È un giorno di sole in città e tra poco si giocherà la partita. Teschio e Bolo sono in macchina, diretti verso lo stadio, la loro grande passione comune. A un primo sguardo, nulla sembra cambiato: sono ancora loro, i due amici di sempre, eterni ragazzi pronti a fare casino. In realtà, basta guardarli meglio per rendersi conto che sono cresciuti, che la vita, con le sue responsabilità, li ha trasformati in uomini. Camille, dal sedile del passeggero, osserva un po’ loro, un po’ Gaia, la bambina sua e di Luca, un piccolo tornado che ha ereditato il meglio di entrambi. E intanto pensa a Gheghe, grande assente in quell’auto, ma non nel cuore di Bolo, che ne sente la mancanza ogni giorno ed è deciso a riconquistarla dopo che se n’è andata da casa senza dargli una spiegazione. O forse una spiegazione c’è, ed è tanto semplice quanto terribile: ovvero che il primo amore, se non muta e matura, è destinato a finire. Ma anche se così fosse, si può smettere di lottare per chi si ama?
RECENSIONE
Leggere questa novella è stato il compimento perfetto di due storie indimenticabili. Camille, Teschio, Gheghe e Bolo hanno trovato il loro posto per raccontarci un epilogo per niente scontato. Una novella con la potenza di un romanzo vero e proprio, che regala attimi commuoventi di pura poesia, a dimostrazione che l’intensità di un emozione si misura in frammenti di istanti perfetti.
Quattro ragazzi feriti, spezzati dalla vita in modo profondo e capaci di resistere al vento che spezza le ossa, al sole che brucia la pelle e al mare che travolge, facendo perdere di vista l’orizzonte.
Sono passati anni da quando li abbiamo lasciati e li ritroviamo adesso di fronte a nuovi crocevia da superare e bilanci da fare, provando a lasciarsi il dolore dietro le spalle.
Imparare ad andare avanti, nonostante tutto, anche nonostante l’amore, che a volte non basta:
E imparare ad amarsi da capo, a guardarsi allo specchio, a fare pace con le cose che non ha più, che non riesce più a fare.
Perchè a predominare spesso sono proprio le paure e le fragilità più invalidanti, che assordano come voci dei cori intonati allo stadio e offuscano la vista come fumogeni lanciati dagli spalti. E nella confusione l’unica via sembra la fuga.
Lo stadio ritorna, anche qui, come rifugio per ritrovarsi e ripartire, insieme all’amore incondizionato di chi ci è restato accanto nonostante le cadute e gli errori. L’amore è in uno sguardo, in un istante che parla senza parole.
E adesso, tutto l’amore che resta di loro, è lì, tra cori e applausi. Tutto l’amore che resta di loro, agli albori d’estate, brucia feroce e perfetto.
Questa novella cesella ad arte due storie dure, difficili che straziano il cuore con ferite così dolorose che spezzano il fiato e tolgono ossigeno. E quando tutto sembra perso, il battito prende il tempo e il cuore riparte lento aggrappandosi alla vita, per ripartire gradualmente e diventare più forte. Ed è da questo miracolo che nasce la speranza, una forza innata che proprio quando ci si sente persi nella tempesta più buia arriva sicura per trascinarci e spingerci come un’onda impetuosa, riportandoci a riva.
“Perché io e te siamo così, io scappo quando ho paura e te combatti più forte, per tutti e due, e ci tieni insieme e mi sorreggi quando le mie gambe crollano.“
Il ritmo narrativo è incalzante, coinvolgendo immediatamente il lettore con immagini vive e familiari, capaci di richiamare la sensazione di un ritorno a casa, già dalle prime righe. Silvia Ciompi ha il dono straordinario di rapire il lettore per calarlo dentro la storia in modo irrecuperabile e l’uso dei flashback intensifica il racconto, riportando alla memoria accadimenti passati che aiutano a capire meglio il presente. In questa corsa a perdifiato fatta di ricordi e sviluppi in corso, non ci sono esitazioni o dubbi e anche con il fiato corto si va avanti.
A dare enfasi a questa magnifica novella il modo di raccontare i sentimenti, vissuti dai protagonisti attraverso i luoghi e la natura che li circondano, come il vento che sferza la pelle, il sole che brucia le cicatrici, il mare che luccica di ricordi. L’ambiente amplifica le emozioni, rendendoli feroci e irresistibili.
Poi fissa il mare, quel posto così doloroso e pieno di ricordi bellissimi. C’è il sole, il vento di maggio è caldo, preludio d’estate. E contro l’orizzonte incandescente, quasi gli sembra di rivederli tutti lì.
Come colonna sonora ritroviamo Vasco Rossi con “Anima fragile” e Domenico Modugno con “Dio come ti amo”, due brani struggenti che abbracciano gli anni della nostra gioventù e quella dei nostri genitori, quasi a sigillare il significato eterno dell’amore, quello che va oltre tutto, anche di sé stessi.
Vasco canta “Perché col tempo cambia tutto lo sai, cambiamo anche noi”, ma la bellezza di queste storie resterà indelebile, come inchiostro sulla pelle, un tatuaggio in cui il mare, il vento e il sole racchiudono il significato imperfetto dell’amore, quello più autentico.
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Le sorelle Vassemer sono cresciute in un’antica casa nel Lincolnshire con il padre, Sir Henry. In paese i Vassemer hanno una solida fama di eccentricità: Sir Henry è un astronomo e le figlie, invece di preoccuparsi di debuttare in società come qualunque signorina assennata, intendono perseguire le loro aspirazioni. Per fortuna la loro casa crolla, Sir Henry muore e le ragazze vengono smistate tra tre diversi tutori. Rachel finisce nella tenuta di Lord Julian Acton, Marchese di Northdall, un vedovo con due figli ormai grandi, un imperscrutabile domestico indiano e un’unica passione: i cavalli. Ma Lord Northdall non è un aguzzino e con miss Rachel raggiunge un accordo basato sul buonsenso. Miss Rachel può continuare a essere impresentabile finché vuole, ma in pubblico si comporterà da perfetta gentildonna. Miss Rachel accetta. No, sul serio, accetta. Purtroppo essere normali non è così semplice, quando sei una Vassemer, e Lord Northdall se ne accorgerà presto a sue spese. Unfit è una trilogia sulle disavventure di alcuni rispettabilissimi gentiluomini, che alla vita non chiederebbero altro che pace, tranquillità e le sacrosante gioie del patriarcato, vessati dalla mancanza di tatto di tre ragazze con il cervello pieno di sciocchezze, ambientata in un tempo migliore in cui gli uomini erano uomini e le donne erano piante da interno.
RECENSIONE
Se dovessi riassumere questa storia a qualcuno potrei dire: adorabile, divertente, acuta, sensualmente intelligente e storicamente divina. Quando si parla di un’opera di Miss Black preferisco essere diretta visto che è un’autrice che fa della schiettezza una delle sue più mirabili virtù.
Rachel Vassemer si trovava nell’osservatorio. Fu una fortuna, perché se si fosse già ritirata per la notte, come ogni brava gentildonna avrebbe dovuto fare per quell’ora, sarebbe certamente rimasta uccisa.
Mai come in questa fortuita coincidenza non essere stata una “brava gentildonna” è stato provvidenziale, se non addirittura salvifico, in senso letterale. Sopravvivere ad un incidente di questa portata potrebbe definirsi sicuramente un mezzo miracolo che però potrebbe anche comportare inattese conseguenze, soprattutto se ti chiami Rachel Vassemer, hai trentatre anni, sei di aspetto molto piacente, nubile per scelta e la tua unica passione è l’astronomia. Probabilmente un profilo di questo genere ai giorni nostri potrebbe appartenere ad una giovane donna con un discreto successo sociale. Peccato però che, nel caso specifico, la situazione sia destinata a complicarsi visto che sei nata nel 1855 e sei una donna.
La condizione della donna in epoca vittoriana è cosa abbastanza nota: doveva vivere una vita irreprensibile fin dalla giovinezza, attenendosi a uno stretto regolamento pensato per proteggere la sua reputazione, come una sorta di gabbia sociale nel quale occorreva muoversi con estrema fatica, quasi senza libertà. Paradossalmente era durante il fidanzamento che le ragazze erano più libere, in quanto venivano loro permessi piccoli privilegi e maggiori autonomie che, in seguito al matrimonio, sarebbero di nuovo scomparsi.
