proprio lei a raccontare al lettore i suoi pensieri, cosa la ossessiona, attraverso un flusso di ricordi che fanno emergere un senso di irrisolutezza invalidante. Ma questo è un lato molto intimo di Cheryl, un aspetto che tiene ben sotto traccia. Solo chi la conosce sa, come come le fidatissime amiche.
Il nostro bel portiere, alias Bentley. Nei miei sogni faccio spesso sesso sfrenato con lui, a dirla tutta. Bentley non è il suo vero nome e non è neppure un portiere, ma giuro che queste cose non le ho scoperte violando qualche sistema: erano ricerche autorizzate. Non so quanto lo sia io, invece, a fantasticare su di lui più spesso di quanto sia lecito per una donna della mia età che non ha mai avuto problemi a fare le proprie esperienze. Solo che Bentley… Lui non è solo alto, snello e straordinariamente educato. Quello lo sono anche i bravi ragazzi della porta accanto. Lui ha i lineamenti severi di chi è stato addestrato a salvare vite, ma è pronto a uccidere anche solo provandoci.
A scalfire i suoi sguardi riesce solo Richard Bentley, all’apparenza un uomo duro, severo, che si distingue per i suoi modi gentili e sicuri. È lui a far suscitare in Cheryl pensieri soverchianti in grado di ribollire il sangue, ma tenerlo a distanza sembra così facile e necessario, eppure ingiusto. Un personaggio, Richard, particolarmente centrato da questa abile penna; un uomo di ferro, a cui affidare la propria sicurezza sembra naturale; eppure, anche lui nasconde ferite nell’anima che lo hanno rotto definitivamente. Cheryl e Richard hanno una connessione profonda, quelle delle persone che non chiedendo aiuto cercano di mostrarsi corazzati e in grado di superare ogni problema, senza bisogno di nessuno.
«Comunque credo che tu sia la persona giusta per questo incarico dal momento che, per quanto sia assurdo, non sei il solo ad avere problemi relazionali tra i due.» «La cosa dovrebbe rincuorarmi?»
Sarà il destino a metterli l’uno di fronte all’altra, in un vortice di situazioni che portano la storia a intrecciarsi con forti tonalità suspense, fino a che sarà il giallo a predominare su tutto.
Si piega così da bere il mio respiro dalle labbra. «Non stai valutando i rischi, Lady Bonbon.» «Tu ne vali ognuno, Richard.»
Il rischio di lasciarsi andare ai sentimenti a volte ha un prezzo, altissimo, quello della fiducia, del perdono e la voglia di rinascere dalle ceneri staccandosi da un passato che va lasciato dove è. Solo così è possibile fare posto al presente e immaginarsi un futuro.
Una storia che non è solo romance, ed è questo che rende la lettura appassionante e avvincente. Tematiche forti e attuali come la gogna mediatica, il mondo sommerso e oscuro del dark web con il suo popolo di hackers fino agli haters, coloro che dietro lo schermo si divertono a offendere e riversare odio verso gli altri. Charlotte Lays chiude in bellezza questa serie, mostrando come scrivere romance sia un esercizio quanto mai intrigante che intrattiene, permette di evadere ma può essere in grado di far riflettere su cosa sia intorno a noi, e da cui magari tenersi alla larga.
Titolo: Cancella il giorno che mi hai incotrato e Puoi fidarti di me
Autore: Leisa Rayven
Serie: Star Crossed
Genere: Contemporary
Narrazione: POV alternato
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 2015
Editore: Fabbri editore
TRAMA
Cassandra e Ethan. Quando sono sul palco insieme, a nessuno sfugge l’attrazione e la potente alchimia che si sprigiona tra loro appena si sfiorano o si guardano negli occhi. Una passione che toglie il respiro, davanti alla quale è impossibile restare indifferenti. Tanto che all’Accademia d’Arte di New York vengono scelti come protagonisti per lo spettacolo di fine anno, Romeo e Giulietta, la storia d’amore più famosa di tutti i tempi. Però, una volta calato il sipario e smessi gli abiti di scena, il rapporto tra Ethan e Cassandra si rivela complicato e ingestibile. Anni dopo, scritturati di nuovo per interpretare una coppia di amanti, Cassandra e Ethan si ritrovano sul palco ad affrontare i demoni del loro passato e il fuoco di quella passione che, nonostante il tempo, non ha mai smesso di ardere. Ma può un amore così intenso e lacerante finire davvero? Se Romeo e Giulietta li ha fatti avvicinare, questa nuova pièce rischia di distruggerli una volta per tutte
RECENSIONE
Questa è la storia di un grande amore, uno di quelli che si potrebbe raccontare in un libro, e nel caso specifico l’autrice bestseller internazionale Leisa Rayven di volumi ne ha scritti ben due.
