BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

Titolo: Buskashì: Viaggio dentro la guerra
Autore: Gino Strada
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 11 Dicembre 2013
Editore: Feltrinelli Editore

TRAMA


La buskashi è il gioco nazionale afghano: due squadre di cavalieri si contendono la carcassa di una capra decapitata. È violento, senza regole. L’unica cosa che conta è il possesso della carcassa, o almeno di quello che ne resta al termine della gara. È come il tragico gioco a cui partecipano i numerosi protagonisti del conflitto afghano. Una partita ancora in corso, solo che al posto della capra c’è il popolo dell’Afghanistan.Buskashi è la storia di un viaggio dentro la guerra, che inizia il 9 settembre 2001 con l’assassinio del leader Ahmad Shah Massud, due giorni prima dell’attentato di New York. Un viaggio “clandestino” per raggiungere l’Afghanistan nel momento in cui il paese viene abbandonato da tutte le organizzazioni internazionali e si chiudono i confini. L’arrivo nella valle del Panchir, l’attraversamento del fronte sotto i bombardamenti per raggiungere Kabul alla vigilia della disfatta dei Talebani, la conquista della capitale da parte dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord, la Kabul “liberata”: l’esperienza della guerra vista dagli unici testimoni occidentali della presa di Kabul.Un viaggio nella tragedia delle vittime, e insieme una riflessione sulla guerra, sulla politica internazionale, sull’informazione e sul mondo degli aiuti umanitari. 

RECENSIONE


Qui, nella vita degli afgani è il vero confine, il territorio della mente che dobbiamo ancora esplorare per capire la guerra, e per odiarla. Con le pietraie del passo, bisogna lasciare alle spalle anche il pensiero occidentale. Siamo in Afghanistan. “Vivo o morto” è diverso, ora. Ora siamo dentro la guerra.


Lo spiega molto chiaramente Gino Strada in questa sua opera dal titolo Buskashi`: il tentativo di raggiungere e superare il confine afgano nel settembre 2001 per riaprire l’ospedale Emergency di Kabul, di cui questa opera è il resoconto, è in realtà il simbolo del superamento della mentalità occidentale.

Quella che ritiene la guerra un male necessario, nonostante poi a pagarne il prezzo siano i civili indifesi soprattutto bambini, e che si creda non ci riguardi perchè infesta luoghi molto lontani da noi.
Perché di questo si tratta, superare un limite mentale, un confine ideologico che va oltrepassato, espresso alla perfezione in questo passo, uno dei più conosciuti.


Questo è il vero confine, quello più difficile da attraversare. Fare propria, rispettare l’esperienza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda “altri” anziché noi stessi. Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.


L’autore di questo libro ha passato la sua intera esistenza dentro i conflitti, un argomento di cui non è semplice parlare, si corre il rischio di cadere in una retorica spiccia, perché diciamocelo che ne sappiamo noi della guerra?

Al di là delle ovvie considerazioni astratte sugli orrori che porta con sé, per noi che la vediamo filtrata dai media, dall’informazione, dai racconti di popoli lontani, resta una realtà che possiamo provare ad immaginare ma che in realtà non conosciamo e forse ancor meno comprendiamo.

Paradossale se pensiamo invece che per chi la vive sulla propria pelle è invece quanto di più concreto si possa toccare : paura, violenza, sofferenza, dolore, povertà e incertezza sono molto concrete per chi le deve vivere ogni giorno. Così ho voluto provare a toccare un po’ di questa concretezza attraverso le parole scritte di chi la guerra la conosce bene, perché l’ha vissuta da molte angolazioni, l’ha provata sulla propria pelle, l’ha dovuta inserire nelle trame della vita propria e della propria famiglia.


Mi sono trovato a parlare con me stesso. Un déjà vu, e insieme una situazione nuova, imbarazzante. Che cosa fai qui? Come lo spieghi a Cecilia, a Teresa? Che cosa dici loro, per convincerle che è giusto che tu sia qui, per far credere che tutto ciò valga il loro rischio di non rivederti?


Nasce così questo piccolo omaggio al compianto Gino Strada, in ricordo del primo mese trascorso senza di lui. Un personaggio di una caratura morale tale da ispirare molto più che ammirazione e forse anche un senso di riverenza per la forza del messaggio che ha costituito la sua intera esistenza. Buskashi` racconta eventi passati ma purtroppo molto attuali, nonostante siano trascorsi vent’anni dagli accadimenti in esso descritti. Il fondatore di Emergency non delude nemmeno in qualità di scrittore : emerge prepotente lo spessore di questo essere umano che ha votato la propria esistenza alla cura e al sostegno dei deboli e degli indifesi.

Attraverso di esso lascia ai lettori messaggi molto chiari, che non si riconducono solo al desiderio di pace ma a molto di più. Pensieri e posizioni espresse consapevolmente perché  frutto di esperienze vissute in prima persona, che personalmente condivido, tra i quali spicca una verità che in molti paesi non è realtà: i diritti umani vanno costruiti non declamati. Un messaggio molto potente e sicuramente nitido: tutti hanno diritto ad una vita dignitosa, libertà e cure mediche, che non si ottengono con politiche astratte e discorsi filosofici ma con azioni concrete, tradotte in istruzione, assistenza medica, lavoro.

Buskashi` è un libro diviso in due parti, la prima appunto un diario di viaggio, difficile, faticoso, impervio dentro un paese violentato da ideologie, interessi e giochi di potere prima e dalla guerra poi. La seconda la cronaca degli eventi vissuti una volta raggiunta la città in questione, prima della sconfitta dei talebani. Un resoconto autentico e tangibile di cosa significa sfidare le difficoltà, non arrendersi, mettere in gioco tutti se stessi nell’intento di aiutare chi soffre a costo della propria incolumità, al termine del quale il lettore prenderà consapevolezza che nascere in luoghi dove regnano democrazia, uguaglianza, libertà e soprattutto pace non è un merito ma una fortuna. Se la guerra incombe su popoli lontani da noi per posizione e cultura è solamente un puro caso.


Perché non si tratterà più di essere musulmani, ebrei o cristiani, né di essere di destra, di centro o di sinistra, per farsi un’opinione sulla guerra. Basterà ricordare quelle storie, e mettere Anna al posto di Jamila, e Mario invece di Waseem.


Un titolo volutamente simbolico: Buskashi` è il nome di un gioco afgano dove ci si contende la carcassa di un animale. Ecco che l’Afganisthan diventa come questa carcassa, un territorio conteso tra i partecipanti ad una guerra che prende ufficialmente il via in seguito a due attentati di natura diversa, ma che in realtà è l’ennesimo tentativo di trarre profitto in un gioco geopolitico che nulla ha a che vedere né con la religione né con la giustizia. Non fosse per il fatto che il libro narra eventi reali durante i quali la sicurezza di Gino Strada e collaboratori è messa in serio pericolo, si potrebbe definire quasi un racconto avvincente, dallo stile incalzante, anche avventuroso. Ma in realtà attraverso queste pagine Gino Strada vuole dire molto di più: ci lascia dei mattoni con cui egli stesso ha iniziato a costruire la pace, un’eredità che tocca a noi continuare.

Mattoni composti da umanità, senso del dovere, generosità, amore per il prossimo, desiderio di aiutare chi soffre, senso della giustizia, tutte qualità di quest’uomo straordinario, incarnate nella sua creatura più importante e più bella, gli uomini e le donne di Emergency.
Questo libro mette inevitabilmente in moto i pensieri, perché è impossibile restare impassibili di fronte al racconto dei giochi di potere, delle ideologie estreme, dell’efferatezza delle azioni umane, di tutte quelle mostruosità che costituiscono la guerra.Una lettura che si è rivelata un forziere con molti tesori, che risplendono soprattutto per lo stile con cui l’autore li ha portati alla luce, facendoli emergere dalle macerie di una bomba esplosa, dalle ferite di bambini mutilati, dalle lacrime di famiglie distrutte.

