FIORI DI TARASSACO di Barbara Morini

FIORI DI TARASSACO di Barbara Morini

Titolo: Fiori di tarassaco
Autore: Barbara Morini
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 3 luglio 2022
Editore: Words Edizioni

TRAMA


“C’era una volta, in un paese lontano dove faceva sempre caldo, una creatura minuscola dalle sembianze di bambina che viveva dentro a un fiore. Una notte, il vento venne e scosse quel fiore, dal quale si staccò un petalo. La piccola vi rimase dentro e, cullata dal vento, viaggiò per tutta la notte coperta da una goccia di rugiada e finì per adagiarsi in un prato, in un giardino coperto di brina, che apparteneva a un insetto grande e scuro, con la corazza rigida.”

Se questa fosse una favola, si sarebbero conosciuti così Enea Fabbri e la piccola Malai. Nella realtà, zio e nipote si trovano invece a fare i conti con una tragedia che scuote le loro vite dalle fondamenta. Accolta in casa da Enea, alla piccola Malai non manca davvero nulla se non l’affetto e il calore di una vera famiglia. Sì, perché Enea Fabbri non è tipo da provare sentimenti per chicchessia, e di certo non farà eccezione per quella bimba venuta da lontano. Ma se all’improvviso arrivasse nelle loro vite un raggio di sole – magari in carne e ossa – che riuscisse a toccare i loro cuori, spronandoli a costruire insieme nuovi ricordi e a tracciare un nuovo percorso condiviso?

RECENSIONE


Sai perché parlo sempre? Perché mi spaventa il rumore dei miei pensieri.


Cara Barbara Morini sai perché leggo sempre?

Per lo stesso motivo sopra citato.

Ed è durante questa ricerca di tacitare i pensieri succede che ci siano libri che mi chiamano forte e altri che mi chiamano sussurrando, ma a fine lettura se sono fortunata capita che ho fatto bene a rispondere alla chiamata.

Questo è uno di quei casi in cui sono stata molto fortunata per quanto l’ ho adorato.

Prima mi ha sussurrato di guardare bene la copertina, perché io ai fiori di tarassaco non so resistere, li amo e mi ci identifico.

Poi mi ha parlato più a voce alta con una sinossi intrigante che incuriosisce senza dire molto.

Infine mi ha catturata completamente, rapita dalle sue pagine.

Fiori di tarassaco è un libro di quelli che riscaldano il cuore senza retorica o eccessive dosi di zucchero, tutt’altro, ho trovato una profondità che stupisce, commuove e fa rifiorire.

Barbara Morini ci regala dei personaggi anticonvenzionali ma altresì normali nelle loro difficoltà, che con la loro particolarità riescono a regalarci una storia fatta di ordine e disordine, solitudine e voglia di stare insieme, desiderio di mostrarsi e di nascondersi.

Tutto e il contrario di tutto, che se si è in grado di accogliere, possono tranquillamente coesistere.

Enea, Malai ed Elsa, così originali nel panorama del genere da restare impressi, saranno impegnati senza saperlo nel difficile compito di diventare una famiglia.

Un nucleo così decisivo e impattante nella nostra formazione e poi nella costruzione della nostra vita adulta, ognuna diversa, ognuna complicata, ma che dovrebbe sempre avere le fondamenta nella capacità di accogliere.


«Non ho trovato nessuno in grado di accogliere i miei limiti.» Accogliere, non accettare. Perché, in fondo, in una relazione uno si dona e la controparte lo accoglie. Quale bellezza in tale dichiarazione.


Un passaggio significativo, accogliere non equivale ad accettare.

Che può risultare ancora più complicato nel caso dei protagonisti, ognuno con il proprio bagaglio di diversità che l’autrice mette sotto una lente in modo così spontaneo e delicato da lasciare incantati, tanto che il lettore non le percepisce come tali ma come un valore aggiunto.

Perché questo sono, visti attraverso le parole dell’autrice.

Ed è il percorso del processo di accoglimento delle rispettive diversità che lei ci racconta attraverso gli occhi di una bambina dolce e sagace come solo i bambini sanno essere:


Osservò la nipote superarlo dirigendosi verso l’auto e non riuscì a esimersi dal pensare che nei bambini si celavano misteri e verità distribuiti in parti uguali. Ovvero, era un mistero come riuscissero a dispensare pensieri così limpidi, logici e inconfutabili.


Malai ha bisogno di una nuova famiglia elemento che non rientra proprio nei piani dello zio a cui viene affidata.

Enea è tutto tranne che accogliente, prigioniero di riti e azioni che lo fanno stare in equilibrio, un equilibrio solitario però.

Come citato nell’estratto i bambini possono dove molti non riescono: Malai è ben consapevole nonostante la giovane età che la vita è fatta di pieghe e alcune non è facile stirarle.


«E non si fa toccare, lo sai? Non gli piace. Sì formano le pieghe. Hai presente? Così.» E come dimostrazione le fece vedere la maglietta spiegazzata sotto al giubbetto. «Ma non si possono togliere le pieghe. Si formano, e si riformano. Come si fa a stare senza pieghe? Tu lo sai? Perché a me piacerebbe tanto dare un bacio a Enea, per dirgli grazie punto si fa così, no? Si bacia e si dice grazie.»


Pieghe come quelle di Enea che lo hanno allontanato dagli affetti familiari o come quelle di Elsa che con quegli affetti si trova sempre in conflitto nel tentativo costante di essere accolta da essi per quello che è.

Sarà Elsa a mediare, a farsi strumento di accoglimento, a limare e aggiustare dove occorre fino a diventare inconsapevolmente il collante di due esistenze solitarie ora destinate ad incontrarsi come quelle di Enea e Malai.

Tutto in questo lavoro di Barbara Morini affascina, dalla cura dei dettagli che saltano all’occhio del lettore in piccole fotografie come le mani oneste di Enea, in fiori che sembrano piccoli soli, in disegni che raccontano più di come possano farlo le parole o nell’immagine del legno verde, alla fantasia di cui è impregnata la trama, dal taglio dei capitoli, brevi ma con un titolo esplicativo, ai personaggi secondari che meriterebbero una storia tutta per loro.

Il richiamo alla fiaba è ben presente, nella struttura, nello stile, a volte anche nei dialoghi e trova massima espressione nell’analogia con i fiori di tarassaco che compaiono più volte nelle vicende a pacificare le tensioni, i dolori e le difficoltà.

Per chi non lo sapesse tarassaco deriva dal nome greco Tarakè ( scompiglio, squilibrio ) e akòs ( rimedio), un fiore semplice ma capace di lenire, di trasformarsi, simbolo di libertà.

Quando si trasforma nel cosiddetto soffione e ne facciamo volare i semi stiamo facendo un’azione che forse ha anche significati diversi, un po’ come le parole che troviamo nei libri: queste sono state come i semi del soffione, fatti di delicatezza, di tepore e di poesia, soffiati dalle pagine fino al cuore del lettore.

LA MIA AMANTE -Frammenti d’amore- di Letizia Cherubino

LA MIA AMANTE -Frammenti d’amore- di Letizia Cherubino

Titolo: La maia amante-Frammenti d’amore-
Autore: Letizia Cherubino
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 15 dicembre 2020
Editore: Youcanprint

TRAMA


Non c’è inizio e non c’è fine. Non c’è tempo che scorre lineare, ma altalena di istanti. Forse non c’è nemmeno una storia… Frammenti… come recita il titolo. Un diario scritto di getto per regalare un vago per sempre a una storia destinata a durare un soffio… eppure… Eppure qui s’insinua il dubbio che scardina sicurezze, non di chi lì dentro “vive”, ma di chi – dal di fuori – giudica. Un amore clandestino non merita dignità? Un amore NON alla luce del sole NON È Amore? Amore è ciò che dura per sempre o ciò che dura il tempo di essere per sempre ricordato? Chissà. Certo è che, qui dentro, il cuore palpita, i sentimenti si toccano con mano, la passione divampa e le anime si svelano in verità. E se non è amore… tant’è… è VITA! Carica di ossigeno. Densa di contraddizioni e… sospesa… Che di vaghe certezze ne è pieno il mondo, ma di Amore vero non se ne ha mai abbastanza.

