OMICIDIO IN FAMIGLIA di Nicola Rocca

OMICIDIO IN FAMIGLIA di Nicola Rocca

Titolo: Omicidio in famiglia
Autore: Nicola Rocca
Serie: Autoconclusivo
Genere: Thriller, Gialli
Narrazione: Prima e terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 8 Novembre 2021
Editore: EnnErre

TRAMA


Cesare Agliardi è un noto imprenditore della bergamasca. Dopo cinquant’anni di completa dedizione al lavoro, è dilaniato da un dubbio atroce: tra la gente che pare circondarlo d’affetto si nasconde qualcuno che gli vuol fare del male. La risposta potrà cercarla durante un fine settimana da trascorrere con la sua grande famiglia: moglie, figli, fratelli, nipoti e pronipoti. L’Hotel Segrino, che si staglia di fronte all’omonimo laghetto, è interamente riservato a Cesare Agliardi e alla sua famiglia, a eccezione di un ospite particolare: lo scrittore Roberto Marazzi. Il primo giorno tutto fila liscio, tra un aperitivo di benvenuto, una scampagnata attorno al lago di Segrino e una cena a base di Black Angus. Durante la cena del secondo giorno, però, Cesare Agliardi viene colto da un malore. L’arrivo dei soccorsi non può fare altro che decretarne la morte. A questo punto, interviene Alfonso Bernini, il direttore dell’hotel, sollevando l’ipotesi che qualcuno possa avere avvelenato il Presidente Agliardi. Massimo Moretti, il P.M. incaricato alle indagini, raggiunge la scena del crimine poco dopo, dando vita a un insolito metodo investigativo.

Chi ha ucciso Cesare Agliardi? E perché? È stato uno dei componenti della sua numerosa famiglia? Qualcuno che lavora nell’hotel Segrino? O, forse, è stato Roberto Marazzi, il romanziere di successo? Omicidio in famiglia è la seconda avventura che vede protagonista Roberto Marazzi, il noto scrittore di thriller. È un viaggio psichedelico nel dubbio, che vi accompagnerà all’interno dell’Hotel Segrino, conducendovi per mano fino alla verità che avete sempre avuto lì, davanti agli occhi. Ma a cui vi siete sempre rifiutati di credere. Un viaggio costellato di tradimenti, ruberie, tentati omicidi, in cui tutti saranno costretti a fare i conti con gli scheletri che nascondono nell’armadio. Ma è anche un viaggio che offre spunti di riflessioni su tematiche delicate, quali la nascita, il senso della vita e la morte. Un viaggio che, alla fine, proprio come la vita stessa, vi riporterà là dove tutto ha avuto inizio.

RECENSIONE


“La morte non mi fa paura. O forse sono solo spinto dalla curiosità di sapere se, dall’altra parte, ci sia davvero una nuova vita.”


Una riflessione che facciamo tutti, prima o poi, giovani o anziani, perché pensare alla morte allunga la nostra aspettativa di vita. Anche se non dovessimo averne più alcuna. La storia di Nicola Rocca che ho letto non posso raccontarvela, stavolta, perché vi rivelerei tutti i retroscena. Posso assicurarvi che rimarrete incollati alle pagine con la voglia di sapere, vi perderete, non in una storia, ma in tante trame diverse che vi spiazzeranno e vi faranno imprecare.

È un thriller che nasconde, intreccia e poi svela trame, mondi, finali, sorprese. Supposizioni e possibili soluzioni si accavalleranno. Posso provare a esternare le mie sensazioni, le mie emozioni ma, anche in questo caso, devo prestare la massima attenzione per incuriosire ma non rivelare. Ho finito il libro e ho subito tempestato l’autore di complimenti, domande e lui, sempre disponibile, ha tirato fuori cosa lo ha spinto a scrivere. Il romanzo alterna la narrazione onnipotente che riguarda la gita di una famiglia numerosa, voluta dal patriarca Cesare Agliardi per comunicazioni importanti. Poi si inizia il capitolo successivo e a parlare in prima persona è Roberto Marazzi, il famoso scrittore che abbiamo conosciuto nel precedente romanzo Scheletri nell’armadio. Roberto si infila nel libro, come se fosse un personaggio del suo stesso romanzo e osserva tutto quello che accade intorno a lui con occhio attento, come solo uno scrittore di thriller potrebbe fare.

Queste due voci narranti vi trascineranno in un effetto a spirale che vi imprigionerà tra fantasia e realtà. Segnatevi a mente tutto quello che leggerete, guardate attraverso la lente di ingrandimento della ragione e del cuore e arriverete a un finale esplosivo. Mettete in conto anche una scrittura particolareggiata ma semplice, diretta e incisiva e il gioco è fatto: un thriller trascinante che vi stupirà. Inoltre, oltre alla vicenda, nel libro emergono concetti molto importanti, quali l’amore, la lealtà, il tradimento, la morte; tutte tematiche che ci fanno, a modo, loro battere il cuore e che ci fanno sentire vivi.

Il mio personaggio preferito tra i tanti che conoscerete leggendo è Cesare Agliardi. Un uomo anziano che ha faticato a emergere e ha fondato un azienda leader nel suo settore. Un personaggio che il lettore vede come presenza scenica e sente rapito mentre racconta la storia della sua vita e dispensa consigli alla sua famiglia e allo scrittore Roberto Marazzi


“Viva ogni attimo, Scrittore. Lo viva intensamente. Ma lo faccia ora. Perché domani potrebbe essere troppo tardi. Non rimandi nulla a domani e, soprattutto, non rinunci mai ai suoi sogni. Per nessuno al mondo, che sia la donna della suo cuore, o i suoi figli. Viva la sua vita intensamente. È l’unica che ha, non esistono seconde occasioni.”


Un insegnamento saggio che si dovrebbe sempre seguire per poter essere, nello spettacolo della vita, regista, produttore e attore protagonista.

Vivete quindi e rincorrete i vostri sogni. E leggete il libro che merita veramente.

Link per l’acquisto di Omicidio in famiglia QUI

LA CASA DELLE BELLE ADDORMENTATE di Kawataba Yasunari

LA CASA DELLE BELLE ADDORMENTATE di Kawataba Yasunari

Titolo: La casa delle belle addormentate
Autore: Kawataba Yasunari
Serie: Autoconclusivo
Genere: Erotic, Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 1961 in lingua originale e traduzione in italiano nel 1972
Editore: Mondadori

TRAMA


“La casa delle belle addormentate” è un raffinato racconto erotico incentrato sulle visite del vecchio Eguchi a un inconsueto postribolo nel quale gli ospiti possono passare la notte con giovanissime donne addormentate da un narcotico. Il regolamento vieta di svegliarle, esaltando il fascino quasi magico emanato dalle fanciulle, e permette a Eguchi, attraverso una delicata rapsodia di sensazioni e di ricordi, di riappacificarsi con se stesso in un viaggio tra i più misteriosi recessi della psiche, evocati con segni incredibilmente semplici, rarefatti e luminosi. Il volume comprende anche due romanzi brevi di Kawabata («Uccelli e altri animali» e «Il braccio») ed è arricchito dalla postfazione di un altro protagonista della letteratura giapponese del Novecento, Yukio Mishima.

RECENSIONE


«Paradossalmente, un bel cadavere privo ormai delle ultime tracce di spirito, offre le più forti sensazioni di vita.»


Questo è il pensiero che deve aver avuto chi ha voluto creare la casa di tolleranza delle ragazze addormentate; un luogo dove anziani soli passano le notti, affamati di calore umano e di vita, più che di sesso. Le ragazze sono giovani, minorenni talvolta, vergini; giacciono nude su un letto riscaldato da una coperta termica. Ostentano la loro giovinezza e bellezza ma sono rese incoscienti da un potente sonnifero che le fa dormire profondamente.