Due volumi che racchiudono un percorso di vita tortuoso, costellato di cadute e risalite, che per anni ha unito e separato due giovani ragazzi, troppo inesperti per gestire il sentimento travolgente che nasce tra loro, così potente da divenire spietato per entrambi.
Avverto il suo sguardo su di me ancora prima di vederlo. Resisto alla tentazione di cercarlo: se c’è una cosa che ho imparato è che con Ethan Holt devo tenere a bada l’istinto. Quando non l’ho fatto, tra noi è andato tutto a rotoli. Era l’istinto a dirmi che lui poteva darmi qualcosa, mentre invece non era affatto così.
Una delle particolarità che colpisce di questa dilogia è il lungo viaggio di crescita personale che coinvolge i due protagonisti. Nonostante la tipologia di coppia (lei timida e insicura e lui solitario e carismatico) non sia particolarmente originale ciò che avvince è il messaggio che traspare chiaro: ci sono anime gemelle destinate a non riuscire a stare insieme, perché l’amore non basta.
Quella che unisce fin da subito i Ethan e Cassie è una connessione profonda, un senso di riconoscimento che l’autrice spiega benissimo, facendo entrare nella scena chi legge ad una velocità spiazzante.
Restiamo immobili per qualche secondo; mentre ci guardiamo negli occhi, l’aria tra noi si solidifica, legandoci come parti di un unico corpo.
Ci muoviamo più in fretta, eppure ogni gesto è perfetto, preciso. È una complicata coreografia che non abbiamo mai provato, ma che in qualche modo i nostri muscoli ricordano. È una sensazione incredibile. Siamo in quello stato magico in cui a volte gli attori riescono a entrare, quando l’energia scorre liberamente e apre il cuore, la mente e il corpo.
Un esercizio sul palco in grado di creare in pochi attimi un’istante di magia. Ethan e Cassie sono attratti l’uno dall’altra, come pezzi di magnete che si ricongiungono insieme anche non volendo, nonostante la distanza e il dolore.
Eppure, al di là di un destino complice ma anche perverso, questa storia ricorda con intensità quanto talvolta l’amore non sia sufficiente per mantenere una relazione, nonostante che quell’anima che abbiamo incontrato sia il riflesso della nostra. Capita che ci siano complicazioni inconciliabili, oppure costi fisici ed emotivi troppo alti da poter sostenere. Ci sono amori impossibili che ci fanno vivere frammenti di tempo perfetti, fugaci e intensi, ma che, sin dal principio, hanno incisa la data di scadenza.
Shakespeare una volta ha scritto: “Mai è stato liscio il corso del vero amore”. Una citazione che sembra essere dedicata proprio a questa storia d’amore, ambientata nell’affascinante mondo del teatro, in cui i due protagonisti, Ethan e Cassie, sono troppo giovani per poter vivere e gestire un sentimento fin troppo grande per la loro maturità, destabilizzandoli entrambi:
«Perché sei così…» «Così come? Fastidiosa? Irritante?» «Bipolare.» Questa non me l’aspettavo. «Oh. Io… Eh?» Sospira e scuote la testa. «Ti ho vista prima mentre fingevi di essere come loro. Gli hai dato quello che volevano, ed è assurdo visto che sono degli schifosi leccaculo, finti come una banconota da tre dollari. Però con me sei irrequieta, permalosa e ingenua da non crederci. Cos’è, non ti piaccio abbastanza da recitare anche con me?»
Già dal primo incontro, Ethan osserva Cassie da lontano, studiandone le mosse da dietro le quinte. Lui abile osservatore, capace di intercettare le emozioni, che è abituate a trattenere dentro di sé. Vederla davvero sarà istintivo, naturale, come se avesse a disposizione una lente di ingrandimento capace di andare oltre la superficie, oltrepassando quel lato apparente che Cassie è abile a offrire di sé ogni volta che si sente inadeguata, lei attrice dal talento innato.
Sarà la passione per il teatro a farli conoscere, il talento a legarli e l’amore a dividerli fino a che la vita deciderà per loro, rimettendoli sulla stessa strada, seppur profondamente cambiati. Decidere quale sarà l’attimo in cui finalmente potersi capire e fidarsi sarà un’impresa quasi impossibile.
Tra vicende che legano il presente al passato, Leisa Rayven racconta la storia di un amore giovanile bellissimo e tormentato centellinando sfumature, svelando gradualmente verità nascoste, segreti troppo dolorosi da poter essere condivisi.
La verità è che a convincermi a cambiare davvero non è stato incontrarti, ma incontrarti e poi perderti.
Ethan e Cassie si cercano, si inseguono fino a ferirsi, si proteggono rinunciando a quello che li unisce, ribaltando i ruoli di chi scappa e chi resta, e il momento giusto per essere felici sembra non arrivare mai. Una rincorsa fatta di ostacoli, dubbi e incertezze, ovvero i passaggi centrali che segnano il processo di crescita che permette di cambiare ed elaborare i vuoti, le mancanze e i fallimenti che spesso rendono prigionieri.