Una vita scandita da regole e etichette alle quali attenersi scrupolosamente per non incorrere in pettegolezzi, o se non peggio errori o tranelli, che macchiavano la reputazione in modo indelebile, condannando le ragazze a passare la vita in convento oppure da zitelle.
Fin da ragazza Rachel aveva deciso di non sposarsi, perché un marito avrebbe senza dubbio ostacolato il suo lavoro, che consisteva per lo più nel passare le notti attaccata al telescopio, buttare giù annotazioni ed eseguire astrusi calcoli a lume di candela.
Quello che appare come un piano lineare, se non quasi un inno alla libertà personale e alla piena realizzazione delle proprie attitudini, improvvisamente diventa per Rachel un’enorme complicazione, soprattutto se al seguito del crollo di casa sopraggiunge la presenza di un tutore, bello come mai, per giunta.
Lord Julian Acton, settimo Marchese di Northdall, è un uomo e un padre rispettabile che vibra di prestanza, alterigia e serietà. La sua passione son0 i cavalli, animali bellissimi e fieri proprio come lui, che si potrebbe paragonare ad uno dei suoi amati purosangue.
Il marchese ha quarantun anni e il genere di profilo che starebbe bene sulle monete. Niente baffi, però. Ho dedotto che il suo principale interesse sono i cavalli. Come lo so? È semplicissimo, mia cara Watson! È abbronzato, atletico e si è permesso di chiamare la mia caviglia “garretto”. Un caso incurabile di nobiluomo ossessionato dai quadrupedi che alleva, seleziona, incrocia e Dio sa cos’altro. Intuire la verità è stato un gioco da ragazzi. Oh, e potrebbe avermene parlato la mia cameriera.
La relazione tra Rachel Vessamer e Lord Northdall parte subito in orbita come una collisione astronomica, che potrebbe ricordare l’impatto di un meteorite, un asteroide o un gigantesco corpo celeste che si schianta sulla Terra, infiammando l’aria e dando vita ad un’energia incontenibile, come quella che ho percepito durante la lettura di questa storia.
Questa volta fu Northdall ad acchiapparla prima che cadesse. «Forse dovremmo tramortirla» considerò. Rachel si offese, ma poi, in un lampo di lucidità, capì che era una battuta. Emise un lungo sospiro rassegnato. «Sto per fingere di svenire» disse. «La ringrazio per questo barlume di buonsenso».
La miriade di detriti generata da questa collisione sono arrivati fino in cielo, quasi a formare nuvole di costellazioni iridescenti, che ho avuto il privilegio di ammirare dall’osservatorio di Rachel, indomabile ragazza che ho adorato come non mai.
Fiera, indipendente, assennata e dotata di un pungente sarcasmo che la rende una donna “impresentabile” per la sua epoca, Rachel appare quasi come l’emblema di una parte del genere femminile che in epoca vittoriana reclamava a suo modo diritti e libertà, forse senza farne neppure troppo mistero.
La sua natura ribelle, forgiata dal padre e perseguita dalle due sorellastre minori, è delineata con sagacia e bravura tramite ogni gesto e pensiero, in cui traspaiono forte personalità, ironia, intelligenza ed una scaltra educazione:
Rachel si sedette in poltrona con il busto eretto e con le caviglie incrociate. Era determinata a dimostrarsi educata, remissiva e un po’ stupida; tutte qualità che gli uomini apprezzavano sempre in una signorina.
Quale reazione può scaturire tra un gentiluomo rispettabile ed una giovane ribelle costretti a vivere insieme?
L’unico modo di rispondere a questa domanda è quello di leggere questo libro, in cui i due protagonisti fanno faville e scintille, brillando in spassosi battibecchi, acuminati come pezzi di un asteroide caduto sulla Terra, che cadendo al suolo prende fuoco, scatenando giochi pirotecnici ai quali l’abile regista Miss Black ci ha spesso abituati.
A sorprendermi, invece, sono stati i momenti privati di Rachel e Julian, in cui sguardi, respiri, silenzi, attese e sfioramenti hanno cesellato un’intima connessione dal sapore antico che mi ha regalato una veste nuova di questa scrittrice, che continua ogni volta a sorprendermi. Istanti descritti con mirabile bravura che mi hanno estasiata, attraverso il racconto della nascita di un sentimento che cresce svelandosi gradualmente, come l’immagine sensuale di un guanto che sfila dalla mano. Attimi che scaldano i sensi, soprattutto tramite il tatto, più volte protagonista di scene di straordinario potere sensuale.
Rachel prese la sua mano tra le mani. Gli sfilò il guanto, si sfilò i guanti. Northdall restò lì, steso su un fianco e adesso era lui l’animale ferito, in agonia. Rachel gli strofinò il pollice sul palmo e la sua agonia crebbe. Agonia dolora e pulsante, vergognosa e improvvisa.
Oltre al sapiente uso di immagini in cui i sensi sono i protagonisti assoluti, in UnFit le ambientazioni e la natura trovano un posto d’onore; scelta, a mio avviso, azzeccatissima che ha reso la lettura particolarmente coinvolgente. Antiche magioni normanne, tappezzerie broccate, fumose strade di città, cieli pieni di pioggia, foreste ombrose e prati sterminati sono scenari costanti che creano ad arte una coreografia che muta e racconta stati d’animo, pensieri, avvolgendo così il lettore in modo sublime, fino a ritornare a innescare olfatto e vista.
Il profumo autunnale di foglie cadute e degli ultimi fiori della stagione rendeva l’aria dolce e conferiva al paesaggio qualcosa di fin troppo gradevole. Era come camminare in un libro per bambini, dove tutto era bello, pulito e innocuo, ma con un tocco di trascuratezza attentamente distribuita. Era la forma più subdola di ostentazione che Rachel avesse mai incontrato.
Ad affiancare i protagonisti come solidi guardiani armati di personalità e carisma, personaggi secondari di fine fattura che reclamano a pieno titolo la loro attenzione. Tra questi Mr. Kayal, il maggiordomo di origini indiane che Lord Northdall considera come il suo più fidato amico, al quale lo lega un profondo senso di rispetto e stima. A seguire Rebecca, migliore amica di Rachel e Amalia, la sua cameriera personale.
Infine le sorelle di Rachel, Vera e Fortune Vassamer, “ragazze impresentabili” dalle attitudini pericolose, di cui preferisco non svelare nulla lasciando al lettore la gioia di conoscerle ma di cui sarà divertente scoprire le storie nei seguenti capitoli di questa divina trilogia, che è partita come un missile nell’universo e che è stato fantastico ammirare con Rachel dal suo (nuovo) osservatorio.
Rachel gli rivolse un sorriso dolce. «Siamo tutte donne rinascimentali, noi Vassemer».
Reagan Desoto ama recitare, ama lo sfavillio del mondo di Broadway così come l’odore dei piccoli teatri, ma una ragazza di Harlem non dovrebbe credere nei sogni, soprattutto quando a spronarla è un giovane con il conturbante aspetto e il naturale talento di James Dean. Noah Dresner sembra mostrare uno strano interesse per lei, nonostante il suo look da maschiaccio e il suo modo sfrontato di dire e fare le cose. Noah è l’uomo che l’ha stregata da subito, che le permette di conoscere le gioie e i dolori del sesso senza tabù, con l’unica regola di escludere dall’equazione l’amore, ciò che si ostina a non concederle e che lei invece non riesce a negargli.
Un’intima amicizia sbocciata dietro le quinte della scena Off Broadway di New York. Una passione che rischia di bruciare come un incendio. L’amore che è impossibile da soffocare, anche in un rapporto all’insegna del sesso privo di limiti. Perché la maschera può essere un mezzo per sentirsi liberi, ma anche la più subdola delle gabbie. Dopo l’erotico The Undressed Series, Moloko Blaze torna con una nuova avventura Hot Contemporary Romance! Si consiglia la lettura di Playing Time a un pubblico adulto e consapevole.
