
TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Daniele Mencarelli
Titolo: Tutto chiede salvezza | |
Autore: Daniele Mencarelli | |
Serie: Autoconclusivo | |
Genere: Narrativa | |
Narrazione: Prima persona | |
Tipo di finale: Concluso | |
Editing: ottimo | |
Data di pubblicazione: 25 Febbraio 2020 | |
Editore: Mondadori |
TRAMA
Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un’umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.
RECENSIONE
Mi sono sempre chiesta se i “matti” provano emozioni, gioia o dolore che sia. Grazie alla scrittura potente, schietta e senza filtri dell’autore, le parole mi sono arrivate subito allo stomaco. Insieme a Daniele, ricoverato in un reparto di psichiatria per un TSO, ho vissuto la sua settimana da internato in una stanza che puzzava di disinfettante, sudore, paura, sofferenza, solitudine e gioia. Sto ancora male per quello che ho visto, le lacrime uscivano da sole e un macigno sul petto che non mi faceva respirare. Avrei voluto gustarmi il libro con calma, dedicargli il giusto tempo per digerire tutto, invece l’ho ingurgitato in due giorni, una indigestione di follia che non ho potuto trattenere. Ma sono riuscita a capire una cosa importante: tutte le emozioni che provano i “matti” ci sono, eccome, elevate all’ennesima potenza. Per loro ogni cosa è amplificata, ogni sensazione negativa o positiva viene ingigantita e assorbe tutta la normalità. Daniele se lo osservi da fuori è un ragazzo come tanti, con le aspirazioni, i sogni, le stupidate dell’età e l’incertezza del futuro di un ventenne. Poi si fa leggere dentro e il suo mondo è un abisso buio, pensieri che si rincorrono, fanno a pugni tra loro e mescolano amore e odio, senso di colpa e rabbia. Quello che colpisce di Daniele però è che sembra che vada avanti con la tristezza addosso quando è da solo, invece parla ed è felice
«Ma io non so’ infelice, non se tratta de felicità, me sembra d’esse l’unico a rendese conto che semo tutti equilibristi, che da un momento a un altro uno smette de respira’ e l’infilano dentro ’na bara, come niente fosse, che er tempo me sembra come ’n insulto, a te, a papà, e me ce incazzo. Ma io in certi momenti potrei accende le lampadine co’ tutta la felicità che c’ho dentro, veramente, nessuno sa che significa la felicità come lo so io.”
Daniele rimescola ed elabora i pensieri ossessivamente e la sua estrema sensibilità lo porta a sentire la sua sofferenza e quella degli altri sulla propria pelle; non riesce a scrollarsela di dosso, ne porta il peso sulle spalle e chiede salvezza, non solo per sé stesso ma per tutte le persone. Ci sono altri ospiti nella stanza: c’è chi è assente e guarda rapito un oltre che vede solo lui, chi ha parole sagge e un sorriso che illumina tutti, chi sente un’angoscia tanto profonda da togliere il fiato, chi oscilla tra la parte bianca che sfocia in euforia e la parte nera che porta pensieri di morte. E Daniele con la bella persona che è accende la stanza e le persone che incontra nel reparto, anche in quelle catatoniche smuove un guizzo di vita. Pur nella sua sofferenza esistenziale ha sempre un pensiero per tutti
“Ma non so’ riuscito a smette de pensa’ a quel ragazzo, m’è montata una rabbia, possibile che nessuno s’accorge che semo come ’na piuma? Basta ’no sputo de vento pe’ portacce via.”
All’inizio Daniele piange, vuole scappare. Chiede, implora i medici indifferenti e distratti, ma niente. Il momento più brutto è la notte che non riesce a dormire. Come bestie attratte dal buio a quell’ora iniziano i lamenti, le voci, i deliri, le urla; fa un caldo asfissiante in provincia di Roma ma Daniele ha paura e i brividi di freddo si mischiano sotto il lenzuolo con un bagno di sudore. Deve resistere una sola settimana che cambierà la sua visione della vita e anche la mia è cambiata leggendo. Tutti i compagni con cui ha condiviso la stanza, pur con le loro diversità, aiuteranno Daniele ad aprirsi e a mostrarsi così com’è, senza maschere né trucchi, perché lo faranno sentire in qualche modo come loro, non è più solo
“Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli.”
Uno dei nuovi amici di Daniele che mi è rimasto impresso più di tutti è Mario. Non so dirvi se mi ha attirato il suo sguardo fuori dalla finestra, i suoi discorsi saggi, le sue manie d’ordine o la sua età. Non mi ha fatto pietà o compassione, nessuno di loro in verità. Ma ho sentito la sua malattia, la solitudine e avrei voluto assecondare i suoi ragionamenti, la sua “pazzia” e le parole di conforto che ha detto a Daniele le ho fatte un po’ mie
“Una cosa però tienila sempre a mente. Curati. Chiedi aiuto quando serve. Ma lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno.”
Ed è proprio quello che ho intenzione di fare e che dovremmo fare tutti per amarci di più.
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