TUTTA LA VITA CHE RESTA di Roberta Recchia

TUTTA LA VITA CHE RESTA di Roberta Recchia

Titolo: Tutta la vita che resta
Autore: Roberta Recchia
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 5 marzo 2024
Editore: Rizzoli

TRAMA


Uno strappo che sembrava impossibile da ricucire, una famiglia che nel corso degli anni ritrova la strada nella forza dei legami.
Ci sono libri che ti entrano dentro, che ti accompagnano per mano nella vita di tutti i giorni. È ciò che succede con l’esordio magnetico di Roberta Recchia, una storia da cui non ci si stacca, con protagonisti vivi, autentici. Come Marisa e Stelvio Ansaldo, che nella Roma degli anni Cinquanta si innamorano nella bottega del sor Ettore, il padre di lei. La loro è una di quelle famiglie dei film d’amore in bianco e nero, fino a quando, anni dopo, l’adorata figlia sedicenne Betta – bellissima e intraprendente – viene uccisa sul litorale laziale, e tutti perdono il proprio centro. Quell’affetto e quella complicità reciproca non ci sono più, solo la pena per la figlia persa per sempre. Nessuno sa, però, che insieme a Betta sulla spiaggia c’era sua cugina Miriam, al contrario timida e introversa, anche lei vittima di un’indicibile violenza. Sullo sfondo di un’indagine rallentata da omissioni e pregiudizi verso un’adolescente che affrontava la vita con tutta l’esuberanza della sua età, Marisa e Miriam devono confrontarsi con il peso quotidiano della propria tragedia. Il segreto di quella notte diventa un macigno per Miriam fin quando – ormai al limite – l’incontro con Leo, un giovane di borgata, porta una luce inaspettata: l’inizio di un amore che fa breccia dove nessuno ha osato guardare. Tutta la vita che resta è un romanzo prezioso e dolcissimo, doloroso, accogliente, intimo e corale, che esplora i meccanismi della vergogna e del lutto, ma soprattutto dell’affetto e della cura, e li fa emergere con una delicatezza sapiente, capace di incantare e sorprendere.

RECENSIONE


Quando termini di leggere un libro come questo, che riesce praticamente ad ipnotizzarti, difficile poi spiegare senza retorica e ridondanza le ragioni di tanta bellezza. 

Soprattutto volendo parlarne cercando di andare oltre al fatto che indubbiamente questa sia una lettura in grado di scatenare una corolla infinita di emozioni. 

Non si tratta però solo di questo, che certamente è ciò che chiediamo ad una lettura e cioè di regalarci emozioni, penso che ci sia qualcosa in più che probabilmente va ricercato nella completezza dell’ opera e nella sua modernità sebbene sia ambientata nell’ epoca pre internet. 

Questo libro è confezionato, scritto e vestito in modo eccellente, non una sbavatura, non un difetto, nessun inciampo nella narrazione, una trama ricca di sfumature. 

Tutti i personaggi nessuno escluso reali e realistici, incarnano un’umanità tangibile anche se fatti di inchiostro e le loro esistenze intrecciate ma distanti, rievocano la nostalgia di un tempo passato in cui la solidità dei legami si nutriva di piccole cose che dentro a pranzi in famiglia, giornate al mare e dedizione al lavoro, finivano per diventare quelle più significative. 

La scrittura di Roberta Recchia è fluida, attenta ed equilibrata e riesce in modo armonico a intrecciare narrazione e introspezione, con il risultato di tenere il lettore inchiodato a pagine dense di tematiche quanto mai attuali che sviscerano quanto siano radicate nella nostra cultura convenzioni e pregiudizi di genere e di classe. 

La Roma borghese e la povertà dignitosa della borgata si confrontano in una vicenda toccante dai risvolti inattesi che conferma quanto forma e sostanza non vadano sempre di pari passo. 

Addizioniamo tutti questi aspetti e abbiamo un risultato portato a casa con la lode per l’ esordio letterario di quest’ autrice, insegnante di liceo che sta conquistando meritatamente sempre più lettori con Tutta la vita che resta, suo primo libro per l’ appunto. 

Un romanzo contemporaneo nei temi seppur ambientato nella Roma degli anni ‘50 prima e degli anni ‘80 successivamente, in cui mi sento di dire la vera protagonista è proprio la vita. 



In questa vicenda ci sarà un evento che farà da spartiacque tra la vita di prima e quella del dopo, una tragedia che inghiottirà ogni cosa, ogni legame, segnando una linea invisibile di demarcazione, fatta di silenzi e recriminazioni, di dolore e solitudine, tra la vita precedente e quella immediatamente successiva al fatto in questione. 

Un buco nero in cui l’autrice non teme di immergersi riuscendo a portare il lettore con sé, esplorando non solo il dolore della perdita che desertifica ogni cosa, ma anche quello di una violenza subita. 

Questa però è solo una tappa di questo viaggio meraviglioso che Roberta Recchia ci invita a fare perché sarà attraverso questo passaggio tra il prima e il dopo, che ci mostrerà la forza riparatrice dei legami. 

Uomini e donne di questo romanzo li vivono e ce li raccontano con umana imperfezione e tenerezza, mostrandoci la capacità quasi “sovrannaturale” dell’amore nelle sue diverse declinazioni di ricucire gli squarci dell’ esistenza. 

Un messaggio di speranza che l’autrice affida soprattutto alle donne del suo romanzo, vittime di pregiudizi, prevaricazione e violenza, allora come oggi, ma che traggono la forza di superarle l’ una dall’ altra. 



Questo è un libro che lascia prepotentemente traccia di sé provando ad alleggerire quel senso di schiacciamento che abbiamo un po’ tutti verso le brutture del mondo dicendoci di non chiuderci di fronte ad esse ma di aprirci a ciò che c’è di buono ognuno come può. 



Anche Vasco cantava di voler trovare un senso a questa vita, Roberta Recchia ci ha regalato il suo di senso, che si può riassumere in questo estratto: 



Bello, doloroso, stupefacente. Un po’ come la vita. 