RECENSIONE di Alessia
Il potere dei libri mi sorprende continuamente, come uno spettacolo pirotecnico pieno di luci abbaglianti in grado di illuminare il cielo di notte da ammirare con stupore e meraviglia. Emozioni che non hanno età ma che diventano tesori preziosi se vissute da adulti, quando si è maggiormente consapevoli della presenza di luci e ombre, che si dipanano alternandosi su un enorme palcoscenico, quello della vita, dove nessuno può esistere senza ruoli da interpretare o maschere da indossare.
Playing Time è la sublime celebrazione di questo concetto, ovvero come tutti noi viviamo su un palcoscenico, indossando quotidianamente maschere che ci permettono di agire in ruoli più o meno definiti, imposti da vari contesti, sia essa il nucleo familiare, l’ambito professionale fino alla società in generale.
Fin dalle prime pagine, il libro apre il sipario su un luogo non luogo, un teatro, in cui si sta provando una scena dal sapore intenso e coinvolgente, tanto da mettere in luce immediatamente i profili dei due protagonisti.
«Innamorarsi di uno come Noah è come lanciarsi da un aereo senza paracadute.»
Noah Dresner, 28 anni, dal fascino ribelle e magnetico oltre che dall’indiscusso talento di attore, capace di infiammare l’anima con il suo sguardo tagliente e malinconico e di mordere la vita in ogni istante. La sua filosofia di vita sembra ricalcare quella di James Dean, icona indimenticabile che diede voce al disagio di una generazione smarrita e senza punti di riferimento, alla disperata ricerca della propria identità. In un suo celebre film disse : “Sogna come se potessi vivere in eterno, vivi come se dovessi morire oggi” , un frase diventata leggenda e che delinea indiscutibilmente il profilo di Noah, con la sua perenne voglia di sperimentare, curiosare, andare oltre i propri limiti per capire fin dove spingersi per realizzare i propri sogni e soddisfare desideri, bisogni. Vive ad Hell’s Kitchen, celebre quartiere vicino alla scintillante Broadway e nel cuore della zona dei teatri più importanti, ospitante la sede del famoso Actors Studio, che frequentò proprio James Dean. Una zona elitaria dove l’arte si respira per strada.
Avevo sempre creduto di essere una ragazza invincibile. Ferita, ma invincibile. Fino a che non avevo incontrato Noah Dresner. Ventotto anni, attore di teatro, sceneggiatore a tempo perso.
Reagan Desoto, 21 anni, dalla carnagione mulatta e gli occhi scuri come l’inchiostro, abituata più a nascondersi che mostrarsi e dotata di un’inconsapevole sensualità che la rende intrigante come una perla esotica da scoprire. Insicura ma coriacea, inesperta ma ribelle, vive una continua contraddizione che la definisce senza delineare un contorno preciso, facendo di lei uno dei personaggi femminili tra i più interessanti letti fino ad oggi. Ama recitare, una passione che diventa terapia per fingere, cambiare pelle, sentendosi parte di qualcosa. Il teatro è la sua salvezza per sopravvivere ad una vita difficile, fatta di privazioni affettive e materiali. La sua casa è la periferia di Harlem, quartiere – ghetto in cui disagio sociale e emarginazione predominano sulla vita di chi vi fa parte.
Ambientazioni ben definite identificano il vissuto di due protagonisti profondamente diversi nell’approccio alla vita, nelle scelte che li hanno definiti fino a quando non si conoscono. Sarà il teatro a farli incontrare e sarà lo stesso palcoscenico che li vede calcare la scena come promettenti attori a fondere le loro anime, fatte di spigoli, bruciature, paure, fragilità e nascondigli, che siano questi abiti extra large o colpe da espiare.
Il loro è un percorso di sperimentazione mentale e fisica. Il sesso è uno strumento formidabile attraverso il quale provano a superare le loro paure, a chiedere e donare fiducia, per fidarsi e affidarsi a qualcuno, a credere in loro stessi. Le scene di sesso sono sublimazioni del corpo, raccontate in modo vivo e scritte con immensa bravura. L’eros trova in questo libro la sua celebrazione dei sensi, in cui il piacere e il dolore si compenetrano oltrepassando il puro riferimento carnale per elevarsi verso un significato più profondo ed esteso.
«L’unico modo che abbiamo per essere felici è aver sperimentato il dolore, il metro di paragone per ogni esperienza.» Continuò, conquistando un altro centimetro. «Una cosa può essere bella solo se sei cosciente di cosa non lo è.»
In questo equilibrio sottile trova spazio un terzo personaggio, Rhys, amico fraterno di Noah. Magnetico, carismatico e contraddistinto da un’innata saggezza, Rhys diventa la chiave di volta che plasma il percorso di crescita di questi due ragazzi per aiutarli a comprendersi. Un uomo dalla fortissima sensualità che ricorda Dennis Stock, fotografo e amico di James Dean, che ne capì il talento fin da subito contribuendo a renderlo leggenda con i suoi celebri scatti, ritraendolo, come gli diceva, “dove ti senti felice”, un po’ come fa Rhys con Noah e Regan. Un personaggio che ho adorato e di cui mi auguro di leggere una storia dedicata a lui.
A fare da contorno a questo libro una colonna sonora intrigante, che questa eclettica autrice, appassionata conoscitrice di musica, ha scelto con grande accuratezza. Sonorità d’altri tempi come Ray Charles, Elvis Presley e Nina Simone si alternano a generi musicali più contemporanei come Fatboy Slim e Public Enemy. Un viaggio sonoro che pervade le vicende del racconto in grande stile.
La ricercatezza musicale conferma l’attitudine di Moloko Blaze alla passione per le arti visive, come il teatro, il cinema e la fotografia che fanno da cornice a Playing Time. Una storia meravigliosa che offre il connubio perfetto tra due stili, romance ed erotico, a differenza delle atmosfere più carnali ritrovate nella serie Undressed, in cui l’eros predomina maggiormente celebrando l’arte in senso più figurativo.
Una vena artistica dai poteri afrodisiaci che avvolge di sensualità lo stile raffinato di una scrittrice sapiente e di grande spessore, che mi ha fatta innamorare della lettura come poche. L’esclusivo punto di vista di Reagan amplifica il coinvolgimento trascinando il lettore nei suoi pensieri, paure e sentimenti che deflagrano per Noah, il cui animo si svela solo attraverso gli occhi di lei, mantenendone l’alone di sensuale mistero.
Non era raro che io e Noah, due attori che usavano le parole per vivere, parlassimo senza emettere un suono. Capitò anche quella volta. In silenzio, avevamo parlato di amore, quella strana forma di amore che provavamo l’uno per l’altra.
Chapeau Moloko, alla prossima.
Le luci di questo spettacolo pirotecnico mi hanno fatta sognare e vibrare l’anima. A sipario chiuso e a luci spente si torna a casa, va in scena la vita.
RECENSIONE di Sara
La sfavillante cornice dei teatri di Broadway fa da sfondo al primo incontro tra Noah e Reagan, due ragazzi all’apparenza molto diversi tra loro che si scopriremo essere anime affini.
Noah vive ad Hell’s Kitchen, e somiglia pericolosamente a James Dean, riprendendo le fattezze e la voglia di essere libero e ribelle dal famoso attore.
Reagan è una ragazza di origini afroamericane nata e cresciuta ad Harlem, che nasconde i propri sogni dietro un abbigliamento da uomo che non le rende giustizia, e dietro la paura che un passato tormentato possa portarglieli via.
Conosce Noah durante le prove per lo spettacolo che metteranno in scena, e il ragazzo la cattura e la porta senza fatica portandola nel suo mondo permettendole di essere finalmente se stessa, senza restrizioni o tabu’.
Ma poi… poi sei arrivata tu. E non te ne sei più andata. Hai piazzato una tenda nel mio cervello e nel mio cuore, i ci sei sistemata bene. E più cercavo di allontanarti e più ti desideravo. Non desideravo solo il tuo corpo, desideravo te. Volevo possederti, volevo ascoltarti, parlarti, toccarti. Volevo viverti. Ero… sono schiavo di ogni tuo sogno, di ogni tuo desiderio anche di quelli che ancora non conosci. E oggi, Reagan, mi sono reso conto che sei tu che sei ad essere responsabile della mia tristezza , così come sei responsabile della mia felicità.