Odiare Ethan è semplice. Mi aiuta a non pensare a quanto lo amo.
La loro crescita emotiva parla al cuore del lettore e convince, mostrando quanto a volte la vita ci mette davanti degli ostacoli che in realtà possono divenire trampolini a superare i muri più invalicabili. Battaglie che riusciamo a vincere nutrendo la nostra forza d’animo, elaborando il dolore di una perdita, sviluppando uno spirito di accettazione che ci consenta di metterci al centro della nostra esistenza. Solo così Ethan e Cassie riescono a non perdersi nel labirinto delle loro insicurezze, anche mediante la distanza fisica, perché voler stare bene con noi stessi dipende sempre e solo da noi. Siamo noi a decidere.
Una volta il legame tra noi era intermittente; ora invece è stabile, e Ethan è pronto a viverlo. Ho ancora paura, ma voglio viverlo anch’io. Desidero che lui sia il primo e l’ultimo uomo della mia vita.
Una dilogia che racchiude in sé la bellezza di un amore grande, quello che si incontra una sola volta nella vita.
Una giornata di pioggia da dimenticare. Sofia Dupré, trentatreenne italiana, un marito affascinante, una figlia dodicenne, un labrador di nome Bree, una grande casa nel New Jersey e una zavorra di progetti mai realizzati, scopre all’improvviso che la realtà è ben diversa da ciò che appare. Il suo matrimonio è una farsa. Una valanga che la travolge e la lascia stordita, confusa e senza direzione. È difficile reagire se per anni hai rinunciato a te stessa. Ed è ancora più difficile se sei lontana migliaia di chilometri da casa, senza riferimenti, senza affetti e senza certezze. Ma la forza della disperazione può portare a scelte inaspettate. Ed è così che Sofia si rimbocca le maniche per riprendersi la vita. Unica regola: stare alla larga dagli uomini. Però si sa, non sempre si ottiene ciò che si vuole. Una serie di eventi inaspettati la costringe a relazionarsi con Adam Bullock, affascinante trentaseienne, padre single, reporter d’assalto, misterioso, sensuale e pieno di sorprese. Tra obblighi genitoriali, insegnamenti zen e inaspettati abbracci, in una New York autunnale e molto romantica, Adam e Sofia si svelano l’un l’altra in una complicità che scalfisce le reciproche difese. Ma la minaccia è dietro l’angolo. E forse sarebbe stato meglio chiudere per sempre la porta del cuore. Lasciare andare ciò che può far male. Sofia deve decidere. E Adam diventa solo un ricordo. Ma forse è il ricordo più dolce che le sia rimasto. Qualcosa per cui lottare. Un arcobaleno bellissimo in un giorno di pioggia.
RECENSIONE
Arcobaleni Zen, di Vera Demes richiama già dal titolo ad una riflessione profonda su una combinazione originale di due parole che nascondono profonde accezioni: la bellezza di qualcosa creato dalla natura che arriva inatteso dopo un temporale; la parola Zen, parola giapponese che significa meditare e che ricorda un particolare stile di vita, che riduce la vita all’essenziale prediligendo quanto ci faccia stare bene.
Un connubio particolare che lascio al lettore la sorpresa di scoprirne il senso mentre offrire un pensiero su questa storia resta un mio gradevolissimo piacere. Vera Demes ritorna al suo pubblico e lo fa offrendo un romanzo non facile, duro, in parte angosciante, come lo sono certe situazioni che descrive e che non potrebbero essere diverse, visto che affronta una tematica tanto dura quanto purtroppo conosciuta: la violenza sulle donne all’interno di una coppia. Un argomento spesso protagonista di articoli di cronaca che riportano episodi al centro dei quali a subire violenza sono le donne che vivono in casa con marito e figli. Proprio quello che accade a Sofia, protagonista in molti sensi di questo romanzo intenso, che si trova a scoprire di avere accanto un uomo manipolatore, narcisista che col tempo l’ha isolata da tutti, dalla sua famiglia, dai suoi affetti, dai suoi sogni. Un piano purtroppo tipico di chi, come Gerard, crede di possedere una persona alla stregua di un oggetto di sua proprietà.
La loro relazione nasce sulle basi di un disegno quasi machiavellico: un giovane uomo ambizioso e di estrazione borghese che trova una giovane ragazza bellissima ma soprattutto dall’indole buona, remissiva e per cui controllabile, su cui poter esercitare potere. Una personalità perfetta per essere una moglie ideale, una madre accudente e una donna da prevaricare. Un progetto che delinea già dalla sua genesi lo schema di un predatore che annusa la preda, scegliendola fra altre fino a catturarla, senza che lei possa accorgersene.