RECENSIONE


“AMORE è ciò che dura per sempre o ciò che dura il tempo di essere per sempre RICORDATO?”


Oggi vorrei parlarvi di amanti e della differenza tra fare l’amante ed essere l’amante. Può sembrare la stessa cosa, cambia il verbo ma, se ci si ragiona su, non è proprio così. Fare l’amante, avere una avventura extraconiugale o comunque una relazione fuori da un rapporto consolidato, non è poi così difficile: basta lasciarsi andare e il gioco è fatto.

Essere amante è tutt’altra cosa e non è un gioco perché non si gioca con i sentimenti verso l’altro e con il volere bene a sé stessi. Essere amante non prevede promesse, non ci si aspetta nulla, se non amore, non si hanno regole precise né alcuna pretesa. Essere amante vuol dire garantire la propria presenza e il proprio amore e questo basta. A voi basterebbe? Spesso è più facile essere moglie che essere amante.

Ma continuiamo ad  analizzare questo concetto partendo dalla lettura de La mia amante di Letizia Cherubino. Non si tratta di una storia o di un romanzo; solo frammenti, frasi sciolte, pensieri senza freni, senza pudore di un’amante, riflessioni sul suo ruolo, sulle sue responsabilità, sulle sue sofferenze, sul suo amore incondizionato.

Leggete bene queste parole “sofferenze” e “incondizionato” perché l’amore di un’amante che sa di esserlo e non solo lo fa, non ha pretese: si ama e si riceve amore, senza condizioni. Si gode ma si soffre anche in silenzio, che non significa rassegnazione, rinuncia a lottare; implica consapevolezza che la situazione in cui ci si trova non si può cambiare, che è inutile piangersi addosso o sperare che da amante ci si trasformi in moglie o in compagna.

Questa è la sofferenza di chi fa l’amante. Chi lo è amante, invece, non desidera che il suo uomo o la sua donna lasci la famiglia per diventare altro. Chi è amante fa di tutto perché la relazione ufficiale venga tutelata. 

Ecco spiegata la differenza di cui vi parlavo all’inizio: quando si è amante non ci sono conflitti, non ci sono tradimenti, nessun senso di colpa, si  vive la storia nascosti dal mondo ma con il cuore aperto e trasparente. Questo rende vivi, anche se ogni tanto l’equilibrio può vacillare. L’importante è salvaguardare il proprio bene, la propria serenità. Quando ci si accorge che una situazione ci rende troppo infelici e pesa sul cuore, allora meglio lasciar perdere tutto e passare oltre. Nel frattempo si ama incondizionatamente.


“- L’inizio della nostra storia è ogni volta che ti vedo… -E la FINE? Ogni volta che ti saluto.”


Nel libro viene narrata l’inizio di una relazione partendo dall’innamoramento, dalla nascita del desiderio verso l’altro. Poi la relazione inizia ad essere vissuta e il sentimento, dapprima accennato, si trasforma in amore. Poi sopraggiungono le prime difficoltà che portano a differenti epiloghi. Questo libro non ha un finale o una soluzione, ognuno legge quello che ha vissuto, quello che sta vivendo o la storia che vorrebbe avere.

Non è un libro dedicato solo agli amanti ma fa riflettere anche sulle relazioni di coppia, sulle motivazioni per cui una relazione finisce per diventare così pesante da trovarsi a cercare un po’ di serenità altrove.


“- lo credo che, se due persone si amano, stanno insieme. – lo invece credo che, se due persone si amano, SI AMANO.”


WAITING di Daniel Di Benedetto

WAITING di Daniel Di Benedetto

Titolo: Waiting
Autore: Daniel Di Benedetto
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 24 maggio 2017
Editore: Dark Zone

TRAMA


Tutti siamo in perenne attesa.

Qualcosa che potrebbe accadere. Qualcuno che deve arrivare o partire, magari per sempre.

Una vecchia panchina di legno, all’ombra della grande quercia in un parco comunale, è il palcoscenico delle storie che si muovono capitolo dopo capitolo.

Un susseguirsi di personaggi che si incontrano, si sfiorano, si sfuggono, rappresentano le varie fasi della vita e le diverse sfumature dell’attesa.

Una storia dall’andamento circolare, che si svolge nell’arco temporale di una settimana e che vede il suo inizio e la sua fine tratteggiati dagli stessi occhi innocenti, quelli di una bambina in attesa del ritorno del padre.

Un sorriso, una carezza, un’assenza, un dolore. C’è spazio per ogni emozione, seduti giorno dopo giorno su quella panchina.

Oggi verso il domani, semplicemente aspettando…

RECENSIONE


Era questione di poco tempo, ormai. La notte sarebbe finita presto, lasciando il posto a una nuova alba di vita. Bisognava soltanto saper aspettare.


L’attesa, definizione del tempo trascorso ad aspettare.

Ma aspettare cosa?

Ce ne sarebbe da fare un elenco lunghissimo di tutto ciò che si può aspettare: eventi, persone, successi, emozioni… a volte anche inconsapevolmente.

Per non parlare di tutte le connotazioni che può avere l’attesa.

Spesso si dice che l’attesa di un evento lieto, che porta felicità è quasi più bello di quando l’evento di realizza, così come a volte l’attesa invece di un avvenimento che in qualche modo ci spaventa o ci preoccupa è più snervante di quando poi il momento passa.

Vi è mai capitato di concepire l’attesa così?

Le sfumature che Daniel Di Benedetto è riuscito a dare al concetto di WAITING sono ancora più numerose.

Trattasi infatti di un libro composto da varie storie di attesa e il fulcro attorno alla quale esse ruotano è la panchina presente nella cover, la prima cosa che mi ha attirata di questo libro.

La mia curiosità è stata subito attratta infatti da questa foto in bianco e nero con questa panchina vuota, forse lei la vera protagonista del romanzo, marchiata da intagli e ricordi di amori vecchi e nuovi, testimone silenziosa di vite con tutto il loro bagaglio di gioie e dolori.

Una panchina che diventa stazione di passaggio per alcuni e angolo privato per altri.

Uno spazio che in qualche modo appartiene ai personaggi del romanzo in quanto luogo di ritrovo, luogo di osservazione, luogo di memorie e in un modo o nell’altro anche di attesa.


Ma lei, Lara, rinfrescandosi all’ombra di quella panchina così piena di scritte e di vita vissuta a istanti da altri prima di lei, come sempre aveva deciso di accettare la sfida. E di rimanere in attesa.


Abbiamo tutti un luogo che abbiamo sentito nostro, capace di trasmetterci benessere, accoglierci e testimoniare che mentre esso è rimasto sempre uguale noi invece siamo cambiati.


Del resto, quella era diventata giorno dopo giorno non soltanto una semplice panchina semi abbandonata su cui sedersi e riposarsi, ma un vero e proprio piccolo e personale rifugio dove raccogliere i pensieri e tutte le avventure al confine labile tra realtà e fantasia che una bambina di quasi sette anni poteva immaginare.


La struttura del libro è semplice ma intrigante, una serie di capitoli che potrebbero sembrare racconti.

Tutti con protagonisti differenti ma uniti a quelli del capitolo precedente.

Incontrato l’autore al salone del libro di Torino a maggio mi ha raccontato con molta naturalezza ma anche in modo intimo il contenuto del libro ed è stato capace di catturare subito il mio interesse.

Elemento che mi ha fatta capitolare il fatto che la panchina in questione è in effetti una panchina esistente e che rappresenta per l’autore un ricordo dell’infanzia, un oggetto che non dovrebbe avere anima in quanto tale ma che invece diventa un pezzo di vita, una costante nel flusso dell’esistenza.