Se chiudete gli occhi verrete immediatamente trasportati nella stupenda atmosfera di “Playing time”, e non vi limiterete solo a leggerlo, ma lo vivrete sulla pelle, senza pudore, senza fatica, ma con entusiasmo e immensa curiosità.
Riconoscerete di certo lo stile di Moloko Blaze, toccante fin dalla prima parola, anche se stavolta vi troverete davanti ad una magia, ovvero un bellissimo connubio tra un romanzo erotico ed una storia romantica che vi terrà incollati alle pagine senza respiro.
Incontrerete di nuovo personaggi messi a dura prova dalla vita, feriti anche in modo profondo, ma che non si sono mai arresi, anzi, hanno fatto della loro sofferenza un modo di riuscire a reagire, di rincorrere la sospirata felicità.
Rispetto alla trilogia di “Undressed” però, leggerete delle scene erotiche, mai volgari, di certo descritte in modo più mentale che fisico, ma non per questo meno carnali e appassionate.
E’stupendo il parallelismo col teatro e la fotografia, per tutto il libro infatti i protagonisti si trovano tra la finzione e la realtà culminando nella scena a mio parere più intensa, quella dello spettacolo, dove si donano reciprocamente l’uno all’altra senza veli, maschere o paure.
Anche il letto di una stanza poteva essere un palcoscenico. Un gioco di ruoli ben preciso. Una regia di sguardi, di movimenti, di battute, di luci. Un fuoco artificiale di emozioni sature di colori, un luogo in cui tutto era più acceso, più forte, più intenso. E le parole non erano solo parole.
Molti personaggi fanno da contorno alla storia, spicca su tutti la figura di Rhys, che ammetto ha fatto breccia del mio cuore, fotografo e amico di Noah, di certo una presenza imponente che però riesce sempre a restare da parte senza entrare nel profondo di quello che lega Noah e Reagan.
Se avete voglia di forti emozioni questo è il libro che fa per voi, lasciatevi trascinare da ogni piccolo dettaglio che questa storia vi regalerà, perché non esiste spettacolo migliore di quello che due persone davvero libere riescono a regalarsi a vicenda.
Sul volantino dice: “Mike Reed, marito in affitto”, ed elenca tutte le piccole riparazioni che Mike può fare in casa tua, dall’aggiustarti il lavandino a falciarti il prato. Quello che non dice è che Mike Reed è un vero e proprio splendore, uno che potrebbe fare il modello in una pubblicità di profumi, e che è pure alla mano e simpatico. Quindi dov’è il trucco? Alina lo chiama per una riparazione e poi si trova ad assoldarlo davvero come marito in affitto, o meglio, come fidanzato a una riunione di ex compagni di classe. Mike si comporta in modo perfetto e c’è anche un interludio romantico che Alina non avrebbe mai osato immaginare. È così bello, perché dovrebbe piacerle lei? Proprio lei, con la sua famiglia ingombrante, asfissiante e messicana. Lei che non potrebbe mai fare la modella, nemmeno per una pubblicità di aspirapolveri. Lei che lotta con problemi banali come i concorrenti sul lavoro e non con problemi grossi come quelli di Mike. Perché Mike è splendido, è vero, ma è tutto finto. Una volta scoperta la verità, non c’è più motivo di essere in soggezione. Ma, Alina, aspetta un attimo… sei davvero sicura di aver scoperto la verità?
RECENSIONE
Leggere questa storia è stata una godibilissima distrazione dalla realtà, che fin dalle prime pagine mi ha rapita, scoprendo di questa sorprendente autrice una nuova sfumatura, con tratti più rosa del solito. Una tonalità adorabile che mi ha convinta senza dubbio alcuno, contribuendo a rendere la sua aurea poliedrica ancora più intrigante e completa.
“Il marito in affitto” mi ha intrattenuta con ironia, intelligenza e un ottimo grado di piccantezza, quella tipica della qualità “Habanero” messicano per intenderci.
Una storia che nel suo complesso paragonerei ad una salsa guacamole ben fatta dal sapore perfettamente bilanciato, in cui ogni ingrediente è stato selezionato ad arte. Una pietanza gustosa in cui ho ritrovato alcuni tra i temi più cari a Miss Black, come discriminazioni sociali, razzismo e problemi di dipendenza.
Mi chiamo Alina Suarez, ho trentadue anni e sono un’agente immobiliare. So usare un trapano, un cacciavite e una pinza. Il prato me lo falcio da sola (anche se non abbastanza spesso) e, se necessario, stucco, carteggio e dipingo. Ma i lavandini rotti non li so aggiustare.
Alina è una piccola Bridget Jones di origini latine che ho adorato, in primis per la sua autenticità: assennata, lavoratrice, pragmatica, indipendente e soprattutto consapevole di essere una ragazza normale. Le sue origini messicane la collocano in una cornice precisa, quella tipica della seconda generazione di immigrati nati in America ma cresciuti con un’educazione di cultura latina, fondata su tradizioni e valori in cui la famiglia è al centro di tutto. Un legame molto forte che, se da un lato offre solide certezze, dall’altro invade e pervade la sua vita come una guaina contenitiva troppo stretta, quasi soffocante.
Mike è alto, aitante, biondo, insomma bellissimo. Bellissimo e al verde, tanto da arrangiarsi come “tuttofare a chiamata”, che sopravvive facendo piccoli lavoretti nelle case altrui.
Il loro incontro è spassoso come solo l’abilità di Miss Black è in grado di raccontare, delineando l’inizio di un rapporto di affari che gradualmente diventa qualcos’altro, rivelando quanto l’apparenza sia spesso ingannevole.
Il mio marito in affitto era dritto davanti al cancello, con una grossa valigetta degli attrezzi in mano. Il lampione sulla strada lo illuminava benissimo, purtroppo.
Mike, infatti, è tanto perfetto quanto finto. Scoprire cosa si celi dietro la sua luccicante facciata è la vera forza motrice dello sviluppo della storia, tramite cui svelare un dislivello più profondo che va aldilà della differenza estetica. Un divario che segna il confine tra due vite vissute agli antipodi e che rende i protagonisti di questa storia complementari in modo straordinario.
Da una parte Alina, una ragazza semplice ma soffocata da una famiglia invadente che la ossessiona con tappe da rispettare, obblighi da mantenere, traguardi sociali ai quali ambire e su cui costruire la propria realizzazione personale.
Ero così abituata a non contare niente per nessuno che ormai lo consideravo normale.
Dall’altra parte Mike, un ragazzo complicato e appesantito da un doloroso passato costellato di dipendenze tra droga e alcol e proveniente da una ricca famiglia alto borghese, che lui stesso ha rinnegato perché priva di ogni principio morale.
Ora non avevo più niente, la mia vita era un casino, ma stavo indubbiamente meglio. La mia nuova vita era molto meno semplice di quella precedente… era scomoda, solitaria e piena di privazioni, ma per la prima volta non mi sembrava priva di senso.
Due dimensioni di vita antitetiche che inducono a riflettere su come certi ambienti familiari e sociali generino spesso modalità di azione e interazione difettosi, lasciando dietro di sé tracce indelebili nella psiche di coloro che ne fanno parte. A volte però riconoscerle è il primo passo per superarle, prendendo misure e mettendo distanze per vivere liberi o perlomeno in modo più consapevole, lasciando indietro il giudizio.
La libertà e la schiettezza sono tra i tratti identificativi che maggiormente apprezzo in questa originale autrice che conferma il suo inconfondibile stile asciutto e diretto, arricchito stavolta dall’alternanza tra i punti di vista dei due protagonisti che scava più in profondità del solito.
Una storia che consiglio spassionatamente perché intrattenere con intelligenza non è da tutti, men che meno far scaldare il palato a dovere con scene bollenti scritte in modo impeccabile. Insomma è risaputo che il peperoncino faccia bene, se poi è di qualità “Habanero” è un vero toccasana: contiene vitamina A, che aiuta a mantenere la salute degli occhi, capelli e pelle. Possiede proprietà stimolanti, antisettiche, disinfettanti e digestive.
Quindi, come farne a meno?