Ed era vero. Si era scelta un uomo anni luce lontano da lei e da ciò che aveva sempre immaginato per sé. Aveva rinunciato alle proprie ambizioni scommettendo sulla famiglia. Ma l’amore era anche questo. Vivere seguendo il cuore, ribaltare le certezze mandando all’aria ogni progetto.
L’amore è anche questo? Inevitabile farsi questa domanda. Posta la questione così, la risposta è difficile perché se da una parte cambiare prospettiva per chi si ama può anche essere positivo, dall’altra snaturarsi fino a rinunciare ai propri desideri, alle attitudini che ci definiscono e che ci fanno stare bene è quanto mai innaturale, e soprattutto denota chi ci è vicino.
Chi ci chiede questo sacrificio? Chi probabilmente non ci ama per come siamo, chi non rispetta le nostre aspirazioni fino a pretendere di cambiarci e allontanarci dalla nostra essenza, adducendo magari che lo fa per il nostro bene, per amore. Un segnale che dall’esterno può essere evidente per gli altri, ma molto meno per chi è coinvolto, ritrovandosi vittima come Sofia e accorgersene fin troppo tardi.
D’improvviso si sentì sospesa, senza direzione, sganciata dal proprio corpo e capace di osservarsi con distacco, una donna elegante, il cappotto verde, gli stivali in pelle morbida, la borsetta di marca e l’aria persa, in piedi accanto a una costosa automobile, il vento freddo sul viso e la sensazione di non conoscersi più. Chi era quella donna? Chi era veramente?
È risaputo che la violenza in seno alla coppia compare in modo graduale, con il passare del tempo. Si stabilisce un modello relazionale di tipo tossico, proprio come avviene tra Gerard e Sofia, in cui lei tende a essere sottomessa a lui che invece tende a prevalere in modo coercitivo, a possedere. E non solo con lei. Gerard è un tipo aggressivo, rabbioso, prevaricatore con tutti, anche con chi lo ama davvero, nonostante le umiliazioni di essere una mera amante.
Come aveva fatto a essere così ingenua? Gerard non era un uomo tranquillo, non lo era mai stato.
Il percorso di Sofia, la scelta di fuggire diventa sempre più difficile soprattutto per l’esistenza nella vita di sua figlia, Amanda, amatissima ma anche molto viziata, con cui ha un rapporto piuttosto compromesso. Tra le varie ragioni, che non siano solo il momento critico dell’adolescenza, anche la distanza emotiva che la ragazzina, quasi inconsapevolmente, percepisce in famiglia. Infatti, l’assenza sia fisica che mentale di Gerard rispetto alla moglie e alla figlia, genera uno squilibrio nel nucleo che cresce progressivamente, addossando inesorabilmente maggiore responsabilità a Sofia, forse troppo fragile e confusa per poterne subire il peso. Forse troppo spogliata della sua sicurezza e dignità per poter aiutare altri, oltre sé stessa.
«Adesso voglio che mi parli di tutte le cose che ti sei persa». Adam si era allungato contro lo schienale della seggiola e la esaminava attento. «Le cose che mi sono persa?». Sofia arrossì di nuovo, affascinata dalla sua energia arrembante, un nucleo di bellezza che lo avvolgeva rendendolo vivo. Ed era bello. Sì. Stare con lui la rasserenava. E la emozionava. Anche se si sentiva una neofita senza esperienza, come se non fosse mai uscita con un uomo prima di allora.
Gentile, diretto, sempre alla ricerca della verità, nella vita come nella sua professione, calmo ma anche determinato, padre presente e fratello complice. Una figlia, Lily, avuta da una relazione chiusa improvvisamente con una donna che si è dimenticata di entrambi. Tosta e dalle idee molto chiare, Lily rispecchia al meglio quanto le è stato insegnato in famiglia, come l’indipendenza di pensiero, la meraviglia di essere diversi, il rispetto per gli altri. Proprio lei, detta cyborg a scuola per essere diversa dalle altre per il colore della pelle e quello degli occhi, azzurri come il cielo. Lei oggetto di cattiverie, tanto piccola quanto forte. Una piccola ragazzina grazie a cui la coetanea Amanda, arrabbiata e delusa, conoscerà il valore dell’amicizia. Il rapporto tra Lily e Amanda segue speculare quello tra i genitori, tanto diversi da essere destinati a dividere e condividere esperienze, a scoprirsi incredibilmente attratti l’uno dall’altra.
Adam rappresenta il primo raggio di sole che Sofia vede dopo moltissimo tempo. Un sole troppo a lungo dimenticato e che riesce quasi a spaventarla perché quando un manipolatore acuto come Gerard fa bene il suo compito riesce a togliere in chi si affida a lui ogni certezza, anche quella di meritarsi qualcosa di bello.
