LA VERSIONE DI VASCO di Vasco Rossi

LA VERSIONE DI VASCO di Vasco Rossi

Titolo: La versione di Vasco
Autore: Vasco Rossi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 24 novembre 2011
Editore: Chiarelettere

TRAMA


“Ognuno ricorda le cose alla sua maniera, ognuno un po’ se la racconta. Io sono stato franco. Con questo libro di dichiarazioni forse si capirà di più la mia versione… La realtà, a vederla bene, è dura, non sempre giusta, ma io la prendo come una sfida e dico sempre: andiamo a vedere fino in fondo. Questo è ciò che ci fa essere uomini, andare avanti nonostante tutto, anche se intorno la realtà ti fa schifo. Mio padre era socialista e non essere schierato in quegli anni con i comunisti o i preti non pagava a Zocca. Nella comune teatrale di Bologna ho scoperto Bakunin e gli anarchici. Non quelli che mettono le bombe, ma uomini migliori, liberi, talmente responsabili che non c’è più bisogno di uno Stato che ti detti le regole. Non sono mica Vasco Rossi io. Sono una persona, sono un uomo, mica un eroe invulnerabile come Achille. Dove mi colpisci io sanguino, Vasco Rossi no, lui non sente niente.”

RECENSIONE


Sono un provocatore di coscienze. Mi piace provocare quando scrivo.


Se credevate di avere in mano una classica biografia che raccontasse episodi più o  meno significativi della vita del “Blasco”, devo dire subito che decisamente non è così.

E giustamente aggiungerei.

Perché se avessi prestato più attenzione alle parole, che hanno un significato ben preciso e dicono da sole tutto quello che c’è da sapere, come recita il titolo, questo libro è “La versione di Vasco”, quindi il SUO personale, coerente e ovviamente modo tutto rock di raccontarsi.

Attraverso frammenti di interviste, dichiarazioni, pensieri liberi Vasco riconferma il personaggio di rockstar dalla vita spericolata, che ha vissuto al massimo, pagandone anche le conseguenze, artista libero e anticonformista con pochi peli sulla lingua, franco, diretto e provocatore.


Sognavo una vita avventurosa, volevo diventare una Rockstar. Poi, Rockstar lo sono diventato. Ho fatto tante cose, sono arrivato fin qui. E sono sempre più confuso. Ecco, con le canzoni io faccio la cronaca della mia confusione.


A primo impatto anche per me la sensazione data dalla lettura è stata di confusione.

Non un filo cronologico a tenere insieme i capitoli o a dare ai fatti una collocazione temporale lineare.

Una serie di dichiarazioni invece, più o meno distanti nel tempo in cui egli stesso si racconta, come uomo e come rockstar.

Errore mio.

Non si può prendere in mano un libro che racconta questo cantautore e aspettarsi di trovarsi di fronte ad una lettura classica, tanto meno semplice o tradizionale. 

E di questo Vasco avvisa anche il lettore all’inizio del libro, con una breve prefazione che più chiara di così non si può:


Ognuno ricorda le cose alla sua maniera

Ognuno un po’ se la racconta

Le biografie sono tutte false

Io sono stato Franco

Con questo libro di dichiarazioni forse sì capirà di più la mia versione

La versione di Vasco


Tenuto conto di questo mio approccio sbagliato ho quindi proseguito con occhio diverso e allora lì è scattata la magia, quella che arrivati alla fine del libro scalda, dandoti la sensazione di essere soddisfatti del viaggio intrapreso.

Come nella sua discografia Vasco tratta temi e argomenti tra i più svariati.

Dal suo rapporto con amici d’infanzia e affetti perduti, nella piccola e provinciale Zocca, un luogo che si intuisce subito stargli stretto non solo geograficamente, alla relazione con il padre che nonostante le loro distanze caratteriali e generazionali, era pieno di amore e la cui scomparsa è stata la chiave di volta nel processo che ha contribuito a far diventare Vasco quello che è diventato.


La sua assenza improvvisa è diventata un momento chiave della mia vita.

L’ultimo suo insegnamento fu : “ Sparisco, così ti svegli”. E io mi sono svegliato.


E lo fa con il linguaggio che sempre lo contraddistingue.

Un linguaggio che ha trasportato sulla carta con il suo tipico stile, semplice ma incisivo, popolare ma non banale, e con quel tocco filosofico che gli è valso spesso l’appellativo di poeta, racconta la sua visione della politica, di religione, filosofia, amore, sesso, tossicodipendenza, famiglia, arte, musica e ancora molto altro.

In questo suo libero flusso di pensieri e opinioni ci sono un’onestà intellettuale e  una trasparenza dell’anima che difficilmente credo si possano trovare in altre biografie cosiddette più tradizionali.

La stessa trasparenza poi che attraverso le sue canzoni è stata capace di mostrare al pubblico, quello che lo ama e lo segue da decenni.

Ed è proprio al suo pubblico che dedica una parte del libro tra le pagine che più ho apprezzato.

Attenzione, il “Blasco” lo dice chiaramente ai giovani di separare la canzone perfetta e fantastica dalla persona che l’ha creata, credo a voler smitizzare sè stesso come rockstar e lanciare forte il messaggio che lui è Vasco cantante ma anche Vasco uomo.

In quest’ultimo convivono le difficoltà, le sofferenze e le fragilità che sono di tutti.

Quelle che lui ha voluto esternare con la musica e le persone lo hanno capito, lo sentono nelle sue note e soprattutto nei suoi testi.

Da questa reciproca onestà è nato un legame forte, continuativo e fedele con coloro che lui chiama la sua gente.


Ho sempre saputo quello che stava facendo, ero consapevole che le mie canzoni si collocavano esattamente in un buco, in uno spazio vuoto, tutto da riempire, quindi prima o poi il pubblico le avrebbe capite. Andavo avanti aspettando che la gente capisca e, non ero preoccupato.


Proprio per questo l’amore con il suo pubblico, che egli non vuole chiamare fan perché troppo riduttivo, è assolutamente reciproco, un guardarsi dentro l’un l’altro usando la musica come lente.


Ho raggiunto la mia meta! E la mia meta è stata quella di aprire la porta…dei vostri cuori.

In questi anni, grazie ai miei concerti, sono stato ospite nelle dimore delle vostre anime.

Ho visto stanze splendide , tutte diverse.

Piene di luci colorate e di ombre scure, con centinaia di quadri appesi, e tesori nascosti, e passaggi segreti e finestre con viste bellissime.


Non è semplice recensire un libro di questo tipo, perché La versione di Vasco è come la sua carriera.

È proprio come lui.

Difficile riassumerlo in poche righe: provocatore, diretto, arguto, sensibile e libero.

Capace di essere sia profondo che leggero, semplice e complicato, unico ma di tutti.

Se vogliamo attingere agli innumerevoli versi immortali di alcune sue famosi canzoni, direi che questo libro ha un un senso, anche se un senso non ce l’ha.

Ad ognuno la possibilità di leggerlo e trovarne il proprio.