Un paese martoriato raccontato con uno stile personale, che come in un’altalena alterna cronaca e riflessioni ad un lieve tocco di umorismo. Quasi un’” italianità” dei protagonisti, come un’impronta dello spirito che li contraddistingue, che non solo stempera il dramma che si trovano ad affrontare ma lascia passare in mezzo alle crepe dovute alla distribu anche molto cuore.
Regalatevi la lettura di un libro che è innanzitutto la condanna dei poteri politici che direttamente o no sono di fatto i promotori e i finanziatori dei conflitti, di un’informazione asservita alla politica molto lontana dalla trasparenza e dalla verità. Il racconto dello scontrarsi con l’estremismo, con la perdita di umanità, uno sguardo attento alla disparità di diritti tra i popoli del mondo. E infine una dichiarazione d’amore alla moglie Teresa e alla figlia Cecilia.


Teresa è una sorpresa, ogni giorno. Sorprende tutti coloro che la conoscono, per l’intelligenza e la simpatia, perché è bellissimo ascoltarla, e guardarla. Sorprende per la sua capacità, unica, di capire le persone, di tenere insieme un gruppo, dando molto a tanti, anche nei momenti difficili.


Incontrerete persone autentiche e non personaggi, conoscerete teorie poco ortodosse ma provate sul campo, come il “rischio pecora”. Gino Strada ci ha lasciato tanto, le sue parole scritte sono un ulteriore dono di cui consiglio di avvalersi. Perché con questa testimonianza e soprattutto con il suo esempio ci ha dimostrato che il concetto di utopia è solo nella nostra mente, qualcosa che non è stato ancora fatto ma che si può realizzare se ci si crede. E forse allora un giorno l’espressione “Al salam alekkum” –  “Che la pace sia con te” potrà diventare finalmente una realtà e non più solo un’idea.

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CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin

Titolo: Cambiare l’acqua ai fiori
Autore: Valérie Perrin
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 10 luglio 2019
Editore: Edizioni e/o

TRAMA


Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.

Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.

RECENSIONE


I cimiteri sono luoghi di culto e di preghiera dove trovano sepoltura i defunti, da sempre accolgono parenti e amici addolorati che si recano a visitare le tombe dei loro cari persi per sempre.

A volte sono anche luoghi culturali, che per la presenza di monumenti antichi e di storie affascinanti diventano addirittura meta di visite turistiche.

In un paesino della Borgogna, con pochi abitanti che si conoscono tutti tra loro, il cimitero è arricchito dalla curiosa figura di Violette.

Violette ne diventa la guardiana ereditando il ruolo da Sasha, il suo predecessore, e facendo tesoro dei suoi insegnamenti.


Mi piace ridere della morte, prenderla in giro. È il mio modo di esorcizzarla, così si da meno arie. Burlandomi di lei permetto alla vita di prendere il sopravvento, di avere il potere.


Da subito si rende conto che non sarà semplice, ma se state pensando a qualcosa di macabro sono pronta a smentirvi; Violette giorno dopo giorno impara a coltivare l’orto, ad aiutare i fiori a sbocciare a curare le tombe ma soprattutto ad ascoltare i vivi, mantenendo un grande rispetto per ogni tipo di dolore che le capita di incontrare.

D’abitudine non chiude mai la porta della sua casa, e ogni pomeriggio sorseggia il thè insieme ad un uomo che ha da poco perso sua moglie o ad una madre che piange la morte di suo figlio, parlando dei loro cari, e cercando insieme motivi per ricordarli sorridendo.


Prendersi cura del cimitero vuol dire prendersi cura dei morti che vi riposano e rispettarli. Nel caso non siano stati rispettati da vivi, che almeno lo siano dopo morti. Sono sicura che vi sono sepolti anche molti stronzi, ma la morte non fa distinzione fra buoni e cattivi. E poi, chi non è stato un po’ stronzo almeno una volta nella vita?


Mi sono lasciata finalmente incuriosire da questo libro, che stato un vero e proprio caso editoriale, e devo dire che sono stata travolta da un’avventura intensa e molto coinvolgente.

Grazie alle descrizioni particolareggiate, è stato facile immaginare Violette nella serietà del suo ruolo, vederla coltivare i suoi fiori, e restare stupita dalla potenza delle parole dette e non dette che mi hanno regalato emozioni contrastanti ed autentiche.

La narrazione si estende tra passato e presente, legando al meglio ogni episodio e portando con sé un intreccio di esistenze l’una complementare all’altra raccontate in modo perfetto, che fanno di questo libro una storia davvero da ricordare.

Perdere una persona cara è un dolore grande, si fa fatica ad accettarlo, tanto che a volte diventa difficile reagire e comprendere che la vita deve andare avanti; non importa a che età il nostro amato ci lascia, sarà sempre una perdita che influisce nell’andamento della nostra esistenza.

Violette ha un trascorso molto triste, e lei stessa porta nel cuore il dolore della perdita, ma decide di provare ad usarlo come forza per aiutare gli altri.


Sono stata molto infelice, addirittura annientata, inesistente, svuotata. Sono stata come i miei vicini, ma in peggio. Le mie funzioni vitali continuavano, ma senza me dentro, senza la mia anima, che a quanto pare, a prescindere da che uno sia grasso o magro, alto o basso, giovane o vecchio, pesa ventuno grammi.


E con i suoi abiti colorati, indossati sotto cappotti a tinta unita lascia capire che nonostante le esperienze negative è pronta a voltare pagina provando ad essere di nuovo felice.

Ogni giorno invita i parenti a raccontarle degli aneddoti sul defunto così da tenere un diario che possa fungere da memoriale e fare in modo che questa persona non venga mai dimenticata.


Nei primi anni era devastata. Il dolore toglie la parola. Oppure fa fare sciocchezze. Poco a poco aveva ritrovato la strada per comporre frasi semplici, chiedere notizie degli altri, notizie dei vivi.


Noi possiamo essere questo memoriale, i ricordi delle persone che se ne vanno, se lo vogliamo potranno essere sempre vividi dentro di noi, e ogni loro sorriso, parola o insegnamento diventare parte della nostra vita.

Solo così resteranno vive nel nostro cuore, per sempre, e solo così potremmo avere la nostra serenità.

Vi consiglio di immergervi in questa storia che apparentemente vi potrà sembrare triste e malinconica, ma leggendo vi accorgerete quanto possa trasmettere forza e speranza, per trascorrere al meglio ogni giorno, guardando al futuro con sguardo puro e avido di vita.

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AL DI LA’ DELLE COSE SCONTATE di Emanuele Mazzocco

AL DI LA’ DELLE COSE SCONTATE di Emanuele Mazzocco

Titolo: Al di là delle cose scontate
Autore: Emanuele Mazzocco
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 4 Febbraio 2018
Editore: Self Publishing

TRAMA


In un giorno di luglio, Samuele dà l’ultimo addio a Mario, suo migliore amico e compagno di escursioni. Il racconto riprende poi dagli eventi del dicembre precedente, quando il ragazzo si laurea a pieni voti in economia aziendale. Un senso di angoscia lo opprime riflettendo sul futuro da affrontare e sul minor tempo che potrà dedicare alla montagna, per lui sinonimo di pace e ritmi di vita umani. Mario gli consegna il suo regalo di laurea: i biglietti per andare insieme a Buenos Aires. Sull’aereo, Samuele conosce Ana, una bellissima ragazza italo-argentina che studia a Napoli e condivide la sua passione per Springsteen, e lo accompagnerà per le vie più vivaci di Baires. Tornato in patria, Samuele si dedica esclusivamente alla ricerca di lavoro. I colloqui lo lasciano sempre più spaesato, facendolo sentire come una cavia in un esperimento scientifico. Intanto, lui e Ana sfruttano ogni occasione per vedersi. Per il ragazzo arriva la possibilità di lavorare tre mesi in Belgio, dove Ana lo raggiunge. I due però non riescono a stare molto insieme, perché l’ufficio assorbe tutto il tempo e le energie di Samuele, trascinandolo in una grigia routine. Ma il destino è in agguato in modi imprevedibili, che metteranno Samuele davanti a bivi fondamentali per la sua vita… 

RECENSIONE


Non voglio affrontare il futuro, Mario, mi capisci? Provo angoscia perché questo mondo non fa per me. I suoi canoni, i suoi ritmi. Io amo la montagna, e la montagna ha il ritmo della pace. Penso al futuro e tremo. Che cazzo farò?