Con uno stile fluido, perfettamente giocato tra realismo e poesia, Daniel Di Benedetto mi ha aperto una finestra dalla quale osservare senza voyeurismo né giudizio frammenti delle vite dei personaggi che diventano mezzo per sorridere, per incuriosirsi, per pensare e calarsi nei panni di altri.

Cosa avremmo detto ad un’amica ritrovata, come avremmo reagito al tradimento, che figlio sono stato, che genitore sarò, potrebbe succedere anche a me?

Per alcuni lettori saranno domande da porsi, per altri riflessioni sulla propria condotta.

Fatto sta che ogni pagina suscita qualcosa che, per restare nel tema dell’attesa, non ti aspetti.

Per me è stato così, leggere senza capire subito di chi si parla, prendersi il tempo di conoscere con calma il personaggio del capitolo, osservare ed ascoltare come fossi seduta anche io sulla panchina in attesa di comprendere cosa succederà.

A volte con commozione altre con amarezza ma ad ogni pagina sempre e comunque con curiosità.

Credo che questo sia uno di quei libri che vanno letti la prima volta e poi ripresi.

Non solo perché ci sarà sempre qualche particolare che alla precedente lettura ci è sfuggito ma anche perché è di quelli che tra le parole nasconde dei messaggi sulla natura umana, la complessità delle relazioni, il peso delle scelte, che avranno per chi legge un significato sempre diverso a seconda del momento.

Un libro che consiglio se si ha voglia di parole che accarezzano, magari leggendo mentre siamo seduti su una panchina di un parco, inconsapevoli che su quella stessa panchina si sono seduti e si siederanno storie diverse o uguali alla nostra.


COME VENTO CUCITO ALLA TERRA di Ilaria Tuti

COME VENTO CUCITO ALLA TERRA di Ilaria Tuti

Titolo: Come vento cucito alla terra
Autore: Ilaria Tuti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa storica
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 7 giugno 2022
Editore: Longanesi

TRAMA


Le mie mani non tremano mai. Sono una chirurga, ma alle donne non è consentito operare. Men che meno a me: madre ma non moglie, sono di origine italiana e pago anche il prezzo dell’indecisione della mia terra natia in questa guerra che già miete vite su vite.

Quando una notte ricevo una visita inattesa, comprendo di non rispondere soltanto a me stessa. Il destino di mia figlia, e forse delle ambizioni di tante altre donne, dipende anche da me. Flora e Louisa sono medici, e più di chiunque altro hanno il coraggio e l’immaginazione necessari per spingere il sogno di emancipazione e uguaglianza oltre ogni confine.

L’invito che mi rivolgono è un sortilegio, e come tutti i sortilegi è fatto anche d’ombra. Partire con loro per aprire a Parigi il primo ospedale di guerra interamente gestito da donne è un’impresa folle e necessaria. È per me un’autentica trasformazione, ma ogni trasformazione porta con sé almeno un tradimento. Di noi stessi, di chi ci ama, di cosa siamo chiamati a essere.

A Parigi, lontana dalla mia bambina, osteggiata dal senso comune, spesso respinta con diffidenza dagli stessi soldati che mi impegno a curare, guardo di nuovo le mie mani. Non tremano, ma io, dentro di me, sono vento.»

Questa è la storia dimenticata delle prime donne chirurgo, una manciata di pioniere a cui era preclusa la pratica in sala operatoria, che decisero di aprire in Francia un ospedale di guerra completamente gestito da loro. Ma è anche la storia dei soldati feriti e rimasti invalidi, che varcarono la soglia di quel mondo femminile convinti di non avere speranza e invece vi trovarono un’occasione di riabilitazione e riscatto.

Ci sono vicende incredibili, rimaste nascoste nelle pieghe del tempo. Sono soprattutto storie di donne. Ilaria Tuti riporta alla luce la straordinaria ed epica impresa di due di loro.

RECENSIONE


Potrei iniziare questa recensione riferendomi alla tematiche che spesso si ritrovano nei romanzi ad ambientazione storica e cioè la difficile condizione della donna nel IX secolo, le lotte che sono state portate avanti per il riconoscimento di diritti fondamentali, tanto più in un’epoca sanguinosa come quella del primo conflitto mondiale.

Certamente tutti questi temi sono presenti e trattati impeccabilmente dall’autrice, per usare una terminologia che credo lei apprezzerebbe, sono intessuti perfettamente nella trama che ha costruito.

Penso però che questo libro sia riuscito ad avvalersi degli argomenti su citati per raccontare in realtà un’esperienza che va molto al di là di queste specifiche tematiche o per meglio dire, che le ha utilizzate per raccontare qualcosa che può applicarsi anche a molti altri ambiti e che non conosce epoca, né differenza tra uomini e donne di ieri e di oggi.

Questa secondo me infatti è una storia sul cambiamento e sulla speranza, uno imprescindibile dall’altra.

Sì può affrontare una metamorfosi senza la speranza che ci porti a una condizione migliore?

Il cambiamento di cui racconta Ilaria Tuti è un concetto ampio, che non si riferisce solo alla delicata e quanto più precaria condizione delle prime donne chirurgo protagoniste del romanzo, impegnate nella professione medica in un ambiente ostile e conservatore, ma abbraccia anche gli altri personaggi e molti aspetti delle loro esistenze.

Trovare il proprio posto nel mondo senza dover rinunciare alla propria identità.

Non è semplice nemmeno oggi.


La società in cui viviamo non ama il cambiamento, né la diversità, e queste donne possono testimoniarlo. Non è forse il vostro cammino simile al loro? Si chiama emancipazione. Significa affrancarsi da pregiudizi e catene, significa essere liberi.


Sono molti i processi di cambiamento che avvengono all’interno del romanzo: le donne protagoniste intraprendono una salita impervia per arrivare a conquistare il posto che desiderano avere nella società, una salita durante la quale lasceranno delle parti di sè per acquisirne altre nuove.

La stessa Cate la protagonista alla fine del libro non è più la stessa donna che parte con le dottoresse alla volta della Francia per lavorare in un ospedale gestito interamente da donne, come accadrà agli uomini tornati dal fronte.

Tutti loro, tra cui Alexander l’altro protagonista, dovranno affrontare molte trasformazioni che richiederanno di mettere tutto in discussione, una rivoluzione interiore e non solo, volta a scardinare convinzioni e ideologie radicate nelle coscienze, e che richiederanno grande coraggio e forza per essere sovvertititi.

Padri, figli, amici, uomini e donne che si incontreranno e si scontreranno nel delicato processo del cambiamento, investiti dall’inevitabile scossone che ha origine quando il vecchio deve lasciare posto al nuovo.


Ci hanno chiamato ’nuove donne’. Ora vogliono capire che tipo di ’nuovi uomini’ tentiamo di forgiare qua dentro.»


Ilaria Tuti racconta le metamorfosi che affrontano i personaggi del libro con assoluto realismo, utilizzando parole concrete ma dal grande potere espressivo, non c’è leggerezza dove non può essercene ma senza pesantezza, c’è intensità a tratti dominante a tratti velata, c’è riflessione : si possono toccare le emozioni di un’epoca lontana ma non poi così tanto purtroppo, come quella in cui è in corso la guerra.

Si possono sentire la paura, lo smarrimento, la fatica nell’affrontare un processo lento, difficile, doloroso che spesso richiede un prezzo da pagare.

Un concetto con cui mi trovo pienamente d’accordo ben espresso in passaggi come questo:


Ogni trasformazione portava con sé almeno un tradimento. Di aspettative, di speranze, di promesse, di legami.


Se da un lato la trasformazione è sacrificio, perché bisogna tradire i se stessi di prima per permetterle di compiersi, nello stesso tempo però è alimentata dalla speranza: Ilaria Tuti bilancia perfettamente gli aspetti più difficili con quelli positivi, quella spinta verso il futuro, il desiderio di migliorare, la speranza appunto, che è il motore che spinge i protagonisti a non desistere, a ricominciare ogni volta che si deve farlo.