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ITHAKA: LUNA IN CIELO E ROSE IN TERRA di Federica Baglivo

ITHAKA: LUNA IN CIELO E ROSE IN TERRA di Federica Baglivo

Titolo: Ithaka: luna in cielo e rose in terra
Autore: Federica Baglivo
Serie: autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Giugno 2019
Editore: Dario Abate Editore

TRAMA

Ithaka ha venti anni, vive su un’isoletta greca sperduta in mezzo al mare a metà degli anni sessanta e porta lo stesso nome della patria di Ulisse, che l’eroe omerico sognò di raggiungere per una vita intera. Ithaka ha passato l’infanzia con suo padre ma una malattia che ha colpito il suo cuore, glielo ha strappato all’età di dieci anni. Le rimangono di lui il fermaglio a forma di rosa bianca con cui le legava la treccia e due misteriose poesie, una delle quali dedicata alla sua vera patria, la Baviera, da cui egli è fuggito anni addietro senza che nessuno ne sappia il motivo preciso. Ithaka, spinta dalla voglia di sapere e di capire, intraprende un viaggio alla volta della Germania. Si ritroverà nell’apparentemente tranquilla cittadina di Kreuzbach. Ma l’apparenza inganna, infatti, tra le casette con giardino e sotto il cielo azzurro si nascondono in realtà inquietanti segreti e conti in sospeso. La vita che stenta a ripartire, le ferite aperte, i rimandi della guerra, una comunità ebraica chiusa, una politica ristagnante, un gruppo di neonazisti che pratica violenze incontrastate.Una luce nel buio: Ithaka conosce un gruppo di ragazzi animati da un autentico desiderio di cambiare le cose. Al loro fianco Ithaka ricostruirà i tasselli di un passato che da anni sembra attenderla nei luoghi, nella gente e nelle parole.

RECENSIONE


Ho avuto l’opportunità di conoscere la scrittura di Federica Baglivo, una armonia di poesia e prosa, che mi ha incantato, apprezzandone l’intensità e il modo in cui è riuscita a fondere  questi due mondi creativi. E oggi vorrei parlarvene e farvi entrare nel suo mondo.

Il romanzo vede come protagonista Ithaka: una ragazza intraprendente e coraggiosa che decide di partire dalla Grecia e di fare un viaggio in Germania alla ricerca del suo passato; lì scoprirà gli ideali per cui vale la pena lottare e le cose importanti della vita. Sarà un viaggio doloroso ma appagante dentro sé stessa; al suo arrivo il passato la travolgerà e la sconvolgerà ma è forte e, grazie all’amore che ha intriso la sua infanzia, alla curiosità e alla ingenuità dei suoi vent’anni, riuscirà ad integrarsi e a superare le avversità. Il suo motto è:


L’importante è che non spegniate le vostre luci, anche se il mondo intorno a voi è buio.


Praticamente un inno alla vita che va sempre vissuta fino in fondo, apprezzandone la luce e accettando e superando il buio. Ithaka è sempre alla ricerca del giusto, della luna e delle rose bianche, una costante della sua vita. Così come la costante è la poesia che traspira e prende possesso delle pagine. Il  viaggio è dedicato al padre, Frederick, un uomo con l’animo di un poeta immortale ma con il cuore di un bambino. Un uomo straordinario che ha fatto della poesia il mezzo di evasione dal mondo che non va inteso come fuga dalla realtà, ma come un modo di andare oltre ciò che è evidente, ciò che si vede con gli occhi.

Le sue poesie mi hanno commosso per l’intensità dei sentimenti che sprigionano, per l’amore che è racchiuso all’interno e che grazie alle parole si sprigiona; ma anche per l’affinità con mio padre che è stato poeta nell’animo e nei pensieri. Ithaka incontrerà tante persone durante questo viaggio, tanti amici che la aiuteranno nella sua ricerca, che apriranno i suoi orizzonti e le insegneranno che per avere il mondo che vogliamo occorre darsi da fare, scendere in campo e combattere, senza farsi abbattere. E capirà che, se si vuole davvero una vita meritevole di essere vissuta, bisogna riuscire a trovare qualcosa per cui sei disposto a vivere ma, soprattutto, a perderla la vita. Ithaka ha sempre respirato amore in famiglia e nella sua vita ma si troverà a sperimentare l’odio e la distruzione della guerra. Sarà però molto fortunata perché anche lei troverà il suo punto di riferimento, il suo sole. Qualcuno infatti le dirà che:


 Ognuno a questo mondo ha due soli che gli nutrono lo sguardo: uno lo ammira lassù in cielo e l’altro lo cerca sulla Terra.


Quello che colpisce nel romanzo è l’entusiasmo di questa giovane scrittrice e la poesia che sprigiona dal suo libro; il prologo è meraviglioso, così come la poesia “incomprensibile” che la ragazza riuscirà a capire, non solo leggendola più volte, come ho fatto io, ma immergendosi nelle parole e guardando oltre.

SCOLPITELO NEL VOSTRO CUORE di Liliana Segre

SCOLPITELO NEL VOSTRO CUORE di Liliana Segre

Titolo: Scolpitelo nel vostro cuore
Autore: Liliana Segre
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 20 novembre 2018
Editore: Edizioni Piemme

TRAMA


“La memoria di Liliana Segre cerca il suo approdo nel presente. Le sue parole lo svelano: racconta di se stessa in guerra come una profuga, una clandestina, una rifugiata, una schiava lavoratrice. Usa espressioni della nostra contemporaneità affinché la testimonianza del passato sia un ponte per parlare dell’oggi. Qui e ora. E, interrogando il presente, Liliana indica quel futuro che solo i ragazzi in ascolto potranno, senza indifferenza e senza odio, disegnare, inventare, affermare.” (dall’Introduzione di Daniela Palumbo).

RECENSIONE


Che la marcia che vi aspetta sia la marcia della vita, e non della morte. Questo vorrei dirvi.


Che la memoria della storia sia uno strumento importantissimo per non cadere negli errori di cui è stata testimone è risaputo.

Se tra gli strumenti di questa memoria ci sono le parole scritte di chi ha vissuto sulla propria pelle orrori come quelli subiti durante il regime nazi-fascista, è doveroso farne tesoro e condividerle.

Così come non è stato facile per l’autrice iniziare a raccontare nelle scuole questa parte dolorosa del suo passato, nello stesso modo non è semplice esserne partecipe attraverso la lettura.

La narrazione non è mai cruda nonostante il contenuto, ma si percepisce comunque forte la sofferenza che hanno provato le persone coinvolte negli eventi descritti.

Liliana Segre in questo libro racconta in modo breve ma incisivo la terribile esperienza di tredicenne deportata ad Auschwitz.


Ero sola. A tredici anni entrai da sola nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. I ragazzi mi chiedono spesso: «Ma come hai fatto, Liliana? Come ha fatto quella bambina, da sola, lì dentro?».


Viene da chiederselo leggendo queste pagine: come ha fatto lei e tutti coloro che sono sopravvissuti?

Ma questa è solo la prima di una serie di domande che la stessa narratrice si è trovata a porsi più volte nel corso della propria vita.


Mi sono ritrovata più di una volta nella mia vita a chiedermi con angoscia, con stupore: «Perché?». Senza mai aver avuto risposta.

Non eravamo più italiani? Patrioti? Cittadini? 


Perché il dolore della persecuzione, dell’isolamento, dell’indifferenza comincia molto prima dell’internamento.

Con l’emanazione delle leggi razziali gli ebrei italiani perdono i diritti civili.

Ed è il racconto di questa discesa verso l’annientamento che tocca e commuove da subito, visto attraverso gli occhi di una bambina che improvvisamente non può più frequentare la scuola, si ritrova isolata e abbandonata dagli amici e dai conoscenti, tocca il disprezzo durante le perquisizioni, conosce la paura durante la fuga e sperimenta la prigionia.

Perché molte sono le emozioni di questa ragazzina che si riesce a toccare sulla propria pelle e che bruciano al contatto, diventando marchio, come quello inflitto agli internati nei campi di sterminio.

Il senso di colpa, lo smarrimento, la paura, la pena, la sofferenza fisica ed emotiva, l’ostinato attaccamento alla vita, lo stupore.


Negli occhi dei quattro soldati russi c’è tutto lo stupore per il male altrui, così ce ne parla Primo Levi. Unico, eccezionale, Levi, nel raccontarci il senso di smarrimento di chi è innocente di fronte al Male.


Lo stupore è forse il sentimento più paradossale che evoca il racconto, perchè viene da chiedersi come sia stato possibile una così totale e collettiva perdita di umanità nei confronti di altri esseri umani.