E poi ammetto di avere un debole per i suoi protagonisti maschili: sporchi, imperfetti, incasinati e stavolta anche gentili e tuttofare…sai mai che se mi si rompesse il lavandino chiamo l’assistenza e mi mandano Mike.
Cosa potrebbe legare un’attrice di Hollywood al verde e sull’orlo di una crisi esistenziale a un Navy Seal tutto d’un pezzo abituato alle missioni più pericolose e impossibili? Lei lo definisce Seal pauroso. Lui la chiama scassa palle personale. Chi dei due la spunterà sull’altro e chi per primo cadrà nel tranello dell’amore?
Sullo sfondo di San Diego e Los Angeles, passando per i deserti sconfinati dell’Algeria, tra battibecchi, frasi al vetriolo e sprezzante comicità, Sidney Danfrey e Jack Mitchell vi racconteranno la loro pazza, frizzante e irriverente storia d’amore. Pronti a farvi travolgere?
RECENSIONE
Leggere questo libro è stata una sorpresa, quasi un regalo, ricevuto con grande emozione come lettrice in anteprima. Un privilegio che Laura Pellegrini mi ha offerto con avvertimento annesso, una sorta di “precauzioni per l’uso”, per poter essere preparata a scoprire una storia diversa dalle sue precedenti.
Conosco questa autrice per la grande capacità di scrivere storie sofferte, profonde e incentrate su personaggi complicati, spesso fragili e ben delineati psicologicamente.
L’idea quindi di leggere un romanzo a sua firma con una trama frizzante e leggera mi ha incuriosita moltissimo, alimentando la mia immaginazione. Ammetto di ammirare chi come lei decide di oltrepassare la propria “comfort zone” per sperimentare forme di espressione nuove. Una scelta che rappresenta, a mio avviso, una sfida per crescere, migliorare o solo per esplorare nuovi confini.
Già dalla prime pagine di Confidential Affair ho percepito chiaro il cambio di registro annunciato, a partire dalla presentazione della protagonista femminile Sidney:
“Esistono tre cose nella vita in grado di salvare una ragazza in qualsivoglia situazione: un Cosmopolitan ben shakerato, una buona manicure e uno smartphone che abbia una carica sufficiente per soddisfare tutte le esigenze e io, ora, non ho nessuna delle tre cose”.
Sidney è una giovane attrice di Hollywood conosciuta perlopiù per essere stata la protagonista di film di basso livello nonché un’abitudinaria frequentatrice di party e reality show. Rimasta senza lavoro e quasi del tutto al verde, riceve quella che sembra essere l’ultima offerta di ingaggio per risollevarsi e ritrovare la strada del successo: concorrere per il ruolo di protagonista per un film d’azione. Condizione necessaria per ottenere la parte è quella di addestrarsi in una base militare della Marina per prepararsi al meglio al personaggio previsto dal copione.
Sid mi è apparsa da subito come un bel pacco regalo confezionato ad arte per stupire, con una carta luccicante e iridescente:
Così, oggi, agli occhi del mondo sono l’attrice più figa, più bella e più sul lastrico dell’intero Universo. È pur sempre una prerogativa che non tutti hanno.
Ma spesso ciò che appare in superficie è solo una piccola parte di cosa si nasconde all’interno.
Scoprirlo è stato davvero intrigante e per questo devo ringraziare l’aiuto di qualcuno, che ho conosciuto molto volentieri.
Jack, detto “Stealth”, è un Navy Seal divenuto eroe di guerra per aver portato a termine con successo missioni all’estero molto rischiose da parte del governo. Un soldato che si sente più a casa in una missione nel deserto che altrove. Purtroppo, a causa di un grave problema al ginocchio, si è visto negare la possibilità di riprendere il comando delle spedizioni all’estero. Costretto a prestare servizio alla base, gli viene affidato il delicato ruolo di capo istruttore delle nuove reclute:
“Non mi chiamano Sterminatore a caso. Io non rendo questi uomini migliori, li faccio diventare macchine da guerra”.
Ombroso, taciturno e schivo, Jack è quanto di più vicino si può immaginare ad un uomo orgoglioso che, perduta la capacità operativa di servire con fierezza il proprio paese, si è visto relegato ad un ruolo in cui la guerra si combatte solo sul campo di addestramento.
Mi ha messo a fare l’istruttore e non nego di aver riversato a più riprese la mia rabbia sui principianti appena arrivati, dato che non avrei potuto usarla su di lui. Rabbia manifestata apertamente nel mio aspetto. Barba mai del tutto rasata, capelli troppo lunghi… Sono un dissidente, a mio modo, ma, Cristo, posso dire con assoluta certezza di essere uno tra i migliori se non addirittura il migliore.
Se ad un uomo di questo tipo fosse affidato il compito di addestrare come un vero Seal un’attricetta bionda e viziata di venticinqueanni che non ha la minima voglia di collaborare cosa accadrebbe?
Per rispondere basta pensare a due fronti opposti che sono costretti a raggiungere lo stesso obiettivo, odiandosi. Capire chi resterà in piedi non sarà facile perché se da una parte Jack è indubbiamente più forte a livello fisico, Sid con il suo atteggiamento provocatorio gioca davvero sporco. Una vera e propria guerra, resa ancora più difficile se a pelle subentra subito ostilità e pregiudizio reciproci. Ma si sa che spesso l’odio scaturisce da non accettare qualcosa che si reputa impossibile.
Jack mi è piaciuto moltissimo perché sebbene possa correre il rischio di essere un personaggio stereotipato in verità nasconde luci e ombre che, rivelandosi gradualmente nella storia, lo rendono realistico.
Sidney è chiassosa, esuberante, superficiale, sicuramente un personaggio che mi ha divertita, capace di battute al vetriolo usate spesso come proiettili in difesa di una corazza fatta di fragilità e determinazione.
Me la sento addosso di notte. Me la sento dentro di giorno. Lei è come il sole del deserto, ti ustiona anche i pensieri quando è alto nel cielo, ma poi di notte, quanto scompare oltre l’orizzonte, preghi che quel calore torni a scaldarti le ossa che sembrano frantumarsi dal freddo.
Vederli insieme è stato spassoso ma anche intenso, perché il loro rapporto evolve in qualcosa che dal puramente fisico diventa celebrale. Una lotta che si dipana sul campo di addestramento, che assume sempre più le sembianze di una battaglia innescata per affrontare qualcosa di profondamente personale. Paure, insicurezze e umiliazioni sono i muri da scavalcare e oltrepassare:
Da sola. A tre metri da terra, con la pioggia che mi ticchetta addosso. Poi penso, però, che la mia vita è già un insieme di solitudini intervallate da brevi attimi di parole e allora apro gli occhi.
Ed è in questa immagine che ho riconosciuto la firma di Laura Pellegrini, che ha inaugurato un nuovo stile di sé che mi ha convinta perché capace di offrire un romanzo che intrattiene ma delinea un convincente percorso di trasformazione. Lo stile narrativo è fluido e dal tratto quasi cinematografico, con dialoghi ironici e accattivanti che mi hanno catturata fin da subito. Un libro che, a mio avviso, rappresenta un connubio perfetto tra intrattenimento e profondità.
Mi piace pensare che con questa storia anche l’autrice abbia voluto provare, come Sid, ad oltrepassare i suoi muri per sfidare limiti e uscire dalla propria comfort zone, chiedendosi se ce la farà.
Per me la prova è stata pienamente superata, convinta che si ha a volte bisogno di storie così, ironiche, sensuali al punto giusto e accuratamente raccontate per evadere e sorridere, soprattutto in un periodo così particolare.
Non vedo l’ora di conoscere la storia di Hawk che, tra i vari personaggi secondari del libro, ha reso l’atmosfera ancora più intrigante. Per questa seconda parte io sono già in attesa della sua uscita.