Quanti di noi hanno ricordo di quei momenti della giovinezza in cui si è sopraffatti dall’incertezza del futuro, chi non ha pensato almeno una volta ad esso e non ha tremato come il protagonista di questo romanzo?

Samuele incarna ahimè una grande fetta dei giovani neolaureati del nostro paese che sempre più tardi e con sempre maggiore difficoltà cercano uno sbocco lavorativo che faticano a trovare e che spesso li costringe ad allontanarsi dalle piccole provincie se non proprio dall’Italia.

Questo libro non vuole essere una difesa a spada tratta delle generazioni di giovani, infelicemente definiti choosy da politici del passato, né vuole avere la falsa pretesa di affrontare la complessa questione dell’occupazione nel nostro paese.

Emanuele Mazzocco regala semplicemente un diario, la messa per iscritto di tutte le emozioni, le paure, le incertezze che tutti noi almeno una volta abbiamo provato di fronte alla prospettiva del futuro, non solo lavorativo.

Sono pagine che disegnano quei passaggi che si devono affrontare nella vita perché fanno parte della crescita, dell’evoluzione come individui, di una presa di coscienza sui nostri obiettivi e desideri.

Il domani raccontato nel libro spaventa non solo perché ha tutta la sostanza del cosiddetto passo verso l’ignoto, ma perché questo passo potrebbe facilmente diventare una catena.

Quella che ci imprigiona ad un sistema che finisce per renderci tutti uguali, schiavi di ritmi che non hanno niente a che vedere con la realizzazione personale ma con l’ uniformarsi ad una società che corre, spersonalizza, appiattisce, in nome del profitto, dell’apparenza, della forma a discapito della sostanza .


Ripensai ai colloqui del mese precedente. Al linguaggio utilizzato, alla competizione, alla corsa tramutata in affanno, alla meccanizzazione della vita, agli schemi, alla maledetta matassa ingarbugliata del mondo moderno.


L’irrequietezza che manifesta Samuele è non solo infatti il timore che può provare un giovane che si trova a dover oltrepassare definitivamente la soglia della spensieratezza per entrare a tutti gli effetti nel mondo adulto.

Oltre a ciò, con grandi spunti filosofici e pensieri riflessivi Emanuele Mazzocco esplora anche un altro tipo di inquietudine in cui mi sono perfettamente identificata in tempi passati, che è quella dell’essere schiacciati dai ritmi frenetici, competitivi, opprimenti di un modo di vivere che non lascia più spazio alle cose che contano.

Una inquietudine che viene ben rappresentata nel libro dalla contrapposizione alla passione per la montagna dove tutto è più lento, in connubio con la natura, riflessivo, rigenerante.


Ma la montagna è così, non ti aspetta. Devi essere pronto a un piccolo sacrificio per godere di un tesoro più grande. Non sei tu a dettare i ritmi ma è lei che ti condiziona, inevitabilmente.


Per raccontare questo viaggio di crescita, di consapevolezza e di maturazione del giovane Samuele, la prosa semplice ma profonda dell’autore si avvale in modo egregio del simbolismo proprio con la montagna e con il viaggio.

Il romanzo è diviso in tre parti all’interno delle quali osserviamo il cammino del giovane connesso con i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue paure, in cui è immediato e spontaneo ritrovarsi.

Sarà un vero e proprio viaggio in Argentina a diventare la soglia che egli dovrà attraversare per iniziare questo percorso di presa di consapevolezza, quasi una sorta di portale.

La descrizione dei luoghi, degli abitanti e delle usanze di questo paese è talmente vivida da sentirsi dentro ad una serie di cartoline suggestive e colorate.

Un incontro fortunato proprio in questo paese sarà un raggio di sole nel buio dell’incertezza nei confronti del futuro e del tipo di vita che si desidera.


Era lei. Nessun dubbio, era lei. Era lì che mi aspettava. Era lì su quell’aereo che non avrei mai preso se il mio migliore amico non avesse deciso di portarmi con sé in Argentina.


E poi c’è l’altra grande e silenziosa protagonista del romanzo che è la montagna con la sua forza, la sua tranquillità, la bellezza dei paesaggi e la sfida della salita che simbolicamente è proprio quella da intraprendere per arrivare a trovare il proprio posto nel mondo, raggiungere la cima.

Una passione questa per la montagna di cui le pagine sono talmente dense da oltrepassarne la superficie per arrivare al cuore, sentendoci anche noi immersi nella bellezza e nella pace di questi luoghi impervi ma che proprio per questo mettono alla prova non solo il corpo ma anche lo spirito.


«È poesia. È libertà. Una libertà comoda e intangibile. Che ti prende e ti culla offrendoti un’esperienza estrema. Lassù sei solo tu con la natura, con i tuoi limiti da sorpassare e gli occhi da spalancare».

Il mare fa sognare. La montagna fa riflettere.


Di riflessioni il protagonista ne fa tante e ispira quindi il lettore a fare altrettanto, e saranno generate oltre che da questo momento di passaggio così spaventoso, anche dai rapporti che il protagonista intesse con gli altri personaggi di contorno con cui è stato immediato empatizzare per il realismo e l’umanità con cui sono tratteggiati.

Il gruppo di amici detti i “furbetti” , il migliore amico Mario di una saggezza unica, un padre assente, una fidanzata lontana.

Tutte relazioni che formano, modellano, arricchiscono, insegnano.

Perché in questo libro c’è veramente tutto quello che conta nell’esistenza e che allo stesso tempo però ci mette alla prova, mettendoci davanti alle difficoltà, le imperfezioni, le insicurezze che caratterizzano l’essere umano e da cui poi scaturiscono errori che chiunque può trovarsi a compiere.

Un’amicizia meravigliosa che è il cardine dell’intera narrazione merita una menzione speciale perché diventa un faro che illumina il buio in cui si trova Samuele davanti alla decisione di quale strada intraprendere, un rapporto con i genitori conflittuale, una relazione amorosa intensa ma da costruire, tutti elementi decisivi nel processo di ricerca di sé che intraprende il giovane.


«Vedi, Samuele, un vecchio professore mi disse che la vita non è sempre facile. Non sempre va come ce la immaginiamo. Ma nell’esistenza di ognuno di noi esiste un’asticella. Quella è l’asticella della felicità. Un giorno potrà essere alta, altissima. Tanto alta da farci uscire il cuore dal petto per la gioia. Un altro giorno invece sarà talmente bassa che altri potranno camminarci sopra. In realtà quello che importa è cercare di mantenere l’asticella in equilibrio, possibilmente verso l’alto, bilanciando i momenti grandiosi con quelli bui. Solo in questo modo potremo vivere in serenità con noi stessi.»


Che poi in realtà si tratta proprio di questo, nella rincorsa quotidiana a cui assomiglia sempre di più il vivere, al di là delle cose scontate quello che tutti desideriamo trovare è la serenità, prima di tutto con noi stessi.

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L’ASTRONAUTA DAL CUORE DI STAGNO di Massimo Algarotti

L’ASTRONAUTA DAL CUORE DI STAGNO di Massimo Algarotti

Titolo: L’astronauta dal cuore di stagno
Autore: Massimo Algarotti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2021
Editore: O.D.E. Edizioni

TRAMA


Nove mesi per prepararsi ad accogliere Zoe: c’è un mondo da disegnare, da creare, una stanza da preparare con amore e perseveranza, soprattutto quando la solitudine piomba all’improvviso nella vita di Aleida.

Zoe è una bambina che nasce con gli occhi chiusi a causa di una stella filante che voleva solo abbracciarla più forte. Grazie alla vicinanza di Selima, immensa amica, di suo padre e di un nuovo compagno, Aleida scopre che il destino traccia un solco su cui la vita affonda sempre le proprie radici per costruire, in ogni caso, un futuro.