Nonostante ciò in ogni parola dell’autrice si respira una consapevolezza dolorosa ma mai contaminata dall’odio.

Nonostante le sofferenze vissute, come racconta lei stessa, Liliana Segre non ha mai ceduto a quella oscurità che la ha avvolta in quei terribili anni.

Non una volta fa trasparire dal suo racconto rabbia o desiderio di vendetta.

La sua testimonianza consapevole e onesta è un lascito ai giovan,i perché facciano dei suoi ricordi mattoni su cui costruire ponti di pace e di libertà.


Sono una persona che non dimentica, ma libera dallo spirito di vendetta: la mia libertà sta nel sentirmi una donna di pace.


Una testimonianza come questa non lascia indifferenti.

Il messaggio più potente e più importante che lasciano le sue parole è quello che riguarda l’indifferenza.

Liliana Segre ha ragione quando dice che è anche peggio della violenza.

Perché ne diviene sua complice.

La stessa che ha consentito che in quegli anni milioni di persone venissero prima perseguitate e poi sterminate.

L’indifferenza che ancora oggi nonostante tutto serpeggia e strisciante si insinua nelle coscienze di chi non è capace di raccogliere la bellezza di chi è diverso da noi ma nello stesso tempo uguale.

Un libro per ragazzi che può tranquillamente essere letto anche dagli adulti perché siano essi per primi a farne strumento della memoria, da condividere e tramandare come un testimone ai giovani.

Quei giovani che la senatrice Segre considera tutti suoi nipoti e per i quali è diventata, nonostante il dolore del ricordo, una fiamma perpetua a illuminare chi non c’era, chi non se ne preoccupa, chi ancora non crede.


<< Sconfessate la menzogna. Diventate candele della memoria.>>


Proviamo a essere scintilla per queste candele, anche leggendo e diffondendo libri come questo.


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LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi

LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi

Titolo: La custode dei peccati
Autore: Megan Campisi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Gennaio 2022
Editore: Nord

TRAMA


Ha rubato solo un pezzo di pane,   ma la giovane May avrebbe preferito essere impiccata come tutti gli altri ladri. Invece il giudice ha scelto per lei una condanna peggiore della morte: diventare una Mangiapeccati. Dopo la sentenza, May è obbligata a indossare un collare per essere subito riconoscibile e le viene tatuata la lettera S sulla lingua. Da quel momento, non potrà mai più rivolgere la parola a nessuno. Poi inizia il suo apprendistato presso la Mangiapeccati anziana che, nel silenzio più assoluto, le insegna le regole del mestiere. Un mestiere spaventoso: raccogliere le ultime confessioni dei morenti, preparare i cibi corrispondenti ai peccati commessi e infine mangiare tutto, assumendo su di sé le colpe del defunto, la cui anima sarà così libera di volare in Paradiso. Le Mangiapeccati sono esclusivamente donne, disprezzate e temute da tutti, eppure indispensabili. E infatti, un giorno, May e la sua Maestra vengono convocate addirittura a corte, dove una dama di compagnia della regina è in fin di vita. Dopo la confessione e la morte della donna, però, alle due Mangiapeccati viene portato un cuore di cervo, un cibo da loro non richiesto e che rappresenta il peccato di omicidio. Sconcertata, la Maestra di May si rifiuta di completare il pasto e viene imprigionata per tradimento. Rimasta sola, la ragazza china la testa e porta a termine il compito, ma in cuor suo giura che renderà giustizia all’unica persona che le abbia mostrato un briciolo di compassione. Quando viene chiamata ancora a prestare i suoi servigi a corte, May intuisce che una rete di menzogne e tradimenti si sta chiudendo sulla regina e che solo lei è in grado d’intervenire. Perché essere invisibile può aprire molte porte, anche quelle che dovrebbero restare chiuse per sempre…           

RECENSIONE


Parto da quello che dovrebbe essere il mio giudizio finale: è davvero difficile sintetizzare ciò che mi ha trasmesso questa storia e quanto io abbia amato questo romanzo. May ha rubato un pezzo di pane. Ha rubato per fame, per sopravvivenza. Eppure degli uomini la giudicano una ladra, la reputano colpevole di un crimine terribile, e May viene condannata ad essere una mangiapeccati: con una S tatuata sulla lingua ed un collare attaccato al collo, la povera ragazza dovrà consumare determinati cibi ogni volta che qualcuno sta per morire. Tramite la confessione del morente lei dirà quali cibi devono essere preparati (ad ogni cibo corrisponde un peccato), per poi consumarli ed accollarsi i peccati del morente. E così i defunti possono riposare in pace.

Proviamo ad immaginare il dramma di una ragazza che perde tutto, che sa di essere condannata a qualcosa di terribile, che SA che non potrà più avere una vita normale: nessuna famiglia, emarginazione sociale, condannata al silenzio per l’eternità. È May a raccontarci in prima persona il suo tormento, a raccontarci il disgusto per tutto ciò che è costretta a ingerire.


” L’invisibile è ora visibile. L’inudibile è ora udibile. I peccati della tua carne diventano i peccati della mia, cosicché io li possa portare nella tomba in silenzio. Parla.”

” Stinco d’agnello, aringa sottaceto, uova di piccione” snocciola la mangiapeccati.


Nel corso della storia siamo spettatori della grande sofferenza di May che assiste la mangiapeccati più anziana, fino a quando un giorno non si trova ad ascoltare le confessioni di una dama di compagnia della regina: sulla sua bara viene fatto mettere un cuore di cervo. Cuore di cervo: omicidio, infanticidio…. Ma la donna non ha mai confessato questo crimine. Qui inizia il percorso di May verso una vita diversa: il desiderio della verità la porta verso un viaggio tortuoso dal quale non si torna più indietro.


” Le mie labbra mimano le parole: Oh, Ruth! Il mio respiro si stempera in un pianto dirotto, per le sofferenze che ha subito lei, per il dolore che provo io, e per la solitudine che mi schiaccia il petto non meno delle pietre che l’hanno uccisa”.


La narrazione in prima persona rende la storia ancora più cruda e vera: il lettore sente il dolore di May, il bigottismo della società dell’epoca, il maschilismo e la crudeltá di uomini che decidono il destino delle donne. Ma May è il simbolo di tutte quelle donne che si ribellano ad un destino imposto e combattono per la propria dignità.


” Mi raggomitolo sotto un vecchio tappeto procuratomi da Bessie la Mangiapeccati, assieme a Topo il gatto. Il collare è nella scatola accanto a questo mio giaciglio. E ora che mi addormento sono di nuovo May. May e basta.”


Merita solo elogi Megan Campisi che ha saputo realizzare un’opera eccezionale: con la sua scrittura evocativa mi ha trasportata in un altro mondo, e mi ha fatto capire che nessun destino è mai scritto fino in fondo.

Consigliato a tutti, soprattutto a coloro che hanno ancora la forza di ribellarsi e di combattere. Una piccola curiosità: pare che l’autrice si sia ispirata ad una figura realmente esistita in alcune culture, la mangiapeccati, allontanata da tutti ma allo stesso essenziale per i propri servigi.     


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CHE COSA TI ASPETTI DA ME? di Lorenzo Licalzi

CHE COSA TI ASPETTI DA ME? di Lorenzo Licalzi

Titolo: Che cosa ti aspetti da me?
Autore: Lorenzo Licalzi
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 12 Giugno 2012
Editore: BUR

TRAMA


Tommaso Perez, brillante fisico nucleare, ripercorre la sua esistenza: gli anni d’oro in compagnia dei più grandi scienziati del Novecento e quelli grigi, spesi isolato in una casa di riposo. Stanco di vivere e disilluso, non sa che la vita ha ancora in serbo qualcosa per lui. Quando Elena entra nel suo mondo, e a poco a poco lo rivoluziona, Tommaso ritrova fiducia in un futuro diverso, e scopre che può ancora voltare pagina. Anche dopo i settant’anni. È questo amore fuori tempo massimo che gli permetterà di “oltrepassare il confine dove il sé si confonde con l’altro e il sé e l’altro diventano tutt’uno”. Un romanzo cinico ed esilarante, ironico e commovente, capace di raccontare la realtà in tutta la sua fragile, gloriosa e imprevedibile umanità.