Cosa spinge un uomo a voler trascorrere una notte con loro e godere della loro compagnia? L’attrazione sessuale o la solitudine? La voglia di vita o la consapevolezza di essere vicini alla morte? Tutte queste domande troveranno risposte e riflessioni nel protagonista di questo racconto.
Eguchi è un uomo di 67 anni, ancora sessualmente attivo che vuole provare questa insolita e intrigante modalità erotica, attratto dalla  forza magica che gli suscitano delle ragazze costrette al sonno. Nella sua vita non ha mai trascorso con una donna delle notti così innocenti, ma vuole tentare anche questa strada e si renderà conto che saranno notti così piene di eccitazione ed effetti sul corpo e sulla mente.

L’ambientazione e l’atmosfera che si respira è quella tipica giapponese: la presenza costante del tè verde come fonte di rassicurazione, conforto, un po’ come sentirsi a casa; il letto basso chiamato tatami; il profumo delle camelie, le tende di velluto rosso che accendono la  dando alla stanza un’aria magica. Tutti i sensi sono impegnati, sia quelli di Eguchi che quelli di chi legge: gli occhi osservano ammaliati e giudicanti, le mani sfiorano, accarezzano lievemente, il naso cattura odori piacevoli e forti, l’orecchio capta i respiri e il tempo che scorre fuori, un temporale o la risacca del mare. Sono proprio gli odori delle donne che riportano alla mente profumi di fiori, un bosco, stagioni passate, donne del passato.

Leggendo si ha la consapevolezza che si può provare un piacere sconosciuto e anomalo, una sessualità che non si consuma nella modalità tradizionale; non c’è rapporto sessuale ma il solo vederle, annusarle, il solo avvicinarsi, genera immagini, fantasie, sogni e incubi. La prima ragazza con cui dorme Eguchi lo porta indietro a quando era solo un bambino perché gli ricorda il sapore del latte, la seconda ragazza al primo sguardo la reputa una esperta di sesso, la successiva gli sembra addirittura sia una vergine, un’altra invece gli trasmette tanto calore. La visione di queste fanciulle evoca in Eguchi ricordi. E tra memorie del passato e corpi nudi e giovani del presente, passano le nottate.

E si perché tornerà più volte nella casa e dormirà con donne diverse, ognuna delle quali susciterà in lui emozioni, brividi e passioni. Le accarezza, grazie alla loro staticità, le osserva minuziosamente ma più di tutto vorrebbe svegliarle; si rende conto che un rapporto umano di questo tipo non riesce a soddisfarlo pienamente; il silenzio non appaga del tutto né i sensi né la solitudine, anzi, acuisce tutto ancora di più.

Eppure dopo la prima volta sente il bisogno e la curiosità di tornare ancora nella casa. Non di tratta di un erotico tradizionale, in questo racconto la seduzione si percepisce nei gesti, negli sguardi e negli odori ed è molto efficace. La voce narrante del protagonista Eguchi riflette e fa riflettere il lettore sul tema della alienazione e della repressione del desiderio: stare accanto a giovani donne, dormire con loro senza godere dei loro corpi.

Realtà e sogno, amore e morte si mescolano nei pensieri che portano a meditare sul declino inevitabile della vita e sulla paura che si ha della morte, nel momento in cui si è anziani. E allora poter dormire accanto a giovani donne è come volersi consolare e godere, per una notte, di un lampo di vita ritrovata. Non riuscendo a rassegnarsi all’inesorabile scorrere del tempo.


«Proprio le ragazze che continuavano a dormire senza fine erano forse per i vecchi una libertà senza età – già Eguchi lo aveva pensato. Le dormienti che non parlavano, forse parlavano come piaceva ai vecchi.»


Link per l’acquisto di La casa delle belle addormentate QUI

LE API DI WATERLOO di Giulia De Martin

LE API DI WATERLOO di Giulia De Martin

Titolo: Le api di Waterloo
Autore: Giulia De Martin
Serie: Autoconclusivo
Genere: Historical Romance
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2021
Editore: Words Edizioni

TRAMA


Inghilterra, 1815

Phèdre Hale, Marchesa di Northampton, ha solo vent’anni, quando si trova in balia della sorte avversa: Waterloo le ha strappato l’amato marito e la spensierata fanciullezza. La lady Northampton che amava trascorrere le giornate nella lussureggiante serra è ormai solo un ricordo. Phèdre, però, sa che non può soccombere agli eventi e che l’unico modo per sopravvivere è assecondare la propria condizione. Intelligente e caparbia, non si tirerà indietro di fronte a niente per riacquistare sicurezza, anche se ciò significa sposare Edward Hale, l’irlandese dagli occhi di ghiaccio, erede del casato e cugino dell’amato marito disperso. Tuttavia, la vita spesso riserva risvolti inaspettati, fino a sgretolare anche la più solida certezza. Le grandi tenute di campagna e i dolci pendii della brughiera fanno da sfondo a una storia d’amore e morte, rinascita e assoluzione, intrisa del profumo delle peonie e cullata dal ronzio delle api. 

RECENSIONE


Sono sincera ho una particolare simpatia per le api, forse perché mi ricordano la bella stagione e sono golosa di miele o forse perché ammiro questa sorta di sorellanza tra esseri così piccoli eppure così vitali e importanti per il ciclo naturale, instancabili e laboriose.
Ho infatti letto libri di ambientazione contemporanea che le avevano come coprotagoniste, quindi non ho potuto resistere al richiamo che ha su di me il romanzo storico con l’attrattiva di un titolo così.
Le api di Waterloo è stata una lettura che mi ha positivamente sorpresa per una serie di aspetti: innanzitutto come ho detto sono stata attirata dalla scelta del titolo che, dopo aver letto il libro, mi ha rimandato forte l’idea di un simbolismo con questi meravigliosi e importanti insetti.
L’autrice fa di queste piccole sorelle operaie non solo un filo conduttore dal quale si dirama una vicenda che tiene vivo l’interesse e coinvolge con avvenimenti del tutto inaspettati, ma anche a mia personale interpretazione, un parallelismo con le donne presenti nel romanzo.
Perché in realtà le vere protagoniste di questo libro sono le donne, la loro forza, la tenacia, la capacità di adattamento, la volontà di risollevarsi.

E soprattutto la “sorellanza” che può crearsi per non soccombere non solo ad un ambiente, ma anche ad un’epoca in cui madri o figlie, mogli o sorelle sono considerate alla stregua di oggetti.


Man mano che il tempo passava, mi rendevo conto di quanto il mondo fosse plasmato dagli uomini a loro immagine e somiglianza; noi donne eravamo marginali nel quadro, come un abbellimento che rende più piacevole.


Proprio come le api, sorelle instancabili che lavorano per la produzione del miele e che mai si fermano.
Le donne di Giulia De Martin sono proprio così, cadono ma si rialzano, vanno avanti sempre, nonostante la fatica, il dolore, la paura.
A cominciare da Phedre la protagonista, giovane vitale e allegra, ma anche impulsiva e caparbia un insieme di energia e fragilità a volte in contrasto tra loro.


Mi rendevo conto solo in quel momento di quanto fosse il vuoto a dare senso alla pienezza, ma solo più avanti avrei capito quanto la mia vita, da quel momento in poi, sarebbe stata una continua lotta di contrasti, opposti, di luci e ombre, pieni e vuoti che avrebbero dato senso l’uno all’altro solo continuando ad alternarsi. D’altronde io stessa, con i miei occhi così diversi da sembrare appartenere a due persone distinte, ero una collisione di mondi.


La narrazione espressa in prima persona fa indossare come fossero vestiti a contatto con la propria pelle, le sensazioni di Phedre.
Sentirete così mancarvi il fiato o battere il cuore più forte negli stessi momenti descritti sulla carta.
Ed ecco che mano a mano che si procede nella lettura alla giovane protagonista si affiancano una serie di donne ognuna delle quali ha un legame affettivo con lei e quindi anche un’influenza sulla sua vita.
Portia, Charlotte, Camille sono per Phedre a seconda del loro ruolo, sia conforto che  esempio, un aiuto, una guida, un porto sicuro di fronte alle difficoltà che si troverà ad attraversare.
Ho trovato in questo secondo romanzo dell’autrice una scrittura più matura, un coinvolgimento emotivo più spiccato e personaggi caratterizzati in modo approfondito.
Aspetti che ho trovato evoluti nello stile di questa giovane autrice, della quale non posso non apprezzare il grande lavoro di ricerca storica mescolato alle sue personali conoscenze.
Saltano immediatamente all’attenzione l’accuratezza delle descrizioni storiche e paesaggistiche dell’Inghilterra dell’epoca e la conoscenza della botanica.
Le magnifiche tenute nobiliari diventano oltre che teatro anche protagoniste delle vicende, e la serra e la cura delle piante sono non solo la grande passione di Phedre ma anche il suo rifugio, la sua ancora di salvezza per non annegare nel dolore.