Un viaggio che porta con sé Santa Lucia, Caravaggio, il Petrichor e un’Astronauta dal cuore di stagno.

RECENSIONE


Quando pensiamo ad un viaggio solitamente siamo portati a considerarlo un evento positivo, gioioso, carico d’aspettativa, un misto di sensazioni che vanno dall’attesa alla curiosità, forse un po’ di incertezza, fino al sapore dolce o elettrizzante del raggiungimento della meta.
L’astronauta dal cuore di stagno racconta proprio un viaggio, uno dei più importanti nella vita di una donna, quello dell’attesa di una nuova vita che deve nascere, ma la cui tappa finale in questo caso avrà tutt’altro sapore di quello che ci si aspetterebbe.
Ciò non di meno è un viaggio che invito a intraprendere facendovi portare per mano dall’autore che con una prosa delicata, poetica, raffinata, mai banale e capace di emozionare ad ogni passaggio, vi farà vedere uno scorcio di vita vera da un punto di vista incredibilmente originale.
Ispirandosi a una storia reale Massimo Algarotti racconta il momento in cui l’esistenza di Aleida oltrepassa una soglia.
Quella che la porterà dall’essere una giovane ragazza con i propri sogni e insicurezze, una diciannovenne che fantastica sullo spazio e sulle stelle, a diventare non solo una donna ma soprattutto una madre.


Ho diciannove anni e sognare è lecito e rincorrere i sogni è un dovere e questo lo so perché me l’ha sempre detto anche mio padre, un eterno Peter Pan con il cuore di stagno.


Scoperta una gravidanza inattesa, sarà proprio questo percorso fatto di cambiamenti, sogni, desideri, progetti, tutto ciò che costituisce di fatto l’attesa di questo incredibile evento, il corpo principale della narrazione.
Un viaggio quindi che faremo con Aleida come se potessimo anche noi poggiare le mani sulla sua pancia che cresce lentamente, e porteremo quindi insieme a lei le aspettative, la gioia, i timori, tutte quelle sensazioni che accompagnano un evento la cui portata trasforma la nostra identità, dopo il quale non si è più gli stessi.
In un’alternanza di flashback che accompagnano il lettore tra passato e presente con uno stile quasi onirico, costellato di simboli, metafore, evocati dalla natura e dall’arte, si scatenano pensieri ed emozioni tra le più disparate, un misto di commozione, stupore, paura, meraviglia.
Tanto giovane quanto forte, questa ragazza è il simbolo di quanto l’amore possa resistere al dolore più dilaniante, un esempio di resilienza che si fa tangibile.
Perché questa è una storia dolorosa e se deciderete di avvicinarvi ad essa fatelo con questa consapevolezza ma senza paura perché la bellezza che avrete di ritorno sarà valsa qualche momento di apnea.
Le emozioni saranno a volte soverchianti, in alcuni momenti ho dovuto interrompere la lettura, scacciare il nodo in gola, respirare e riprendere.
Essendo ispirata ad una storia reale si soffre certamente, come accade nella vita, ma se alcuni capitoli lacerano il cuore altri invece lo accarezzano, meravigliano, facendo assaporare dolcezza e tenerezza in un perfetto equilibrio tra dolcezza e dolore.
Grazie anche alla caratterizzazione dei personaggi che fanno parte del microcosmo di Aleida.
Personaggi che smettono di vivere sulla carta per uscire dalle pagine diventando persone reali e insieme simboli : di una bellezza dell’animo a cui aspirare, del significato di famiglia, quella che seppur con le proprie imperfezioni tutti vorremmo accanto, composta da individui solidi, presenti, comprensivi, amorevoli, onesti.


Sapere che mio padre accoglierà sempre le persone a me care mi rassicura. Sapere che chi mi vuol bene troverà sempre le porte di casa aperte è una certezza che ho, come una piccola carezza.


L’autore esplora le molteplici emozioni e le difficoltà della genitorialità da più prospettive, e nello stesso tempo parla dell’amore filiale perché va da sé che le due cose non possono essere disgiunte.
Un legame così indissolubile se ci pensiamo che trova espressione ancora prima della nascita, nell’unione fisica con il cordone ombelicale.


Essere genitori è il risultato di una sottrazione: io e te, meno il tempo, meno la pazienza, meno la libertà, uguale “Noi”. Allora sì, forse funziona. Ma per farlo funzionare bisogna accettarlo e capire che il risultato è molto più bello di quell’equazione che è la Vita.


Gli spunti di riflessione sono tanti e salgono all’attenzione del lettore indirettamente con l’utilizzo di immagini, pensieri, simboli, così particolari che non te li aspetti e che danno al libro quel sapore fuori dall’ordinario che mi ha conquistata subito e che è la marcia in più che fa di questo libro un piccolo capolavoro, una preziosa rarità.

Una rarità che salta agli occhi anche e soprattutto per il garbo e la grande delicatezza con cui l’autore in un momento storico in cui amore e possesso spesso si confondono, in quest’opera attraverso le vicende di Aleida rende un bellissimo omaggio alle donne, quelle con la D maiuscola.

Come scrigno di forza, bellezza, custodi del dono della natalità, capaci di un amore incondizionato che valica i confini del presente per restare indelebile.


Le Donne come te, quelle di cui abbiamo più bisogno perché sono le Donne che sognano quelle che hanno capito veramente la realtà e che dalla realtà non si fanno intimorire, ma la sanno affrontare, con lo sguardo fiero e la testa alta, con il cuore colmo e con un bianco/ nero, dentro/ fuori che separa il mondo in buoni e cattivi, in bene e male.


Una playlist di emozioni insomma, che Massimo Algarotti vi regalerà anche sotto forma di musica, una canzone per ogni capitolo che a sua volta ha un titolo che fotografa un pensiero, un sentimento, un attimo. Una cover essenziale che meglio non poteva rappresentare l’anima del libro, il suo perfetto manifesto.
Attenzione ai dettagli, orpelli dosati alla perfezione, mirati, che non solo danno un senso di completezza all’opera, ma restano scolpiti nella memoria facendovi toccare l’arte nella forma del Caravaggio, di Santa Lucia, rievocando il profumo del Petrichor o l’immagine di un piccolo astronauta che prende il volo verso una casa di stelle e galassie.
Un epilogo che fa scorrere lacrime, copiose quanto sono scese le mie, ma nonostante tutto o forse proprio per questo non posso che ringraziare l’autore.
Perché mi ha regalato un libro non facile, ma che proprio per questo vale lo sforzo di resistere ai momenti in cui il cuore si spezza per poi ricomporsi.
Nell’eterna consapevolezza che ricostruirsi dalle proprie macerie, cambiati, ma più forti è doveroso e inevitabile, traendo forza da coloro che ci amano e con cui dobbiamo andare incontro al futuro.
Un futuro incerto sicuramente ma verso cui orientarsi senza timore, perché come ricorda l’autore non v’è da aver paura delle cose belle che entrano nella nostra vita, anche quando possono far male.


Nulla è per caso e anche nei momenti più bui dobbiamo essere pronti ad accogliere la bellezza nelle nostre case, nelle nostre giornate, nei nostri pensieri, nelle nostre battaglie quotidiane. Perché della bellezza non c’è mai d’aver paura.


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LA BICICLETTA NERA di Stefania P. Nosnan

LA BICICLETTA NERA di Stefania P. Nosnan

Titolo: La bicicletta nera
Autore: Stefania P. Nosnan
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2018
Editore: Bertoni Editore

TRAMA


Milano 1943.