RECENSIONE


E la vecchiaia alla fine vincerà la guerra, anzi l’ha già vinta, mi ha già ucciso tenendomi in vita.


Non avrei mai immaginato che questa lettura mi avrebbe conquistata a tal punto.

Smettere di vivere senza essere morti, questo fa il protagonista del libro di Lorenzo Licalzi Che cosa ti aspetti da me?

La vecchiaia non va accettata va conquistata afferma Tommaso Perez, anziano fisico nucleare colpito da una malattia che lo costringe a essere ricoverato in una casa di riposo.

Lo spietato resoconto della vita in questa struttura di degenza per anziani autosufficienti e non, costituisce la prima parte del libro, un ritratto cinico, a tratti drammatico ma desolatamente realistico e nello stesso tempo ironico, di giornate scandite da gare su carrozzine più o meno all’avanguardia il cui traguardo è riuscire a farsi mettere per primo a letto, o accaparrarsi la poltrona più vicina ai bagni.


In questa casa di riposo va in scena ogni giorno la parodia delle bassezze umane, che la vecchiaia, come un regista maledetto, esalta fino alla massima potenza.


Lo stile dell’autore, ha avuto una grande incidenza sulla mia capacità di assorbire questa prima parte del racconto senza esserne disturbata perché onestamente non sono pagine che è semplice digerire.

Fondamentale è stata la capacità dell’autore di raccontare la decadenza del corpo, la vulnerabilità della mente e la vita come attesa della morte, con un realismo sfiorato a tratti da un velo di ironia, dando una connotazione alla narrazione così dissacrante da renderla quasi grottesca.

Questo ha notevolmente attutito la tristezza, il senso di dignità perduta e la solitudine che inevitabilmente sgorgano dalle pagine.

Lo scrittore utilizza il protagonista come un filtro che in prima persona fa comprendere al lettore quella che è la visione disincantata, decadente, cinica della vita da parte di Tommaso, ma non lasciatevi ingannare dal suo racconto, che utilizzando la prima persona rende molto tangibili le emozioni e le sensazioni del protagonista.

Perché anche se vi sembrerà di essere lì con lui nella sua stanza a fissare la crepa nel soffitto in attesa che una ennesima giornata vuota e triste inizi, in realtà questo è un racconto di rinascita.

Certamente inconsueta, inattesa, di un uomo al tramonto della sua esistenza che deve accettare la vecchiaia e non combatterla, ma pur sempre trattasi di un risveglio interiore, narrato con uno stile che scalda nonostante la freddezza delle situazioni, intenerisce nonostante la durezza delle vicende, trasmette speranza là dove sembra non essercene più.


Così la vita in un mondo che non ti appartiene finisce per perdere tutto il valore che ha.


Inizialmente è proprio così, per Tommaso la vita non ha più valore e desidera ardentemente la morte.

Da scienziato è sempre stato molto pragmatico, anche un po’ misantropo, ma è anche un uomo che ha covato un grande sogno e che è capace di incantarsi a guardare un cielo pieno di stelle.

Conosce la sofferenza del cuore ma non è abituato a quella del corpo e la poca dignità che contraddistingue la vita nella casa di riposo lo hanno definitivamente convinto dell’inutilità di una vita di questo tipo.

Arrivati alla seconda parte del libro l’autore vi sorprenderà cambiando decisamente registro.

Il racconto si tinge di una lieve dolcezza e scopriremo che è possibile trovare l’amore e grazie ad esso ritornare a guardare con fiducia al futuro anche nella vecchiaia.

Leggendo ho pensato che questo è un messaggio importante ma non comprensibile a tutti, a volte forse anche non accettato dai più giovani.

Perché avere davanti un anziano costituisce uno specchio di quello che attende nella maturità dell’esistenza e non sempre questo riflesso rimanda una condizione accettabile dal punto di vista fisico ed emotivo.


Ciò che rende tragico questo posto sono le persone che lo abitano, sono io… siamo noi. Sono i vecchi, costretti a vedere negli altri che vivono qui il riflesso della loro vecchiaia. Ed è questo che ci disturba, in fondo, e che disturba i giovani, perché guardandoci vedono il riflesso del loro destino…


Penso onestamente che spaventi non arrivare alla vecchiaia, ma spaventa anche arrivarci in un certo modo, con il fardello della possibile perdita d’indipendenza, la prospettiva della solitudine, del sentirsi un peso, della sofferenza fisica.

A riprova però che non conta solo quel che si sceglie di raccontare ma soprattutto come lo si racconta, Lorenzo Licalzi ha dipinto con realismo e sostanza questa paura, riuscendo però a squarciarla, mostrando all’interno di questo strappo uno scorcio di vita in cui non tutto è perduto.

Come sempre l’affetto è capace di plasmare anche le situazioni più difficili fino a renderle più leggere o se vogliamo più dolcemente sopportabili perché il peso della sofferenza è condiviso, spalmato sulle spalle di chi si ama e ci ama diventa più leggero.

Che cosa ti aspetti da me? chiede ad un certo punto il protagonista e sta tutta in questa frase il senso profondo di questa lettura.

Il peso delle aspettative possono essere catene che pesano su di noi fino a condizionare la nostra formazione, la nostra visione delle cose, diventando zavorra, fonte di preoccupazione, rinunce e conquiste che non ci appartengono veramente.

L’amore che l’autore celebra attraverso i protagonisti è quello che non ha aspettative ma prende e si nutre di quello che uno è in grado di offrire.

Un tipo di amore questo che porta con sé una inattesa felicità a Tommaso e una nuova serenità.


Non fu la pace interiore a fargli scoprire l’amore ma il contrario: fu la scoperta dell’amore a farlo sentire sereno.


Grazie ad un tipo di amore del tutto diverso come solo può essere quello vissuto da “vecchi”.

Incredibilmente quando pensi che la vicenda sia vicino ad una conclusione dolceamara l’autore sorprende nuovamente con una terza parte del libro che costituisce una sorta di visione delle vicende narrate in una prospettiva più ampia e da un’angolazione differente ma che dà alla storia un senso di completezza.

È stato difficile scegliere quali estratti inserire in questa recensione, perché ogni passaggio, ogni frase porta con sé qualcosa a cui pensare, idee sopite in fondo alla nostra mente e forse ancora di più in fondo al cuore, che hanno bisogno di parole come queste per venire a galla, semplici ma che scuotono.

La lettura di Licalzi mi ha veramente sorpresa con una scrittura fluida, diretta, tragicamente esilarante in alcuni passaggi ma densa di significato tanto che è stata una sottolineatura continua.

Una riflessione sull’esistenza, sulla fisica, sulla filosofia, su Dio, sull’amore, un contenitore vario e misurato ma anche intenso e commovente.


Quindi non lo so se la velocità della luce un tempo non era costante, ma so che un uomo che ha avuto per tutta la vita il sogno di dimostrarlo, anche se poi non l’ha dimostrato, ha cullato un grande sogno, uno di quei sogni per cui vale la pena di vivere e di vivere una vita che vale la pena di essere raccontata.

Questa è una storia che vale la pena di leggere che parla della condizione umana fragile, decadente, imperfetta ma pur sempre una meravigliosa, emozionante umanità.