C’era un qualcosa di così quieto nel torpore della serra, come se tutto si stesse muovendo, ma lo facesse con una tale lentezza, da sfidare perfino il tempo. Questa singola idea di imperitura bellezza era tanto forte da calmare l’ansia e i brutti pensieri. Nonostante tutto, qualsiasi cosa fosse successo, le orchidee non avrebbero smesso di fiorire e le api di produrre, instancabili, il loro oro liquido.


La storia d’amore che si dipana ha un’evoluzione inaspettata ed interessante. Pur rispondendo ai canoni storici dell’epoca non intrappola i personaggi in una caratterizzazione stereotipata, al contrario sono credibili e ben definiti nelle loro personalità.
Romanticismo e passione, desiderio e sentimento emergono con forza dirompente dalla scrittura dell’autrice, che pur non descrivendo nel dettaglio scene esplicite, permette al lettore di riviverle grazie al potere evocativo delle parole.
Perché non è necessario descrivere per far “sentire”, a volte immaginare crea un phatos maggiore e permette di percepire comunque sensualità e passione.
Il lettore diventa arbitro assoluto in questo romanzo perché non c’è un’evoluzione giusta o sbagliata della trama e tutti i personaggi hanno le loro ragioni, i loro tormenti e le loro gioie.
I personaggi maschili accomunati seppur in modo diverso dall’affetto per Phedre conquistano dal primo all’ultimo.
A cominciare da Noah che è una figura la cui presenza è rassicurante e avvolgente, simbolo dell’amicizia nella sua forma più sincera e spontanea.
Edward e Richard invece sono a mio modo di vedere due facce della stessa medaglia, due modi di essere opposti ma simili, due modi di amare in modo incondizionato uguali ma diversi.
Un dualismo che si intravede in altri aspetti del romanzo e di cui l’autrice dà una spiegazione accurata nelle note finali che consiglio di leggere perché interessanti ed esplicative.
Il mio personale pensiero è che il vincitore morale della vicenda sia Richard sebbene compaia solo a inizio e fine del libro, perché lascia ai lettori il messaggio più importante ma anche il più difficile da attuare nella realtà.
E cioè che tutto cambia e i cambiamenti molto spesso avvengono senza chiedere il permesso, ma arrivano e basta.
Gli stessi personaggi nel romanzo infatti vivono loro malgrado esperienze che li porteranno ad un’evoluzione interiore.


«L’amore non finisce» dissi, scostandomi per guardarlo negli occhi. «L’amore muta, evolve e cambia la sua forma. Io non smetterò mai di provare amore nei tuoi confronti, oggi ancora più di prima, e in un modo o nell’altro mi sentirò sempre legata a te, indissolubilmente.»


Accettare o meno questi cambiamenti e riuscire a conviverci sono questioni complesse, soggettive ma inevitabili.
La scelta è se andare avanti restando legati al passato o abbracciare il futuro pur senza rinunciare alla propria identità.


Come una fenice, ero implosa in una fiamma vorticosa e straziante, ma era giunto il momento di tornare a vivere ed essere me stessa.


Link per l’acquisto di Le api di Waterloo QUI

DORMI STANOTTE SUL MIO CUORE di Enrico Galiano

DORMI STANOTTE SUL MIO CUORE di Enrico Galiano

Titolo: Dormi stanotte sul mio cuore
Autore: Enrico Galiano
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima e terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Aprile 2020
Editore: Garzanti

TRAMA


Mia sa che può sempre contare su Margherita, la sua maestra delle elementari che, negli anni, è diventata anche la sua migliore amica. Nello strambo quaderno che custodisce in un cassetto di casa ci sono scritte tante piccole meraviglie, che sono anche tante grandi risposte. È lei a spiegarle che il cuore di una tartaruga batte sei volte al minuto, quello di un colibrì seicento. E che ogni cuore, quindi, segue il suo tempo. Ma c’è una domanda a cui Margherita non sa rispondere: “perché Fede è andato via?”. Fede è il ragazzo che la famiglia di Mia ha preso in affido. Fede non voleva parlare con nessuno, ma ha scelto lei come unica confidente. Fede, con i testi delle canzoni, le ha insegnato cose che lei non ha mai saputo. Fede l’ha stretta nel primo abbraccio in cui si è sentita al sicuro e davvero felice. Fede l’ha ascoltata e capita come nessuno mai. Da quando non ha più sue notizie, Mia non riesce ad avvicinarsi alle persone, non riesce nemmeno a sfiorarle. Mentre il mondo e la storia si inseguono e si intrecciano, lei si è chiusa in un guscio più duro dell’acciaio. E non vuole più uscire. Ma se non si affronta il nemico, il rischio è che diventi sempre più forte, persino invincibile. Se non si va oltre l’apparenza non si conosce la realtà. Anche se provare a farlo è un’enorme fatica; anche se ci vuole molto tempo. Perché, come dice Margherita, ogni cuore ha la sua velocità: non importa chi arriva primo, basta godersi la strada verso il traguardo.

RECENSIONE

Mia ha 30 anni e conosce bene l’istinto e la scia di gioie e dolori che il cuore lascia dentro e dietro di sé. È sempre stata matura, anche da bambina, quando osservava il mondo con gli occhi della meraviglia, come se fosse un grande contenitore di desideri da rincorrere.


Il mondo era un pacco da scartare, una pagina bianca, l’istante subito dopo la stella cadente.”


Continua a farlo, anche da adulta, quando ormai conosce il bello e il brutto del mondo. E da ragazzina si è ritrovata, da un giorno all’altro, senza vita. Più che giorno parlerei di notte, perché è proprio una Notte, in particolare, che toglierà luce alla sua vita.


Amo il suono del fiume che scorre, gli occhi miei chiusi ad abbracciarlo, nessuno lo sa ma amo così tanto vivere che ho un velo di lacrime sempre sugli occhi solo perché odio, terribilmente odio che vivere significhi, un giorno, morire. E non muori una volta sola…No, non muori solo il giorno che muori: puoi morire tante volte mentre sei ancora vivo.”


Partendo da un album di fotografie Mia racconta in prima persona, come una sorta di diario, l’incontro con Fede, la sua fobia, il suo sentirsi diversa, emarginata dai compagni, nel periodo critico dell’adolescenza in cui si fatica a conoscersi e a farti conoscere dagli altri. Il linguaggio, le espressioni e le paure di Mia, nella prima parte, rispecchiano la sua giovane età e i ricordi sono così nitidi che si rivivono leggendo. Nella seconda parte, quando inizia il viaggio verso la sua rinascita, Mia utilizza invece parole mature e consapevoli.

Cosa sarai mai accaduto a Mia? Quale tragico evento ha potuto trasformare la sua curiosità e vitalità in fobia e terrore? Mia si rende conto di soffrire di afefobia, una patologia che le provoca dolore, una sorta di bruciore quando tocca o viene toccata da una persona. Questa la porta a isolarsi e a fare lo slalom tra la gente per evitare qualsiasi contatto fisico. Tutto nasce da quella maledetta Notte in cui suo fratello adottivo Fede viene portato via dalla sua casa e se ne perdono le tracce. Fede un ragazzino che la famiglia di Mia ha preso in affido e che ha visto la guerra con gli occhi e ne ha vissuto l’orrore sulla pelle.


Sembrava davvero un cane abbandonato per strada, il pelo sporco e bagnato, tanta paura negli occhi e tanto freddo dentro. Un cane abbandonato e muto. Come se qualcuno gli avesse rubato la voce.”