Emma Loreti non sa cosa le riserva il futuro. Proviene da un piccolo paese del centro Italia dove la sua amata famiglia è stata trucidata dai tedeschi. Ha ancora presente, davanti ai suoi occhi, l’immagine della sorellina e dei suoi genitori distesi nella polvere. Per dimenticare quel terribile momento e il dolore che le annienta il cuore, sale sul primo treno in partenza verso nord. Viene accolta da una Milano bersagliata e ferita dai bombardamenti alleati. Proprio quando decide di andarsene dalla città conosce Umberto Tomat, capitano del Regio Esercito. Il giovane ufficiale, originario di Udine, è assieme al suo plotone in attesa degli ordini che sembrano non arrivare mai. Tra quella moltitudine di soldati tedeschi e italiani ammassati alla stazione, l’incontro tra Emma e Umberto li porterà a vivere intensamente il sentimento appena nato, che cambierà il loro presente e il loro incerto futuro. Il cambio di alleanze dell’8 settembre 1943, deciderà il destino di una Nazione, ma anche quello dei due giovani. Umberto e i suoi camerati si schiereranno contro i tedeschi dirigendosi verso est, nei territori denominati “Zona d’operazioni del Litorale Adriatico”, combattendo per la loro salvezza e la liberazione della loro terra. Emma partirà per Venezia dove soggiornerà alcuni mesi, abbracciando le idee della Resistenza per sconfiggere l’oppressore. Quando la situazione diventerà insostenibile si sposterà a Udine per ricongiungersi con il suo amato capitano. Il romanzo è tratto da una storia realmente accaduta, fatta di coraggio, lotta e sentimento che, in un momento tragicamente storico, porterà i due giovani a dividersi e amarsi da lontano.

RECENSIONE


Il romanzo è ambientato nel nord Italia durante la seconda guerra mondiale. Un periodo storico dove la paura serpeggia tra la popolazione, sempre allerta a correre nei rifugi appena suonano le sirene, senza cibo, i più fortunati hanno ancora una casa e un orto da cui trarre il sostentamento; gli uomini sono  chiamati alle armi e il più delle volte non fanno ritorno e le donne, rimaste sole con i figli, cercano di sopravvivere alla fame e all’orrore. I soldati italiani sono in un momento di sbandamento perché si ritrovano attaccati dai tedeschi, armati e troppo vicini, fino a ieri loro alleati e improvvisamente, diventano un  bersaglio facile. Sono giovani soldati stremati dalle perdite e dalla fame, senza armi sufficienti a combattere e senza supporto né direttive dal comando centrale, praticamente lasciati soli a morire.

La vita è incerta per tutti: c’è chi si nasconde e chi rimane, combatte come può e ricostruisce quel poco che gli è rimasto. E poi c’è chi non ha più nulla che fugge, senza avere però un posto sicuro dove poter andare. Tutte queste sensazioni di sofferenza, disagio, frustrazione e paura emergono dalle pagine del romanzo grazie alla scrittura coinvolgente dell’autrice e alla trama, arricchita da nozioni storiche accurate. In questo clima di insicurezza e di angoscia si incontrano, per caso alla stazione di Milano, Emma in cerca di un treno per fuggire dalla guerra e Umberto, Capitano del Regio Esercito, che la combatte questa guerra e che con il suo plotone aspetta un treno che tarda ad arrivare. La stazione è spettrale con gente che vaga smarrita, cumuli di macerie dappertutto, valige con una vita di sacrifici dentro, soldati italiani stanchi, feriti nel corpo e nell’anima e soldati tedeschi fieri e sfrontati nelle loro impeccabili divise. Un silenzio irreale che avvolge tutto viene spezzato improvvisamente da sirene e ordigni che esplodono e seminano terrore e sangue. Quando tutto si placa ecco che arriva alle orecchie il cigolio fastidioso di un treno merci: non trasporta viveri ma lamenti, sussurri, lacrime, braccia protese in cerca di aiuto e odore di morte. Appena i due giovani si guardano, pochi scambi di  parole ed è una simpatia immediata, un colpo di fulmine che si concretizza in un sentimento forte; e per tutta la storia si penseranno e cercheranno di rincontrarsi. Da una parte c’è la morte e la distruzione, dall’altra c’è la vita e la speranza di costruire un futuro insieme.


“Emma percepiva solo loro due, non esisteva più la guerra, il dolore e la perdita delle persone care. Non c’erano più macerie, gente che piangeva per la strada e il suono delle sirene. Il mondo si era fermato a quel momento e non voleva preoccuparsi di altro.”


I due protagonisti sono attorniati da tanti personaggi che vivono le medesime incertezze e paure, persone coraggiose che a fatica si rialzano, chi ferito, chi senza forze, chi senza più nulla. Ma si rialzano, tutti con la voglia e la determinazione di andare avanti e di farcela. Anche se è evidente il pericolo e la sconfitta è dietro l’angolo. Nessuno si ferma, nessuno urla, ci si asciuga le lacrime e si va avanti. Un merito va anche agli uomini e alle donne che audaci e combattivi entrano nelle file della Resistenza e affiancano l’esercito. Un libro triste e doloroso dove però emerge la forza dell’amore, non solo tra due persone; l’amore universale inteso come sostegno, aiuto, responsabilità, protezione.

Quello che mi è rimasto impresso di questa storia, a parte le immagini della guerra e della miseria, è la bicicletta nera che dà il titolo al romanzo; l’ho vista sfrecciare fiera in mezzo alla campagna  con il suo cestino pieno di prodotti da vendere. Mentre la  frase che invece ho ancora in testa è


“La guerra rubava vite restituendo solo dolore e piastrine arrugginite”


Parole dure  per ricordare i caduti e per non dimenticarli mai.

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LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti

LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti

Titolo: Le otto montagne
Autore: Paolo Cognetti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona (Pietro)
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: Aprile 2016
Editore: Einaudi

TRAMA


Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.

RECENSIONE


Un vecchio nepalese disegna nel terreno una ruota divisa da otto raggi, poi afferma: “Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. … “Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?”.


L’incontro che si racconta in questa citazione tra il vecchio nepalese e Pietro, protagonista e voce narrante di questo libro, avviene solo nella seconda metà del racconto, eppure si può dire che è in questo passaggio che si concentra il significato profondo dell’opera “Le otto montagne” di Paolo Cognetti.
Un romanzo potente che racconta la storia di un’amicizia tra due ragazzi, Pietro e Bruno, divenuti poi adulti, così diversi da sembrare inconciliabili. Ma spesso sono proprio i poli opposti che si attraggono, fino ad assomigliarsi e completarsi.

Pietro è un ragazzino ombroso, introverso, che ha sempre vissuto in città, insieme ai genitori di origine veneta e amanti della montagna, luogo prediletto dal padre e dove ogni estate trascorrono le vacanze lontano dall’odiata città.
A Grana, piccola località montanara, Pietro conosce Bruno, suo coetaneo che a differenza sua non è mai uscito dal suo paese ed ha già abbandonato la scuola per lavorare nell’alpeggio della famiglia come pastore.

Dal loro primo incontro i due ragazzini instaurano un legame indissolubile che li terrà uniti per tutta la vita.


Quella sera nel mio letto faticai ad addormentarmi. Era l’eccitazione a tenermi sveglio: venivo da un’infanzia solitaria, e non ero abituato a fare le cose in due. Credevo, anche in questo, di essere uguale a mio padre. Ma quel giorno avevo provato qualcosa, un improvviso senso di intimità, che allo stesso tempo mi attirava e spaventava, come un varco su un territorio ignoto.


Un’amicizia che nasce tra due personalità simili, introverse e taciturne, più capaci a comunicare e comprendersi tramite gli sguardi che con le parole. Un rapporto fraterno che diviene collante delle loro vite, in cui le fughe e i ritorni di Pietro, che cresce sempre più tormentato e in cerca di una sua identità, si controbilanciano al radicamento di Bruno, sempre più attaccato a non lasciare la sua valle.

Ed è in questo contrasto che risiede l’essenza del libro, riportando al passaggio iniziale della leggenda delle otto montagne raccontata dal vecchio nepalese a Pietro durante uno dei suoi viaggi. Sarà Pietro che dopo aver vagabondato per il mondo e spinto dalla sua viscerale attrazione per i monti, o l’amico Bruno, che non ha pressoché mai abbandonato le montagne dove è cresciuto, ad aver imparato di più dalla vita?