Ho commesso un mucchio di errori e mi sono raccontata un mucchio di bugie. Non ho voluto vedere ciò che era evidente. La colpa è mia se sono finita così». «Non c’è mai una colpa quando si subisce violenza». La voce di lui si spense nel brusio del locale e lei ammutolì. Si vergognava. Perché alla fine aveva fallito in tutto. Solo sua figlia. Solo lei. Amanda era l’unica certezza che avesse.
La propensione agli altri e la capacità di vedere oltre la superficie di un bel cappotto verde definisce Adam, come anche sua sorella Margie, personaggio comprimario che nella storia più volte sarà il mentore di entrambi, con il suo approccio alla vita pacifico e zen, sempre orientato a dare un significato ad ogni avvenimento che accade, anche il peggiore.
«Che bisogna imparare a vedere la luce anche quando ci sembra che tutto sia buio». «Tua sorella è molto saggia». «Mia sorella è molto zen».
Arcobaleni Zen è un viaggio nei meandri più oscuri e nascosti delle relazioni tossiche, dei legami disfunzionali che spesso rendono impossibile la vita di chi ne è vittima. È anche una storia di speranza, una luce che squarcia il buio, e che si scompone nei mille colori di un arcobaleno che sopraggiunge dopo un temporale oscuro, e che rifrange le tonalità di cui è composto l’amore, quello vero, come il rispetto, la fiducia, la stima, il compromesso, l’attesa, la pazienza, la condivisione, la bellezza della diversità. L’amore è dunque sempre imperfetto, ma in questa sua imperfezione può essere “perfettamente imperfetto”.
Grazie Vera di questa storia sulle e per le donne.
Cosa succede se, all’improvviso, vengono meno tutti i punti di riferimento della tua vita?
Viviana, manager in carriera, da un giorno all’altro si trova costretta a fare i conti con tutto ciò che ha lasciato in Italia quando, otto anni prima, è andata via. Soprattutto con la figlia Atena, una dodicenne troppo perfetta per avere la normale vita di un’adolescente, che viene seguita come un’ombra dall’amica Celeste, talentuosa ma troppo ingenua, a sua volta provata dalla perdita della madre e dal rapporto col padre Silvano.
I quattro si trovano così a dover circoscrivere un nuovo concetto di famiglia, perdendo pezzi e guadagnandone altri, ricomponendosi in figure geometriche più solide e sfaccettate. E se la sfortuna, per una volta, lasciasse il passo al destino e a una seconda occasione per essere felici?
RECENSIONE
L’amore concede sempre seconde possibilità.
Il significato di questo romanzo potrebbe racchiudersi in questa frase, un richiamo a pochi ma fondamentali concetti. Da una parte l’amore, da concepire nelle sue estensioni più ampie, ovvero l’amore genitoriale, quello tra marito e moglie, tra amiche, ma anche l’amore verso la vita, verso sé stessi.
Geometrie variabili, ultima opera di Pitti Du Champ, conferma con semplicità la complessa e raffinata sensibilità di un’autrice bravissima, capace di offrire una storia che riassume moltissimi aspetti che segnano la vita di tutti noi, quasi come fosse il percorso simbolico di tutte le fasi che un individuo è chiamato a percorrere durante la propria esistenza: la crescita, l’evoluzione personale, la perdita di chi amiamo, la faticosa elaborazione del lutto, il primo amore, le prime delusioni, i laceranti sensi di colpa, la gioia di poter ricredere alle proprie certezze, il bruciore del tradimento, la rinascita emotiva, il valore incommensurabile dell’amicizia, il complesso universo della famiglia, l’umiliazione sociale, il senso di protezione verso chi ha più bisogno di noi, la solitudine, l’incapacità di amarsi, l’inganno delle apparenze, il pregiudizio e l’incomunicabilità. Quante emozioni in questa storia così vera, così toccante e autentica, che offre quattro personaggi disegnati ad arte, in grado di rispecchiare le molteplici sfumature della dimensione umana.
«Atena finirà per odiarti se non ti deciderai a stare un po’ con lei. Io e te ormai non cambieremo, ma abbiamo lei a cui pensare. Se non vuoi farlo per me, smetti con le trasferte almeno per lei» le sussurrò Cristiano dopo l’amplesso.
Viviana, Atena e Cristiano. Madre, figlia e padre, rispettivamente. Una famiglia disfunzionale, come tante. Un matrimonio intiepidito dalla distanza fisica e emotiva; il profondo legame di una figlia con un padre amato e sempre disponibile ma, purtroppo, poco in ascolto; un rapporto madre figlia inesistente. Se si dovesse riassumere in poche parole, una famiglia mancante delle basi, che non riesce a soddisfare i bisogni primari e basilari dei suoi componenti, e che lascia più spazio al conflitto che alla comunicazione, o al senso di protezione e accudimento. Eppure, nonostante le difficoltà, le incomprensioni, i silenzi e le assenze una famiglia a cui si riesce a volere bene, soprattutto grazie al personaggio di Atena, adolescente orgogliosa e coriacea, capace di odiare la madre quanto di sacrificarsi per proteggere l’amica Celeste.