Quella che aiuta a sopravvivere all’orrore della guerra dove l’umanità sembra perduta, sepolta sotto le macerie fumanti dei bombardamenti in mezzo ai quali trova però sempre modo di resistere, nella bellissima immagine dei papaveri rossi, che colpiscono l’occhio già in copertina, nella sfumatura di quel rosso acceso che brilla in mezzo alla distruzione.

Tra i diversi richiami alla natura che fa l’autrice spiccano sicuramente quelli legati al titolo che rappresentano i due giovani protagonisti delle vicende.

Il riferimento al vento e alla terra sono calzanti nel rappresentare il temperamento di entrambi: un moto interiore sempre irrequieto il vento che anima la dottoressa, la solidità della terra in Alexander.

Ho apprezzato in particolare lo stile di questa talentuosa autrice mia conterranea, che mi verrebbe da definire affinato, senza la “r”: a ogni pagine si sale di livello, proprio come se da una riga all’altra lo stile si affinasse, elegante ma non pomposo, coerente con l’epoca, lieve e leggero a tratti, intenso e struggente nella giusta misura.

Molto ben delineata anche l’abilità di costruire l’intreccio su un’ossatura in cui includere molti personaggi storici, realmente esistiti.

Tra i tanti messaggi di cui l’autrice fa messaggere le sue pagine quello che ho più apprezzato è sicuramente quello della fratellanza.

Che diventa sorellanza nel caso di queste audaci donne che si sono fatte pioniere in un’epoca quanto mai oscura.


Andrew, Cecil, Oliver, Samuel e Alexander in un’altra vita non si sarebbero mai incontrati, probabilmente, né riconosciuti come pari, ma nelle difficoltà erano diventati fratelli.


Penso che il combustibile che mantiene accesa la speranza del cambiamento risieda soprattutto in questo concetto.

Sarà sempre arduo comprendere come l’essere umano possa essere capace di annientarsi reciprocamente tanto quanto è in grado di sostenersi e cooperare per sopravvivere.

Probabilmente perché ogni medaglia ha due facce e nello stesso modo l’umanità ha due lati.

Questa autrice ha indagato entrambi con maestria, attraverso un racconto che ti tiene incollato alle pagine, in un susseguirsi di parole che hanno avuto il potere di fendere l’animo del lettore come il vento più impetuoso e nello stesso tempo essere luogo fertile in cui far attecchire messaggi di speranza e di amore, come la terra più solida.

Chapeu. 


FUORI TEMPO di Monica Lombardi

FUORI TEMPO di Monica Lombardi

Titolo Fuori Tempo
Autore Monica Lombardi
Serie: auto conclusivo
Genere: Contemporary Romance, Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 18 Maggio 2022
Editore: Hope Edizioni

TRAMA


Si sentiva come un pugile al centro del ring. Tutto quello che voleva fare era colpire, colpire duro, prima che l’avversario facesse lo stesso con lei.

Un urlo, poi un pianto, lungo e disperato: così inizia la storia di Martina. 
Prosegue con un viaggio insieme all’uomo che ha sempre creduto di odiare, un viaggio verso il padre che non vede da dieci anni e che non sente più come tale. 
Fuori Tempo è la storia di una ragazza che odia il mondo perché lo ama troppo, di un uomo che non sa più come lottare per quello che ama e di un uomo che ha già perso, due volte.
È la storia di due generazioni diverse, per certi versi distanti, che scoprono di parlare ancora la stessa lingua. Fuori Tempo narra di una tempesta che spaventa e confonde, di onde che travolgono, rubano l’ossigeno, per poi trascinarci via e abbandonarci su una spiaggia lontana.
Raccontata con la stessa forza di quelle onde, questa è la storia di una giovane donna arrabbiata e coraggiosa, che scopre, anche grazie all’aiuto di chi meno avrebbe immaginato, che non avere tutte le risposte non significa per forza annegare: significa vivere.

RECENSIONE


Si dice che il tempo sia la misura del valore che ha la nostra esistenza e paradossalmente spesso accade di sprecarlo, spenderlo male, se non malissimo, svuotato di ogni senso proprio. Il risultato è che la propria vita si impoverisce, rendendoci avviliti, disperati, privi di stimoli, di interessi, di entusiasmo, di voglia di vivere proprio come accade alla protagonista di questa storia, Martina:


In ogni caso, quando bevo non ricordo. Il che è una gran fregatura, una sonora presa per il culo, perché non ricordo neanche di stare meglio, dopo aver bevuto, e non è forse per quello che uno si ubriaca? In più, il tempo che non ricordi è perso, e di tempo non ne abbiamo da scialare. Fermare il tempo. Sì, sarebbe la soluzione a tutti i mali, anche al suo male.


Un’adolescente, in procinto di diventare donna, che si trova a dover affrontare un dolore troppo grande da elaborare che spazza via la sua esistenza frantumandola in migliaia di pezzi acuminati come coltelli troppo pericolosi per non ferirsi


Non si sentiva bene nella sua pelle, potendo se la sarebbe strappata volentieri di dosso.


In pochi giorni tutto il mondo che Martina conosce scompare.
E quando ogni cosa bella sembra essere perduta per sempre, lasciando così che la sofferenza e la rabbia predominino i suoi pensieri e azioni, una richiesta da esaudire la costringe ad accettare una sfida che fin da subito appare insormontabile: un viaggio di ricongiungimento con un padre che non ha mai praticamente conosciuto, Riccardo, divenuto per lei quasi un fantasma dai contorni sbiaditi.

Ed è in questo cammino che più volte assume le sembianze di un’esperienza catartica che Martina scopre grazie a Serge, il suo accompagnatore silenzioso e rispettoso, parti di sé stessa che non aveva mai conosciuto, rimettendo insieme pezzi, elaborando un dolore mai condiviso.
Lascio al lettore il piacere di scoprire i legami e le relazioni tra i protagonisti di questo romanzo intenso e profondo perchè solo così sarà possibile vivere appieno le sue emozioni quando dovrà trovare il coraggio di attraversare la tempesta:


Il cielo azzurro le piaceva, la faceva sentire leggera, ma il cielo coperto di nuvole era qualcosa che non si stancava mai di guardare, di ascoltare. Come se potesse davvero parlarle. Non era mai uguale, cambiava nelle forme e nei colori, nella luce. Quella mattina, il sole cercava di forare le nubi, di imbrogliarle trovando un passaggio a tradimento. Sembrava esserci una qualche strategia, lassù.


Una storia che mi ha commossa profondamente e che tocca tematiche delicate come il perdono, l’elaborazione de lutto, il cambiamento, il pregiudizio, le incomprensioni, le complesse dinamiche familiari e non di meno descrive con sensibilità e consapevolezza quanto sia difficile crescere emotivamente.
Ogni dialogo e scelta narrativa propongono le difficoltà del mutamento non solo per i giovani ma anche per gli adulti.


Il cambiamento toglie. Il cambiamento dà.


Due generazioni a confronto che imparano a comunicare mediante l’amore, il rispetto, l’ascolto e la fiducia, al di là della diversità e delle fragilità che mostriamo o che più spesso nascondiamo.

Monica Lombardi, autrice che ho conosciuto grazie al bellissimo Vite sospese, offre ai suoi lettori un libro dalle molteplici sfumature, in cui ogni parola, gesto, silenzio e dialogo hanno la capacità di ferire e lenire, di dare speranza e addolorare, di accelerare o fermare i battiti del cuore. Sensazioni contrastanti che parlano di luci e ombre, che rendono questo romanzo particolarmente profondo e intenso.


Quando siamo fuori tempo, tutto dipende da questo, dal trovare persone disposte a rallentare insieme a noi. Ad aspettarci. Finché non riusciamo a rimetterci in sincronia con la vita.