A ventotto anni Crowley Asker aveva tutto ciò che si potesse desiderare: il talento, la fama, la ricchezza, e tutti i privilegi che solo un atleta del suo calibro può permettersi. Ma la smania di onnipotenza ha un prezzo, e questo, Crowley l’ha imparato a proprie spese: oltrepassare il confine tra ring e vita reale ha messo fine a tutto. Ora, alla soglia dei trent’anni, vive la sua vita lontano dai riflettori. Il mondo lo considera un assassino spietato, nessuno lo ha mai perdonato. Crowley ha perso tutto, e ora si sposta di città in città nel tentativo di sfuggire all’ombra nera che lo perseguita. E la sua prossima tappa è Greycliff, in Ontario. Eden Blanchard ha appena compiuto vent’anni e del mondo conosce la parte peggiore. Figlia unica di una donna non vedente, vive ai margini di quella città soffocante e ipocrita che odia con tutta se stessa. I boschi sono la sua vera casa. La natura, a differenza delle persone non la spaventa. La natura non è malvagia, le persone lo sono quasi sempre, Eden lo ha sperimentato sulla propria pelle. Nonostante la diffidenza che nutre nei confronti degli uomini, il nuovo arrivato desta immediatamente la sua curiosità: ha affittato un cottage a poca distanza dalla sua casa mobile, ma è talmente schivo che nessuno lo ha mai visto in faccia, nessuno conosce il suo nome. Eden sa che non dovrebbe impicciarsi, ma quell’uomo rappresenta un mistero irrisolvibile e di fronte ai suoi modi bruschi la ragazza non riesce a tenere a freno la lingua. Tra di loro sono subito scintille pronte ad appiccare un incendio. Eden e Crowley non potrebbero essere più diversi, eppure ciascuno ha qualcosa di cui l’altro ha estremo bisogno: Eden deve imparare a difendersi. Crowley deve imparare a fidarsi.
RECENSIONE
Eden in the dark è una storia di rinascita. Un libro che ho apprezzato perché definisce con grande accuratezza la sofferenza di due ragazzi disillusi, sbagliati, ammaccati abituati a sopravvivere, senza risparmiare nulla.
I protagonisti della storia, Eden e Crowley, mi hanno subito fatto capire di essere due figure difficili da elaborare, perché scontrosi, pungenti, quasi ruvidi. Nel proseguo del racconto li ho guardati meglio, li ho osservati agire, riflettere, reagire e man a mano che la storia cresceva d’intensità ho capito che per capirli avrei dovuto accettare il loro linguaggio, fatto di provocazioni e silenzi. Ho sentito l’energia di Eden in the dark fin dalle prime pagine, in cui si delineano immediatamente le personalità dei protagonisti.
Crowley ha quasi trent’anni e ha avuto quasi tutto si può sognare di ottenere nella vita: soldi, fama successo, donne. A causa di un terribile evento che lo ha coinvolto in prima persona, si è visto togliere i titoli raggiunti con la sua carriera atletica. Per fuggire dal circo mediatico che lo perseguita decide di scappare, spostandosi saltuariamente di città in città per nascondersi da tutti.
Chissà come la prenderebbe se all’improvviso mi mettessi a raccontargli che ero un fenomeno, un talento, che combattevo come una bestia, ma sembrava danzassi. Che mi chiamo Crowley Asker e continuo ad allenarmi come se dovessi tornare nella gabbia ottagonale domani e il mio aspetto non è cambiato se non fosse per questa cicatrice che mi taglia in due la faccia e che mi ricorda che la mia vita, per come la conoscevo, è finita per sempre. E adesso si tratta solo di sopravvivere.
Quando sceglie di stabilirsi a Greycliff, Crowley capisce di essere nel posto giusto:
Quando arrivo a Greycliff la prima impressione è che sia una città fantasma. È solo un agglomerato di case lungo una strada. È squallida e desolata. Fredda e inospitale. È perfetta.
Un posto sperduto nel Canada più selvaggio, dove a predominare c’è la natura più incontaminata.
Eden è una ragazza con un passato doloroso, fatto di case famiglia, assistenti sociali e un’infanzia negata. L’invalidità della madre Elise, non vedente, l’ha costretta a vivere sotto tutela dello stato fino al raggiungimento della maggiore età, quando sceglie di divenire tutrice legale della madre, per poter vivere con lei in libertà.
Dopo anni di umiliazioni e privazioni, Eden ha maturato un odio feroce verso le persone, a tal punto da scegliere il più completo isolamento dalla civiltà, andando a vivere in una casa mobile nel bosco, insieme alla mamma. Purtroppo essere cresciuta troppo in fretta e senza modelli di riferimento adeguati, l’ha portata ad essere un’emarginata, una disadattata, una ribelle piena di orgoglio ma anche di enormi fragilità.
Eden è una ragazza straordinariamente curiosa e intelligente, ma non definirei la sua educazione… ineccepibile, ecco.» Altroché. È sboccata come il membro di una gang di strada.
Una selvaggia che ama vivere nel bosco, di cui conosce ogni sentiero, che adora stare nella natura per nascondersi e ritrovare sé stessa. Una dimensione che sente solo sua, la sola alla quale appartenere, senza essere giudicata, controllata o perseguitata da nessuno.
Eden vuole liberarsi da un passato di negazioni, fuggendo da un mondo al quale ha provato ad appartenere ma che l’ha rifiutata e umiliata.
Una ragazza che emerge dal dolore con grande dignità, reagendo alle privazioni subite con rabbia e tenacia, ma da vera combattente.
Mi è piaciuto come l’autrice ha raccontato il legame di Eden con il suo nuovo ambiente, il bosco, con cui crea una connessione profonda, quasi mistica, che le offre protezione e un senso di appartenenza ad un luogo di pace. La radura, la neve e soprattutto il lago profondo, freddo, calmo sono i primi sentori di una vita che sta riprendendo il suo spazio. La natura che nasconde e protegge è stata per me il terzo protagonista di questa storia.
Due protagonisti dalle molteplici sfaccettature: Eden orgogliosa, caparbia, abituata a proteggere e ad essere trattata come un’emarginata, un’anima dal cuore fragile; Crowley solido, potente, ingombrante ma anche bisognoso di ascolto.
«Il fatto è che non ho mai avuto a che fare con una come te. Sei un pezzo di natura selvaggia, sei come la foresta che ci circonda. Quando penso di aver capito come trattarti, quando sono sicuro di poterti contenere, tu cambi di nuovo. Sei diversa dalle donne a cui sono abituato.»
A travolgerli sarà un innesco violento, in cui predominerà l’istinto, quello della preda e del predatore, ruoli che spesso si invertiranno per aumentare il pathos di una rincorsa per la salvezza di due vite segnate dal dolore. Animali in fuga perenne, abituati più a scappare che a restare:
Gli animali non si fermano a interrogarsi, non fanno domande, non cercano motivi o spiegazioni, non si illudono che sia tutto un equivoco. Guardano solo l’evidenza dei fatti, il fuoco che avanza o l’acqua che distrugge. Gli animali seguono l’istinto di sopravvivenza. E scappano.
La loro necessità di isolarsi per cercare la pace è il modo che hanno per sopravvivere alle ombre che li perseguitano. La solitudine rappresenta la torre in cui rifugiarsi, l’irruenza la corazza con cui difendersi. Incontri, scontri, passione e fuoco saranno gli ingredienti dell’incastro che li vedrà trovarsi e perdersi, come pezzi sparsi di un puzzle intricato.
Un libro in cui il silenzio, l’ascolto, la contemplazione salvano dalla sofferenza e creano le basi della rinascita e della rivalsa che entrambi cercano per riscattarsi. Obiettivi non facili che entrambi cercheranno di raggiungere, per sperare di assistere insieme alla bellezza dell’aurora boreale.
Londra 1837 – Abilene Fairfax è abituata a dare scandalo al Ton e non si cura delle chiacchiere e alle maldicenze che la seguono da quando ha sposato il vecchio Conte di Stonefield. Arthur Lake è un amico d’infanzia della Duchessa di Clarendon, che ha riversato nella professione medica e nell’affetto per il figlio la sua passione e le sue speranze.
Quando le condizioni di salute del Conte si aggravano, Lady Stonefield decide che deve dare a tutti i costi un erede al casato. Contatta così il dottor Lake, affinché attesti il suo stato e la segua nella gravidanza e nel parto. Basta poco perché il senso etico e morale con cui Arthur Lake conduce se stesso e la professione medica vadano in collisione con la spregiudicatezza della contessa e ancora meno perché i due provino una forte attrazione reciproca. Il decesso del conte e la nascita di una femmina sconvolgeranno i piani di Abilene, separandola dalla figlia e allontanandola da Londra. Il destino però ha in serbo altri piani e nell’estate del 1841 le cose cambiano…
RECENSIONE
Credo che nessuno potrà restare indifferente a questa storia: troppo intensa, troppo poetica, troppo toccante per non sentire infinita ammirazione per uno dei personaggi femminili più complicati ed autentici mai letti fino ad oggi.