VOLTARE PAGINA di Ester Viola

VOLTARE PAGINA di Ester Viola

Titolo: Voltare pagina
Autore: Ester Viola
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 10 gennaio 2023
Editore: Einaudi

TRAMA


Curare le pene d’amore coi libri si può, ma bisogna saper leggere. C’è una storia giusta per ogni struggimento del cuore, il romanzo perfetto per voltare pagina: è cosí che la penna sulfurea di Ester Viola diventa un balsamo per lenire le ferite. Anna Karenina, Nick Hornby, L’amica geniale, Sally Rooney, Domenico Starnone, Frammenti di un discorso amoroso: nelle loro pagine ogni innamorato tradito, geloso o non corrisposto potrà trovare risposte impreviste alle sue domande impossibili. Dieci racconti irresistibili, un manuale di self-help letterario, una microterapia per cuori infranti. «Non esistono libri capaci di salvare la vita ai lettori, ma alcuni ci provano meglio di altri». C’è chi non si è mai ripreso dal primo amore; chi di amori ne ha mille, e nessuno buono; chi è tradito e vede tutti traditori; chi è tradito e fa finta di niente, perché la coppia funziona meglio in tre; chi è alle prese con un narcisista. E poi c’è la ragazza che dalla vita ha avuto tutto e adesso non le piace niente; quella che non ha avuto niente e pensa che niente è quello che si merita… In una Milano scintillante ma severa, soprattutto negli uffici legali frequentati dalla protagonista di questi racconti, proliferano solitudini e matrimoni andati a male, rimpianti per la provincia e dipendenze dai social network. Ma l’amore rimane comunque un affare complicato, basta rileggersi Anna Karenina. Esistono i libri medicinali? Quelli capaci di farci «voltare pagina» nella vita? Ci si rifugia nei libri per distrarsi, per trovare conforto, per capire meglio cosa non ha funzionato e non ripeterlo. Una pagina, un personaggio, perfino una frase: a volte bastano per curare una ferita del cuore, se non per raddrizzare una storia storta. Perché se trovi le parole per raccontarle, «le cose perdono la punta, l’ago e il veleno».

RECENSIONE



Sarà perché fin da piccoli l’ amore ce lo raccontano attraverso narrazioni che poco hanno a che vedere con la realtà finisce che poi ci convinciamo che effettivamente sia come ci viene raccontato: uno dei più grandi inganni che l’ uomo si sia autoinflitto. 

L’ amore è quanto di più complicato, complesso e impegnativo si possa immaginare, e questo libro fa parte di quel tipo di letteratura meno fantasiosa che prova a raccontarcelo con vivida lucidità. 

Ester Viola, avvocata e scrittrice, fonde queste due attività in una raccolta di dieci racconti che però non definirei un manuale quanto piuttosto un ricettario. 



Secondo l’autrice infatti, alcuni libri più di altri hanno un potere curativo, permettono la svolta, aiutano a “voltare pagina” come recita il titolo, riferendosi nella fattispecie alle pene d’amore. 

Tali tormenti amorosi possono essere analizzati e quindi superati grazie alle pagine di una storia in cui ci si possa identificare o in cui trovare un senso a ciò che si sta vivendo. 

Motivo per cui la voce narrante del libro che è identificabile con la stessa autrice, consiglia ai personaggi di cui racconta, dieci libri che spaziano da classici famosi a successi editoriali più recenti, grazie ai quali potrebbero accorgersi di essere impantanati in meccanismi, relazioni e ideali tanto inconcludenti quanto dannosi. 

Una lista di manoscritti grazie ai quali sopravvivere all’ amore, perché per quanto esso sia fonte di gioia e piacere è anche ciò che causa dolore. 

Avrete intuito che Ester Viola non illude, 

la sua penna non “tocca piano”, al contrario sfrega l’ anima senza delicatezza ma dritta al punto, diretta, asciutta mostra tutto quello che sta sotto la pelle e sotto la facciata che alla società piace tanto mostrare. 

Ce n’è di polvere sotto il tappeto e questa autrice non ha paura di sollevarlo, per parlare di un tema, le relazioni amorose, con l’aderenza alla realtà e cioè mostrando come spesso esse siano teatro di scontro, un po’ come in tribunale. 

Ed è così che se l’ accusa si basa su luoghi comuni e retorica sull’idea che universalmente ci raccontiamo sull’amore, per la difesa invece la voce narrante affronta il tema così come è e non come vorremmo che fosse. 

Coppie di lunga data, coppie in procinto di separarsi, uomini e donne in cerca dell’ amore, altri che non riescono ad afferrarlo, rapporti le cui dinamiche contemplano il tradimento, la noia, il potere, la paura, la disillusione e tanto altro, a cui il libro consigliato offre la possibilità di vedersi riflessi, di ricevere un pensiero adatto al momento, una riflessione che è proprio quella di cui hanno bisogno, un punto di vista che non avevano considerato ma che rende tutto più chiaro. 

Tutto narrato con una prosa che sa fondere profondità e ironia e uno stile vivace che senza incedere in un eccessivo cinismo ma con una realissima dose di saggezza e verità, frutto di un mix tra esperienza e sensibilità, parla di sentimenti in modo concreto. 

Si spazia veramente molto nella vastità delle dinamiche tra persone, affrontando questioni che hanno molto a che vedere con la psicologia seppur non si parli di essa esplicitamente. 

Ce n’è veramente per tutti e anche per stagioni della vita diverse eppure ci sarebbe ancora tanto altro da dire. 

Questo libro è un buon punto di partenza però, una visione raccontata con chiarezza che in alcuni capitoli si sposerà con la vostra, in altri meno, in alcuni per niente, ma sarà impossibile non trovare qualcosa che ognuno di noi ha vissuto in amore o comunque in una relazione personale. 

E quel qualcosa che incontrerete e sembra parlare di voi sarà uno stimolo, un ricordo , una piccola spinta, un lieve conforto o un forte scossone. 

E allora anche questo libro avrà fatto quello di cui narra, sarà servito a qualcosa. 



I SORRISI NON FANNO RUMORE di Enrica Tesio

I SORRISI NON FANNO RUMORE di Enrica Tesio

Titolo: I sorrisi non fanno rumore
Autore: Enrica Tesio
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 25 ottobre 2023
Editore: Bompiani

TRAMA


“Non dovrei dare nulla per scontato, dovrei essere concentrata come un dio, esercitare l’amore in ogni momento, perché l’amore è esercizio di presenza”: questo pensa ogni madre quando rimprovera a sé stessa una défaillance, e questo pensa anche Antonia, detta Toni, brillante scrittrice di libri illustrati, che il suo ex marito chiama mélomamma ma è solo la genitrice affaticata di una figlia preadolescente e non riesce a perdonarsi tutta la stanchezza che ha nel cuore. Ma Toni non molla, ogni mattina si sveglia e affronta una nuova giornata, anche quando il Natale si avvicina con i suoi obblighi di riunioni familiari e tintinnante felicità che per lei suonano in contraddizione. Continuare a correre e stringere i denti, però, non sempre è la strategia giusta: il rischio è di fermarsi all’improvviso e dire la verità tutta insieme. È così che una mattina di dicembre, davanti a una platea di bambini e insegnanti, Toni guarda il buio oltre il cono dei riflettori e dice poche parole che infrangono irrimediabilmente il tabù del Natale. Subito intorno a lei si leva un’ondata di sdegno che attraverso i social diventa una tempesta, capace di travolgere tutto e di scaraventarla indietro, al cuore della sua infelicità: in quel posto dove ciascuno è costretto a guardare negli occhi sé stesso per capire come risalire. Un posto dove si può essere molto soli, ma può anche capitare di incontrare qualcuno come Riccardo, che a Toni ricorda: “A qualcosa serviranno, tutti questi errori”. Fresco come il vento dell’est che porta con sé Mary Poppins, questo è un romanzo di adulti e di bambini, di elfi natalizi e e-mail dirette in Lapponia, di addii, di guai e d’amore, che ci racconta noi stessi, il nostro tempo veloce, le ipocrisie in cui troppo spesso stritoliamo i nostri desideri. Con il suo timbro inconfondibile Enrica Tesio scrive una fiaba metropolitana amara e dolce, capace di farci sorridere nel buio.