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LA CASA DELLE BELLE ADDORMENTATE di Kawataba Yasunari

LA CASA DELLE BELLE ADDORMENTATE di Kawataba Yasunari

Titolo: La casa delle belle addormentate
Autore: Kawataba Yasunari
Serie: Autoconclusivo
Genere: Erotic, Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 1961 in lingua originale e traduzione in italiano nel 1972
Editore: Mondadori

TRAMA


“La casa delle belle addormentate” è un raffinato racconto erotico incentrato sulle visite del vecchio Eguchi a un inconsueto postribolo nel quale gli ospiti possono passare la notte con giovanissime donne addormentate da un narcotico. Il regolamento vieta di svegliarle, esaltando il fascino quasi magico emanato dalle fanciulle, e permette a Eguchi, attraverso una delicata rapsodia di sensazioni e di ricordi, di riappacificarsi con se stesso in un viaggio tra i più misteriosi recessi della psiche, evocati con segni incredibilmente semplici, rarefatti e luminosi. Il volume comprende anche due romanzi brevi di Kawabata («Uccelli e altri animali» e «Il braccio») ed è arricchito dalla postfazione di un altro protagonista della letteratura giapponese del Novecento, Yukio Mishima.

RECENSIONE


«Paradossalmente, un bel cadavere privo ormai delle ultime tracce di spirito, offre le più forti sensazioni di vita.»


Questo è il pensiero che deve aver avuto chi ha voluto creare la casa di tolleranza delle ragazze addormentate; un luogo dove anziani soli passano le notti, affamati di calore umano e di vita, più che di sesso. Le ragazze sono giovani, minorenni talvolta, vergini; giacciono nude su un letto riscaldato da una coperta termica. Ostentano la loro giovinezza e bellezza ma sono rese incoscienti da un potente sonnifero che le fa dormire profondamente.

Cosa spinge un uomo a voler trascorrere una notte con loro e godere della loro compagnia? L’attrazione sessuale o la solitudine? La voglia di vita o la consapevolezza di essere vicini alla morte? Tutte queste domande troveranno risposte e riflessioni nel protagonista di questo racconto.
Eguchi è un uomo di 67 anni, ancora sessualmente attivo che vuole provare questa insolita e intrigante modalità erotica, attratto dalla  forza magica che gli suscitano delle ragazze costrette al sonno. Nella sua vita non ha mai trascorso con una donna delle notti così innocenti, ma vuole tentare anche questa strada e si renderà conto che saranno notti così piene di eccitazione ed effetti sul corpo e sulla mente.

L’ambientazione e l’atmosfera che si respira è quella tipica giapponese: la presenza costante del tè verde come fonte di rassicurazione, conforto, un po’ come sentirsi a casa; il letto basso chiamato tatami; il profumo delle camelie, le tende di velluto rosso che accendono la  dando alla stanza un’aria magica. Tutti i sensi sono impegnati, sia quelli di Eguchi che quelli di chi legge: gli occhi osservano ammaliati e giudicanti, le mani sfiorano, accarezzano lievemente, il naso cattura odori piacevoli e forti, l’orecchio capta i respiri e il tempo che scorre fuori, un temporale o la risacca del mare. Sono proprio gli odori delle donne che riportano alla mente profumi di fiori, un bosco, stagioni passate, donne del passato.

Leggendo si ha la consapevolezza che si può provare un piacere sconosciuto e anomalo, una sessualità che non si consuma nella modalità tradizionale; non c’è rapporto sessuale ma il solo vederle, annusarle, il solo avvicinarsi, genera immagini, fantasie, sogni e incubi. La prima ragazza con cui dorme Eguchi lo porta indietro a quando era solo un bambino perché gli ricorda il sapore del latte, la seconda ragazza al primo sguardo la reputa una esperta di sesso, la successiva gli sembra addirittura sia una vergine, un’altra invece gli trasmette tanto calore. La visione di queste fanciulle evoca in Eguchi ricordi. E tra memorie del passato e corpi nudi e giovani del presente, passano le nottate.

E si perché tornerà più volte nella casa e dormirà con donne diverse, ognuna delle quali susciterà in lui emozioni, brividi e passioni. Le accarezza, grazie alla loro staticità, le osserva minuziosamente ma più di tutto vorrebbe svegliarle; si rende conto che un rapporto umano di questo tipo non riesce a soddisfarlo pienamente; il silenzio non appaga del tutto né i sensi né la solitudine, anzi, acuisce tutto ancora di più.

Eppure dopo la prima volta sente il bisogno e la curiosità di tornare ancora nella casa. Non di tratta di un erotico tradizionale, in questo racconto la seduzione si percepisce nei gesti, negli sguardi e negli odori ed è molto efficace. La voce narrante del protagonista Eguchi riflette e fa riflettere il lettore sul tema della alienazione e della repressione del desiderio: stare accanto a giovani donne, dormire con loro senza godere dei loro corpi.

Realtà e sogno, amore e morte si mescolano nei pensieri che portano a meditare sul declino inevitabile della vita e sulla paura che si ha della morte, nel momento in cui si è anziani. E allora poter dormire accanto a giovani donne è come volersi consolare e godere, per una notte, di un lampo di vita ritrovata. Non riuscendo a rassegnarsi all’inesorabile scorrere del tempo.


«Proprio le ragazze che continuavano a dormire senza fine erano forse per i vecchi una libertà senza età – già Eguchi lo aveva pensato. Le dormienti che non parlavano, forse parlavano come piaceva ai vecchi.»


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DORMI STANOTTE SUL MIO CUORE di Enrico Galiano

DORMI STANOTTE SUL MIO CUORE di Enrico Galiano

Titolo: Dormi stanotte sul mio cuore
Autore: Enrico Galiano
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima e terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: Aprile 2020
Editore: Garzanti

TRAMA


Mia sa che può sempre contare su Margherita, la sua maestra delle elementari che, negli anni, è diventata anche la sua migliore amica. Nello strambo quaderno che custodisce in un cassetto di casa ci sono scritte tante piccole meraviglie, che sono anche tante grandi risposte. È lei a spiegarle che il cuore di una tartaruga batte sei volte al minuto, quello di un colibrì seicento. E che ogni cuore, quindi, segue il suo tempo. Ma c’è una domanda a cui Margherita non sa rispondere: “perché Fede è andato via?”. Fede è il ragazzo che la famiglia di Mia ha preso in affido. Fede non voleva parlare con nessuno, ma ha scelto lei come unica confidente. Fede, con i testi delle canzoni, le ha insegnato cose che lei non ha mai saputo. Fede l’ha stretta nel primo abbraccio in cui si è sentita al sicuro e davvero felice. Fede l’ha ascoltata e capita come nessuno mai. Da quando non ha più sue notizie, Mia non riesce ad avvicinarsi alle persone, non riesce nemmeno a sfiorarle. Mentre il mondo e la storia si inseguono e si intrecciano, lei si è chiusa in un guscio più duro dell’acciaio. E non vuole più uscire. Ma se non si affronta il nemico, il rischio è che diventi sempre più forte, persino invincibile. Se non si va oltre l’apparenza non si conosce la realtà. Anche se provare a farlo è un’enorme fatica; anche se ci vuole molto tempo. Perché, come dice Margherita, ogni cuore ha la sua velocità: non importa chi arriva primo, basta godersi la strada verso il traguardo.

RECENSIONE

Mia ha 30 anni e conosce bene l’istinto e la scia di gioie e dolori che il cuore lascia dentro e dietro di sé. È sempre stata matura, anche da bambina, quando osservava il mondo con gli occhi della meraviglia, come se fosse un grande contenitore di desideri da rincorrere.


Il mondo era un pacco da scartare, una pagina bianca, l’istante subito dopo la stella cadente.”