Fede non parla ma osserva e capisce tutto e si lega a Mia, con un affetto e un amore totale; un sentimento che può essere come quello che c’è tra fratello e sorella oppure qualcosa di molto più intenso. Quando viene portato via, a Mia vengono nascoste le informazioni su di lui dai genitori per salvaguardarla e proteggerla. Non si rendono conto che i bambini possono accettare tutte le verità, anche le più dolorose, ma le bugie no. E che il negare l’evidenza e la realtà scavano buchi profondi e fanno perdere la voce del verbo toccare. I motivi di tutti questi segreti verranno svelati man mano. Ma è solo alla fine del libro che la matassa dei pettegolezzi e dei pregiudizi nati su Fede si srotola e viene sbrogliata. Prima di allora si susseguono voci alte o frasi sussurrate, che lo screditato, che lo accusano. Mia è sicura di quello che sente, è certa dei messaggi che le invia il cuore e dei brividi sulla pelle. Eppure comincia a credere a quelle voci e ad avere paura di Fede; una persona che le è stata così vicino, che le ha chiesto e dato affetto e amore con una semplice frase “Dormi stanotte sul mio cuore”. Poche parole che hanno un significato immediato ma che, per l’autore, si riferiscono alla poesia Rimani di Gabriele D’Annunzio.

Mia sente di avere la neve sul petto che le impedisce di respirare, che le fa tenere tutto a distanza


Cosa significa avere la neve sul petto? Significa stare davanti a un tramonto tutto rosso e non fermarsi un minuto a guardarlo. Passare vicino a un mucchio di foglie in autunno senza la voglia di saltarci sopra a farle scalpicciare.”


È proprio vero che non si ha bisogno di una persona che veda il mondo come lo vediamo noi, ma di qualcuno che il mondo ce lo lasci guardare ma con i nostri occhi. Posso solo dirvi che Mia l’ha trovata una persona così sensibile e attenta. Quello che non posso rivelare è il viaggio che l’ha portata a ritrovare, prima se stessa, poi questa persona. Perché dovrete scoprirlo leggendo questa meraviglia.

Link per l’acquisto di Dormi stanotte sul mio cuore QUI

FORSE UN GIORNO di Colleen Hoover

FORSE UN GIORNO di Colleen Hoover

Titolo: Forse un giorno
Autore: Colleen Hoover
Serie: Autoconclusivo
Genere: Contemporary Romance
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 Febbraio 2015
Editore: Leggereditore

TRAMA


.

Sydney Blake, un’aspirante musicista di vent’anni, ha una vita invidiabile: frequenta il college, ha un buon lavoro, è innamorata del suo meraviglioso ragazzo Hunter e convive con la sua migliore amica Tori. Ma tutto cambia quando scopre che Hunter la tradisce con Tori. Ora Sydney deve decidere che ne sarà della sua vita.

È attratta da Ridge Lawson, il suo misterioso vicino. Non può staccargli gli occhi di dosso e non può fare a meno di starsene ad ascoltarlo mentre suona la chitarra sul balcone della sua stanza. La sua musica le dà armonia e vibrazioni. E anche Ridge non può far finta di ignorare che c’è qualcosa in Sydney: a quanto pare, ha trovato la sua musa. Quando, finalmente, si incontrano, scoprono di avere bisogno l’uno dell’altra…

RECENSIONE


Non credevo si potesse sentire in questo modo qualcuno. Non sapevo di poter aver bisogno così di qualcuno. Non avevo idea di essere in grado di condividere questo tipo di legame con qualcuno.


Quando pensiamo al verbo sentire siamo portati a identificarlo immediatamente con il senso dell’udito senza tenere invece in considerazione che sentire può essere associato a molte altre sensazioni percepite.

Leggendo Forse un giorno mi sono soffermata a riflettere infatti a come le emozioni le sentiamo con il cuore, a volte anche con la pancia, “sentiamo” sensazioni provocate da un ricordo o da un profumo, gli sguardi sono capaci di farci sentire in un certo modo così come il tatto ci permette di sentire con il nostro corpo.


Non mi ero mai resa conto di quanto possa essere forte il desiderio. Consuma ogni parte di te, accresce i tuoi sensi di un milione di volte.


Colleen Hoover ha una scrittura che è capace di fare proprio questo, mettere in gioco durante la lettura tutti i sensi.

Ho sentito il tocco e gli sguardi tra i protagonisti, ho percepito le sensazioni e i silenzi, ho empatizzato con le loro sensazioni e i loro pensieri.

L’autrice è stata capace di far sentire al lettore le personalità dei suoi personaggi, percepire le loro emozioni come fossero nostre, le fragilità, l’intensità dei sentimenti, la difficoltà di resistere alla passione, al desiderio, le paure e le gioie delle relazioni umane.

E ultima ma non ultima, è stata capace di far sentire addirittura la musica, onnipresente altra  grande protagonista del libro.

Melodie che hanno preso forma come se le lettere stampate sulle pagine si trasformassero pian piano in note musicali e allora la mente del lettore diventava lo spartito su cui immaginare di sentir suonare i protagonisti.

Una musica composta da accordi ma anche da pause che nel racconto prendevano le sembianze di scene fatte di silenzi, molti dei quali hanno dato alla narrazione quasi una connotazione cinematografica.

E allora mi sono spesso trovata come quando in un film si assiste ad una scena particolarmente intensa e si è presi da una concentrazione ed un coinvolgimento che ti fanno isolare da tutto il resto, e aspetti l’evoluzione della vicenda in un silenzio partecipe.

È stato impossibile non affezionarsi ai personaggi che tratteggia l’autrice, giovani studenti e lavoratori, simpatici, vitali, goliardici quanto basta, che fondono convivenza e amicizia trasportando il lettore nelle vicende come se leggendo ci si sentisse anche noi inquilini del loro appartamento.

Sidney spigliata aspirante musicista, dalla vita apparentemente soddisfacente vedrà sgretolarsi molte certezze a causa di un bruciante tradimento.

Ridge, un attraente vicino di casa con la passione condivisa per la musica sarà la sua ancora di salvataggio ma anche l’oggetto di un sentimento dirompente.

Questo sentimento potrebbe forse un giorno diventare qualcosa di concreto e importante per entrambi?


So che ho bisogno di stare per conto mio. Voglio starmene per conto mio. Ma so anche che il motivo per cui mi sento così combattuta in tutta questa situazione è che nutrivo un po’ di speranza. Anche se in questo momento non ero pronta, pensavo che la possibilità ci fosse. Immaginavo che forse un giorno, quando fossi stata pronta, le cose tra noi sarebbero potute crescere.


Per scoprirlo l’autrice vi accompagnerà in un viaggio le cui tappe sono delle canzoni, i cui testi raccontano con intensità lo sviluppo della vicenda, un valore aggiunto a un libro caratterizzato da una scrittura profonda, una trama per niente banale e dei protagonisti che catturano per la loro personalità.

Ragazzi genuini, che mordono la vita, con le tipiche passioni della giovinezza, ancorati a valori importanti ma non per questo perfetti.

Tutt’altro, Colleen Hoover caratterizza personaggi generosi, leali, responsabili, ma anche fragili, combattuti, confusi, molto umani.

Il senso di colpa sarà un compagno costante dei due protagonisti perché le vicende li porteranno a tentare un’impresa pressoché impossibile: dominare i sentimenti con la ragione.


Non ci stiamo toccando. Non stiamo parlando. Non mi sta nemmeno guardando. Eppure il semplice fatto di osservarla mi fa sentire terribilmente in colpa, come se stessi facendo qualcosa di sbagliato.


Faranno di tutto per fare la cosa giusta trasmettendo emozioni contrastanti attraverso i testi delle canzoni che accompagnano la lettura.


Ma si tratta di arte. L’arte è solo un’espressione. Un’espressione non è un’azione, anche se a volte sembra che lo sia. Scrivere canzoni non è come confessare a qualcuno i propri sentimenti. Vero?


La musica diventa così non solo parte integrante del romanzo ma quasi il romanzo stesso dando la possibilità non solo di leggerlo ma anche di ascoltarlo, grazie alla playlist list che l’autrice ha creato in collaborazione con il cantante americano Griffin Peterson.