RECENSIONE


Acquistando questo libro non pensavo mi sarei trovata di fronte ad una protagonista come questa, una donna smarrita dalla spiccata sensibilità, che mi ha ispirato da subito una sorta di familiarità, una immediata simpatia, una vicinanza emotiva che mi ha fatto pensare fosse il momento giusto per questa lettura, dandomi riconferma che siano i libri a scegliere noi e non viceversa.

E’ bastato l’incipit ed ero già conquistata:


Ambientato in quel periodo così strano che precede il Natale, l’ atmosfera della narrazione ne ricalca tutte le sensazioni, un misto di dolcezza e nostalgia, felicità e amarezza.


La protagonista Toni è una donna stanca di quella stanchezza dello spirito che ad un certo punto ti costringe o a crollare o a fermarti, ma comunque in entrambi i casi a interrompere quel flusso di circostanze, relazioni ed eventi che in qualche modo ti stanno facendo soccombere.



Ho adorato questa protagonista, una figura di donna attuale e consapevole che in qualche misura ha legittimato questa stanchezza del cuore citata nella sinossi che, ci racconta Enrica Tesio, è anche figlia del nostro tempo, quello veloce, del giudizio facile, della vita a misura di social, dell’ uniformarsi, del rendimento sempre alto, della fatica nel conciliare famiglia e carriera, della difficoltà di dare voce alle emozioni.

“I sorrisi non fanno rumore” è la storia di una infelicità latente con cui prima o poi si è chiamati a fare i conti quando si perde il baricentro della propria esistenza, del proprio sentire e si dà più importanza all’ approvazione esterna piuttosto che alla propria unicità, quando si perde di vista se stessi.

È una dissezione chirurgica di questa infelicità che mostra tutte le sue diramazioni interne: il senso di inadeguatezza come madre, come moglie, come figlia, la fatica di nascondere le proprie fragilità, la propria solitudine, il peso della maschera che ci si trova ad indossare.

Ma è un’ operazione questa che non annega il lettore in un mare di tristezza bensì lo fa navigare dolcemente: è una traversata questo libro che fa navigare in acque più o meno agitate, sicuramente non risparmiando di scendere nelle sue profondità.

Lo stile con cui quest’ autrice racconta questo tsunami dell’esistenza è molto ironico e brillante, una ironia che stempera quelli che appaiono gli aspetti meno virtuosi del vivere moderno, incarnati nei personaggi di contorno della vicenda, la manager Buonanno e la mamma di Milo tra tutti, figure che senza l’ironia che le ammanta risulterebbero quasi grottesche.

E invece sono il ritratto dei tempi attuali e il vestito che indossano: un bisogno dilagante di conferma del proprio valore attraverso la ricerca affannosa di visibilità, di piacere immediato, di affermazione attraverso l’ immagine, del politicamente corretto, del “così fanno tutti”.



Dal rapporto madre figlia che fa vibrare di commozione attraverso i dialoghi scritti con un fantomatico Babbo Natale, inseriti tra un capitolo e l’altro, alla relazione di coppia che finisce per trasformarci in quello che non siamo, al rapporto con la carriera e la fama che devono giocare all’ equilibrista con il ruolo di genitore, passando per la perdita in tutte le sue forme, Enrica Tesio non si risparmia, introduce il lettore fin negli angoli più intimi e dolorosi della vita della protagonista che è altresì quella di qualunque di noi.



Tre fasi che sono tutto, tutto quello che conta e che questo libro affronta con toccante sensibilità senza perdere di realismo.

Se vi è capitato di sentire il desiderio di nascondervi quando ad un certo punto tutto è troppo, questo è il libro che fa per voi.

Ma sappiate che le sue parole vi staneranno e terminata la lettura forse sentirete di poter uscire per un po’ dal vostro nascondiglio.



GRANDE MERAVIGLIA di Viola Ardone

GRANDE MERAVIGLIA di Viola Ardone

Titolo: Grande Meraviglia
Autore: Viola Ardone
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 settembre 2023
Editore: Einaudi

TRAMA


«L’amore è incomprensibile, una forma di pazzia». Nel candore dello sguardo di Elba il manicomio diventa un luogo buffo e terribile, come la vita, che Viola Ardone sa narrare nella sua ferocia e bellezza. Dopo “Il treno dei bambini” e “Oliva Denaro”, “Grande meraviglia” completa un’ideale trilogia del Novecento. In questo romanzo di formazione, il legame di una ragazzina con l’uomo che decide di liberarla rivela il bisogno tutto umano di essere riconosciuti dall’altro, per sentire di esistere. Elba ha il nome di un fiume del Nord: è stata sua madre a sceglierlo. Prima vivevano insieme, in un posto che lei chiama il mezzomondo e che in realtà è un manicomio. Poi la madre è scomparsa e a lei non è rimasto che crescere, compilando il suo “Diario dei malanni di mente”, e raccontando alle nuove arrivate in reparto dei medici Colavolpe e Lampadina, dell’infermiera Gillette e di Nana la cana. Del suo universo, insomma, il solo che conosce. Almeno finché un giovane psichiatra, Fausto Meraviglia, non si ficca in testa di tirarla fuori dal manicomio, anzi di eliminarli proprio, i manicomi; del resto, è quel che prevede la legge Basaglia, approvata pochi anni prima. Il dottor Meraviglia porta Elba ad abitare in casa sua, come una figlia: l’unica che ha scelto, e grazie alla quale lui, che mai è stato un buon padre, impara il peso e la forza della paternità. Con la sua scrittura intensa, originale, piena di musica, Viola Ardone racconta che l’amore degli altri non dipende mai solo da noi. È questo il suo mistero, ma anche il suo prodigio.

RECENSIONE


Parlare di malattia mentale e farlo con stile, tenerezza e poesia tutto insieme è per pochi. 

L’ argomento è spinoso, pieno di finte credenze, spesso scomodo come tutti i temi complessi, che possono far cadere in facile retorica. 