Provocatoria, coraggiosa, orgogliosa, combattiva, seducente, irriverente, non convenzionale e fiera.
Nessuno parlava bene di Lady Stonefield . I motivi della maldicenza e dei mormorii erano molteplici, alcuni fondati altri no. Una delle poche cose che non era oggetto di discussione riguardava il fatto che a diciassette anni avesse sposato lord Conrad Fairfax, conte di Stonefield, di una quarantina d’anni più vecchio di lei.
Un personaggio fuori contesto per l’epoca, in cui predominavano rigidi schemi di comportamento sociale. Una storia che mi ha intrigato, ricordandomi il fascino vittoriano della figura femminile, percepita come un essere puro, ricalcando l’ideale della “donna angelo”. Una visione celestiale che celebrava i corpi delle donne come templi da non infrangere, riducendone il ruolo alla procreazione e alla cura della casa. Era opinione comune che le donne dovevano accontentarsi del semplice ruolo di “ornamento della società” ed essere subordinate ai mariti. L’obbedienza era tutto quello che si richiedeva loro.
Abilene sorrise con una punta di malignità. Era troppo intuitiva. Era abituata a suscitare disgusto e riprovazione e aveva imparato a difendersi.
In un’epoca così, Abilene dirompe come una voce fuori dal coro, una contraddizione in termini: una donna dall’aspetto angelico ma capace di azioni discutibili fino all’immoralità.
«Non avete filtri, milady. Avevate molte maschere, ma filtri non ne avete mai avuti.»
Cosa succede se una donna di questa portata non riesce a raggiungere l’obiettivo che si è prefissata, e quando le spetterebbe finalmente l’ambita ricompensa dopo anni di umiliazioni?
Se quella donna è Abilene allora state certi che si è pronti a tutto, anche a oltrepassare il confine del lecito.
Quando Arthur Lake incontra per la prima volta Abilene Fairfax, ovvero la Contessa di Stonefield, ne rimane folgorato. I suoi modi diretti e poco consoni ad una donna del suo livello sociale fanno nascere nel medico un’irrefrenabile ed istintiva avversione:
Una voce del genere, bassa e roca, avrebbe dovuto appartenere a una donna corpulenta, e invece Abilene Fairfax era minuta ed esile. E biondissima, i capelli quasi bianchi. Emanava una luce sinistra. Aveva occhi di un azzurro liquido, pericolosi e scaltri, un’espressione indecifrabile nei lineamenti perfetti del viso e un atteggiamento di comando che faceva invidia a un uomo. Arthur la detestò.
La reciproca insofferenza li posizionerà su fronti opposti, acuendo le rispettive fragilità, ben nascoste ma pronte ad emergere inaspettatamente.
Da una parte Abilene aristocratica, fiera e spregiudicata dallo sguardo serafico ma affamata di libertà ed emancipazione da una vita ipocrita e umiliante, che l’ha imprigionata in una rete di pregiudizi e obblighi senza possibilità di redenzione:
Arthur avrebbe voluto farle notare che non tutti hanno la tempra per mordere il fuoco, che le persone normali, anche gli uomini, arretrano e temono, e hanno paura, soprattutto se hanno la sventura di perdere la testa per un uragano… Per non parlare del terrore di essere felici.
Dall’altra Arthur, borghese, altruista, un uomo perbene dotato di un’integrità morale indissolubile e di innata autorevolezza, ma anche bisognoso di affetto autentico, di calore umano:
«Arthur, hai ragione tu, sarebbe un inferno. Detesti la mia indipendenza e io non ho intenzione di obbedirti. Non sopporti di usare i soldi di Stonefield, mentre io trovo la cosa più che giusta, a tratti elettrizzante. Li ho guadagnati , credimi.»
Abilene e Arthur sono accomunati da sentimenti estremi, come la passione per le loro convinzioni, l’odio verso i codici morali dettati da una società ipocrita e cinica fondata su falsi stereotipi. Entrambi combattono a loro modo contro una collettività conformista che li giudica inadeguati e non all’altezza.
«Rispettare le regole rende freddi come sassi, invisibili. Nessuno si accorgerà di voi se obbedirete alle regole… e sarete più liberi degli altri.»
Un mondo che aveva fatto dell’apparenza una religione veniva quotidianamente ingannato dal suo stesso credo.
L’accurato ritratto della vita sociale di fine ottocento dipinto con fine maestria da Rebecca Quasi mi ha particolarmente impressionato perché racconta in modo perfetto un mondo in cui le luci dei salotti aristocratici si contrapponevano al buio delle sporche periferie, senza sconti. Un quadro che mostra il profondo divario sociale che è stato l’ombra più oscura dell’epoca, in cui piaghe come lo sfruttamento dei bambini e la prostituzione predominavano ovunque.
Ad impreziosire il racconto la presenza di personaggi secondari solidi ed acuti, alcuni dei quali incontrati nei precedenti romanzi dell’autrice come “Dita come farfalle” e “Scacco matto vostra grazia”. Tra questi, oltre a Emma, ho sinceramente amato Hector, forte, leale e capace di stare accanto ad Abilene con coraggio e saggezza. Un esempio di infinita e preziosa umanità. Non ultimi i bambini, Samuel e Rose, che irrompono sulla scena con la loro innocenza svelando verità stupefacenti.
«Io la trovo stupefacente.» «Addirittura stupefacente?» «Una donna che ride è…» poi Samuel aprì e chiuse la bocca in apnea, incapace di concludere il paragone perché lui, una donna capace di ridere, non l’aveva ancora conosciuta. «Splendente»
Abilene è un romanzo forte e toccante dai dialoghi pungenti, contornati da ironia e stupenda sensualità, peculiarità che amo particolarmente nei libri di Rebecca Quasi. Un’autrice che posso descrivere ormai fondamentale per me, perché capace ogni volta di instillarmi verità che mi arricchiscono e mi prendono per mano per farmi assumere la giusta prospettiva.
Un libro che mi ha travolta come un uragano e che non dimenticherò, facendomi amare la lettura ancora di più. Devo molto a questa autrice perché è anche grazie a lei che mi sono appassionata così tanto ai libri e colgo l’occasione per ringraziarla nel modo che mi è più congeniale, ovvero con le parole.
A mio avviso, uno dei romanzi più equilibrati e vicini alla perfezione che abbia mai letto.
«Non so se tu sia bipolare o solo bugiarda ma quello di prima non era un bacio. Era un evento cosmico per cui bisognava essere in due. Uno da solo non ce la fa a dare un bacio così»
Gregorio ha tutto quello che gli altri vorrebbero: amici, denaro e talento nel basket. Trascorre le estati collezionando ragazze, ma finisce per rimettersi sempre con Carolina, la sua fidanzata storica, non appena si avvicina il Natale. Non ha desideri a parte uno: vendicarsi di Arianna, la figlia del custode.
Arianna non ha niente di ciò che gli altri vorrebbero. È quasi invisibile, ha un’unica amica e un padre spesso oggetto di commenti feroci. Arianna vuole diplomarsi e trasferirsi negli Stati Uniti per frequentare il college dei suoi sogni. Ha molti desideri e una speranza: sopravvivere alla vendetta di Gregorio.
E magari scoprire perché è tanto arrabbiato con lei.
Eppure, tra una partita di basket e una corsa in moto, tra compiti in classe e feste in piscina, qualcosa nei loro sguardi comincia a cambiare. E se è vero che fuggire da quelle occhiate può sembrare doloroso, fermarsi e ricambiare rischia di essere straziante. Perché Arianna ha un ragazzo in California. Perché Gregorio ha già deciso di tornare con Carolina, entro Natale. Perché, quando entrano in gioco i sentimenti, si può solo sperare di non soffrire troppo.
