LE API DI WATERLOO di Giulia De Martin

LE API DI WATERLOO di Giulia De Martin

Titolo: Le api di Waterloo
Autore: Giulia De Martin
Serie: Autoconclusivo
Genere: Historical Romance
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2021
Editore: Words Edizioni

TRAMA


Inghilterra, 1815

Phèdre Hale, Marchesa di Northampton, ha solo vent’anni, quando si trova in balia della sorte avversa: Waterloo le ha strappato l’amato marito e la spensierata fanciullezza. La lady Northampton che amava trascorrere le giornate nella lussureggiante serra è ormai solo un ricordo. Phèdre, però, sa che non può soccombere agli eventi e che l’unico modo per sopravvivere è assecondare la propria condizione. Intelligente e caparbia, non si tirerà indietro di fronte a niente per riacquistare sicurezza, anche se ciò significa sposare Edward Hale, l’irlandese dagli occhi di ghiaccio, erede del casato e cugino dell’amato marito disperso. Tuttavia, la vita spesso riserva risvolti inaspettati, fino a sgretolare anche la più solida certezza. Le grandi tenute di campagna e i dolci pendii della brughiera fanno da sfondo a una storia d’amore e morte, rinascita e assoluzione, intrisa del profumo delle peonie e cullata dal ronzio delle api. 

RECENSIONE


Sono sincera ho una particolare simpatia per le api, forse perché mi ricordano la bella stagione e sono golosa di miele o forse perché ammiro questa sorta di sorellanza tra esseri così piccoli eppure così vitali e importanti per il ciclo naturale, instancabili e laboriose.
Ho infatti letto libri di ambientazione contemporanea che le avevano come coprotagoniste, quindi non ho potuto resistere al richiamo che ha su di me il romanzo storico con l’attrattiva di un titolo così.
Le api di Waterloo è stata una lettura che mi ha positivamente sorpresa per una serie di aspetti: innanzitutto come ho detto sono stata attirata dalla scelta del titolo che, dopo aver letto il libro, mi ha rimandato forte l’idea di un simbolismo con questi meravigliosi e importanti insetti.
L’autrice fa di queste piccole sorelle operaie non solo un filo conduttore dal quale si dirama una vicenda che tiene vivo l’interesse e coinvolge con avvenimenti del tutto inaspettati, ma anche a mia personale interpretazione, un parallelismo con le donne presenti nel romanzo.
Perché in realtà le vere protagoniste di questo libro sono le donne, la loro forza, la tenacia, la capacità di adattamento, la volontà di risollevarsi.

E soprattutto la “sorellanza” che può crearsi per non soccombere non solo ad un ambiente, ma anche ad un’epoca in cui madri o figlie, mogli o sorelle sono considerate alla stregua di oggetti.


Man mano che il tempo passava, mi rendevo conto di quanto il mondo fosse plasmato dagli uomini a loro immagine e somiglianza; noi donne eravamo marginali nel quadro, come un abbellimento che rende più piacevole.


Proprio come le api, sorelle instancabili che lavorano per la produzione del miele e che mai si fermano.
Le donne di Giulia De Martin sono proprio così, cadono ma si rialzano, vanno avanti sempre, nonostante la fatica, il dolore, la paura.
A cominciare da Phedre la protagonista, giovane vitale e allegra, ma anche impulsiva e caparbia un insieme di energia e fragilità a volte in contrasto tra loro.


Mi rendevo conto solo in quel momento di quanto fosse il vuoto a dare senso alla pienezza, ma solo più avanti avrei capito quanto la mia vita, da quel momento in poi, sarebbe stata una continua lotta di contrasti, opposti, di luci e ombre, pieni e vuoti che avrebbero dato senso l’uno all’altro solo continuando ad alternarsi. D’altronde io stessa, con i miei occhi così diversi da sembrare appartenere a due persone distinte, ero una collisione di mondi.