Una storia dalla trama semplice che lascia così ampio spazio all’evoluzione psicologica ed esistenziale dei due protagonisti, reale forza motrice del romanzo. Un legame basato su un’intesa profonda, quasi atavica, che li compenserà gradualmente nei reciproci momenti del dolore e della perdita, che si alternano nelle loro vite. Durante la lettura si carpiscono i tratti emotivi e psicologici di Pietro e Bruno, rivelati dallo scrittore con naturalezza e autenticità, pur nella loro complessità.


L’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato.”


Due diversi percorsi di crescita che coinvolgono in modo straordinario, in cui l’irrequietezza di Pietro contrasta la tenacia di Bruno, lasciando al lettore la bellezza di capirne virtù e fragilità, forza e debolezza, senza giudizio alcuno.

Terzo indiscusso protagonista del libro è la montagna, non semplice luogo bensì potente metafora poetica, in grado di essere fredda e inospitale e allo stesso tempo accogliente e ristoratrice dell’anima.


«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».

La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.


Uno spazio mistico di meditazione, fatica, silenzio, pericoli che ripercorre le vite dei protagonisti attraverso lunghe distanze, sia geografiche che temporali. La voce narrante di Pietro accompagna il lettore con immagini suggestive dall’inizio alla fine, facendo percepire odori, sapori e permettendo di ammirare la purezza di luoghi descritti in modo realistico.


Il lago laggiú assomigliava a una seta nera, con il vento che la increspava. Anzi no, era il contrario di un’increspatura: il vento sembrava una mano gelida che ne spianasse le pieghe. Mi fece venir voglia di allungare le mie verso il fuoco, e poi tenerle lí a rubargli un po’ di calore.


Un libro magnetico da leggere per sperimentare la bellezza del viaggio, non solo quello fatto di spostamenti bensì quello interiore, in cui ritrovare il significato intimo della propria esistenza e del nostro posto nel mondo.

«Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quand’ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni, quando mi chiedevano di cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna.
Sí, parla proprio di questo»

(Paolo Cognetti).

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I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE di Mélissa Da Costa

I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE di Mélissa Da Costa

Titolo: I quaderni botanici di Madame Lucie
Autore: Mélissa Da Costa
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 6 Aprile 2021
Editore: Rizzoli

TRAMA


Fuori è l’estate luminosa e insopportabile di luglio quando Amande Luzin, trent’anni, entra per la prima volta nella casa che ha affittato nelle campagne francesi dell’Auvergne. Ad accoglierla, come una benedizione, trova finestre sbarrate, buio, silenzio; un rifugio. È qui, lontano da tutti, che ha deciso di nascondersi dopo la morte improvvisa di suo marito e della bambina che portava in grembo. Fuori è l’estate ma Amande non la guarda, non apre mai le imposte. Non vuole più, nella sua vita, l’interferenza della luce. Finché, in uno di quei giorni tutti uguali, ovattati e spenti, trova alcuni strani appunti lasciati lì dalla vecchia proprietaria, Madame Lucie: su agende e calendari, scritte in una bella grafia tonda, ci sono semplici e dettagliate indicazioni per la cura del giardino, una specie di lunario fatto in casa. La terra è lì, appena oltre la porta, abbandonata e incolta. Amande è una giovane donna di città, che non ha mai indossato un paio di stivali di gomma, eppure suo malgrado si trova a cedere; interra il primo seme, vedrà spuntare un germoglio: nella palude del suo dolore, una piccola, fragrante, promessa di futuro.

RECENSIONE


Lascia entrare, condividi, lascia andare


Oggi vi regalo con piacere la storia di Amande, una ragazza felice che ha iniziato ad esserlo grazie a Benjamin, suo marito, incontrato per caso e amato alla follia dal primo istante.

Il destino però a volte, decide di farci brutti scherzi, e all’improvviso toglie ad Amande ogni motivo per essere felice, ma soprattutto le toglie la voglia di vivere e amare ancora.

Per lei si spegne il sole, tutte le giornate sono uguali, si isola dal resto del mondo permettendo alla tristezza di prendere il sopravvento su di lei.

Riesce solo a decidere di trasferirsi, per non passare ogni momento accanto a tutti i ricordi di qualcosa che purtroppo non tornerà più.


Non le dico che non è solo una casa, ma un universo a parte quello che mi sono costruita, un mondo fatto di alberi colorati, di candele al chiaro di luna, pini sacri e piccoli e gioiosi riti funebri. Non le dico che qualunque cosa faccia qui trabocca di significato: i rituali per i morti e la vita che coltivo nell’orto, come hanno fatto gli uomini per migliaia e migliaia di anni.


È in questo momento che avviene la magia e interviene Madame Lucie, la padrona della sua nuova casa.

Una vecchietta morta qualche anno prima che inconsapevolmente le lascia una preziosa eredità; quaderni, calendari, agende, dove annotava cose da ricordare, semi da piantare, compleanni da non dimenticare e frasi come incoraggiamento a non mollare mai.

Apparentemente potevano sembrare degli stratagemmi usati dalla signora per aiutare la sua memoria provata dal passare del tempo, in verità Amande trova pian piano in ognuno di essi un tesoro prezioso, piccole perle che giorno dopo giorno la aiutano a stare meglio.

Seguendo il consiglio di un’amica ho deciso di leggere questo libro, una storia pura, di una bellezza disarmante che mi ha travolta letteralmente fino a farmi diventare parte di qualcosa di indescrivibile.

Grazie ad uno stile di scrittura semplice e coinvolgente, e ad un’ambientazione affascinante e molto realistica, sono entrata senza fatica insieme ad Amande nella casa di Madame Lucie, l’ho vista piangere pensando alle gioie perdute cercando in qualche modo di sopravvivere.


Niente giorni, niente date, niente scadenze, niente incombenze precise. Ho bisogno di libertà. Solo un foglio bianco che mi ricordi il mio obiettivo, la ragione che mi spinge a fare un passo avanti. Il problema è che non ho ancora deciso quale possa essere.


Poi, alla scoperta dei diari della vecchia signora, l’ho vista provare a star meglio, mi sembrava di aiutarla a coltivare il suo orto gioendo con lei alla nascita dei cavoli o dei fiori di stagione.

E proprio come i fiori non sono completi senza tutti i petali a fare loro da contorno, Amande aveva accanto molte persone a lei care che la supportavano dandole aiuto e sostegno ma restavano comunque abbastanza distanti per rispettare il suo delicato stato d’animo.

Una storia che ho sentito sulla pelle, facendola mia pagina dopo pagina, un emozionante esempio di resilienza che resterà nel mio cuore per sempre.


Balleremo entrambi con passo maldestro e con il cuore a pezzi, ma non saremo tristi del tutto, Ben, perché non saremo soli. Con noi ci sarà il nostro amore per te, un amore da morire, ma soprattutto un amore da vivere, ancora e per sempre, per fare onore alla luce che hai lasciato dietro di te…


Ognuno di noi affronta in modo differente le prove difficili a cui la vita spesso ci sottopone; una malattia, un incidente, la morta di una persona cara.

La resilienza indica la possibilità e la volontà di far fronte a questi eventi in maniera quanto più positiva, riorganizzando al meglio la propria vita.

Amande perde qualsiasi motivo per continuare ad esistere, fino a che non si rende conto che andare avanti significa anche celebrare il suo amore perduto facendosi forza e continuando ad esistere anche per lui.


Credo che in fondo l’amore che proviamo per una persona si misuri da questo… dalla quantità di dettagli insignificanti che collezioniamo con cura su di lei.


Consiglio questo libro a chiunque abbia il desiderio di accoglierlo con cuore sincero, perché ogni momento difficile sia un momento di forza da cui ripartire e rinascere a vita nuova.

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TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Daniele Mencarelli

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Daniele Mencarelli

Titolo: Tutto chiede salvezza
Autore: Daniele Mencarelli
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Concluso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 25 Febbraio 2020
Editore: Mondadori

TRAMA


Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un’umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.