E invece Viola Ardone non la sfiora nemmeno la retorica né cade nella trappola del mero sentimentalismo, tutto l’ opposto. 

Con una scrittura magistrale, che incatena, affascina e commuove ci regala un racconto vero, duro, di un’ intensità e una bellezza rari. 

Grande meraviglia, questo il titolo del suo ultimo libro, nonché il nome del protagonista maschile del romanzo insieme alla giovane Elba, che il dottor Fausto Meraviglia appunto vuole salvare da un’esistenza vissuta interamente all’ interno del manicomio. 

Il manicomio raccontato nel libro è una struttura tra le tante che nei primi anni immediatamente successivi all’ emanazione della legge Basaglia era ancora in funzione in quella sorta di limbo che ha preceduto la chiusura di tutte le strutture. 

Il racconto della vita non vita all’interno di quelle mura, dei disumani metodi di “cura” che cura non era, della solitudine ed emarginazione di questi uomini e donne è doloroso. 

Il dolore maggiore che scorre liquido tra le crepe di queste mura è la consapevolezza che i manicomi non erano luoghi di cura, ma luoghi di dolore, dove nascondere persone considerate socialmente inadatte a vivere in comunità, come fossero guaste, irreparabili sottoponendole a trattamenti brutali spesso senza evidenza clinica ma in ragione del desiderio delle famiglie di allontanarle. 



Molte infatti sono le donne e le giovani che compaiono nella vicenda come creature fragili e ammantate di dolore, pazienti del Fascione, il manicomio di Napoli, che fanno delle loro manie, delle loro difficoltà e delle loro psicosi un mantello con cui proteggersi dal mondo, ed il lettore per questo non può che affezionarvisi e guardarle con tenerezza , perché riconosce l’origine di queste fragilità: la mancanza di amore o il troppo amore che alimentano il dolore del cuore. 



Nonna sposina, Aldina la poetessa, la Nuova, la Mutti, la stessa Elba. 

Anime che abitano un mondo a parte, il mezzo mondo come lo chiama lei ma è poi così tanto diverso da quello che c’è fuori abitato dai mica-matti? 



Tra tutte la giovane Elba è un personaggio indimenticabile, ragazzina sfrontata ma acuta, che sa osservare e cogliere la realtà con precisione matematica, non per niente la misura con numeri decimali. 

È lei che diventa messaggera di una verità di cui tutto il libro è permeato, e cioè che l’ amore probabilmente non sempre cura e non sempre salva però ci permette di esistere, quello che davvero cura è la libertà. 

Un concetto di cui si fa paladino anche il protagonista il dottor Meraviglia che vuole dare la libertà a Elba nata e cresciuta in manicomio. 

Un anti eroe per eccellenza, marito impegnativo, padre assente, uomo pieno di ideali in nome dei quali sacrifica senza remore gli affetti a lui più vicini. 

Un personaggio complesso come il rapporto che intesse con questa piccola paziente con il nome di un fiume, con la quale il ruolo di padre assume sostanza profonda, dando vita ad un legame forte come lo sono quelli delle anime che si riconoscono e si scelgono. 

Un romanzo denso e toccante raccontato dalla voce dei protagonisti e diviso in quattro parti su livelli temporali diversi, che nell’ intenzione dell’autrice non vuole assolvere solo al compito di denuncia di fronte al passato della malattia mentale. 

Viola Ardone fa di più, ci butta nelle profondità dell’animo umano senza sforzo, senza sotterfugi e senza giudizio, con la lente di chi sa maneggiare le parole per creare emozione a mostrarci da angoli diversi le altezze e le bassezze dell’esistenza. 

Ci racconta dell’ amore che attraversa le nostre vite sia che lo abbiamo meritato, elemosinato, cercato o schivato, della libertà, non solo fisica ma anche della mente, della solitudine che spaventa, degli ideali che a volte sono così alti da allontanarci da tutto nel tentativo di raggiungerli, e del segno che lasciamo nel mondo e nelle esistenze degli altri. 

Di tutto quello che crediamo di aver perso ma che invece si è solo trasformato. 



OLIVA DENARO di Viola Ardone

OLIVA DENARO di Viola Ardone

Titolo: Oliva Denaro
Autore: Viola Ardone
Serie: unico spettacolo
Genere: Narratriva, formazione
Spettacolo teatrale
Tipo di finale: Chiuso
Data: 18/01 – 21/04 2024
Produttore: Agidi, Goldenart Production

TRAMA


C’è una storia vera, e c’è un romanzo. La storia vera è quella di Franca Viola, la ragazza siciliana che a metà degli anni 60 fu la prima, dopo aver subito violenza, a rifiutare il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Il romanzo prende spunto da quella vicenda, la evoca e la ricostruisce, reinventando il reale nell’ordine magico del racconto. 

All’inizio Oliva è una quindicenne che nell’Italia di quegli anni, dove la legge stabiliva che se l’autore del reato di violenza carnale avesse poi sposato la “parte offesa”, avrebbe automaticamente estinto la condanna (anche se ai danni di una minorenne), cerca il suo posto nel mondo. E, in un universo che sostiene che “la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia”, Oliva ci narra, ormai adulta, la sua storia a ritroso, da quando ragazzina si affaccia alla vita fino al momento in cui, con una decisione che suscita scandalo e stupore soprattutto perché inedita e rivoluzionaria, rifiuta la classica “paciata” e dice no alla violenza e al sopruso.

RECENSIONE

Spesso la letteratura trasportata al cinema o a teatro può fare storcere il naso, specie se il prodotto letterario ha suscitato consensi e apprezzamenti. 

È un classico dire non è bello come il libro a proposito di una trasposizione, per la stessa natura del tipo di comunicazione le sensazioni suscitate sono diverse e difficilmente comparabili. 

Capita però di trovarsi davanti all’ eccezione, come con lo spettacolo teatrale tratto dal libro di Viola Ardone “Oliva Denaro” portato in tournée fino ad aprile, con la regia di Giorgio Gallione e la folgorante interpretazione di Ambra Angiolini. 

Un monologo di settanta minuti che l’attrice regge esclusivamente su di sé senza cambi d’abito, con una scenografia essenziale ma evocativa, che permette di muoversi quel tanto che basta per seguire lo spazio ed il tempo della narrazione, con pochi colori e qualche oggetto che assume una fortissima connotazione simbolica. 

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La dimostrazione che non occorre riempire per creare stupore, a volte invece è più d’impatto togliere. 

Il più, è innegabile, lo fanno la recitazione della Angiolini che per quei minuti sul palco sembra essersi cucita l’ anima di Oliva Denaro addosso, e ai dialoghi della Ardone, la cui scrittura è incisiva e intensa, riadattati alla rappresentazione ma fedeli al libro. 