A rendere questa lettura imperdibile, l’eleganza stilistica di un’autrice bravissima a raccontare storie mediante una prosa elegante e accurata, perfetta a calibrare le giuste tonalità di narrazione per ogni situazione o scenario.

Fuori tempo è un romanzo che non si può etichettare, non è collocabile in un unico genere, caratteristica che lo eleva, a mio avviso, ad essere letto da tutti: da chi ama le storie d’amore, chi preferisce leggere per vivere un viaggio introspettivo, chi invece crede che nei libri vi sia spazio per riflettere su tematiche quanto mai attuali, come l’adolescenza e le famiglie allargate.


Era stato quel viaggio che aveva iniziato a cambiare, a sistemare le cose. Aveva avuto l’opportunità di conoscere Serge, e di prepararsi all’incontro con il padre. Aveva visto luoghi e vissuto momenti che non avrebbe mai dimenticato.


Una storia che mette al centro la natura dei legami, insieme a tutti gli effetti collaterali che li rendono complicati e ingestibili: le disfunzioni, le incomprensioni, le diversità e le distanze che cementa il tempo-

Un libro di crescita che testimonia quanto valga la pena trovare il tempo (e il coraggio) di risolversi come persona e districare i contorti intrecci emotivi che spesso ci soffocano, anche da adulti.

Martina, Serge e Riccardo faranno parte di me per molteplici motivi.

Chapeau Monica.

IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

Titolo: Il sapore delle parole inaspettate
Autore: Giulia Zorat
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 14 maggio 2020
Editore: IoScrittore

TRAMA


Mordere un sogno, strappare un sorriso, asciugare una lacrima. Cinque anime, cinque esistenze si perdono e si ritrovano dietro la porta di una minuscola patisserie ai margini di Parigi; Jacques e Josephine, capaci di impastare le loro vite con sapiente delicatezza, necessari l’una all’altro come ingredienti di un dolce mai finito. Irene, il cui sguardo racconta la capacità di equilibrare sbagli antichi e nuove possibilità; Enea il suo piccolo tesoro, dieci anni di poesia leggera, diretta e invincibile come l’infanzia. Infine François, che trova il coraggio di scrollarsi di dosso il gelo che gli opprime l’esistenza e abbracciare l’amore, come si fa in una notte di festa, d’inverno. Intorno a tutto Parigi, che sa essere scura e accogliente, come un mot du chocolat, un dolce al cui interno si trovano esattamente le parole che avevamo bisogno di sentire

RECENSIONE


Che le parole abbiano un peso ed un’ importanza a seconda di come vengono utilizzate è un fatto assodato, ma se c’è un aspetto che forse è ancora più rilevante è il potere che possono avere soprattutto a seconda del momento in cui giungono a noi.

Nessun sapore, nemmeno quello della pietanza più buona può eguagliare quello di parole che giungono nel momento perfetto, e cioè quando non te le aspetti ma sono esattamente quelle che ti servivano in quel preciso momento, l’unico giusto per assaporarle.

Una telefonata per dire a qualcuno che gli vogliamo bene, un messaggio di un amico che vuole farti un saluto nonostante gli impegni, un buongiorno da uno sconosciuto che incroci sulla strada e la giornata può svoltare, l’umore può cambiare, alcune domande possono trovare risposta, un pensiero o un’idea, una nuova consapevolezza prendono forma nella mente ma anche nel cuore.

Sono questi infatti i luoghi in cui le parole attecchiscono, in entrambi i sensi sia chiaro, per fare del bene e però anche per fare del male, diventando veicolo di emozioni la cui intensità è ancora maggiore se giungono inattese.

Una cosa che fanno anche i libri se ci pensate, quando in mezzo a tante troviamo quelle perfette per lo stato d’animo del momento, quelle che parlano di noi, quelle che rispondono alle nostre domande in sospeso.

Giulia Zorat ne fa un uso ammirevole, per stile, profondità, dolcezza e verità.

Raccontando attraverso cinque personaggi diversi la nascita, la vita e la morte.

Tre fasi della vita di tutti, come tre sono le parti in cui è suddiviso il romanzo, e tre come le componenti del titolo della rubrica di un giornale parigino da cui tutto avrà origine e termine.

È stata una lettura sorprendentemente ricca di riflessioni, soprattutto in relazione alla solitudine che secondo me è il fulcro dell’intera vicenda ma che viene espressa e raccontata in modo diverso.

Avete mai pensato a quanti modi ci sono per sentirsi soli?

Molti e differenti come siamo noi e le nostre vite e forse per questo “Il sapore delle parole inaspettate” mi ha attirata, inconsapevole forziere di pensieri sulle sensazioni che ci accompagnano durante quei momenti dell’esistenza in cui la solitudine ci rende immobili.

A modo loro tutti i personaggi del libro si trovano in una condizione di immobilismo, in un guscio in cui sono protetti ma incompleti, smarriti.

Jacques che non ricorda più come si fa a esistere da soli, Irene che si è fermata ai suoi vent’anni e non conosce il gusto di vivere veramente, Enea che soffre per un’assenza importante, Francois un quarantenne in crisi esistenziale.

Quest’ultimo potrebbe infastidire per l’apatia che dimostra, quasi esistesse e basta anziché vivere, insoddisfatto all’ennesima potenza, consumato dalle domande a cui non sa dare risposte, colmo di rimpianti ma incapace di spostarsi dal rimuginare su di essi.

E invece ha suscitato in me un’immediata e spontanea empatia confermandosi il mio personaggio preferito, perché si sveste di fronte al lettore mettendo a nudo fragilità e incapacità che tutti abbiamo e che pochi sono disposti ad ammettere persino con sé stessi.

Attraverso le elucubrazioni mentali di Francois Giulia Zorat ci permette di osservare dal di fuori quei rimpianti, quelle occasioni mancate e quel senso di fallimento che prima o poi tutti proviamo almeno una volta nella vita e riconoscerli perché provati su di sé.


Ho imparato che bisogna sapere ascoltare gli altri e arrendersi al fatto che qualche volta bisogna lasciarsi guidare da chi è più esperto, perché la cosa più importante che ho imparato è che non si viene al mondo per stare da soli con se stessi.


Sullo sfondo di una città che può accentuare questa condizione se non si è capaci di trovare un appiglio, un luogo che sia un rifugio.

Parigi è così come la descrive l’autrice:


È una città dove non sei mai da sola, eppure ti ci senti e allora diventa fondamentale avere un legame per sopravvivere qui, uno di quei legami primordiali che nascono in un posto lontano molto simile a quello da cui proviene la vita e ti accompagnano ovunque. Un legame intimo e imprescindibile, costruito sulla gestualità e sugli sguardi in una città in cui non servono parole, perché tutto intorno fa già troppo rumore.


Ed è in questa cacofonia di rumori, prodotti di vite, situazioni e persone che si sfiorano o che incrociano il loro cammino, che la piccola pasticceria di Irene diventa questo appiglio, questo luogo in cui dare per un po’ una spallata a quella sensazione di solitudine e inadeguatezza ma soprattutto dove inaspettatamente si trovano anche molte risposte attraverso parole di cioccolato.

Una pasticceria che non è solo un luogo ma uno spazio in cui anime diverse si incontrano, nato dall’amore tra Jacques e Josephine ma che poi diventa il salvagente di molti altri personaggi.

Ognuno dei quali rappresenta una stagione della vita con le fragilità e le pene che si porta dietro, ma sono fragilità di cui avere cura, preziose perché fanno di noi ciò che siamo e perché costituiscono spesso le parti belle del nostro essere.


Le cose belle sono fragili, è la regola. Non fai in tempo ad abituartici che svaniscono.


Giulia Zorat ci regala un libro che è un misto di dolcezza e amarezza, di sogni attesi e altri disillusi, di domande a cui ognuno di noi cerca una risposta diversa perché possa considerarsi corretta.

Proprio come le parole quelle dette, scritte, pensate quando meno ce lo aspettiamo ma che incredibilmente giungono proprio quando ne avevamo più bisogno.

