Intervista a Silvia Ciompi
La seconda autrice protagonista della nostra rubrica dedicata alle interviste è una ragazza giovane ma di un talento potente, a tal punto da essere entrata nel cuore di moltissimi lettori per le sue storie profonde ed emozionanti.
Dopo aver salutato gli indimenticabili protagonisti di “Tutto il buio dei miei giorni “ e “Tutto il mare nei tuoi occhi” fino alla novella “Tutto l’amore che resta di noi”, questa promettente scrittrice ci ha regalato un nuovo romanzo ambientato nella stupenda cornice dell’isola d’Elba.
“Volevo solo sfiorare il cielo” parla di un amore struggente che è legato a ricordi del passato, una storia in cui perdersi è un viaggio meraviglioso.
Conosciamola meglio…

Ciao Silvia e grazie per averci dato la possibilità di rivolgerti questa intervista, ti va di presentarti?
Grazie a voi per avermi invitata, davvero! Non sono molto brava con le presentazioni, ma diciamo in una versione sintetica che sono una ragazza toscana di ventisette anni e scrivo romanzi per Sperling &Kupfer. Mi piacciono le storie spaccacuore, lo stadio e la pizza 😉
Teschio, Bolo, Camille e Gheghe sono ispirati a persone reali o sono frutto della tua fantasia?
Sono frutto della mia fantasia, ma ho preso spunto dal luogo in cui sono nati nella mia mente: la curva.
Parlaci del mondo degli ultras, nello stereotipo sono sempre descritti come facinorosi e un po’ delinquenti, ma tu ne dai una visione più positiva, cameratismo ma anche fratellanza e condivisione. E’ un’esperienza che hai vissuto in prima persona? Da cosa nasce questa passione per lo stadio? Cosa significa per te andare allo stadio?
Esatto, io cerco di dare una visione completa del tifo e dello stadio, basandomi sui miei anni di esperienza nel mondo del tifo del Livorno. Ho girato moltissimi stadi in trasferta e conosco da vicino le dinamiche che si creano in questo ambiente. Sicuramente la violenza, la ricerca dello scontro con i corpi dell’ordine e le tifoserie rivali esiste, ma c’è anche molto altro. Fratellanza, solidarietà, famiglia, valori che vengono tramandati “di padre in figlio”. La mia passione nasce proprio da qui: dal mio babbo che fin da piccolissima ha iniziato a portarmi in curva e a raccontarmi storie di un calcio passato, degli anni ottanta e novanta, facendomi innamorare di questo mondo.Per me andare allo stadio è tutto: una passione che diventa “malattia” totalizzante. Per l’intera settimana pensi alla partita e non vedi l’ora, perché la curva diventa casa e la più grande valvola di sfogo.
Sia in “Tutto il buio dei miei giorni “ che in“Tutto il mare nei tuoi occhi” il tema centrale è la resilienza, con cui le due protagoniste si trovano a convivere in modo diverso: Camille accetta in qualche modo la sua condizione mentre Gheghe la vive con tanta rabbia. Con quale dei due atteggiamenti ti trovi più in sintoni
Credo di essere più in sintonia con Camille e la sua accettazione, lei mi rispecchia molto, anche se io sono decisamente meno forte e coraggiosa.
La patologia di Camille in “Tutto il buio dei miei giorni”, è descritta con dovizia di particolari, sia dal punto di vista fisico che psicologico, è qualcosa che ti sei trovata a vivere davvero, magari vicino a persone a te care?
Ho vissuto diverse malattie da vicino negli ultimi anni, purtroppo, ma l’accuratezza è dovuta soprattutto al fatto che mia madre è un medico e io ho abbastanza familiarità con l’ambiente ospedaliero.
Tutte le tue storie sono ambientate in Toscana, quanto sono importanti per te le tue origini? Hai mai pensato di ambientare una storia altrove oppure all’estero?