Amare è da gente forte, e più persone e cose si amano, più si diventa potenti.
Celeste, tanto fragile e insicura, forse il personaggio che intenerisce e commuove di più in questa storia meravigliosa. Accade di commuoversi per le sue paure, il dolore di ragazzina ancora troppo acerba e indifesa per elaborare una perdita troppo grossa per lei.
Il dolore aveva preso così tanto spazio nel suo corpo, che solo il cibo liquido riusciva a trovare pertugi per passare allo stomaco. Era questione di misure.
Accanto a lei, il padre Silvano, “comodo” per il suo stile di vita, le sue leggerezze, il suo amore per una figlia da accudire e poco accudita, il suo amore per le piante. Lo si potrebbe anche detestare, ma Silvano si ama lo stesso, perché tanto ingenuo quanto accogliente.
Celeste scosse la testa. «Se io avessi ancora mia madre non mi staccherei da lei neanche cinque minuti» la rimproverò. «Se io avessi mio padre, idem. Ma non ci sono più, facciamocene una ragione e proviamo a sopravvivere.»
Due adolescenti rimaste prive degli affetti centrali, due adulti incapaci di capirle. Eppure, a volte la vita mette di fronte a noi dei cambiamenti che stravolgono, ribaltano ciò che conoscevamo gettandoci nell’incertezza, prove durissime in grado di spostare sicurezze, e forse per questo così potenti da creare nuovi equilibri, far crescere, evolvere.
Un processo che coinvolge tutti i quattro protagonisti, uniti tra loro da legami sempre più indissolubili, formati da perdite e arricchiti di nuovi elementi: Atena che perderà sempre più strati della spessa corazza imparando a fidarsi del cuore; Celeste che raccoglierà quei pezzi, frammenti preziosi di un nuovo corpo e una maggiore consapevolezza; Viviana che cambierà pelle, divenendo più mamma e compagna; Silvano che imparerà l’arte dell’accudimento verso gli esseri umani, oltre che quello del suo mondo fatto di terra ed esperimenti botanici. Ognuno di loro accorcerà distanze, testerà terreni impervi fino a entrare, ognuno a proprio modo, nella bellezza della vita, aprendo il cuore e schiudendo porte rimaste chiuse.
Le geometrie del cuore è vero variano, non hanno una forma prestabilita, assumono dimensioni e contorni tutti loro, che riempiono spazi lasciati vuoti, innescano incastri anche improbabili ma non per questo meno credibili, fino a creare un universo nuovo, colorato e tridimensionale.
Lei voleva essere al centro del mondo di sua madre. Per una volta si concesse un capriccio.
A rendere questo libro assolutamente sublime lo stile elegante di Pitti Duchamp, esploratrice dell’animo umano come poche, attenta indagatrice del mondo di complicati adolescenti ma anche ingenui adulti. I quattro punti di vista di Atena, Celeste, Silvano e Viviana raccontano con acume ogni tonalità, spigolo, lato, avvallamento della sfera emotiva dei protagonisti. Un viaggio da non farsi mancare, assaporando ogni pagina, dialogo, parola, silenzio ed emozione.
La diciottenne Hope Adamson porta sulle spalle il fardello degli errori di sua madre; e in una piccola cittadina è difficile scrollarsi di dosso i pregiudizi. Deve soltanto superare l’ultimo anno di scuola, poi sarà libera di frequentare un college dall’altra parte del Paese, o almeno questo è il suo piano, fino a quando Ray Sutton, giovane promessa del football, non le sbarra la strada in un modo che lei non si sarebbe mai aspettato. Ma Hope sa che essere felice è un lusso che non può permettersi. Dopo sette anni, Ray Sutton, ormai affermata stella del football, è costretto a fare ritorno nella città che lo ha visto muovere i primi passi sul campo da gioco. Lì vive ancora Hope, la ragazza che gli ha fatto a brandelli il cuore. Ray la detesta ma non è capace di ignorare l’attrazione che ancora prova per lei; non sa che Hope ha un segreto che si ostina a seppellire. Ma quando il passato devasta di nuovo le loro vite, non ci sarà più posto per il silenzio.
RECENSIONE
Elizabeth Rose è una garanzia, è quella penna che sa toccare il cuore dei lettori ed anche questa volta non delude. La storia d’amore fra Hope e Ray è una storia praticamente impossibile, sono due adolescenti che non hanno nulla in comune: lei, intelligente ma umiliata ed emarginata da tutti, anche per via di una madre decisamente disinibita, lui atletico futuro campione di baseball.
Una coppia assolutamente improbabile, forse perché lui è popolare e lei no, lei viene addirittura chiamata “Sgorbio” persino da sua madre. Ma capita che un giorno Hope venga davvero “vista “da Ray: quei meravigliosi occhi blu sono come uno specchio verso l’anima di questa fragile ma determinata ragazza.