Le stesse che in alcuni pomeriggi di aprile poco primaverili mi ha regalato questo libro, permettendomi di condividere le riflessioni di Francois, i timori di Irene, e vedere attraverso gli occhi del piccolo Enea.

E di cui inconsapevolmente avevo bisogno proprio in quel momento, sebbene non potessi saperlo prima di giungere all’ultima pagina letta.

Perché è proprio così che fanno le parole importanti, quelle capaci di aprire o chiudere porte, accendere un’ idea, regalare un’ emozione: arrivano inaspettate proprio quando non le stai cercando.


LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

Titolo: La piccola Parigi
Autore: Massimiliano Alberti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 novembre 2020
Editore: Infinito Edizioni

TRAMA


Un omaggio a una delle tante perle che, nel corso della storia, la regina della Senna ha “nascosto” nei sobborghi di molte metropoli europee. Vicoli stretti, costruzioni basse e rustiche. Proprio come a Montmartre, nel grembo della bella e unica Trieste tante piccole case sorgono accatastate una vicina all’altra, in un’area che ricorda lo spirito Bohémien ma senza le notti del Moulin Rouge o de Le Chat Noir. Niente Cancan. Storie di sola gente e di gente sola, in questo luogo. Talvolta di andate e di ritorni. Di calzini appesi accanto al fuoco e di corti umide. Storia d’amore e d’amicizia. Di Lorenzo e di Marie Jeanne. Del matto Willy Boy e dei suoi “pen pen” urlati al cielo. Di Tullio e di Christian. Di gatto Benny e gatta Maria. Della Dea Incantatrice e Assassina: la Brown Sugar. Storia di mamma Rosalia. Di una carta da gioco appiccicata su di un muro in una viuzza nascosta. E di un rione ormai dimenticato fra nuovi e sovrastanti palazzi. Benvenuti nella Piccola Parigi. “Non state sognando, esiste realmente…!”. (Brigitte Bardot) Parte dei diritti d’autore derivanti dalla vendita di questo libro sono devoluti in beneficienza a “Il Gattile” di Trieste.

RECENSIONE


Sono nato e cresciuto in quella città all’estremo nord- est dello Stivale, dove per più di cinque secoli sventolò la bandiera degli Asburgo e, per ben tre volte, il tricolore francese. E fu proprio nella terza e ultima occupazione della Grande Armée che vennero edificate delle piccole case accatastate spalla contro spalla. Una ristretta lingua di terra che da valle risale una collina.


Trieste, una città variegata e vivace, come tutte le città di mare, crocevia di culture che si mescolano da secoli (non sempre pacificamente) e che proprio in virtù di questa peculiarità nasconde al suo interno tesori insospettabili come “La piccola Parigi”.

Perché intitolare il libro proprio a questa particolare zona di Trieste lo racconta Massimiliano Alberti in questo suo secondo lavoro e lo fa con maestria.

Questo è il caso in cui l’ambientazione è molto di più che un semplice luogo, non è solo uno spazio fisico in cui far scorrere la storia, ma è la storia stessa.

Perché i luoghi a volte non sono solo posti, ma sono radici da cui dipende il futuro sviluppo della pianta da cui traggono nutrimento.

Così come dice l’autore non si possono scegliere le famiglie da cui nascere, gli amici dell’infanzia e in questa ottica nemmeno il luogo in cui venire al mondo.


E non basta sfuggire ai pregiudizi della propria città o dell’intera provincia o persino del Paese, ma è inevitabile confrontarsi anche– anzi, innanzitutto– con quelli del quartiere in cui si è nati, di cui in qualche modo si è figli.


Volenti o nolenti siamo figli della nostra realtà e questo romanzo lo racconta con una leggerezza capace però di andare in profondità, con un’ironia elegante e con una prosa originale, semplice ma non banale capace di rievocare il periodo legato alla giovinezza di chiunque sia stato bambino negli anni 80.


Così, giusto per assaporare l’odore di corti e viuzze umide, tolgo il velo da un quadro ben diverso dalla romantica definizione di vecchio borgo: gradini scoscesi, malte decadenti, un albero secolare graziato dal Comune e biancheria intima appesa su spaghi sfilacciati trainati da carrucole cinguettanti.


Sembra proprio di vederlo questo scorcio di una città ricca di storia come Trieste, di cui ammetto con un po’ di vergogna, non conoscevo l’esistenza pur abitando a pochi chilometri da essa.

Un quadro che non ha nulla di poetico ma che suscita comunque un’emozione dinanzi all’ immagine di un quartiere povero, come ce ne sono in ogni città, teatro di scorribande tra ragazzi prima e della salita intrapresa per diventare adulti dopo.

All’interno di questo dipinto si dipanano infatti vicende capaci di portare in superficie sensazioni che dimorano nei corridoi della memoria, quella che riporta all’infanzia e all’adolescenza, ricordi frammentati di una stagione che non c’è più ma che se proviamo ad unire come puntini, creano un’ immaginaria porta, quella che una volta varcata consacra il difficile ingresso nell’età adulta.

Sono Lorenzo, Tullio e Christian ad accompagnarci a conoscere la piccola Parigi, un quartiere della città sul mare costituito da casette colorate risalenti alla dominazione francese e che per questo riportano struttura e caratteristiche dell’architettura parigina, che sarà il teatro del consolidarsi delle prime amicizie importanti, dei primi tormenti amorosi, della nascita dei sogni e l’incontro con i fallimenti, la presa di consapevolezza di sé attraverso i propri successi, ma soprattutto attraverso gli insuccessi.

Un borgo antico in cui case ed esistenze stanno in piedi in modo precario, oppure la cui facciata curata e abbellita cela in realtà al proprio interno stanze povere di amore, arredate da sporcizia e solitudine.

Ma in cui dimorano anche affetti e sogni da realizzare, alleanze e progetti futuri.

Questo libro è un piccolo mondo da scoprire, dove l’esistenza umana con tutte le sue contraddizioni e complessità viene raccontata con toni poetici, dal sapore nostalgico, ma aderenti alla realtà, in cui un oggetto riparato, una carta da gioco, le mura di un vecchio manicomio e una coperta sporca raccontano delle esistenze dei protagonisti e nello stesso tempo anche di noi, anche più delle parole.

Credo che tutti possediamo degli oggetti che per noi hanno  un significato speciale , evocativi di un ricordo, di un affetto, di un periodo.

Così accade anche nel libro, dove così come per i protagonisti determinati oggetti assumono un significato molto più importante del loro mero utilizzo, così restano impressi nella memoria del lettore che riesce a sentire come questi siano testimoni di momenti importanti, simbolo di un passaggio, un cambiamento, un’ evoluzione o una presa di coscienza e l’autore riesce così a darvi un’anima.

Se gli oggetti costituiscono una sorta di traccia, un sassolino lasciato lungo il cammino della vita dei personaggi c’è però anche un altro elemento che si interseca con le vicende narrate, legate tra loro da un filo rosso : l’amore per i gatti.

Gli amici felini sono i coprotagonisti di questo libro, creature solitarie ma capaci di amare, indipendenti a volte approfittatrici, con grande capacità di adattamento e sovente un sano menefreghismo, il cui affetto va conquistato e meritato.

Un elemento che ad un attento osservatore si evince già dalla copertina, bellissima: mi ha colpito istantaneamente capace di instillare curiosità e un po’ del fascino della Parigi degli artisti.

Una nota di merito rivolto all’autore è quello di aver dato anche una piccola voce al tema delle malattie mentali, una realtà spesso trascurata di cui nel mio territorio si possono ancora toccare i resti, come quelli del vecchio manicomio citato nel libro e di cui Trieste simboleggia la rivoluzione.

È vero che non tutto si può aggiustare?

Lascio ai lettori la risposta che deciderà di darsi al termine della lettura, che per me è la migliore di questo inizio anno.