Questi ingredienti creano uno spazio sospeso a cui lo spettatore resta inevitabilmente incatenato, come ipnotizzato dalla voce della protagonista che a ritroso racconta la propria vicenda in diversi momenti della sua vita: dalla giovinezza e i suoi turbamenti fino all’età adulta, passando attraverso eventi drammatici che non ne intaccano però il desiderio di libertà e dignità, ispirata come nel libro, alla vera storia della prima donna ad opporsi al cosiddetto matrimonio d’onore, oggetto di una legge che incredibilmente ed inspiegabilmente esisteva fino al 1981, e lo fa con una intensità tale da creare una corrente emotiva sempre alta tra il pubblico. 

Una storia di formazione, di coraggio, di libertà che indaga contemporaneamente il rapporto tra madre e figlia e tra padre e figlia, le inquietudini della giovinezza, le agitazioni ideologiche e politiche di quegli anni, le convenzioni e tanto altro. 

Il monologo è più che coinvolgente, accarezza e scuote, fa sorridere e commuovere, ma soprattutto fa riflettere: l’ interpretazione di Ambra Angiolini crea la sensazione di essere tutte Oliva. 

Non c’è donna che non abbia sperimentato almeno una volta nella vita la sensazione di non avere via d’uscita o possibilità di scelta per il solo fatto di essere femmina, ed è questa sensazione che si avverte nella pancia. 

Come non potrebbe essere altrimenti trovandosi catapultati in un mondo, in un tempo, in una società in cui la propria madre tramanda alla figlia il detto: 

<<la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia>> 

Ecco quindi che il NO gridato, difeso, da Oliva Denaro nella voce della sua interprete riporta lo spettatore in un presente in cui fortunatamente quella sensazione cessa di esistere. 

E si fa strada invece quella che esprime gratitudine e ammirazione per la forza di un diniego che è andato contro tutti e contro tutto quello che le convenzioni del tempo imponevano come regola, a ricordare una libertà quella di cui godiamo oggi come donne, che è costata un prezzo altissimo.  

Uno spettacolo intenso, dolce e doloroso insieme, coinvolgente e appagante, un momento che invito a regalarsi come un piccolo spazio di bellezza. 

Io sono decisamente favorevole alla bellezza. 

ALLA GENTILEZZA DI CHI LA RACCOGLIE di Raffaella Cargnelutti

ALLA GENTILEZZA DI CHI LA RACCOGLIE di Raffaella Cargnelutti

Titolo: Alla gentilezza di chi la raccoglie
Autore: Raffaella Cargnelutti
Serie: Autoconclusivo
Genere: narrativa storica
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Buono
Data di pubblicazione: 1 luglio 2015
Editore: Andrea Moro

TRAMA


Racconto della prigionia dell’artista Giulio Cargnelutti internato a Buchenwald e sopravvissuto a tante sofferenze che ha raccontato in un diario fatto di immagini.

RECENSIONE


Come già successo negli anni precedenti ho approfittato di una lettura assegnata a scuola a mio figlio per le vacanze natalizie per aggiungere una nuova storia sull’olocausto a cui dedico sempre almeno una lettura all’ anno. 

Raffaella Cargnelutti autrice friulana e critica d’arte, ha regalato ai lettori sotto forma di romanzo la storia vera della deportazione a cui fu sottoposto suo padre nel ‘44 a Buchenwald. 

La collina dei faggi andata a riempire il triste elenco dei campi di sterminio nazisti che rappresenta il paradosso della storia: un luogo dove la natura regala bellezza che invece diventa contenitore di morte e sofferenza. 



Questa storia, racconta l’autrice alla presentazione, nasce dalla volontà di tramandare la memoria di un doloroso passato innanzitutto nelle scuole. 

Da questo seme è successivamente nato il romanzo che colpisce già nel titolo. 

Giulio Cargnelutti padre dell’autrice vergò con questa frase “ALLA GENTILEZZA DI CHI LA RACCOGLIE” la breve lettera gettata nella feritoia del vagone piombato che lo stava trasportando verso la deportazione in Germania, con la speranza di poter dare notizie alla propria famiglia che non aveva modo di sapere più nulla sul suo destino dopo l’incarcerazione. 



Impensabile che la gentilezza possa farsi largo in un momento così drammatico e invece come i fiori nel cemento, questa sopravvive, resiste in mezzo al buio più nero che si possa immaginare. 

Questo romanzo infatti non parla solo di fatti tragici ma anche e soprattutto di amicizia, coraggio e dignità. 

A controbilanciare infatti la descrizione della vita e delle angherie sofferte nel lager, il libro si sviluppa su due piani narrativi, affiancandovi il racconto della vita di chi è rimasto a casa ad aspettare di avere qualche notizia della sorte dei propri cari e che vive la sofferenza della guerra seppur in modo diverso. 

È in questo frangente che conosciamo gesta e azioni di pura generosità sia delle donne, anche giovanissime, dei paesi della Carnia che sostavano nelle stazioni per raccogliere i messaggi dei deportati o dare loro un po’ di cibo e acqua, sia degli stessi ferrovieri che quando possibile aiutavano a scappare quanti più prigionieri potevano. 

Al contrario di quello che si potrebbe pensare a colpire nella lettura non sono le atrocità descritte, ma le piccole tracce di amore invece che aiutano il protagonista a resistere in mezzo a tanto orrore e la tenacia con cui egli vi si aggrappa per non soccombere. 

L’ amicizia con un deportato, la fede incrollabile, la possibilità di disegnare con solo un lapis e qualche pezzo di carta arrangiato, il pensiero della propria famiglia, la dignità di non lasciarsi portare via la propria umanità. 



È questo forse l’aspetto maggiormente inconcepibile ai nostri occhi, il furto di cui ci si sente vittima di fronte alla cronaca storica di questi fatti, e cioè l annientamento di ogni traccia di umanità nei prigionieri, la cui identità e la cui natura di essere umano appunto, finiscono schiacciate dalle privazioni del corpo e della mente in un vortice di violenza così efferata da essere anche difficile da immaginare, figurarsi comprendere. 



Un’ umanità che Raffaella Cargnelutti ci restituisce nelle parole del suo romanzo, regalando con generosità e con uno stile narrativo apprezzabilissimo un pezzo delle sue radici che aiutino a tenere salda la memoria di ciò che è stato e mai più dovrà essere. 

Un libro che consola, che fa toccare lo spessore morale di cui le persone possono essere capaci e che dimostra come il perdono possa diventare l’arma più potente contro la violenza.