Continua a farlo, anche da adulta, quando ormai conosce il bello e il brutto del mondo. E da ragazzina si è ritrovata, da un giorno all’altro, senza vita. Più che giorno parlerei di notte, perché è proprio una Notte, in particolare, che toglierà luce alla sua vita.


Amo il suono del fiume che scorre, gli occhi miei chiusi ad abbracciarlo, nessuno lo sa ma amo così tanto vivere che ho un velo di lacrime sempre sugli occhi solo perché odio, terribilmente odio che vivere significhi, un giorno, morire. E non muori una volta sola…No, non muori solo il giorno che muori: puoi morire tante volte mentre sei ancora vivo.”


Partendo da un album di fotografie Mia racconta in prima persona, come una sorta di diario, l’incontro con Fede, la sua fobia, il suo sentirsi diversa, emarginata dai compagni, nel periodo critico dell’adolescenza in cui si fatica a conoscersi e a farti conoscere dagli altri. Il linguaggio, le espressioni e le paure di Mia, nella prima parte, rispecchiano la sua giovane età e i ricordi sono così nitidi che si rivivono leggendo. Nella seconda parte, quando inizia il viaggio verso la sua rinascita, Mia utilizza invece parole mature e consapevoli.

Cosa sarai mai accaduto a Mia? Quale tragico evento ha potuto trasformare la sua curiosità e vitalità in fobia e terrore? Mia si rende conto di soffrire di afefobia, una patologia che le provoca dolore, una sorta di bruciore quando tocca o viene toccata da una persona. Questa la porta a isolarsi e a fare lo slalom tra la gente per evitare qualsiasi contatto fisico. Tutto nasce da quella maledetta Notte in cui suo fratello adottivo Fede viene portato via dalla sua casa e se ne perdono le tracce. Fede un ragazzino che la famiglia di Mia ha preso in affido e che ha visto la guerra con gli occhi e ne ha vissuto l’orrore sulla pelle.


Sembrava davvero un cane abbandonato per strada, il pelo sporco e bagnato, tanta paura negli occhi e tanto freddo dentro. Un cane abbandonato e muto. Come se qualcuno gli avesse rubato la voce.”


Fede non parla ma osserva e capisce tutto e si lega a Mia, con un affetto e un amore totale; un sentimento che può essere come quello che c’è tra fratello e sorella oppure qualcosa di molto più intenso. Quando viene portato via, a Mia vengono nascoste le informazioni su di lui dai genitori per salvaguardarla e proteggerla. Non si rendono conto che i bambini possono accettare tutte le verità, anche le più dolorose, ma le bugie no. E che il negare l’evidenza e la realtà scavano buchi profondi e fanno perdere la voce del verbo toccare. I motivi di tutti questi segreti verranno svelati man mano. Ma è solo alla fine del libro che la matassa dei pettegolezzi e dei pregiudizi nati su Fede si srotola e viene sbrogliata. Prima di allora si susseguono voci alte o frasi sussurrate, che lo screditato, che lo accusano. Mia è sicura di quello che sente, è certa dei messaggi che le invia il cuore e dei brividi sulla pelle. Eppure comincia a credere a quelle voci e ad avere paura di Fede; una persona che le è stata così vicino, che le ha chiesto e dato affetto e amore con una semplice frase “Dormi stanotte sul mio cuore”. Poche parole che hanno un significato immediato ma che, per l’autore, si riferiscono alla poesia Rimani di Gabriele D’Annunzio.

Mia sente di avere la neve sul petto che le impedisce di respirare, che le fa tenere tutto a distanza


Cosa significa avere la neve sul petto? Significa stare davanti a un tramonto tutto rosso e non fermarsi un minuto a guardarlo. Passare vicino a un mucchio di foglie in autunno senza la voglia di saltarci sopra a farle scalpicciare.”


È proprio vero che non si ha bisogno di una persona che veda il mondo come lo vediamo noi, ma di qualcuno che il mondo ce lo lasci guardare ma con i nostri occhi. Posso solo dirvi che Mia l’ha trovata una persona così sensibile e attenta. Quello che non posso rivelare è il viaggio che l’ha portata a ritrovare, prima se stessa, poi questa persona. Perché dovrete scoprirlo leggendo questa meraviglia.

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IO SONO MIO FRATELLO di Giorgio Panariello

IO SONO MIO FRATELLO di Giorgio Panariello

Titolo: Io sono mio fratello
Autore: Giorgio Panariello
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2020
Editore: Mondadori

TRAMA


Giorgio Panariello custodisce una storia. Lui e il suo fratello minore
sono stati entrambi abbandonati dalla madre subito dopo la nascita.
Giorgio viene affidato ai nonni materni, Franco invece finisce in un
istituto. Mentre Giorgio cresce e diventa uno degli uomini di spettacolo
più amati d’Italia, Franco cade nella tossicodipendenza. Fino alla
tragica fine. In questo libro per la prima volta Panariello ha deciso
di raccontare il filo nascosto (la preoccupazione costante, il senso di
colpa) che da sempre corre nella sua vita. Un libro straziante e
dolcissimo, che grazie all’onestà e all’accuratezza dei sentimenti
sa muovere le corde più profonde delle nostre emozioni

RECENSIONE


Ho sempre pensato, e sono sicura che in molti saranno d’accordo con me, che la vita dei personaggi famosi fosse perfetta; tanti soldi per realizzare qualsiasi desiderio e poche preoccupazioni.

Forse perché ci mostrano solo il lato positivo delle loro esistenze, quello dove si ride e si gioisce dei successi che la carriera regala loro.

Giorgio Panariello con questo libro ha deciso di portarci dietro le quinte, svelando i retroscena e raccontando chi era prima di diventare famoso.

Una famiglia povera con tante bocche da sfamare, come era facile trovare un tempo, Giorgio cresce con i nonni abbandonato dalla madre, scoprendo solo più tardi di avere un fratello minore, Franco un’anima fragile che capisce di dover difendere da tutto e tutti.


Crescere senza affetto è come stare senza un tetto sopra la testa, non ci si sente mai protetti, difesi, mai a casa. È stata solo una questione di culo. Potevo nascere un anno dopo di lui e mio fratello sarei stato io. E invece è toccato a lui sentirsi addosso un anno di meno, un anno di troppo.


Le loro vite vanno avanti in maniera parallela, ma mentre per Giorgio si aprono le strade del successo, Franco di perde nella tossicodipendenza e inizia a vivere in maniera dissoluta e irrecuperabile.

Era da tempo che volevo leggere questo libro, spinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscerne la storia, e devo dire che l’ho vissuto con molto entusiasmo lasciandomi travolgere pagina dopo pagina.

Raccontato in prima persona dalla voce dell’autore, all’apparenza potrà sembrare la classica storia dove un attore famoso ci parla di sé e dei suoi successi ma vi assicuro che è molto di più; Giorgio Panariello ci regala uno spaccato di vita vissuta parlando dei suoi esordi, e mentre lui diventa celebre, Franco cade sempre più in un vortice da cui non potrà uscire facilmente.


Mio fratello ha sempre preteso di essere amato, credeva gli spettasse di diritto, per la sua condizione, per quello che aveva passato, per il male che gli era stato fatto e il bene che gli era stato negato. E chiunque non potesse o non volesse dimostrargli amore aveva un posto assicurato dentro il girone dei dannati del suo personale Inferno.


Ecco, in questo preciso momento ho davvero compreso la vera essenza di questa storia, un fratello è una parte del nostro cuore che batte per lui, una delle persone da tenere sempre accanto con cui gioire e affrontare le prove difficili della vita.

Giorgio mette da parte tutto per aiutare Franco, senza paure e pregiudizi, solo vedendo nei suoi occhi la voglia di farcela come richiesta di aiuto.