Un’anima solitaria, una giovane donna che vuole lasciare il paesino e tentare una carriera universitaria altrove, lontana anche da una madre che non l’ha mai amata. Hope tiene a distanza tutti, cammina sempre a testa bassa, vuole essere invisibile per non essere ferita. Ma Ray la vede per davvero, vede che è dolce, bella, intelligente. E sa che gli altri non vedono ciò che vede lui. Ray è un po’ strafottente, all’inizio fa fatica ad ammettere anche a se stesso di amate una nerd, quella che per tutti è una “sfigata”, ma poi si arrende alle sue emozioni.
“ Tu hai sempre creduto che avremmo funzionato” “ Era quello che desideravo di più”.
La storia è narrata dal punto di vista dei due protagonisti, ed è affascinante rendersi conto dall’evoluzione dei due personaggi che si ritrovano a sette anni dalla loro separazione. Molto brava l’autrice che ha affrontato tante tematiche in questo romanzo: il bullismo, l’emarginazione sociale, una famiglia tossica e il primo amore adolescenziale.
Tanta carne al fuoco, ma la scrittura di Elizabeth Rose va dritta al cuore, è evocativa e senza troppi fronzoli, fa sorridere e anche commuovere. Hope è una giovane promettente, e anche se per un breve periodo sembra arrendersi, in realtà ha fame di vita, di amore, di riscatto. Ray è un ragazzo orgoglioso, o come dice Hope, dall’ego “ipertrofico”, il suo orgoglio ferito gli impedirà per molti anni di vedere la verità, ma ha un cuore d’oro e saprà riscattarsi.
Questa storia mi ha scaldato il cuore, mi ha tenuto compagnia e mi ha ricordato che a volte è ancora possibile credere nelle cose belle che la vita può offrire. Mi ha fatto anche male assistere, da “spettatrice”, a scene di violenza e di derisione, ma la vita è anche questo purtroppo. Quello che importa è non perdere mai la speranza. E reagire! Preparate i fazzoletti!
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LUNA BLU di Tess Thompson
Titolo: Luna blu
Autore Tess Thompson
Serie: Serie Blue Mountain
Genere: Dark Romance
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 24 ottobre 2022
Editore: Self publishing
TRAMA
Lei è una dirigente stacanovista costretta a ricominciare dopo essere stata licenziata senza alcun motivo. Lui è un milionario playboy perseguitato da un violento passato. L’attrazione esplosiva tra loro li porterà dritti verso il pericolo? Privata all’improvviso di un lavoro che per lei era tutto, Bliss Heywood cerca conforto tra le braccia del ricco playboy Ciaran Lanigan. Dietro all’affascinante facciata, però, Ciaran è un uomo tormentato. Più Bliss scopre del suo passato, meno si fida di lui. Ciaran è davvero in pericolo, oppure è un pericolo solo per Bliss? Tess Thompson, autrice bestseller di USA Today, vi invita a tornare a Blue Mountain per un’altra avventura dei clan Heywood e Lanigan, in questa storia d’amore autoconclusiva di opposti che si attraggono ricca di suspense.
RECENSIONE
Dopo aver conosciuto la storia di Kevan e Blythe, raccontata nel primo capitolo della serie “Blue Mountains” a firma di Tess Thompson, troviamo in questo secondo romanzo dal titolo evocativo, Luna blu, Bliss e Ciaran, rispettivamente sorella e fratello dei primi protagonisti. Due personaggi che sono stati introdotti già nel primo libro e che hanno dato modo di preannunciare al lettore la loro forte personalità fin dalla loro prima apparizione, preparando il terreno a quello che sarebbe stata la loro storia. Si può dire che le aspettative sono state ampiamente ripagate, attenderli ha valso la pena.
Bliss era il nome di un’anima sfortunata nata nei primi anni Settanta da una madre hippie e un padre smidollato. Avevo passato gran parte della mia vita a cercare di dimostrare di non essere una Bliss.
Tenace, dura, ambiziosa, pragmatica e soprattutto incentrata su sé stessa al punto da non lasciare spazio a niente e nessuno di entrare nella sua vita. Così si presenta Bliss, senza sconti o artifici: una donna forte e incapace di lasciarsi andare alle emozioni o ai sentimenti, salvo quelli per sua sorella e le sue adorate nipoti. Un legame viscerale, cementato da un’adolescenza sofferta, con genitori inadeguati e incapaci di prendersi cura di loro. Un unione fraterna autentica, in grado di farla sentire a casa, nella sua vita solitaria da manager itinerante.
Il lavoro era il mio sposo, la mia famiglia, il mio scopo.
Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Una riflessione che accomuna molte persone e che spesso ci capita di fare soprattutto quando si sono raggiunti alcuni traguardi nella vita, ma che a livello storico ha coinvolto anche i più giovani. Che il lavoro non debba essere totalizzante, ma che anzi debba lasciare spazio al tempo libero da dedicare a famiglia, amici e hobbies è ormai una verità condivisa, soprattutto dopo la pandemia che ci ha stravolto l’esistenza.
Quante volte ci rendiamo conto di perdere troppo tempo dietro a obiettivi che forse non ci rendono felici? A volte sono proprio le delusioni, gli insuccessi a metterci di fronte allo specchio per capire davvero cosa e chi vogliamo essere (o diventare) per sentirci vivi, imponendoci un bilancio di vita che scuote ma che può anche essere salvifico, proprio come accade a Bliss.
Gli incidenti di percorso, anche i peggiori, traumatizzano, senza dubbio alcuno, ma possono anche essere la genesi di un cambiamento. Raccogliere i segnali e accettare ciò che è successo di negativo non è per nulla semplice, intendiamoci, ma se si riesce a mettere ciò che ci è accaduto in prospettiva, si acquisisce la necessaria consapevolezza di cosa e chi sia vitale per noi, per sopravvivere e forse sperare in futuro di rinascere.
Se nel primo capitolo avevamo conosciuto Bliss nei panni della sorella combattiva che induce la sorella a reagire dal dolore di essere stata abbandonata dal marito, stavolta è lei in difficoltà, a dover rialzarsi. Lo fa da sola, in linea con la sua ferrea volontà di cavarsela e bastarsi a sè stessa. Come? Fermandosi ad ascoltare gli altri, osservando, facendosi le giuste domande. Riconsiderando la propria vita.
Prendersi cura degli altri per sentirsi meglio con sé stessi, trovare veri amici, rivalutare certi incontri che il destino ci mette sulla strada come necessari al nostro cambiamento sono i primi passi di un viaggio che può ampliare gli orizzonti, non solo mentali ma anche fisici, fino a spingersi oltre la propria comfort zone, e che spinge la protagonista fino nel lontano Idaho.
Un tragitto non pieno di ostacoli, certamente, perché ricredersi delle proprie convinzioni presuppone un profondo spirito critico, non facile per una vincente come Bliss, e un senso della realtà ben radicato. Un lato, quest’ultimo, più sviluppato in lei che la fa sentire irrimediabilmente in pericolo quando incontra per la prima volta Ciaran.
Era il tipo in grado di insinuarsi nelle crepe e riempirle temporaneamente con un liquido caldo, succulento, del colore dello scotch, finchè non ti svegliavi con nient’altro se non la fredda realtà del mattino sulla pelle esposta.
Cosa meglio di un incallito playboy, affascinante, superficiale e seduttore potrebbe destabilizzare il già precario equilibrio di Bliss?
Eppure, come nel primo romanzo, l’autrice Tess Thompson è maestra nel confondere la realtà con l’apparenza mostrando in modo crescente quanto spesso l’immagine che si percepisce di una persona sia una maschera protettiva usata consapevolmente per nascondere una natura molto diversa e più articolata. E man a mano che il tempo si dilata, la connessione tra Bliss e l’irresistibile fratello Lanigan diventa passione, fuoco ma anche una missione per sciogliere nodi, cercare la giusta leggerezza della vita divertendosi, fino a fondare una sintonia a più livelli, destinata a legarli sempre di più.
Quella che sembra iniziare come una consenziente relazione basata sul divertimento e l’evasione tra due adulti che si desiderano, si scopre ben presto divenire di più, un legame profondo. Bliss e Ciaran non solo si coinvolgeranno in modo quasi istintivo l’uno nella mente nell’altro, ma capiranno di condividere un background familiare simile, che li ha, anche se in modo opposto, trasformati in quello che sono, ovvero ostili ai legami. Due persone imprigionati in gabbie create da famiglie disfunzionali, con rapporti materni così complicati da averli induriti fino ad allontanarli totalmente dal desiderio di amare qualcuno per la vita.
Eppure, davanti a quel fuoco scoppiettante, capii qualcosa di cui non mi ero mi davvero resa conto. Mi sentivo sola.
Perché accade spesso che rinunciare a vivere i sentimenti sia la difesa migliore dal dolore di perderli, o ancora peggio, sentirsi abbandonati da chi si è amato.
Ancora una volta questa talentuosa autrice regala ai suoi lettori un romanzo che sonda le dinamiche del cuore, con i suoi tormenti, dubbi e impetuosi sali scendi. Non solo, la famiglia e il senso profondo dell’amicizia si confermano tematiche centrali in questa serie, che equilibra a dovere atmosfere romance con qualche accenno di suspense, nelle meravigliose e incontaminate terre di un’America tutta da scoprire. Luoghi capaci di far sognare ma anche di salvare da prigioni oscure e ben nascoste.