Un libro che racconta il faticoso e complicato processo che si chiama crescere:  Lorenzo è il ritratto perfetto di come ancor più delle vittorie siano in realtà le difficoltà che incontriamo e le cadute che facciamo a essere determinanti nella nostra formazione.

Un insegnamento che prima o poi la vita dà ad ognuno di noi.


Così, oltre ai convenzionali saluti, aggiunsi in fondo un sincero ti voglio bene. Dopotutto, pensai, era dalle sconfitte che avevo imparato a vivere.


QUANDO SI AMA NON SCENDE MAI LA NOTTE di Guillaume Musso

QUANDO SI AMA NON SCENDE MAI LA NOTTE di Guillaume Musso

Titolo: Quando si ama non scende mai la notte
Autore: Guillaume Musso
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Terza persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 2009
Editore: RCS Libri

TRAMA


Mark e Nicole Hathaway sono giovani, affermati, felici. Lui è un brillante psicologo, lei una talentuosa violinista. Vivono in una splendida casa di Brooklyn e hanno una figlia adorabile, Layla. Non ci sono nubi sul loro orizzonte. Ma un orribile giorno, Layla scompare misteriosamente da un centro commerciale di Los Angeles, dove la madre è in tournée. In pochi minuti si consuma una tragedia assurda, incomprensibile, che lascia Mark e Nicole in preda alla disperazione più profonda. Una disperazione che logora e annichilisce, e spinge Mark, dopo mesi di angoscianti ricerche, ad abbandonare casa, lavoro e Nicole per perdersi a sua volta nei bassifondi della città, con la sola compagnia del suo inestinguibile dolore. Ma cinque anni dopo, Nicole riesce a rintracciarlo: deve dargli una notizia sconvolgente, Layla è stata ritrovata nello stesso luogo da cui era scomparsa senza lasciare tracce. Stordito dalla gioia, Mark si precipita a Los Angeles per riportare a casa la sua bambina. È la realizzazione di un sogno che pareva impossibile: la felicità è di nuovo a portata di mano. A bordo del volo per New York, le storie di Mark e Layla si incrociano con quelle di Evie e Alyson, che fanno i conti con un passato ineluttabile come una condanna: Evie è affranta da un lutto che le toglie il respiro; Alyson è divorata da una colpa inconfessabile, che la schiaccia e la corrode. Unite da un solo destino, le loro vite si affacciano a un bivio inaspettato.

RECENSIONE


Di solito la notte porta consiglio ed è il punto di partenza di ogni avvenimento importante della vita. Accade che tutto possa cambiare, trasformarsi da normalità, calma a tragedia in un attimo. Capita anche che la vita di persone sconosciute si intrecci in modi inaspettati e incomprensibili. Non ci si conosce, non si è mai scambiata neanche una parola, ma si ha comunque qualcosa in comune.


“Tutti e tre sono a un punto di svolta, hanno i nervi a fior di pelle, sono vicini al punto di saturazione. Tutti e tre si sentono a un tempo vittime e colpevoli. Ma saliranno sullo stesso aereo.

Tutti e tre hanno un passato doloroso.

Tutti e tre sono stati sconvolti da un lutto.

E la loro vita cambierà.”


E ci si ritrova a vivere le stesse emozioni, gli stessi dolori, le stesse vicende, a confidarsi segreti; magari perché il volto della persona con cui condividiamo il viaggio ci ispira fiducia o vediamo nei suoi occhi, il riflesso dei nostri. O forse è solo perché sentiamo il bisogno di parlare, di tirare fuori quello che non si riesce più a trattenere dentro. E quando ti rispecchi nel tuo stesso dolore, è facile aprirsi e condividere.

Come si può ricominciare a vivere dopo un lutto, dopo un dolore? Gli psicologi vogliono portarci a pensare che perdonando l’altro ma, soprattutto, perdonando se stessi, si possa rinascere. È un percorso giusto ma lungo, lento e straziante che passa prima affidandosi alla vendetta e al senso di colpa. Perdonare sembra impossibile, come se si volesse con il perdono cancellare il torto subito; e serpeggia in noi il bisogno di vendicarsi, di far sentire all’altro il nostro stesso male.  Non è questa la strada per stare bene, occorre prima prendere consapevolezza e accettare la rabbia e il male per poi passare oltre.

La scrittura è scorrevole e accattivante, ogni volta che si arriva alla fine del capitolo, l’autore termina con un accenno di rivelazione che incuriosisce e non si può fare a meno di continuare a leggere.

 Alla fine sembra tutto tornare, ogni dubbio viene sciolto; poi arriva l’inaspettato che scombina tutti gli avvenimenti e i pensieri e viene fuori una verità a cui non eri minimamente arrivato. Questo uno dei pregi del romanzo dove vengono raccontate le storie di tre persone diverse che, all’apparenza non hanno niente in comune, ma i destini giocheranno tra loro.

Ed ecco che capisci alla fine il significato del titolo del libro; la frase ti aveva portato a immaginare una storia d’amore e invece ti trovi diversi gialli da risolvere. E come si possono risolvere se non affidandosi a un sentimento come l’amore che vince sul dolore, sulla rabbia, sulla morte? È vero che “quando si ama non scende mai la notte.”

 Pensateci su, è così…


  

LA SABBIA DI LEMAN di Carmine Sorrentino

LA SABBIA DI LEMAN di Carmine Sorrentino

Titolo: La sabbia di Lèman
Autore: Carmine Sorrentino
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 2016
Editore: Bordeaux

TRAMA


Un amore che scompare, silenzioso come la nebbia sul lago di Léman, un’avventura umana che si accende come il sole che albeggia sul deserto del Wadi Rum. Un ingegnere nucleare che perde la strada e una guida giordana che la ritrova. Un protagonista che si muove fra le diverse latitudini del sentimento umano, alla ricerca di qualcosa che ha perso e forse vale la pena ritrovare. Sul filo teso tra prologo ed epilogo – due storie di devozione che non potrebbero essere più diverse – un intrico di sante, vergini, serpi e cani. Sogni, ricordi e racconti evocano le tragedie del secolo passato e di quello presente, tragedie che né un lago né un deserto possono davvero contenere.

RECENSIONE


Passeggio per Villa Borghese a Roma e su una panchina mi attrae la copertina di un libro: sfondo bianco con un cubo di nuvole. Mi siedo e osservo: conosco quell’immagine, un’opera di Elvio Chiricozzi che riproduce le nuvole e il loro modo di comporsi nel cielo sempre in modo diverso. Come non c’è modo di fermare le nuvole, non mi fermo a pensare neanche io, prendo in prestito il libro, lasciato da chissà chi, e inizio il mio viaggio di lettura. E vi assicuro che la scrittura evocativa dell’autore vi sorprenderà, come è successo a me. 

È un romanzo in cui vediamo un uomo trasformarsi e riprendere in mano la sua vita e tutto per lui riparte dal deserto di Wadi Rum in Giordania. Ma andiamo per gradi e cerchiamo di venirne a capo. Il deserto è un luogo affascinante perché di fatto è un “non luogo” per l’aridità e l’asprezza del territorio; solo sabbia e dune a perdita d’occhio ti permettono di poter riflettere sul passato che ti ha deluso e tradito, sul futuro che si prospetta incerto e imprevedibile e di immergerti nella concretezza e nel possibile presente che si sta vivendo. Carlo affronterà tutto questo con una guida del luogo, giovane ma saggio. La gioia di vivere di Amir si esprime nei suoi occhi e nel suo sorriso e l’intensità dei suoi pensieri riporterà Carlo alla vita e lo aiuterà a purificarsi e a rinascere. Il loro primo incontro, in un paesaggio magico ed emozionante, viene raccontato per farlo vivere anche al lettore e per farlo restare senza fiato.

Carlo inizia a guardarsi dentro e impara che il dolore va vissuto tutto e accolto; bisogna lasciargli spazio e dopo aver disintegrato, smussato e rotto, il dolore lascerà il posto a una vita nuova e inevitabilmente se ne andrà. Ed è proprio l’energia, la forza, la trasformazione il tema principale del libro.