ONE LIFE di James Hawes

ONE LIFE di James Hawes

Titolo: One life
Regia: James Hawes
Tratto dal libro: If It’s Not Impossible… The Life of Sir Nicholas Winton di Barbara Winton
Genere: Drammatico
Film per il cinema
Tipo di finale: Chiuso
Data di uscita: 21 dicembre 2023
Produzione: Eagle Pictures

TRAMA


Un agente di cambio britannico visita la Cecoslovacchia alla fine degli anni ’30 e partecipa alla preparazione di piani per aiutare nel salvataggio dei bambini ebrei prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, in un’operazione che diventerà nota come Kindertransport.

RECENSIONE

Ci sono molti capitoli della storia della seconda guerra mondiale che sono sconosciuti ai più o per lo meno sono molto meno famosi. 

A volte però l’arte li riporta in vita, grazie ad un libro o ad un film si spande nelle coscienze la memoria di fatti eccezionali con protagonisti uomini comuni. 

È uno di questi fatti che racconta One Life, film del regista James Hawes uscito a dicembre dell’anno scorso e con protagonista un sempre magnifico Anthony Hopkins. 

Tratto dal libro “If It’s Not Impossible… The Life of Sir Nicholas Winton” scritto da Barbara Winton disponibile solo in lingua inglese, la trama racconta dell’ impegno e della tenacia di un broker inglese Nicholas Winton, nell’ organizzare tra mille difficoltà l’espatrio di migliaia di bambini ebrei dall’allora Cecoslovacchia attraverso viaggi in treno, i cosiddetti “Kindertransport” verso famiglie affidatarie inglesi poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. 

Inutile dire che l’impresa è titanica ma ciò non impedisce al giovane di salvare centinaia di bambini, non solo dalla loro condizione di rifugiati ma dall’ imminente inizio della guerra e dell’eccidio che ne conseguirà. 

Un film che alterna momenti intimi, che seppur privi di dialoghi sono carichi di emozione anche grazie all’interpretazione di Hopkins, ad altri più dinamici della costruzione storica delle operazioni di salvataggio dei piccoli rifugiati che donano allo spettatore l’intensità dei sentimenti in gioco. 

Un’alternanza che si mostra nella doppia linea temporale scelta nella sceneggiatura, quella dell’ inizio del conflitto e quella degli anni ’80 con il protagonista anziano ma ancora tormentato dai ricordi. 

Atmosfere e recitazione tipicamente inglesi, pathos, emozioni intense appunto, pur nel loro contegno britannico incarnato perfettamente dalla recitazione di Hopkins che sostiene tutto il film. 

Egli interpreta l’ormai anziano Nicolas Winton, un uomo che nonostante siano passati anni è ancora profondamente coinvolto dagli avvenimenti del conflitto, quasi prigioniero di ricordi di cui fa fatica a disfarsi perché consapevole che tali ricordi non possono e non devono andare perduti ma vanno custoditi. 

Non possono però essere custoditi da chiunque, il conflitto interiore del protagonista si sviluppa non solo nell’ incapacità di lasciar andare il passato, ma anche nel senso di colpa per non essere riuscito a fare di più (a perenne ricordo di questo senso d’incompiutezza c’è un oggetto in particolare) e nella riluttanza a dare al proprio operato la notorietà che invece servirebbe perché il ricordo non vada perduto. 

Questo il messaggio potente del film che a mio parere si condensa nel telegramma che riceve il giovane volontario dal proprio superiore, vedendosi negato il permesso di proseguire ad assentarsi dal lavoro per prolungare la propria permanenza in Cecoslovacchia: la coscienza morale collettiva è la somma di quelle dei singoli ma non può attuarsi solo con le idee. 

L’accoglienza, la solidarietà, la compassione che quest’uomo ha incarnato con il suo impegno e il suo senso del dovere non possono essere messe in atto senza azioni concrete, con il fare a dispetto di tutto, degli ostacoli, della mancanza di sostegno e dell’ostracismo della burocrazia e a volte anche della politica. 

L’ eroismo, ci racconta la pellicola, non necessita di gesta eclatanti, di rumore, di capacità fuori dal comune, ma tutto l’opposto. 

Il bene si può fare in silenzio, nel proprio piccolo, con intenzione, tenacia, impegno e volontà. 

Una pellicola che ce lo racconta con toni semplici ma che commuove ed emoziona. 

L’EDUCAZIONE DELLE FARFALLE di Donato Carrisi

L’EDUCAZIONE DELLE FARFALLE DI Donato Carrisi

Titolo: L’educazione delle farfalle
Autore: Donato Carrisi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Thriller
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 7 novembre 2023
Editore: Longanesi

TRAMA


La casa di legno brucia nel cuore della notte. Lingue di fuoco illuminano la vallata fra le montagne. Nel silenzio della neve che cade si sente solo il ruggito del fuoco. E quando la casa di legno crolla, restano soltanto i sussurri impauriti di chi è riuscito a fuggire in tempo.
Ma qualcosa non è come dovrebbe essere. I conti non tornano. E il destino si rivela terribilmente crudele nei confronti di una madre: Serena.
Se c’è una parola con cui Serena non avrebbe mai pensato di identificarsi è proprio la parola «madre».
Lei è lo «squalo biondo», una broker agguerrita e di successo nel mondo dell’alta finanza. Lei è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone.
Ma dopo l’incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l’istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell’universo?
E se davvero ci accorgessimo di amare profondamente qualcuno soltanto quando ci appare perduto per sempre?

Questo non è semplicemente l’ultimo capolavoro di Donato Carrisi. Perché Serena non è un personaggio come gli altri, e questa non è una storia come le altre. Questo è un viaggio inarrestabile alla scoperta degli angoli più oscuri del nostro cuore e delle nostre paure, al termine del quale il nostro modo di vedere il mondo, semplicemente, non sarà più lo stesso.

RECENSIONE


Ci sono molti modi per definire il verbo educare, non sempre però la connotazione che assume questo verbo è ammantata di un significato positivo. 

Sì può educare anche al male, si può educare attraverso il plagio, si può plasmare a proprio piacimento attraverso l’ educazione. 

Non posso svelare a cosa si riferisce il titolo dell’ ultimo libro di Donato Carrisi che è tornato alla grande con quest’ ultimo lavoro L’ educazione delle farfalle ma posso affermare che come ci ha spesso abituati, sarà un calarsi lentamente in un abisso in cui sono paure ataviche a sussurrarti di non scendere più, di fermarti. 

Ma sarà impossibile farlo perché la scrittura del maestro ti incatena e staccarsene diventa difficile, la curiosità, il desiderio di trovare qualcosa che spogli dall’ inquietudine provata costringono alla resa, a divorare le pagine una dietro l’altra. 

È dalla presentazione dal vivo presso la libreria “Lovat” di Villorba ( interessata anche da una surreale interruzione) che lo stesso autore racconta da cosa ha avuto origine l’ idea del romanzo, e cioè da una domanda fattagli dal proprio figlio: una farfalla sa di essere stata bruco prima di diventare farfalla? 