Non pensa alla sua fama, né che il pubblico possa fraintendere le sue azioni, mette davanti ad ogni cosa il bene di suo fratello festeggiando con lui i piccoli traguardi di ogni giorno.


La distanza tra noi si era colmata e lo sentivo più vicino. Avevo provato quello che si può provare con un vero fratello: orgoglio, rabbia, amicizia, odio, complicità, intesa, divertimento, affetto, gioia e apprensioni. Non eravamo più fratelli unici. Non riuscivo a rassegnarmi al fatto che tutto sarebbe finito come doveva, che un finale diverso fosse impossibile.


Ho vissuto questa storia facendola mia e pensando al mio fratello minore, che si trova ad attraversare un momento molto difficile; l’ho protetto da quando è nato e sarò sempre pronta ad aiutarlo a rialzarsi, e a sorridere di ogni gioia quotidiana; donandogli amore incondizionato ad ogni costo.

Consiglio questo libro a tutti, rimarrete sopresi da come una persona abituata di solito a farvi ridere, possa farvi scendere una lacrima regalandovi emozioni uniche.

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BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

BUSKASHI’: VIAGGIO DENTRO LA GUERRA di Gino Strada

Titolo: Buskashì: Viaggio dentro la guerra
Autore: Gino Strada
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 11 Dicembre 2013
Editore: Feltrinelli Editore

TRAMA


La buskashi è il gioco nazionale afghano: due squadre di cavalieri si contendono la carcassa di una capra decapitata. È violento, senza regole. L’unica cosa che conta è il possesso della carcassa, o almeno di quello che ne resta al termine della gara. È come il tragico gioco a cui partecipano i numerosi protagonisti del conflitto afghano. Una partita ancora in corso, solo che al posto della capra c’è il popolo dell’Afghanistan.Buskashi è la storia di un viaggio dentro la guerra, che inizia il 9 settembre 2001 con l’assassinio del leader Ahmad Shah Massud, due giorni prima dell’attentato di New York. Un viaggio “clandestino” per raggiungere l’Afghanistan nel momento in cui il paese viene abbandonato da tutte le organizzazioni internazionali e si chiudono i confini. L’arrivo nella valle del Panchir, l’attraversamento del fronte sotto i bombardamenti per raggiungere Kabul alla vigilia della disfatta dei Talebani, la conquista della capitale da parte dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord, la Kabul “liberata”: l’esperienza della guerra vista dagli unici testimoni occidentali della presa di Kabul.Un viaggio nella tragedia delle vittime, e insieme una riflessione sulla guerra, sulla politica internazionale, sull’informazione e sul mondo degli aiuti umanitari. 

RECENSIONE


Qui, nella vita degli afgani è il vero confine, il territorio della mente che dobbiamo ancora esplorare per capire la guerra, e per odiarla. Con le pietraie del passo, bisogna lasciare alle spalle anche il pensiero occidentale. Siamo in Afghanistan. “Vivo o morto” è diverso, ora. Ora siamo dentro la guerra.


Lo spiega molto chiaramente Gino Strada in questa sua opera dal titolo Buskashi`: il tentativo di raggiungere e superare il confine afgano nel settembre 2001 per riaprire l’ospedale Emergency di Kabul, di cui questa opera è il resoconto, è in realtà il simbolo del superamento della mentalità occidentale.

Quella che ritiene la guerra un male necessario, nonostante poi a pagarne il prezzo siano i civili indifesi soprattutto bambini, e che si creda non ci riguardi perchè infesta luoghi molto lontani da noi.
Perché di questo si tratta, superare un limite mentale, un confine ideologico che va oltrepassato, espresso alla perfezione in questo passo, uno dei più conosciuti.


Questo è il vero confine, quello più difficile da attraversare. Fare propria, rispettare l’esperienza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda “altri” anziché noi stessi. Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.


L’autore di questo libro ha passato la sua intera esistenza dentro i conflitti, un argomento di cui non è semplice parlare, si corre il rischio di cadere in una retorica spiccia, perché diciamocelo che ne sappiamo noi della guerra?

Al di là delle ovvie considerazioni astratte sugli orrori che porta con sé, per noi che la vediamo filtrata dai media, dall’informazione, dai racconti di popoli lontani, resta una realtà che possiamo provare ad immaginare ma che in realtà non conosciamo e forse ancor meno comprendiamo.

Paradossale se pensiamo invece che per chi la vive sulla propria pelle è invece quanto di più concreto si possa toccare : paura, violenza, sofferenza, dolore, povertà e incertezza sono molto concrete per chi le deve vivere ogni giorno. Così ho voluto provare a toccare un po’ di questa concretezza attraverso le parole scritte di chi la guerra la conosce bene, perché l’ha vissuta da molte angolazioni, l’ha provata sulla propria pelle, l’ha dovuta inserire nelle trame della vita propria e della propria famiglia.


Mi sono trovato a parlare con me stesso. Un déjà vu, e insieme una situazione nuova, imbarazzante. Che cosa fai qui? Come lo spieghi a Cecilia, a Teresa? Che cosa dici loro, per convincerle che è giusto che tu sia qui, per far credere che tutto ciò valga il loro rischio di non rivederti?


Nasce così questo piccolo omaggio al compianto Gino Strada, in ricordo del primo mese trascorso senza di lui. Un personaggio di una caratura morale tale da ispirare molto più che ammirazione e forse anche un senso di riverenza per la forza del messaggio che ha costituito la sua intera esistenza. Buskashi` racconta eventi passati ma purtroppo molto attuali, nonostante siano trascorsi vent’anni dagli accadimenti in esso descritti. Il fondatore di Emergency non delude nemmeno in qualità di scrittore : emerge prepotente lo spessore di questo essere umano che ha votato la propria esistenza alla cura e al sostegno dei deboli e degli indifesi.

Attraverso di esso lascia ai lettori messaggi molto chiari, che non si riconducono solo al desiderio di pace ma a molto di più. Pensieri e posizioni espresse consapevolmente perché  frutto di esperienze vissute in prima persona, che personalmente condivido, tra i quali spicca una verità che in molti paesi non è realtà: i diritti umani vanno costruiti non declamati. Un messaggio molto potente e sicuramente nitido: tutti hanno diritto ad una vita dignitosa, libertà e cure mediche, che non si ottengono con politiche astratte e discorsi filosofici ma con azioni concrete, tradotte in istruzione, assistenza medica, lavoro.

Buskashi` è un libro diviso in due parti, la prima appunto un diario di viaggio, difficile, faticoso, impervio dentro un paese violentato da ideologie, interessi e giochi di potere prima e dalla guerra poi. La seconda la cronaca degli eventi vissuti una volta raggiunta la città in questione, prima della sconfitta dei talebani. Un resoconto autentico e tangibile di cosa significa sfidare le difficoltà, non arrendersi, mettere in gioco tutti se stessi nell’intento di aiutare chi soffre a costo della propria incolumità, al termine del quale il lettore prenderà consapevolezza che nascere in luoghi dove regnano democrazia, uguaglianza, libertà e soprattutto pace non è un merito ma una fortuna. Se la guerra incombe su popoli lontani da noi per posizione e cultura è solamente un puro caso.


Perché non si tratterà più di essere musulmani, ebrei o cristiani, né di essere di destra, di centro o di sinistra, per farsi un’opinione sulla guerra. Basterà ricordare quelle storie, e mettere Anna al posto di Jamila, e Mario invece di Waseem.