Meritano una menzione anche i personaggi secondari, autentici e per niente scontati, che camminano in perfetto equilibrio sui fili che compongono la trama.

Warren in particolare è il personaggio che ho sentito con maggior empatia perché la sua apparenza indolente è in realtà un guscio che racchiude al suo interno un ragazzo di sostanza.

Non posso che consigliare questa lettura che vi riserverà molte sorprese inaspettate, spunti di riflessione interessanti sulla fiducia, la lealtà, l’amicizia, e la speranza.

La definirei una vera e propria playlist dei sentimenti,  appassionata ed emozionante, le cui canzoni sono state un accento, un tasto percosso o una corda pizzicata con più vigore, per amplificare un coinvolgimento emotivo già vivido nelle parole.

Link per l’acquisto di Forse un giorno QUI

CARROZZA 12 di Paolo Navi

CARROZZA 12 di Paolo Navi

Titolo: Carrozza 12
Autore: Paolo Navi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Thriller Gialli
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 25 luglio 2020
Editore: Self-publishing

TRAMA


Un incidente ferroviario, una bufera di neve, otto sopravvissuti, un bosco misterioso e delitti apparentemente inspiegabili. La tempesta straordinaria che si è abbattuta sulla Baviera ha bloccato l’aeroporto di Monaco, mettendo in crisi il rientro di Giovanni, il quale deve assolutamente essere a Milano per la serata. Il treno è l’unica possibilità. La tempesta, però, trasformerà il viaggio in un incubo per lui e per i passeggeri che gli sono vicini, perché, in fondo, noi siamo sempre in balìa di chi ci capita accanto. Guardiamo le persone e crediamo di conoscerle, ma a volte il mondo all’improvviso si capovolge e tutto diventa sbagliato, cattivo, irreale. Ecco che allora serve il coraggio, se c’è, oppure una svolta, una casualità, un incidente per mandare via i mostri. E la tempesta arriva comunque a sovrastarci e a travolgere tutto, prima che il dolore passi e il mondo si capovolga di nuovo per rimettere tutto a posto.

RECENSIONE


È come se qualcuno avesse passato sulla mia vita una mano di bianco… Ora ho davanti a me una parete bianca e immacolata, sulla quale posso cominciare a mettere nuovi quadri delle dimensioni che voglio e nella posizione che più mi piace. E pian piano imbrattarla, coi giorni e con gli anni che passano, di nuove macchie e di nuovi segni. I miei.”


Ci sono momenti in cui sembra che un imbianchino abbia reso la nostra vita uniforme e pulita per darci la possibilità di ricominciare e ripartire da zero.

Anche la neve dà la stessa sensazione, con i suoi fiocchi bianchi copre ogni segno,  ogni sfregio, ogni macchia. E sarà proprio la neve che fermerà il ritorno di Giovanni alla sua casa e moglie perfetta. Ci sarebbe da chiedersi se tanta perfezione rende davvero felici.

Non saprei, a volte si tratta di gesti, abitudini che non si ha tempo né voglia di esaminare e si vai avanti per inerzia. In questo romanzo seguiamo le vicissitudini e il viaggio del protagonista bloccato in Germania per la neve.

Non semplici e innocui fiocchi però ma la nevicata del secolo; con l’aeroporto chiuso Giovanni è costretto a prendere un treno per tornare a Milano. Nel convoglio, oltre al protagonista, ci sono sette persone. L’autore le descrive minuziosamente, a volte in modo troppo meticoloso, menzionando particolari  dell’abbigliamento, l’acconciatura dei capelli, i monili indossati; come se qualsiasi minimo dettaglio potesse aiutare il lettore a farsi un’idea della persona. Ed è proprio vero perché ogni caratteristica elencata contraddistingue le persone e, bene o male, aiuta a conoscerle. Ma sarà proprio così? Mi spiego meglio, come appariamo esteriormente fa davvero capire agli altri come e chi siamo nella realtà?


È la casualità di chi ci capita accanto durante i viaggi. La convergenza astrale di una molteplicità di traiettorie alla fine crea la combinazione finale. Ed eccoci qua! Otto persone messe assieme dal caso per una foto di gruppo.”


Eccoci nella carrozza 12 dove incontriamo il narratore di questa storia, un professore universitario alto e magro, reduce dal ritiro di un prestigioso premio. Vicino al finestrino, una impettita e burbera signora tedesca e di fronte a lei, un vecchio russo, che sembra appena ritornato dalla Seconda Guerra Mondiale. Di fronte al professore c’è un altro russo, probabilmente il figlio dell’altro, che ha l’aria di essere essere appena uscito di prigione. Sull’altro lato del corridoio, una giovane bella, moderna e indipendente; al suo fianco c’è un nero raffinato ed educato e un ragazzo biondo trasandato e sempre pronto a polemizzare. Finisce il gruppo un portoghese elegante e distinto. Quando accadrà l’incidente, che viene descritto dall’autore in tutta la sua tragicità, i passeggeri si troveranno accomunati dall’evento ma racchiusi ognuno nella propria solitudine disperata, cercando un modo per tenersi aggrappati alla vita. Quello che sorprende è la natura implacabile, la neve che continua a cadere senza sosta, quasi si preoccupasse di coprire i corpi aggrovigliati tra le lamiere.


La neve, invece, è infida, maligna. Scende silenziosa, come un ladro in punta di piedi, e si insinua dappertutto leggera, fredda, invadente. Si appropria dei colori, dei prati, delle strade, addirittura dei rumori, stendendo su tutto un unico lenzuolo bianco. E poi non se ne va. Rimane lì a marcire, a imbrattarsi, a trasformarsi in una melma lurida e scivolosa.”


Per tutti gli occupanti del treno ci saranno momenti di terrore, sgomento e di riflessione. Scampato il pericolo un’ombra si aggiunge al disagio, omicidi inaspettati riempiono il buio e il gelo del bosco. Tutti sospettati, nessuno escluso. Bisogna guardarsi le spalle e la gola, perché ognuno può essere il prossimo. Chi riuscirà a salvarsi tra i sopravvissuti? Il più intraprendente, il più furbo, forse l’egoista. La storia si legge con apprensione e con il fiato sospeso fino all’ultimo capitolo che rivela tutto. Si ipotizza sul probabile assassino senza venirne a capo. La domanda che aleggia tra tutti è perché uccide, quale è il movente e cosa nascondono tutti dietro la facciata di normalità che indossano. 150 pagine lette in un giorno e  con un finale che ha sciolto i dubbi e capovolto la situazione da tragica a serena.

Ogni esperienza ci insegna qualcosa, anche un treno che si accartoccia su sè stesso e inghiotte neve e corpi.

Link per l’acquisto di Carrozza 12 QUI

IO SONO MIO FRATELLO di Giorgio Panariello

IO SONO MIO FRATELLO di Giorgio Panariello

Titolo: Io sono mio fratello
Autore: Giorgio Panariello
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2020
Editore: Mondadori

TRAMA


Giorgio Panariello custodisce una storia. Lui e il suo fratello minore
sono stati entrambi abbandonati dalla madre subito dopo la nascita.
Giorgio viene affidato ai nonni materni, Franco invece finisce in un
istituto. Mentre Giorgio cresce e diventa uno degli uomini di spettacolo
più amati d’Italia, Franco cade nella tossicodipendenza. Fino alla
tragica fine. In questo libro per la prima volta Panariello ha deciso
di raccontare il filo nascosto (la preoccupazione costante, il senso di
colpa) che da sempre corre nella sua vita. Un libro straziante e
dolcissimo, che grazie all’onestà e all’accuratezza dei sentimenti
sa muovere le corde più profonde delle nostre emozioni

RECENSIONE


Ho sempre pensato, e sono sicura che in molti saranno d’accordo con me, che la vita dei personaggi famosi fosse perfetta; tanti soldi per realizzare qualsiasi desiderio e poche preoccupazioni.

Forse perché ci mostrano solo il lato positivo delle loro esistenze, quello dove si ride e si gioisce dei successi che la carriera regala loro.

Giorgio Panariello con questo libro ha deciso di portarci dietro le quinte, svelando i retroscena e raccontando chi era prima di diventare famoso.