Un quesito che l’ autore trasporta allo status emotivo della maternità: una madre sa di esserlo anche prima di diventarlo? 

E una volta diventata biologicamente madre, lo diventa anche nella propria interiorità? 

Domande che troveranno risposta in questo racconto molto avvincente che infatti è soprattutto la storia di un legame madre-figlia. 



Donato Carrisi indaga questo rapporto viscerale attraverso una protagonista che non possiede la men che minima traccia della figura materna convenzionale. 

Serena, broker spregiudicata, soprannominata “lo squalo biondo” non è avvezza ai legami, creatura solitaria della Milano dei piani alti, la città delle nuvole come la chiama l’ autore che fa di questa donna un personaggio complesso e affascinante, quanto più umano e antieroe si possa pensare, ed è questo che attrae. 

Ad alcuni potrà risultare scomodo, antipatico ma nel mio caso non è stato così, è talmente e fortemente autentico, tanto da doverlo accettare così com’è senza giudizio.

Quel che resta addosso di questo personaggio volutamente controverso è la certezza che il come è il quanto si ama non si possano giudicare. 

Nemmeno noi siamo pienamente consapevoli della nostra capacità di amare finché il destino o la vita attraverso eventi, incontri, esperienze non ce ne fanno rendere conto.  

La stessa Serena rinnega un istinto materno che invece si farà strada prepotentemente dentro e fuori di lei e che la porterà a indagare le paure più profonde di un genitore trovandosi suo malgrado all’ interno del peggiore degli incubi. 

L’ autore racconta tutto ciò con una narrazione che sembrerebbe divisa in due parti ma in realtà non lo è. 

La vicenda subisce una naturale evoluzione attraverso un grande cambiamento che avviene nella vita della protagonista. 

Ed è così che ritroviamo anche due ambientazioni opposte ma che legheranno a sé i protagonisti. 

Le vicende si dipanano quindi tra Milano, descritta attraverso il lusso e l’ambizione, la ricerca della leggerezza e dell’ appagamento immediato, dove tutto è veloce. 

Di contrasto poi il campo di azione si sposta a Vion località di villeggiatura svizzera dove tutti si conoscono, i forestieri non sono visti di buon occhio e tutto e più lento ma ammantato dal mistero. 

C’è anche un altro grande protagonista nella storia che è il fuoco, come fosse un personaggio secondario è in realtà una presenza viva nel romanzo, quasi un’ entità, che distrugge ma affascina. 

Da cui tutto ha inizio. 

La cosa più intrigante a mio avviso nella costruzione di questi personaggi è stata che non possono annoverarsi propriamente nella categoria dei personaggi positivi. 

C’è un po’ di buio in ognuno di loro e così il lettore non sa bene cosa pensarne, sono ambigui, misteriosi, enigmatici. 



Questo contribuisce a fare provare al lettore una costante inquietudine, una compagna che lascia addosso un senso di paura, di disagio e di incertezza che non danno tregua, fino all’ ultima riga. 

Ecco perché anche quando lasci andare la storia in realtà lei resta sempre con te. 

L’ educazione delle farfalle mi ha accompagnata in tutti i giorni della lettura e oltre, insinuandosi nei pensieri, nelle congetture, nelle supposizioni. 

È questo che deve fare un buon libro, non abbandonarti anche quando non lo stai leggendo, inseguirti, starti a presso. 



Nella musica di Donato Carrisi è impossibile non perdersi, risuona per molto tempo, con tutta la sua dolce e affascinante inquietudine. 


DOVE FINISCONO LE OMBRE di Sophia Linwood

DOVE FINISCONO LE OMBRE di Sophia Linwood

Titolo: Dove finiscono le ombre
Autore: Sophia Linwood
Serie: Anime ribelli (Vol.3)
Genere: Historical romance
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 2 luglio 2023
Editore: Self publishing

TRAMA


Londra, 1859-1860

Thomas Sharp è un uomo ombroso e taciturno che si è fatto da sé, conquistando a fatica il grado di ispettore nella Polizia Metropolitana di Londra, il rispetto dei colleghi e dei superiori. Gli anni di servizio militare passati sui campi di battaglia della Crimea hanno reso solo più fosca la sua indole, e affilato quel temperamento poco incline ai convenevoli che lo contraddistingue; nondimeno, Thomas non si è mai tirato indietro di fronte a un incarico, ma quello di prestigio che gli affibbiano è solo una dannata scocciatura. Fare da cane da guardia a una cantante lirica che, sicuramente, soffrirà di qualche mania di persecuzione totalmente infondata gli appare un compito sgradito, una vera e propria perdita di tempo. Ma le lettere minatorie che giungono ad Ariane St Étienne contengono più di un avvertimento inquietante, e una minaccia che sembra fin troppo seria e reale.
Ariane è bella, cordiale, priva di qualsivoglia vanità o protagonismo; ma è anche una donna che nasconde un abisso di segreti acuminati, misteri celati che custodisce con attenzione e timore e che è decisa a non rivelare a nessuno, tantomeno a Thomas, nonostante lui sia l’unico uomo che l’abbia mai fatta sentire protetta, al sicuro, l’unico in grado di far riaffiorare in Ariane sentimenti che lei credeva estinti ormai da tempo.
Dietro le cortine opulente del palcoscenico, tra i luccichii sfavillanti del teatro e i meandri oscuri e perigliosi di una Londra fatiscente, Thomas e Ariane dovranno affrontare i pericoli che li circondano e dissipare le ombre che li minacciano con l’unica arma a loro disposizione: l’amore.

RECENSIONE


Terzo capitolo della serie Anime ribelli di Sophia Linwood dove ritroviamo la cantante lirica Ariane St Étienne personaggio che avevamo già conosciuto nel secondo volume della serie, come amica e confidente del visconte Harrwood in “Petalo Cremisi”. 

Seguo quest’ autrice fin dall’ esordio con “Il profumo di un’estate e ho quindi potuto osservare con molto piacere la crescita e l’evoluzione narrativa che secondo me ha avuto nel corso degli anni. 

Ho trovato in quest’ultimo libro una scrittura matura e molto raffinata, che contraddistingueva già il suo stile ma che è senz’altro evoluta dando vita in “Dove finiscono le ombre” a un’opera che si contraddistingue come curata e solida. 

Nessuna incertezza, nessuna scorciatoia nel raccontare due personaggi non del tutto limpidi, che non fanno nulla per nascondere le loro ruvidezze, i loro errori e le loro fragilità. 

Ariane ne è l’esempio concreto, rassegnata a vivere il resto dell’esistenza come espiazione di colpe passate. 