 “Il mio nome, che mi accompagna da sempre come un estraneo, finalmente si è fatto da me riconoscere attraverso il suono della voce di Amin. ‘Carlo’ mi ha raggiunto come una brezza marina, come un gioco di note, ma anche come scontro di suoni diversi: la ‘c’ appena aspirata, intimidita davanti ad una ‘a’ prolungata e severa, la ‘r’ arrotata, forse arrabbiata, una sorta di anima torva illuminata però da una morbida ‘l’ che di colpo si tuffa nel fondo di una ‘o’ quasi perfetta”


Ecco che Carlo riconosce se stesso, le sue paure, il suo senso di colpa, grazie a una notte passata nel deserto con Amir che lo affascina e lo incuriosisce per il suo stile di vita così diverso dal suo. Un incontro tra due verità che non si scontrano, non vogliono sopravvalere l’una sull’altra. Ognuno dei due uomini accoglie il vissuto dell’altro come uno scambio equo di esperienze e insegnamenti. Non ci si ferma a giudicare l’altro o a condannarlo; in questo caso, la diversità di opinioni non diventa un limite ma una frontiera che apre nuovi orizzonti.


“Per me lui è il mio poeta, una guida che mi sta conducendo oltre il deserto. Non so ancora dove mi ritroverò in sua compagnia, ma ho fiducia.”


Sarà proprio la fiducia, la stima e l’affidamento a stimolare e a far uscire in Carlo il coraggio di vivere la vita e l’amore fino in fondo.


“D’ora in poi sarò capace di dire addio senza rancore a tutti gli abbracci negati, a tutti i sogni interrotti, a tutti quei baci sognati e mai dati.”


Così Carlo rinasce e comprende che è possibile sopravvivere al dolore e superarlo perché si tratta di una fase di passaggio della vita. Proprio come lo sono le nuvole, che con le loro forme perfette e bianche possono rendere sereno e bello il cielo o colorarlo di grigio e nero durante un temporale. Si tratta sempre di momenti passeggeri che non durano in eterno. Se alzi gli occhi al cielo puoi osservare le nuvole muoversi, scontrarsi e scomparire. Tutto passa, chi rimane è colui che sta sotto e osserva il cielo. Abbassi gli occhi e li riporti sulla terra per apprezzare i raggi di sole, che si fanno spazio tra le nubi o per ripararti dalla pioggia. Ripeto: tutto passa e si trasforma, anche noi e vale la pena vivere ogni momento. Credo che terrò il libro ancora per qualche altro giorno, poi lo riporterò sulla panchina per dare la possibilità a qualcun altro di viaggiare.


  

LEGGERA COME LEI di Valentina Macchiarulo

LEGGERA COME LEI di Valentina Macchiarulo

Titolo: Leggera come lei
Autore: Valentina Macchiarulo
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 28 aprile 2017
Editore: Youcanprint

TRAMA


“Leggera come lei” parte da un oggetto che ogni donna possiede e da qui, da questo semplice oggetto e da quel che ne contiene, l’autrice riesce a sviscerare una disamina personale, senza dubbio, ma che abbraccia l’esperienza e il vissuto delle donne in generale. Chi più, chi meno, tutti – leggendo questo libro – possono rivedere un po’ di se stesse.

RECENSIONE


Leggera come lei non è un libro da leggere tutto d’un fiato, ma va scoperto e fatto proprio lentamente, un pezzetto alla volta, perché talmente denso di emozioni, riflessioni e ricordi, che non si possono assorbire tutti in una volta, necessitano di un tempo lento e misurato per esserne testimoni e poterli lasciare sedimentare.

Una lettura che paragono all’ammirare un tramonto oppure un panorama: ci si deve prendere il tempo di osservarlo e vivere la bellezza della contemplazione, cogliendo le sensazioni che provoca, solo poi nel caso fermarlo con una fotografia.

In questo senso per “fermare” le sensazioni e i pensieri che la scrittura di questa autrice ha evocato, la mia fotografia è stata sottolineare molti passaggi armata di matita e righello.

Quando dico molti intendo veramente tanti, come non mi accade spesso se non con quei libri che sembrano parlare non solo a me, ma anche di me.

Un flusso di coscienza, un monologo interiore, un torrente di emozioni…qualsiasi definizione si voglia dargli, questo libro è un viaggio profondo a tratti poetico e molto introspettivo dentro alla vita dell’autrice.


La scrittura è un po’ come un accappatoio, basta slacciare la corda per restare nudi.

Basta osservarla tra le righe per vedere molto di più di noi.


Valentina Macchiarulo si è messa molto più che a nudo, ha aperto la porta non tanto ai fatti della sua esistenza ma al suo vissuto interiore, fatto di insicurezze, sogni, gioie e dolori, paure e consapevolezze, conquiste e fallimenti.

E nello stesso tempo questa porta è diventata specchio, a cui guardare per vedere attraverso il riflesso di lei anche noi stesse: figlie, sorelle, amiche, ragazze, donne, mogli e madri; è stato immediato, forse perché anime affini, ritrovarsi nel ritratto di questa scrittrice e nelle emozioni che ne sono state la conseguenza, affiorate da questo specchio fatto di parole.

Un viaggio le cui tappe sono oggetti di uso comune che perdono la consistenza materiale per diventare simboli di un momento di vita, di un ricordo, di un sentimento.


Ogni oggetto, ha dato un concetto, un’esperienza, un ricordo che resta segnale di una strada che ho percorso, per arrivare ad essere io, comunque io!


Lo stile di questa autrice è di una qualità rara, raffinato ma non rindondante, profondo senza essere retorico, fluido nonostante la corposità.

Mi ha sorpresa e conquistata, con una prosa a cui mi sono affacciata come spettatrice con un senso di rispetto e delicatezza, come quando si maneggia qualcosa di fragile ma prezioso, perché mi ha consentito di poter vedere all’interno di uno spazio molto intimo come solo può essere il racconto di una vita visto con gli occhi dell’anima.


Quando si scrive dell’anima, si va così nel profondo che, hai bisogno di una penna blu, come il mare, per affrontare la risalita.


Intimo ma in un certo senso anche familiare, in cui ho ritrovato molto di me stessa, come le insicurezze che si attorcigliano come un’edera attorno al nostro essere, la paura della solitudine, i sogni coltivati e spiati da una fessura del cassetto in cui sono riposti e la forza e il coraggio che ci vogliono a farli uscire.

L’accoglienza, la sincerità, la coerenza, la riservatezza, il senso della famiglia, il valore dell’amicizia, la presa di consapevolezza che deriva dalle esperienze e dagli insegnamenti che ne traiamo.

Un elenco lungo, importante, ricco, in queste pagine Valentina Macchiarulo ha saputo condensare la sua essenza di essere umano.

A questo elenco non aggiungo anche quello degli oggetti che l’autrice utilizza quali veicolo dei suoi pensieri più intimi e veri, a cui corrisponde un capitolo del libro.

È una scoperta che lascio volentieri al lettore, perché possa fare questo viaggio insieme a lei e ritrovare così il senso delle cose non in quanto oggetti ma in quanto esperienze.


Ho capito che la cultura il non giudicare prima di sapere, lo stare dietro oppure dentro le cose e, non al di sopra, il conoscere il peso delle parole, si acquisiscono solo con il viaggio. Il viaggio silenzioso dell’ascolto. Il viaggio introspettivo della coscienza. Quello variegato delle società e, soprattutto, con il viaggio intelligente della libertà!


Ecco invito il lettore a fare di questa lettura questo tipo di ascolto, quello della coscienza, attraverso parole che hanno un peso, come sempre dovrebbe essere, e che osserviamo scorrere sulle pagine non solo con gli occhi, ma soprattutto con la mente.

A riprova del fatto che la leggerezza a volte può contenere elementi di un certo peso.