Una famiglia povera con tante bocche da sfamare, come era facile trovare un tempo, Giorgio cresce con i nonni abbandonato dalla madre, scoprendo solo più tardi di avere un fratello minore, Franco un’anima fragile che capisce di dover difendere da tutto e tutti.


Crescere senza affetto è come stare senza un tetto sopra la testa, non ci si sente mai protetti, difesi, mai a casa. È stata solo una questione di culo. Potevo nascere un anno dopo di lui e mio fratello sarei stato io. E invece è toccato a lui sentirsi addosso un anno di meno, un anno di troppo.


Le loro vite vanno avanti in maniera parallela, ma mentre per Giorgio si aprono le strade del successo, Franco di perde nella tossicodipendenza e inizia a vivere in maniera dissoluta e irrecuperabile.

Era da tempo che volevo leggere questo libro, spinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscerne la storia, e devo dire che l’ho vissuto con molto entusiasmo lasciandomi travolgere pagina dopo pagina.

Raccontato in prima persona dalla voce dell’autore, all’apparenza potrà sembrare la classica storia dove un attore famoso ci parla di sé e dei suoi successi ma vi assicuro che è molto di più; Giorgio Panariello ci regala uno spaccato di vita vissuta parlando dei suoi esordi, e mentre lui diventa celebre, Franco cade sempre più in un vortice da cui non potrà uscire facilmente.


Mio fratello ha sempre preteso di essere amato, credeva gli spettasse di diritto, per la sua condizione, per quello che aveva passato, per il male che gli era stato fatto e il bene che gli era stato negato. E chiunque non potesse o non volesse dimostrargli amore aveva un posto assicurato dentro il girone dei dannati del suo personale Inferno.


Ecco, in questo preciso momento ho davvero compreso la vera essenza di questa storia, un fratello è una parte del nostro cuore che batte per lui, una delle persone da tenere sempre accanto con cui gioire e affrontare le prove difficili della vita.

Giorgio mette da parte tutto per aiutare Franco, senza paure e pregiudizi, solo vedendo nei suoi occhi la voglia di farcela come richiesta di aiuto.

Non pensa alla sua fama, né che il pubblico possa fraintendere le sue azioni, mette davanti ad ogni cosa il bene di suo fratello festeggiando con lui i piccoli traguardi di ogni giorno.


La distanza tra noi si era colmata e lo sentivo più vicino. Avevo provato quello che si può provare con un vero fratello: orgoglio, rabbia, amicizia, odio, complicità, intesa, divertimento, affetto, gioia e apprensioni. Non eravamo più fratelli unici. Non riuscivo a rassegnarmi al fatto che tutto sarebbe finito come doveva, che un finale diverso fosse impossibile.


Ho vissuto questa storia facendola mia e pensando al mio fratello minore, che si trova ad attraversare un momento molto difficile; l’ho protetto da quando è nato e sarò sempre pronta ad aiutarlo a rialzarsi, e a sorridere di ogni gioia quotidiana; donandogli amore incondizionato ad ogni costo.

Consiglio questo libro a tutti, rimarrete sopresi da come una persona abituata di solito a farvi ridere, possa farvi scendere una lacrima regalandovi emozioni uniche.

Link per l’acquisto di Io sono mio fratello QUI

VISCERA di Simone Volponi

VISCERA di Simone Volponi

Titolo: Viscera
Autore: Simone Volponi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Thriller Gialli
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 13 luglio 2021
Editore: Ambrosia Libri

TRAMA


Viscera è un uomo che non può fare nessun viaggio all’Inferno perché ci sta dentro da sempre. Non ricorda più neanche quando ha cominciato a fare il suo lavoro: una discarica in cui smaltire tutto, dagli oggetti ai cadaveri, l’ultimo limite del mondo prima di quell’abisso che lui vede tutti i giorni oltre i confini del suo recinto. Ma un giorno, qualcosa torna da quell’abisso…

RECENSIONE


Tutti hanno un conto alla rovescia dentro, una bomba a orologeria inserita nel petto. Lo zero può scattare in qualsiasi momento.”


Leggete bene questa frase e riflettete: adesso ci siete e, un momento dopo, potete non esserci più.  E, badate bene, non si tratta di sfiga o destino avverso, è semplicemente lo scorrere della vita.

Alcune notizie di cronaca nera che passano al TG sono difficili da ascoltare, sopportare e accettare per l’orrore che suscitano. I personaggi di questa storia noir a tinte soprannaturali ci sono tutti dentro fino al collo, in un loop senza fine che li risucchia, giorno dopo giorno. Ognuno di loro ha un ruolo ben preciso che si è scelto liberamente per divertimento, piacere, abitudine, noia, soldi. Nessuno è costretto, se ci si trova nel giro è perché si vuole far parte dell’ingranaggio. Come tutte le società che si rispettano, anche qui ci sono compiti da assegnare e da svolgere e regole da rispettare; e chi non lo fa, ne paga le conseguenze. Ciò che è  difficile non è nascondersi, proteggere la famiglia o gli amici. Niente di tutto questo. Quando entri nel giro sei fortunato solo se riesci a uscirne vivo.

Con un linguaggio crudo, diretto e ironico l’autore ci racconta la storia di Viscera che è colui che chiude dignitosamente questa catena e fa tornare i conti. Non pensate che quello sia il suo nome, in pochi conoscono quello vero e quando lo scoprirete anche voi, ne rimarrete sorpresi. Nel giro sanno che se c’è un problema da risolvere, di qualsiasi cosa si tratti, smaltire un oggetto o un essere umano, ci pensa Viscera a rottamare e lo si contatta, esclusivamente sul cellulare, per un appuntamento. A vederlo è un uomo spaventoso per il lavoro che fa e per il suo aspetto fisico imponente, una vera e propria montagna che cammina indolente. Il rumore, la gente, la vita gli fa venire la nausea; preferisce tenersi alla larga da tutto, stare da solo, avvolgersi nelle spire del tanfo di grasso, lavarsi immerso nel suo sudore e con la carne morta che gli cresce e gli marcisce attorno. È lì che vive, sta bene e fa il suo sporco lavoro. Ci vuole lucidità, freddezza, professionalità e metodo per svolgerlo al meglio e soprattutto, non bisogna avere paura della morte.


Dovrebbe farmi paura la freddezza che provano nei confronti della morte. Non ne capiscono il valore. Ma non ho paura di loro, ho paura per loro, per come cambieranno il mondo. Se lo bevono, il mondo, e cagano l’Armageddon.”


Viscera non ha mai avuto paura di niente e di nessuno, lo contraddistinguono mani grandi e occhi freddi ma con un guizzo di intelligenza in fondo. Poi viene il giorno in cui sperimenta il terrore, il dolore e il piacere della morte che ritorna, ma quando arriva non chiede il permesso, non bussa alla porta.

La morte si ripresenta viva, bella, insolente e fastidiosa e non lo molla, giorno o notte che sia. Viscera imparerà a riconoscerla, gestirla, sopportarla e a conviverci; lui che ama la solitudine, ora vive con l’ombra della morte addosso che gli parla, gli sussurra alle orecchie, lo tenta e lo coinvolge nei suoi piani.

I personaggi sono tutti tratteggiati e caratterizzati con le loro abitudini, i modi di esprimersi a voce, nei gesti e nell’abbigliamento. Li riconosci, uno a uno, appena compaiono tra le pagine e non puoi sbagliare. Noti il timbro e l’accento della voce, il passo deciso o strascicante, senti l’olezzo o il profumo quando arriva, provi piacere o disgusto a incontrarlo. Ognuno ha una storia personale e Simone Volponi la racconta vomitandotela addosso con la sua estrema verità. Come farà Viscera a salvarsi, come ne usciranno le persone coinvolte? Quale sarà il ruolo della morte in questa vicenda? Tutte domande a cui si trova una risposta arrivando alla fine. Non c’è una trama che posso delineare perché la storia non può essere anticipata. Dovrete scoprirlo voi leggendo cosa nasconde una famiglia rispettabile e rispettata da tutti, cosa si cela dietro un membro influente del mondo politico o ecclesiastico, cosa è sepolto sotto strati e strati di terra. Affioreranno segreti sepolti perché, prima o poi, vengono sempre a galla. Orrore e risate vi accompagneranno in questo viaggio alla ricerca della verità. Volete sapere se c’è un lieto fine? Posso solo dirvi che passerete all’Inferno e arriverete in Paradiso. Fatevelo bastare.

BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

Titolo: Buskashì: Viaggio dentro la guerra
Autore: Gino Strada
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 11 Dicembre 2013
Editore: Feltrinelli Editore

TRAMA


La buskashi è il gioco nazionale afghano: due squadre di cavalieri si contendono la carcassa di una capra decapitata. È violento, senza regole. L’unica cosa che conta è il possesso della carcassa, o almeno di quello che ne resta al termine della gara. È come il tragico gioco a cui partecipano i numerosi protagonisti del conflitto afghano. Una partita ancora in corso, solo che al posto della capra c’è il popolo dell’Afghanistan.Buskashi è la storia di un viaggio dentro la guerra, che inizia il 9 settembre 2001 con l’assassinio del leader Ahmad Shah Massud, due giorni prima dell’attentato di New York. Un viaggio “clandestino” per raggiungere l’Afghanistan nel momento in cui il paese viene abbandonato da tutte le organizzazioni internazionali e si chiudono i confini. L’arrivo nella valle del Panchir, l’attraversamento del fronte sotto i bombardamenti per raggiungere Kabul alla vigilia della disfatta dei Talebani, la conquista della capitale da parte dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord, la Kabul “liberata”: l’esperienza della guerra vista dagli unici testimoni occidentali della presa di Kabul.Un viaggio nella tragedia delle vittime, e insieme una riflessione sulla guerra, sulla politica internazionale, sull’informazione e sul mondo degli aiuti umanitari. 

RECENSIONE


Qui, nella vita degli afgani è il vero confine, il territorio della mente che dobbiamo ancora esplorare per capire la guerra, e per odiarla. Con le pietraie del passo, bisogna lasciare alle spalle anche il pensiero occidentale. Siamo in Afghanistan. “Vivo o morto” è diverso, ora. Ora siamo dentro la guerra.


Lo spiega molto chiaramente Gino Strada in questa sua opera dal titolo Buskashi`: il tentativo di raggiungere e superare il confine afgano nel settembre 2001 per riaprire l’ospedale Emergency di Kabul, di cui questa opera è il resoconto, è in realtà il simbolo del superamento della mentalità occidentale.

Quella che ritiene la guerra un male necessario, nonostante poi a pagarne il prezzo siano i civili indifesi soprattutto bambini, e che si creda non ci riguardi perchè infesta luoghi molto lontani da noi.
Perché di questo si tratta, superare un limite mentale, un confine ideologico che va oltrepassato, espresso alla perfezione in questo passo, uno dei più conosciuti.


Questo è il vero confine, quello più difficile da attraversare. Fare propria, rispettare l’esperienza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda “altri” anziché noi stessi. Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.


L’autore di questo libro ha passato la sua intera esistenza dentro i conflitti, un argomento di cui non è semplice parlare, si corre il rischio di cadere in una retorica spiccia, perché diciamocelo che ne sappiamo noi della guerra?

Al di là delle ovvie considerazioni astratte sugli orrori che porta con sé, per noi che la vediamo filtrata dai media, dall’informazione, dai racconti di popoli lontani, resta una realtà che possiamo provare ad immaginare ma che in realtà non conosciamo e forse ancor meno comprendiamo.

Paradossale se pensiamo invece che per chi la vive sulla propria pelle è invece quanto di più concreto si possa toccare : paura, violenza, sofferenza, dolore, povertà e incertezza sono molto concrete per chi le deve vivere ogni giorno. Così ho voluto provare a toccare un po’ di questa concretezza attraverso le parole scritte di chi la guerra la conosce bene, perché l’ha vissuta da molte angolazioni, l’ha provata sulla propria pelle, l’ha dovuta inserire nelle trame della vita propria e della propria famiglia.


Mi sono trovato a parlare con me stesso. Un déjà vu, e insieme una situazione nuova, imbarazzante. Che cosa fai qui? Come lo spieghi a Cecilia, a Teresa? Che cosa dici loro, per convincerle che è giusto che tu sia qui, per far credere che tutto ciò valga il loro rischio di non rivederti?


Nasce così questo piccolo omaggio al compianto Gino Strada, in ricordo del primo mese trascorso senza di lui. Un personaggio di una caratura morale tale da ispirare molto più che ammirazione e forse anche un senso di riverenza per la forza del messaggio che ha costituito la sua intera esistenza. Buskashi` racconta eventi passati ma purtroppo molto attuali, nonostante siano trascorsi vent’anni dagli accadimenti in esso descritti. Il fondatore di Emergency non delude nemmeno in qualità di scrittore : emerge prepotente lo spessore di questo essere umano che ha votato la propria esistenza alla cura e al sostegno dei deboli e degli indifesi.

Attraverso di esso lascia ai lettori messaggi molto chiari, che non si riconducono solo al desiderio di pace ma a molto di più. Pensieri e posizioni espresse consapevolmente perché  frutto di esperienze vissute in prima persona, che personalmente condivido, tra i quali spicca una verità che in molti paesi non è realtà: i diritti umani vanno costruiti non declamati. Un messaggio molto potente e sicuramente nitido: tutti hanno diritto ad una vita dignitosa, libertà e cure mediche, che non si ottengono con politiche astratte e discorsi filosofici ma con azioni concrete, tradotte in istruzione, assistenza medica, lavoro.

Buskashi` è un libro diviso in due parti, la prima appunto un diario di viaggio, difficile, faticoso, impervio dentro un paese violentato da ideologie, interessi e giochi di potere prima e dalla guerra poi. La seconda la cronaca degli eventi vissuti una volta raggiunta la città in questione, prima della sconfitta dei talebani. Un resoconto autentico e tangibile di cosa significa sfidare le difficoltà, non arrendersi, mettere in gioco tutti se stessi nell’intento di aiutare chi soffre a costo della propria incolumità, al termine del quale il lettore prenderà consapevolezza che nascere in luoghi dove regnano democrazia, uguaglianza, libertà e soprattutto pace non è un merito ma una fortuna. Se la guerra incombe su popoli lontani da noi per posizione e cultura è solamente un puro caso.


Perché non si tratterà più di essere musulmani, ebrei o cristiani, né di essere di destra, di centro o di sinistra, per farsi un’opinione sulla guerra. Basterà ricordare quelle storie, e mettere Anna al posto di Jamila, e Mario invece di Waseem.


Un titolo volutamente simbolico: Buskashi` è il nome di un gioco afgano dove ci si contende la carcassa di un animale. Ecco che l’Afganisthan diventa come questa carcassa, un territorio conteso tra i partecipanti ad una guerra che prende ufficialmente il via in seguito a due attentati di natura diversa, ma che in realtà è l’ennesimo tentativo di trarre profitto in un gioco geopolitico che nulla ha a che vedere né con la religione né con la giustizia. Non fosse per il fatto che il libro narra eventi reali durante i quali la sicurezza di Gino Strada e collaboratori è messa in serio pericolo, si potrebbe definire quasi un racconto avvincente, dallo stile incalzante, anche avventuroso. Ma in realtà attraverso queste pagine Gino Strada vuole dire molto di più: ci lascia dei mattoni con cui egli stesso ha iniziato a costruire la pace, un’eredità che tocca a noi continuare.

Mattoni composti da umanità, senso del dovere, generosità, amore per il prossimo, desiderio di aiutare chi soffre, senso della giustizia, tutte qualità di quest’uomo straordinario, incarnate nella sua creatura più importante e più bella, gli uomini e le donne di Emergency.
Questo libro mette inevitabilmente in moto i pensieri, perché è impossibile restare impassibili di fronte al racconto dei giochi di potere, delle ideologie estreme, dell’efferatezza delle azioni umane, di tutte quelle mostruosità che costituiscono la guerra.Una lettura che si è rivelata un forziere con molti tesori, che risplendono soprattutto per lo stile con cui l’autore li ha portati alla luce, facendoli emergere dalle macerie di una bomba esplosa, dalle ferite di bambini mutilati, dalle lacrime di famiglie distrutte.