Sono importantissime perché io sono molto radicata ai luoghi e ai ricordi. Per questo vorrei scrivere in futuro un romanzo ambientato in Puglia, a Peschici, dove ho tutti gli zii e dove affondano le mie radici materne.
Sei molto giovane, e questo colpisce chiunque si approccia ai tuoi libri. Quanta fatica c’è dietro? Hai tempo di dedicarti ad altro?
C’è molta emotività, molti miei ricordi, sentimenti e ferite. Anche fatica, è certo, perché trovare la costanza di scrivere è la cosa più dura.
Teschio è un tatuatore, e ogni suo tatuaggio ha per lui un significato diverso. A te piacciono i tatuaggi? Ne hai qualcuno?
Io adoro i tatuaggi! Ne ho tre: stemma del Livorno. Data di nascita del Livorno e una frase molto personale che mi serve come monito nella vita.
Come è nata l’idea della novella “Tutto l’amore che resta di noi”?
Durante i primi mesi di pandemia, per evadere dalla realtà e ritrovarmi a casa tra i miei quattro personaggi disgraziati. Era da molto che volevo raccontare la loro “fine” e a marzo dell’anno scorso ho avuto la spinta per farlo.
L’ultimo romanzo “Volevo solo sfiorare il cielo” è ambientato all’isola d’Elba, che ha un posto centrale nella storia. La conosci bene? Ci hai mai vissuto?
La conosco molto bene perché io vivo “di fronte” all’isola, vicino Piombino e ci sono andata per anni tutti le estati con la mia famiglia. È un luogo magico per me.
Due giovani ragazzi “pieni di spigoli e stranezze”, in fuga da loro stessi, cresciuti troppo in fretta. Un tema che può essere valido per molti giovani, nel vivere la diversità nella società odierna. Che ne pensi? Anche se sei ancora giovane , come hai vissuto i tuoi 18/20 anni?
Sicuramente ho avuto molte difficoltà in adolescenza, perché ero molto chiusa, taciturna e fisicamente “diversa” per il mio peso e il mio fisico. Quindi vedo l’adolescenza come una ferita che non si rimargina mai e ti resta addosso per tutta la vita. Credo che ogni adolescente si senta profondamente diverso e incompreso, fa parte dell’età.
Clelia e Lorenzo sono i protagonisti di una storia struggente, caratterizzata da atmosfere che rievocano con nostalgia il passato e gli intrecci familiari. Quanto sono importanti per te i ricordi e quanto la tua famiglia è stata importante per scrivere il libro?
Sono importantissimi per me, ogni momento o ricordo finisce sempre per diventare storia e dettaglio nella mia scrittura, così come la mia famiglia. In questo romanzo in particolare i miei nonni, che sono anche le persone a cui l’ho dedicato.
La colonna sonora del libro “Volevo solo sfiorare il cielo” è molto accurata e, a parte qualche traccia di artisti del presente, rievoca perlopiù brani del passato. Quale è stata l’ispirazione per citare queste canzoni? Che rapporto hai con la musica?
Ho infilato nella storia tutti i pezzi che amo e che sono stai importanti per me, da Battisti a Dalla. La musica mi circonda sempre, ovunque vado ho le cuffie nelle orecchie e a casa vinili e giradischi, inseparabili.
Il mare come metafora di vita, luogo non luogo, spettatore imponente. Un tema che ritorna anche in questo libro, presente anche nei primi due. Il fatto di essere nata in una città di mare ha influito molto? Che rapporto hai con questo elemento
Per me il mare è una costante. Mia madre è nata in un paese, Peschici, letteralmente sdraiato sul mare, affondato nell’acqua. Livorno è la città del Porto e del Libeccio. Da Terrazza Mascagni a Piazza Bovio, il mare c’è sempre e torna sempre in tutto quello che scrivo perché rappresenta una consolazione.
Ci puoi svelare qualche progetto per il futuro? Qualche anticipazione?
Posso solo dire che sto lavorando al quarto romanzo e che sarà abbastanza spaccacuore anche questo!
Grazie per questa intervista!