RECENSIONE


Mi sono sempre chiesta se i “matti” provano emozioni, gioia o dolore che sia. Grazie alla scrittura potente, schietta e senza filtri dell’autore, le parole mi sono arrivate  subito allo stomaco. Insieme a Daniele, ricoverato in un reparto di psichiatria per un TSO, ho vissuto la sua settimana da internato in una stanza che puzzava di disinfettante, sudore, paura, sofferenza, solitudine e gioia. Sto ancora male per quello che ho visto, le lacrime  uscivano da sole e un macigno sul petto che non mi faceva respirare. Avrei voluto gustarmi il libro con calma, dedicargli il giusto tempo per digerire tutto, invece l’ho ingurgitato in due giorni, una indigestione di follia che non ho potuto trattenere. Ma sono riuscita a capire una cosa importante: tutte le emozioni che provano i “matti” ci sono, eccome, elevate all’ennesima potenza. Per loro ogni cosa è amplificata, ogni sensazione negativa o positiva viene ingigantita e assorbe tutta la normalità. Daniele se lo osservi da fuori è un ragazzo come tanti, con le aspirazioni, i sogni, le stupidate dell’età e l’incertezza del futuro di un ventenne. Poi si fa leggere dentro e il suo mondo è un abisso buio, pensieri che si rincorrono, fanno a pugni tra loro e mescolano amore e odio, senso di colpa e rabbia. Quello che colpisce di Daniele però è che sembra che vada avanti con la tristezza addosso quando è da solo, invece parla ed è felice


«Ma io non so’ infelice, non se tratta de felicità, me sembra d’esse l’unico a rendese conto che semo tutti equilibristi, che da un momento a un altro uno smette de respira’ e l’infilano dentro ’na bara, come niente fosse, che er tempo me sembra come ’n insulto, a te, a papà, e me ce incazzo. Ma io in certi momenti potrei accende le lampadine co’ tutta la felicità che c’ho dentro, veramente, nessuno sa che significa la felicità come lo so io.


 Daniele rimescola ed elabora i pensieri ossessivamente e la sua estrema sensibilità lo porta a sentire la sua sofferenza e quella degli altri sulla propria pelle; non riesce a scrollarsela di dosso, ne porta il peso sulle spalle e chiede salvezza, non solo per sé stesso ma per tutte le persone. Ci sono altri ospiti nella stanza: c’è chi è assente e guarda rapito un oltre che vede solo lui, chi ha parole sagge e un sorriso che illumina tutti, chi sente un’angoscia tanto profonda da togliere il fiato, chi oscilla tra la parte bianca che sfocia in euforia e la parte nera che porta pensieri di morte. E Daniele con la bella persona che è accende la stanza e le persone che incontra nel reparto, anche in quelle catatoniche smuove un guizzo di vita. Pur nella sua sofferenza esistenziale ha sempre un pensiero per tutti


Ma non so’ riuscito a smette de pensa’ a quel ragazzo, m’è montata una rabbia, possibile che nessuno s’accorge che semo come ’na piuma? Basta ’no sputo de vento pe’ portacce via.”


All’inizio Daniele piange, vuole scappare. Chiede, implora i medici indifferenti e distratti, ma niente. Il momento più brutto è la notte che non riesce a dormire. Come bestie attratte dal buio a quell’ora iniziano i lamenti, le voci, i deliri, le urla; fa un caldo asfissiante in provincia di Roma ma Daniele ha paura e i brividi di freddo si mischiano sotto il lenzuolo con un bagno di sudore. Deve resistere una sola settimana che cambierà la sua visione della vita e anche la mia è cambiata leggendo. Tutti i compagni con cui ha condiviso la stanza, pur con le loro diversità, aiuteranno Daniele ad aprirsi e a mostrarsi così com’è, senza maschere né trucchi, perché lo faranno sentire in qualche modo come loro, non è più solo


Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli.”


Uno dei nuovi amici di Daniele che  mi è rimasto impresso più di tutti è Mario. Non so dirvi se mi ha attirato il suo sguardo fuori dalla finestra, i suoi discorsi saggi, le sue manie d’ordine o la sua età. Non mi ha fatto pietà o compassione, nessuno di loro in verità. Ma ho sentito la sua malattia, la solitudine e avrei voluto assecondare i suoi ragionamenti, la sua “pazzia” e le parole di conforto che ha detto a Daniele le ho fatte un po’ mie


Una cosa però tienila sempre a mente. Curati. Chiedi aiuto quando serve. Ma lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno.”


Ed è proprio quello che ho intenzione di fare e che dovremmo fare tutti per amarci di più.

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OPEN, LA MIA STORIA di Andrè Agassi

OPEN, LA MIA STORIA di Andre Agassi

Titolo: Open, la mia storia
Autore: Andre Agassi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Concluso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 27 Ottobre 2015
Editore: Einaudi

TRAMA


Costretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo: l’odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l’autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli ossigenati, l’orecchino e una tenuta più da musicista punk che da tennista, Agassi ha sconvolto l’austero mondo del tennis, raggiungendo una serie di successi mai vista prima.

RECENSIONE


Era da tempo che volevo leggere questa autobiografia, convinta dai numerosi commenti positivi che mi era capitato di sentire da parte di più persone, molte delle quali non sportive e neppure appassionate di tennis. Coincidenza che mi ha incuriosito, ammetto, facendomi superare la diffidenza che ho sempre avuto verso questo genere di libri, considerati più come il risultato di sapienti operazioni di marketing che altro.
Sbagliarsi non è mai stato tanto illuminante perché “Open, la mia storia” è uno dei libri più belli letti fino ad ora.
Un viaggio tanto bello quanto doloroso, in cui fallimenti, vittorie, sconfitte segnano il destino di un uomo divenuto leggenda dello sport, attraverso un percorso umano tortuoso, raccontato dall’infanzia fino al ritiro, avvenuto nel 2006.


Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato. Quando quest’ultimo tassello della mia identità va al suo posto, scivolo sulle ginocchia e in un sussurro dico: Fa’ che finisca presto. E poi: Non sono pronto a smettere.


Cresciuto a Las Vegas da una famiglia ordinaria, Andre Agassi conosce il tennis fin da piccolissimo grazie al padre, ex atleta e ossessionato da questo sport fino a trasformare la sua vita in una missione: far divenire il figlio un campione. Un padre despota che gli nega un’infanzia fino a chiudere la sua adolescenza in una prigione blindata. Una figura a tratti disturbante e odiosa, con cui Andre nutrirà un rapporto complesso per tutta la sua lunga carriera, fluttuando tra odio e amore, bisogno e rifiuto. Una contraddizione in termini, come lui più volte ammetterà, che riflette i sentimenti interiori vissuti verso lo stesso sport che lo segnerà nel profondo, consacrandolo l’unico tennista ad aver vinto in carriera tutti e quattro tornei dello Slam, la medaglia d’oro del singolare olimpico, il torneo ATP World Championship e la Coppa Davis.
Obiettivi incredibili e impensabili per la maggior parte degli sportivi professionisti, raggiunti pagando però quale prezzo?


Il dolore di perdere, il dolore di giocare. Ci ho messo trent’anni io a capirlo, a risolvere il calcolo della mia psiche.


Un costo altissimo, sia a livello fisico che psicologico, che minerà le fondamenta della vita di un ragazzo fragile, alla perenne ricerca di sé stesso e in costante conflitto con il mondo che lo circonda.

Ricordo da ragazzina Agassi come sportivo ma soprattutto come personaggio, per i suoi look stravaganti e i capelli lunghi, che indignavano i giudici di gara di allora e che facevano impazzire le ragazze. Un’icona sportiva e di stile per più di una generazione e che segnò l’epoca dei ruggenti anni ottanta. Un campione che divenne facile preda del mondo del gossip per i suoi matrimoni, il primo con l’attrice Brooke Shields, e la successiva caduta nella dipendenza da metanfetamine, nonché l’irriverente atteggiamento di tennista insofferente alle regole, tra cui il rifiuto di rispettare il dress code imposto dal rigido torneo di Wimbledon, che gli costò la sua partecipazione per anni.
Una patina da star dal quale traspariva la luccicante superficie glamour e che ben nascondeva la sofferenza e il tormento di un ragazzo che visse una gioventù turbolenta, in un mondo altamente competitivo.
Una storia toccante che insegna moltissimo, in cui è facile identificarsi perché il tennis è un po’ come la vita:


Non è un caso, penso, che il tennis usi il linguaggio della vita. Vantaggio, servizio, errore, break, love (zero), gli elementi basilari del tennis sono quelli dell’esistenza quotidiana, perché ogni match è una vita in miniatura.