Un paese martoriato raccontato con uno stile personale, che come in un’altalena alterna cronaca e riflessioni ad un lieve tocco di umorismo. Quasi un’” italianità” dei protagonisti, come un’impronta dello spirito che li contraddistingue, che non solo stempera il dramma che si trovano ad affrontare ma lascia passare in mezzo alle crepe dovute alla distribu anche molto cuore.
Regalatevi la lettura di un libro che è innanzitutto la condanna dei poteri politici che direttamente o no sono di fatto i promotori e i finanziatori dei conflitti, di un’informazione asservita alla politica molto lontana dalla trasparenza e dalla verità. Il racconto dello scontrarsi con l’estremismo, con la perdita di umanità, uno sguardo attento alla disparità di diritti tra i popoli del mondo. E infine una dichiarazione d’amore alla moglie Teresa e alla figlia Cecilia.


Teresa è una sorpresa, ogni giorno. Sorprende tutti coloro che la conoscono, per l’intelligenza e la simpatia, perché è bellissimo ascoltarla, e guardarla. Sorprende per la sua capacità, unica, di capire le persone, di tenere insieme un gruppo, dando molto a tanti, anche nei momenti difficili.


Incontrerete persone autentiche e non personaggi, conoscerete teorie poco ortodosse ma provate sul campo, come il “rischio pecora”. Gino Strada ci ha lasciato tanto, le sue parole scritte sono un ulteriore dono di cui consiglio di avvalersi. Perché con questa testimonianza e soprattutto con il suo esempio ci ha dimostrato che il concetto di utopia è solo nella nostra mente, qualcosa che non è stato ancora fatto ma che si può realizzare se ci si crede. E forse allora un giorno l’espressione “Al salam alekkum” –  “Che la pace sia con te” potrà diventare finalmente una realtà e non più solo un’idea.

Link per l’acquisto di Buskashi’: Viaggio dentro la guerra QUI

LA CASA DEGLI SGUARDI di Daniele Mencarelli

LA CASA DEGLI SGUARDI

Titolo: La casa degli sguardi
Autore: Daniele Mencarelli
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 18 Febbraio 2020
Editore: Mondadori

TRAMA


Daniele è un giovane poeta oppresso da un affanno sconosciuto, “una malattia invisibile all’altezza del cuore, o del cervello”. Si rifiuta di obbedire automaticamente ai riti cui sembra sottostare l’umanità: trovare un lavoro, farsi una famiglia… la sua vita è attratta piuttosto dal gorgo del vuoto, e da quattro anni è in caduta “precisa come un tuffo da olimpionico”. Non ha più nemmeno la forza di scrivere, e la sua esistenza sembra priva di uno scopo. È per i suoi genitori che Daniele prova a chiedere aiuto, deve riuscire a sopravvivere, lo farà attraverso il lavoro. Il 3 marzo del 1999 firma un contratto con una cooperativa legata all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. In questa “casa” speciale, abitata dai bambini segnati dalla malattia, sono molti gli sguardi che incontra e che via via lo spingeranno a porsi una domanda scomoda: perché, se la sofferenza pare essere l’unica legge che governa il mondo, vale comunque la pena di vivere e provare a costruire qualcosa? Le risposte arriveranno, al di là di qualsiasi retorica e con deflagrante potenza, dall’esperienza quotidiana di fatica e solidarietà tra compagni di lavoro, in un luogo come il Bambino Gesù, in cui l’essenza della vita si mostra in tutta la sua brutalità e negli squarci di inattesa bellezza. Qui Daniele sentirà dentro di sé un invito sempre più imperioso a non chiudere gli occhi, e lo accoglierà come un dono. Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell’alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.

RECENSIONE


La ricerca di un lavoro per ognuno di noi è stata e sarà sempre una priorità.

Lavorare per garantirsi un sostegno economico, per mantenere una famiglia ma anche per la semplice soddisfazione e realizzazione personale.

Ne sa qualcosa Daniele, un ragazzo romano da sempre insoddisfatto della vita che conduce ma ancora incerto sul fatto di volerla davvero cambiare; tanto da cadere nella dipendenza trovando nell’alcool il suo unico momento di benessere.


Ignavia. La povertà d’animo di chi non vuole affondare veramente nella vita e nel dolore degli altri. Sono solo le prime cose di cui mi accuso.


Gli propongono di lavorare come addetto alle pulizie presso l’ospedale pediatrico “Bambino Gesù”, e accetta anche per dimostrare ai suoi genitori di non essere così fallito come tutti pensano.

Ma Daniele ancora non sa che quello non è un impiego qualsiasi, e che entrando per la prima volta in quell’ospedale dovrà essere pronto ad affrontare qualsiasi sfida, mettendo in gioco una forza che nemmeno lui pensa di avere.


Basta osservare con cura, farsi portare nella vita degli altri. Lungo questo corridoio è offerta l’intera gradazione del dolore che attecchisce sui bambini. I più fortunati, animati da una salute di ferro, passeranno qui dentro una mattinata, poi via verso la propria vita, fatta di giochi e divertimenti. Quelli meno, invece, combatteranno con ben altro male e futuro, ad alcuni basta il colorito per dimostrarlo, su altri le cicatrici sono più evidenti, su qualcuno immonde.


Leggere questo libro è stata per me un’esperienza unica, toccante e intensa, che mi ha travolta fin da subito lasciandomi vivere senza fatica ogni dettaglio insieme al protagonista.

E’ raccontato in prima persona e i dialoghi in dialetto romano rendono la lettura scorrevole e a tratti ironica, avvicinandola facilmente a chiunque vi si approcci, spicca di sicuro la figura del protagonista, supportato costantemente dai suoi colleghi di lavoro figure secondarie che restano in disparte ma che arricchiscono la storia del meraviglioso dono dell’amicizia come supporto e dono in ogni momento della vita.

Daniele arriva al “Bambino Gesù” pieno di paure, sentendosi inadeguato per quell’incarico, incontra diverse figure che diventeranno per lui compagni di viaggio, ma da subito deve fare i conti soprattutto con la sofferenza.


Non so perché sono qui, cosa stia cercando, ho soltanto una certezza: quel che ho visto mi parla come fosse una cosa nuova. Non pensavo esistessero ancora primizie da vivere.


Quando in un ospedale i protagonisti sono i bambini, ad un occhio esterno ogni situazione appare fuori luogo e innaturale ma non per loro, che giocano a fare finta, che vedono in una flebo la polvere di stelle che li rende invincibili, che regalano un sorriso a tutti anche se stanno vivendo i dolori più grandi di loro.

Daniele resta affascinato dalla loro forza unica e spiazzante e sente di dover prenderne esempio.

Inizia ad accettare gli incarichi che gli altri rifiutano e che lo costringono ad entrare nei reparti più impegnativi, grazie a questo comprende di trovarsi nel posto giusto, e spinto da una forza inaspettata sente di dover fare di più.


L’attaccamento al mio lavoro è cresciuto di giorno in giorno, come l’inspiegabile attrazione che provo per questo posto, capace di uccidermi ad ogni passo e allo stesso modo di farmi ridere di una spensieratezza mai provata prima.


È stato bello rendersi conto che pagina dopo pagina quel luogo che inizialmente lo terrorizzava, diventa per lui un porto sicuro, dove non esiste la paura ma solo la voglia di provare a star bene, al di là di tutto.


In fondo lì dentro sono ritornato a saper vivere senza alcol. Rido e faccio ridere. Parlo e ascolto.

In realtà ho tutto.


È questo che dovremmo fare ogni giorno, cercare di affrontare ogni prova con coraggio, consapevoli che solo così ne usciremo vittoriosi e felici di aver fatto qualcosa per noi stessi e per gli altri.

Consiglio la lettura di questo libro a chiunque, aprite il cuore alla vostra felicità e cercate sempre il bello in ogni cosa, riuscirete davvero ad essere felici a dispetto di tutto.

Link per l’acquisto di La casa degli sguardi QUI