La narrazione espressa in prima persona fa indossare come fossero vestiti a contatto con la propria pelle, le sensazioni di Phedre.
Sentirete così mancarvi il fiato o battere il cuore più forte negli stessi momenti descritti sulla carta.
Ed ecco che mano a mano che si procede nella lettura alla giovane protagonista si affiancano una serie di donne ognuna delle quali ha un legame affettivo con lei e quindi anche un’influenza sulla sua vita.
Portia, Charlotte, Camille sono per Phedre a seconda del loro ruolo, sia conforto che  esempio, un aiuto, una guida, un porto sicuro di fronte alle difficoltà che si troverà ad attraversare.
Ho trovato in questo secondo romanzo dell’autrice una scrittura più matura, un coinvolgimento emotivo più spiccato e personaggi caratterizzati in modo approfondito.
Aspetti che ho trovato evoluti nello stile di questa giovane autrice, della quale non posso non apprezzare il grande lavoro di ricerca storica mescolato alle sue personali conoscenze.
Saltano immediatamente all’attenzione l’accuratezza delle descrizioni storiche e paesaggistiche dell’Inghilterra dell’epoca e la conoscenza della botanica.
Le magnifiche tenute nobiliari diventano oltre che teatro anche protagoniste delle vicende, e la serra e la cura delle piante sono non solo la grande passione di Phedre ma anche il suo rifugio, la sua ancora di salvezza per non annegare nel dolore.


C’era un qualcosa di così quieto nel torpore della serra, come se tutto si stesse muovendo, ma lo facesse con una tale lentezza, da sfidare perfino il tempo. Questa singola idea di imperitura bellezza era tanto forte da calmare l’ansia e i brutti pensieri. Nonostante tutto, qualsiasi cosa fosse successo, le orchidee non avrebbero smesso di fiorire e le api di produrre, instancabili, il loro oro liquido.


La storia d’amore che si dipana ha un’evoluzione inaspettata ed interessante. Pur rispondendo ai canoni storici dell’epoca non intrappola i personaggi in una caratterizzazione stereotipata, al contrario sono credibili e ben definiti nelle loro personalità.
Romanticismo e passione, desiderio e sentimento emergono con forza dirompente dalla scrittura dell’autrice, che pur non descrivendo nel dettaglio scene esplicite, permette al lettore di riviverle grazie al potere evocativo delle parole.
Perché non è necessario descrivere per far “sentire”, a volte immaginare crea un phatos maggiore e permette di percepire comunque sensualità e passione.
Il lettore diventa arbitro assoluto in questo romanzo perché non c’è un’evoluzione giusta o sbagliata della trama e tutti i personaggi hanno le loro ragioni, i loro tormenti e le loro gioie.
I personaggi maschili accomunati seppur in modo diverso dall’affetto per Phedre conquistano dal primo all’ultimo.
A cominciare da Noah che è una figura la cui presenza è rassicurante e avvolgente, simbolo dell’amicizia nella sua forma più sincera e spontanea.
Edward e Richard invece sono a mio modo di vedere due facce della stessa medaglia, due modi di essere opposti ma simili, due modi di amare in modo incondizionato uguali ma diversi.
Un dualismo che si intravede in altri aspetti del romanzo e di cui l’autrice dà una spiegazione accurata nelle note finali che consiglio di leggere perché interessanti ed esplicative.
Il mio personale pensiero è che il vincitore morale della vicenda sia Richard sebbene compaia solo a inizio e fine del libro, perché lascia ai lettori il messaggio più importante ma anche il più difficile da attuare nella realtà.
E cioè che tutto cambia e i cambiamenti molto spesso avvengono senza chiedere il permesso, ma arrivano e basta.
Gli stessi personaggi nel romanzo infatti vivono loro malgrado esperienze che li porteranno ad un’evoluzione interiore.


«L’amore non finisce» dissi, scostandomi per guardarlo negli occhi. «L’amore muta, evolve e cambia la sua forma. Io non smetterò mai di provare amore nei tuoi confronti, oggi ancora più di prima, e in un modo o nell’altro mi sentirò sempre legata a te, indissolubilmente.»


Accettare o meno questi cambiamenti e riuscire a conviverci sono questioni complesse, soggettive ma inevitabili.
La scelta è se andare avanti restando legati al passato o abbracciare il futuro pur senza rinunciare alla propria identità.


Come una fenice, ero implosa in una fiamma vorticosa e straziante, ma era giunto il momento di tornare a vivere ed essere me stessa.


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