Un libro messaggero di speranza, in cui riscatto e rinascita sono al centro di una vita vissuta agli estremi, come i lati di un campo, tra l’ossessiva ricerca della perfezione e la paura del fallimento. Un divario come simbolo ricorrente che segna l’eterno conflitto tra ciò che vorremmo e ciò che in realtà facciamo, come succede ad ognuno di noi.

Lo stile narrazione serrato ed incalzante, raccontato al presente, segna il ritmo della lettura e coinvolge senza lasciare sosta, come se si assistesse virtualmente ad un match combattuto all’ultimo sangue su un campo di tennis, in cui è impossibile staccare gli occhi dalla palla.

Alla fine della lettura sono andata a sbirciare nel profilo Instagram di questo campione, incuriosita ancora di più dalla sua vita. Quello che mi ha maggiormente colpito è stato il suo sorriso luminoso, immortalato in scatti privati autentici che lo ritraggono in una vita ordinaria, condivisa da quasi vent’anni accanto alla moglie Steffi Graff, campionessa di tennis con cui ha avuto due figli, oggi adolescenti. Una coppia solida, che forse nasconde il segreto della sua longevità in aver condiviso un’infanzia con dei padri manipolatori e una gioventù vissuta sotto i riflettori. Il sogno più grande che volevano realizzare era proprio quello dell’anonimato, come stanno facendo da anni.

Nonostante i chili in più e un aspetto visibilmente più maturo, quello che oggi appare chiaro è che Andre Agassi è un uomo appagato, sorridente, sereno, sicuramente molto diverso dalle immagini che si alternano nel suo profilo Instagram da giovane, più magro e in forma ma con quegli occhi bellissimi e tristi che ammaliavano orde di ammiratrici.
Sapere oggi cosa nascondesse quello sguardo così malinconico mi ha commosso profondamente, facendomi apprezzare ancora di più la sua storia, costellata di ricordi ed esperienze che testimoniano una vita straordinaria. Un uomo che ha trasformato le sue cadute in trampolini per lanciarsi in sfide sempre più difficili, alla ricerca di sé stesso e di un’identità per anni privata, raggiungendo quella pace interiore così a lungo negata, per trovare il significato della propria esistenza accanto ai propri affetti più cari e facendo del bene agli altri.


Quello che la gente vede adesso, nel bene e nel male, è la mia prima formazione, la mia prima incarnazione. Non ho alterato la mia immagine, l’ho scoperta.


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LE RICAMATRICI DELLA REGINA di Jennifer Robson

LE RICAMATRICI DELLA REGINA di Jennifer Robson

Titolo: Le ricamatrici della regina
Autore: Jennifer Robson
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Concluso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 26 Settembre 2019
Editore: HarperCollins Italia

TRAMA


Mentre osserva affascinata i deliziosi ricami che la nonna le ha lasciato in eredità, Heather Mackenzie nota che sono identici a quelli dello straordinario abito che la Regina Elisabetta ha indossato al suo matrimonio, quasi settant’anni prima. Le sono arrivati in una vecchia scatola insieme a una fotografia di nonna Ann con Miriam Dassin, celebre artista sopravvissuta all’Olocausto. Che legame c’è tra le due donne? Da dove arrivano quei preziosi ricami? Quella che a poco a poco emerge dalle pieghe del tempo è la storia di due giovani ricamatrici che lavorano presso la nota casa di moda Hartnell a Mayfair: Ann, ragazza inglese della classe operaia, e Miriam, immigrata francese sfuggita ai Nazisti. E proprio a loro, prima coinquiline, poi amiche, viene offerta un’opportunità eccezionale: realizzare lo squisito, complicatissimo ricamo che ornerà l’abito nuziale della futura Regina. Lo stesso ricamo che, dopo aver attraversato il tempo e l’oceano, condurrà Heather incontro al proprio destino.

RECENSIONE


Sono sicura che ognuna di voi, io per prima, porta nel cuore l’affetto delle proprie nonne, i loro preziosi insegnamenti e i piccoli grandi tesori che con amore ci hanno lasciato in eredità.

E’ stato così per Heather, una giornalista canadese, che al momento della morte di sua nonna Ann scopre un regalo prezioso riservato a lei, che la incuriosisce e la invoglia a voler scoprire segreti sul suo passato che da sempre le avevano tenuto nascosti.


La nonna non era mai stata propensa a rispondere alle domande; quello era un dato di fatto. Ma forse, e solo forse, non le sarebbe dispiaciuto se Heather fosse andata in cerca delle risposte.


Nel 1947, un anno in cui il mondo intero cercava di ritrovare una dimensione dopo lo strazio della seconda Guerra Mondiale, Ann Hughes lavorava presso una delle più famose sartorie londinesi che ebbe l’incarico di confezionare l’abito della sposa dell’allora principessa Elisabetta.

Fu un matrimonio che passò alla storia, come un evento grandioso per tutto il paese, che viveva un momento di felicità dopo un periodo così duro.

Erano tempi complicati, dove lavorare era l’unico modo per riuscire a mangiare e a sostenere una vita dignitosa, e dove c’erano poche possibilità per delle ragazze giovani di uscire, distrarsi e divertirsi.

Ann era una ricamatrice e con dedizione metteva in ogni suo lavoro un po’ di sé stessa, un particolare della sua vita, qualcosa che le permetteva di volare con la fantasia raggiungendo luoghi e momenti che riuscivano a farla stare finalmente bene.


La peonia continuava a vivere nella sua memoria. La vedeva chiaramente, i petali lucidi, splendenti e perfetti. Immutata. Tutta intera e viva. Ricacciò indietro le lacrime. Infilò l’ago. Sfiorò il tessuto immaginario con le dita, e ricominciò da capo.


Lavorare allo strascico della principessa quindi, anche se era un compito di grande responsabilità, diventava per lei un momento di benessere da condividere con le sue colleghe e con Miriam, la sua coinquilina nonché la persona che la comprendeva come poche e la sosteneva in ogni prova.

“Le ricamatrici della regina” è stata una lettura davvero travolgente, che ho portato avanti con molta curiosità fin da quando ho visto la sua cover allegra e colorata, integrandola con ricerche sulla storia del matrimonio reale e sull’abito da sogno della principessa esposto in vari musei inglesi.

Leggendo viene subito alla luce la forza e la dignità di due ragazze che non si lasciano travolgere dagli eventi, ma riescono a trovare il bello in ogni cosa che fanno lottando ogni giorno per vivere meglio.

Nei capitoli la narrazione passa dal presente al passato intrecciandosi alla perfezione, come la trama e l’ordito dei tessuti più preziosi, fino a creare qualcosa di davvero unico.

Questa storia è la prova che ogni forma d’arte regala magia, momenti unici che ti permettono di uscire dalla stressante routine quotidiana, arricchendo quello che si crea con una parte di noi stessi

Dopo un’intensa giornata lavorativa, dedico sempre un momento alle mie abilità manuali, mettendo da parte tutto e lasciando la testa libera di volare con la fantasia; penso che non ci sia niente di più bello.

Consiglio questa lettura a chi desidera una storia che porti speranza e forza, trarrete il meglio dalle nostre protagoniste fino a farlo vostro e a non lasciarlo più andar via.


Un approccio improntato al rispetto, alla reverenza e soprattutto alla profonda gratitudine per coloro che hanno sacrificato e perduto così tanto durante i terribili anni della guerra.

(nota dell’autrice)


Custodite sempre con sura l’eredità delle vostre nonne, perché ogni piccolo particolare narra una storia affascinante che aspetta solo di essere scoperta e raccontata.

Link per l’acquisto di Le ricamatrici della regina qui