Un titolo volutamente simbolico: Buskashi` è il nome di un gioco afgano dove ci si contende la carcassa di un animale. Ecco che l’Afganisthan diventa come questa carcassa, un territorio conteso tra i partecipanti ad una guerra che prende ufficialmente il via in seguito a due attentati di natura diversa, ma che in realtà è l’ennesimo tentativo di trarre profitto in un gioco geopolitico che nulla ha a che vedere né con la religione né con la giustizia. Non fosse per il fatto che il libro narra eventi reali durante i quali la sicurezza di Gino Strada e collaboratori è messa in serio pericolo, si potrebbe definire quasi un racconto avvincente, dallo stile incalzante, anche avventuroso. Ma in realtà attraverso queste pagine Gino Strada vuole dire molto di più: ci lascia dei mattoni con cui egli stesso ha iniziato a costruire la pace, un’eredità che tocca a noi continuare.

Mattoni composti da umanità, senso del dovere, generosità, amore per il prossimo, desiderio di aiutare chi soffre, senso della giustizia, tutte qualità di quest’uomo straordinario, incarnate nella sua creatura più importante e più bella, gli uomini e le donne di Emergency.
Questo libro mette inevitabilmente in moto i pensieri, perché è impossibile restare impassibili di fronte al racconto dei giochi di potere, delle ideologie estreme, dell’efferatezza delle azioni umane, di tutte quelle mostruosità che costituiscono la guerra.Una lettura che si è rivelata un forziere con molti tesori, che risplendono soprattutto per lo stile con cui l’autore li ha portati alla luce, facendoli emergere dalle macerie di una bomba esplosa, dalle ferite di bambini mutilati, dalle lacrime di famiglie distrutte.

Un paese martoriato raccontato con uno stile personale, che come in un’altalena alterna cronaca e riflessioni ad un lieve tocco di umorismo. Quasi un’” italianità” dei protagonisti, come un’impronta dello spirito che li contraddistingue, che non solo stempera il dramma che si trovano ad affrontare ma lascia passare in mezzo alle crepe dovute alla distribu anche molto cuore.
Regalatevi la lettura di un libro che è innanzitutto la condanna dei poteri politici che direttamente o no sono di fatto i promotori e i finanziatori dei conflitti, di un’informazione asservita alla politica molto lontana dalla trasparenza e dalla verità. Il racconto dello scontrarsi con l’estremismo, con la perdita di umanità, uno sguardo attento alla disparità di diritti tra i popoli del mondo. E infine una dichiarazione d’amore alla moglie Teresa e alla figlia Cecilia.


Teresa è una sorpresa, ogni giorno. Sorprende tutti coloro che la conoscono, per l’intelligenza e la simpatia, perché è bellissimo ascoltarla, e guardarla. Sorprende per la sua capacità, unica, di capire le persone, di tenere insieme un gruppo, dando molto a tanti, anche nei momenti difficili.


Incontrerete persone autentiche e non personaggi, conoscerete teorie poco ortodosse ma provate sul campo, come il “rischio pecora”. Gino Strada ci ha lasciato tanto, le sue parole scritte sono un ulteriore dono di cui consiglio di avvalersi. Perché con questa testimonianza e soprattutto con il suo esempio ci ha dimostrato che il concetto di utopia è solo nella nostra mente, qualcosa che non è stato ancora fatto ma che si può realizzare se ci si crede. E forse allora un giorno l’espressione “Al salam alekkum” –  “Che la pace sia con te” potrà diventare finalmente una realtà e non più solo un’idea.

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CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin

Titolo: Cambiare l’acqua ai fiori
Autore: Valérie Perrin
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: chiuso
Editing: ottimo
Data di pubblicazione: 10 luglio 2019
Editore: Edizioni e/o

TRAMA


Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.

Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.

RECENSIONE


I cimiteri sono luoghi di culto e di preghiera dove trovano sepoltura i defunti, da sempre accolgono parenti e amici addolorati che si recano a visitare le tombe dei loro cari persi per sempre.

A volte sono anche luoghi culturali, che per la presenza di monumenti antichi e di storie affascinanti diventano addirittura meta di visite turistiche.

In un paesino della Borgogna, con pochi abitanti che si conoscono tutti tra loro, il cimitero è arricchito dalla curiosa figura di Violette.

Violette ne diventa la guardiana ereditando il ruolo da Sasha, il suo predecessore, e facendo tesoro dei suoi insegnamenti.


Mi piace ridere della morte, prenderla in giro. È il mio modo di esorcizzarla, così si da meno arie. Burlandomi di lei permetto alla vita di prendere il sopravvento, di avere il potere.


Da subito si rende conto che non sarà semplice, ma se state pensando a qualcosa di macabro sono pronta a smentirvi; Violette giorno dopo giorno impara a coltivare l’orto, ad aiutare i fiori a sbocciare a curare le tombe ma soprattutto ad ascoltare i vivi, mantenendo un grande rispetto per ogni tipo di dolore che le capita di incontrare.

D’abitudine non chiude mai la porta della sua casa, e ogni pomeriggio sorseggia il thè insieme ad un uomo che ha da poco perso sua moglie o ad una madre che piange la morte di suo figlio, parlando dei loro cari, e cercando insieme motivi per ricordarli sorridendo.


Prendersi cura del cimitero vuol dire prendersi cura dei morti che vi riposano e rispettarli. Nel caso non siano stati rispettati da vivi, che almeno lo siano dopo morti. Sono sicura che vi sono sepolti anche molti stronzi, ma la morte non fa distinzione fra buoni e cattivi. E poi, chi non è stato un po’ stronzo almeno una volta nella vita?


Mi sono lasciata finalmente incuriosire da questo libro, che stato un vero e proprio caso editoriale, e devo dire che sono stata travolta da un’avventura intensa e molto coinvolgente.

Grazie alle descrizioni particolareggiate, è stato facile immaginare Violette nella serietà del suo ruolo, vederla coltivare i suoi fiori, e restare stupita dalla potenza delle parole dette e non dette che mi hanno regalato emozioni contrastanti ed autentiche.

La narrazione si estende tra passato e presente, legando al meglio ogni episodio e portando con sé un intreccio di esistenze l’una complementare all’altra raccontate in modo perfetto, che fanno di questo libro una storia davvero da ricordare.

Perdere una persona cara è un dolore grande, si fa fatica ad accettarlo, tanto che a volte diventa difficile reagire e comprendere che la vita deve andare avanti; non importa a che età il nostro amato ci lascia, sarà sempre una perdita che influisce nell’andamento della nostra esistenza.

Violette ha un trascorso molto triste, e lei stessa porta nel cuore il dolore della perdita, ma decide di provare ad usarlo come forza per aiutare gli altri.


Sono stata molto infelice, addirittura annientata, inesistente, svuotata. Sono stata come i miei vicini, ma in peggio. Le mie funzioni vitali continuavano, ma senza me dentro, senza la mia anima, che a quanto pare, a prescindere da che uno sia grasso o magro, alto o basso, giovane o vecchio, pesa ventuno grammi.


E con i suoi abiti colorati, indossati sotto cappotti a tinta unita lascia capire che nonostante le esperienze negative è pronta a voltare pagina provando ad essere di nuovo felice.

Ogni giorno invita i parenti a raccontarle degli aneddoti sul defunto così da tenere un diario che possa fungere da memoriale e fare in modo che questa persona non venga mai dimenticata.


Nei primi anni era devastata. Il dolore toglie la parola. Oppure fa fare sciocchezze. Poco a poco aveva ritrovato la strada per comporre frasi semplici, chiedere notizie degli altri, notizie dei vivi.


Noi possiamo essere questo memoriale, i ricordi delle persone che se ne vanno, se lo vogliamo potranno essere sempre vividi dentro di noi, e ogni loro sorriso, parola o insegnamento diventare parte della nostra vita.

Solo così resteranno vive nel nostro cuore, per sempre, e solo così potremmo avere la nostra serenità.

Vi consiglio di immergervi in questa storia che apparentemente vi potrà sembrare triste e malinconica, ma leggendo vi accorgerete quanto possa trasmettere forza e speranza, per trascorrere al meglio ogni giorno, guardando al futuro con sguardo puro e avido di vita.

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