Una donna che ha subito il richiamo del proibito e ne è suo malgrado rimasta imprigionata fino alla liberazione avvenuta grazie all’incontro e all’innamoramento con il poliziotto Thomas Sharp a sua volta prigioniero degli incubi, che lo perseguitano soprattutto di notte, ma che lo rendono quindi l’unico in grado di penetrare in quell’ oscurità che costituisce un muro, un ostacolo alla felicità di entrambi. 

Perché anche il poliziotto ruvido e ombroso incaricato di proteggere la cantante vittima di minacce è avvolto dal velo di quegli eventi passati che hanno contribuito a renderlo distante, solitario, una presenza cupa sebbene rassicurante. 



Il richiamo alle ombre del titolo viene evocato già dalla stessa cover con uno sfondo nero su cui spicca una figura femminile dalla presenza quasi eterea, il cui volto è in parte celato, un’immagine essenziale ma espressiva che rispecchia perfettamente trama e protagonisti. 

Di fatti e verità nascoste è infatti ricco questa storia, dai contenuti variegati che mescola sapientemente contesto storico, mistero, tensione e romanticismo regalandoci due protagonisti intriganti e lontani da ogni banalità. 

Talmente avvolti da questo manto scuro da renderli foschi, una foschia che si dirada gradualmente attraverso una narrazione che intreccia presente e passato. 

Una storia di redenzione, di riscatto, di liberazione dal giogo della violenza subita ed esercitata. 



La violenza sulle donne che riempie contenitori di ogni tipo in questo momento storico è uno dei temi fondamentali del libro che però esce dai soliti canoni dello storico ottocentesco in cui la società patriarcale costringeva la donna all’ asservimento della volontà maschile. 

Qui si parla invece di un altro tipo di violenza, che molto probabilmente è la derivazione della prima ma che sebbene i secoli siano trascorsi è purtroppo un genere di violenza che sperimentiamo ancora ai giorni nostri. 

Quella legata alla cultura del possesso, della persecuzione, del delirio di onnipotenza raccontata con toni crudi, forti che catapultano il lettore nell’ angoscia e nella paura di chi si sente braccato. 

Ma poi la narrazione libera il lettore da questa tenaglia e allora le ombre si diradano e si può tornare a respirare, proprio come accade ai protagonisti. 

Un libro avvincente e intrigante che è riuscito a sua volta a liberarsi dagli stereotipi del genere storico senza rinunciare alla coerenza, all’accuratezza e alla capacità di coinvolgere il lettore e che per questo piacerà anche ai non estimatori del genere. 


C’E’ ANCORA DOMANI di Paola Cortellesi

C’E’ ANCORA DOMANI di Paola Cortellesi

Titolo: C’è ancora domani
Regia: Paola Cortellesi
Tratto dal libro:
Genere: Commedia, drammatico, storico
Film per il cinema
Tipo di finale: Chiuso
Data di uscita: 26 ottobre 2023
Produzione: Wildside, Vision Distribution

TRAMA


Roma, maggio 1946. In balìa di un marito padrone e di un suocero canaglia, Delia ha come unica aspirazione che la sua primogenita si sposi “bene”. Tutto sembra già scritto, ma l’arrivo di una misteriosa lettera metterà in discussione i piani stabiliti.

RECENSIONE

Prima prova da regista egregiamente superata da Paola Cortellesi al suo esordio dall’altra parte della cinepresa con un film che sta, meritatamente, sbancando il botteghino e il cui eco sui social fa da cassa da risonanza ad un successo più che giusto. 

Omaggio e insieme citazione di grandi film del neorealismo italiano, girato in bianco e nero “C’è ancora domani” vanta una prova attoriale collettiva di alta qualità. 

Paola Cortellesi regala al pubblico un “dramedy” perfettamente equilibrato, che porta la sua impronta in calce, la firma di un’artista che è stata capace di trattare con il proprio personale stile, con originalità e spessore una storia dolceamara dal sapore retrò, ma in qualche modo purtroppo attuale, di cui le donne della mia generazione possono aver avuto familiarità. 

Ci sono molti modi di far sentire la propria voce, a volte le azioni e l’esempio sono più impattanti rispetto alle parole. 

Una voce che Delia la protagonista, interpretata dalla Cortellesi, cercherà di far sentire appunto senza parole né urla, ma attraverso la dignità di accettare la vita che le è toccata e nello stesso tempo con la ribellione di volere però una vita diversa per la propria figlia. 

Perché è senza voce che le donne vivevano ( e ancora a volte vivono ) la loro condizione di figlie, donne, mogli e madri, non molti anni fa: “devi stare zitta” ,”non devi rispondere”, “non occuparti di questioni che non ti competono.“ 

Queste le frasi rivolte alle donne dagli uomini di ogni ceto sociale, in questa storia, ambientata nella Roma dell’immediato dopoguerra, in un’Italia in bilico tra la povertà come strascico del conflitto e la gioia della liberazione che ha portato con sé nuove idee, nuovi orizzonti, nuove speranze. 

È una storia di speranza infatti quella raccontata nelle due ore del film, evocata anche dal titolo, uno sguardo di fiducia nel futuro che ricorda il famoso motto di Rossella O’Hara, un domani in cui Delia spera e ripone fiducia attraverso l’atto più rivoluzionario del tempo che coincide con il finale della pellicola. 

Madre di una ragazza prossima a sistemarsi ma che non ha potuto studiare e di due maschi che infilano una parolaccia ogni due parole e non apprezzano la possibilità invece di poter andare a scuola, moglie di un Valerio Mastandrea epico nella sua interpretazione di padre padrone, Delia incarna la sottomissione al patriarcato della nostra cultura, talmente radicato da lasciare dolorose tracce di sé ancora oggi alle soglie del 2024. 

E allora ha fatto bene Paola Cortellesi a regalarci questa pellicola che porta con sé anche la bravura di essere riuscita a parlare al grande pubblico mixando perfettamente antico e moderno, nelle note di una colonna sonora che non c’entra nulla con il momento storico eppure è perfetta per le scene mostrate, strumento aumentativo della comunicazione nelle scene drammatiche e non, che ho trovato un espediente meravigliosamente riuscito. 

Finalmente un film di casa nostra che non vuole essere troppo di nicchia da risultare pretenzioso, né eccessivamente volgare da voler catturare facili consensi, né ambisce ad emulare giganti del neorealismo delle grandi firme del passato. 

Brava Paola Cortellesi, mi hai riportato al cinema dopo molto tempo e mi hai fatto sorridere, commuovere, indignarmi e sperare ancora in quel domani che vorremmo tutte libero dalla violenza di genere, dagli stereotipi di genere, dall’asservimento a una società che non riesce ancora a vederci come creature libere dalla paura del potere esercitato dagli uomini sulle donne.