Una storia di amicizie che sfidano tutto, di abbracci rubati, di baci impressi sul cuore e di un odio dichiarato che però assomiglia tantissimo all’amore.
RECENSIONE
Gregorio ha diciotto anni e ha tutto quello che potrebbe desiderare un suo coetaneo: amici fidati, successo con le ragazze, uno sport che ama, una villa con piscina e una bellissima fidanzata, Carolina. Ha tutti i numeri per essere un vincente ma ha un problema, una spina del fianco che non gli da pace: Arianna Vallesi, figlia del giardiniere a servizio della villa del padre. Arianna è la sua nemesi: testa sulle spalle, introversa, pochi amici e un padre con un disturbo autistico che lo rende oggetto di feroci commenti da parte dei suoi compagni.
La odia e decide di renderle la vita impossibile.
Ma può un odio così feroce e inspiegabile nascondere altro?
Con Bianca Marconero tutto è possibile, basta allacciarsi le cinture di sicurezza e buttarsi in questa bellissima storia e affrontare le montagne russe che le piace tanto farci vivere, quelle che rendono l’adolescenza un periodo spesso tortuoso, a volte drammatico, dove le emozioni sono vissute all’estremo e l’immagine pubblica definisce il successo personale e sociale. Quello che rende questo libro intenso è il chiaroscuro dei personaggi, le sfaccettature nascoste: Gregorio ammirato e osannato da tutti è in verità pieno di paure invalidanti che cerca di dominare tramite ripetuti schemi mentali ed una sistematica routine al di fuori della quale si sente debole e inadeguato:
“Sono persone che restano nella cerchia, che stanno nei soliti posti, che si muovono lungo tracciati che conosco. I punti di appoggio del mio equilibrio.”
“Perché un mondo che non cambia è l’unico in cui io riesco a vivere”.
L’unica dimensione che lo rende davvero felice è il basket, una passione che gli consente di essere davvero sè stesso e che riempe i suoi vuoti interiori, senza ricorrere a filtri o artificiose strutture mentali da ripetere. In tutta la storia lo sport ha un ruolo da co-protagonista: crea legami, esprime dei sogni da realizzare, punisce gli errori e insegna la disciplina.
Dall’altra parte Arianna, “la sfigata”, “la disadattata” che più tenta di essere invisibile agli occhi degli altri e più viene vessata, subendo le perfide umiliazioni di Gregorio e dei suoi alleati in questa lotta impari e incomprensibile.
Pur non comprendendo le ragioni di questo odio contro di lei, Arianna decide di soprassedere con intelligenza e umiltà ai molteplici soprusi per perseguire il suo sogno e ripartire a fine anno scolastico. Resiste fino al punto di rottura in cui Arianna non cede più e decide di alzare la testa segnando la linea di confine tra lei e Gregorio:
“Questa è la differenza tra di noi: io il futuro me lo sono sempre guadagnato. Tu invece no, se una cosa non si compra con i soldi, è fuori dalla tua portata”.
Il suo coraggio e il timore di perdere la dignità dirompono creando un uragano che immerge tutto, segnando l’inizio della trasformazione interiore del suo nemico che riscopre un sentimento diverso che da una parte lo spaventa ma dall’altra gli smuove le pesanti ombre di un passato difficile.
“Guardarsi non ha sempre lo stesso valore. Guardarsi, a volte, è come incontrarsi per la prima volta. Guardarsi, a volte, più che mettere in chiaro le trasmissioni dell’altra persona, incasina le tue”.
E’ stato bello tornare sui banchi di scuola con questo romanzo, ricordando le emozioni, le fragilità e gli struggimenti di quella fase della vita dove tutto è estasi e dramma nello stesso istante. Ma “Stand By Me” offre di più di una storia d’amore adolescenziale perchè tocca temi diffusi e penetranti come il bullismo, l’avversità verso il diverso, la popolarità sociale come strumento indicatore di successo o fallimento personale:
“La reputazione dei bulli si costruisce proprio scalando la dignità delle persone come me: siamo gli erbivori, nella catena alimentare della popolarità”.
E’ stato un bel viaggio quello che ho fatto con Gregorio e Arianna, pieno di tappe in salita ma si sa che con Bianca occorre sempre una riserva di ossigeno in più per affrontare le sue storie. Lei ha la capacità di scassinare il cuore, farlo a pezzettini, rimetterlo insieme con un filo dorato ricco di luce per farlo battere ancora più forte. E quando arrivi in cima alla montagna tutto appare più luminoso perchè hai nuovi occhi per guardare più lontano e un cuore che pompa più forte.
“Il punto è che se entri in contatto con una luce colorata, il colore ti si riflette addosso, sui vestiti e sulla pelle. Io sono sempre lo stesso, ma a volte mi sento colorato dal fatto che lei c’è”.
“Stand By Me” resta dentro al cuore e mostra che se vogliamo possiamo trovare il coraggio di superare i nostri limiti e se la notte fa paura..
Durante la lettura di questo libro ho avuto la sensazione di vivere un viaggio nel tempo, seduta su un treno d’epoca con i sedili in legno, un’atmosfera di tempi passati piena di fascino ma soprattutto anche di crudeli realtà, quelle che hanno contrassegnato i primi anni del Novecento del nostro paese. Una storia che mi ha davvero commossa per il realismo su scorci di vita che i nostri nonni hanno vissuto durante il ventennio fascista in Italia. Protagonista di questo romanzo è Adele, una ragazzina di umili origini che a causa della sua innocente avvenenza diviene vittima di una società ignorante e cinica in cui essere donna era più un difetto che una virtù, così colpevole da vedersi mandare in una casa di tolleranza a soli sedici anni, cambiando identità:
Infine lei Viola, perché era fugace come un pensiero, fresca come un fiore, formosa come lo strumento musicale e malinconica come una pennellata di rosso e blu fuse insieme. Tutti però la chiamavano Violetta, poiché era la più giovane.
A dire il vero, era un piccolo bordello di periferia, spalmato in verticale sull’ala laterale di un logoro palazzo che puzzava di piscio e povertà. Più che malfamato, pativa l’onta di sorgere in un quartiere miserabile e le persone che lo frequentavano sembravano macerie di guerra.
L’autrice ha descritto con grande sapienza ed intensità il degrado che caratterizzava questi posti, ed è stata in grado di farmi immaginare perfettamente gli ambienti del bordello “Mariposa” e le condizioni in cui le sue giovani abitanti erano costrette a vivere:
Adele, in arte Violetta, sedeva accanto ai clienti insieme alle compagne. Rapita dall’esibizione, inseguiva gli usignoli dal canto proibito e gli occhi si chiuderò per volare lontano, oltre i servizi che l’attendevano.
Il libro racconta la vita di Adele, costellata di dolore e abusi, priva dell’affetto di una famiglia che la ripudia senza remore. A dimostrazione di come la condizione della donna fosse davvero difficile soprattutto in caso di povertà, dove esistevano solo doveri e sottomissione.
Adele spiava il mondo dalle finestre di una casa chiusa, accartocciando il tempo tra un cliente e l’altro, depositando sul fondo di un’illusione il proprio avvenire.
Se da una parte c’era questa la condizione delle donne, dall’altra parte i giovani ragazzi, venivano mandati al fronte a morire senza speranza, inconsapevoli delle ragioni di un sacrificio che toglieva loro l’illusione di una vita felice. Sono le lettere di Filippo, giovane innamorato di Adele, ad avermi davvero colpita al cuore. Spaccati di vita in cui il giovane divenuto prigioniero del nemico racconta la sua disperazione e la paura di non rivederla, mostrando quanto l’attaccamento agli affetti fosse l’unico appiglio a resistere per non impazzire. Ammetto che più volte mi sono commossa davanti a questi passaggi:
Non mi abbandonare Adele e, anche se non mi ami, fai finta giusto per darmi conforto, almeno fino a quando non esco da qui. Ti penso, ti amo, ti sposo. Filippo
Un ritratto vero, autentico di un’epoca difficile, anni di miseria in cui l’ombra della guerra oscura le speranze e dove la quotidianità si priva di tutto fino al punto che cui vivere in un bordello poteva rappresentare una salvezza.
Durante tutto il libro, l’autrice ha finemente integrato la storia di Adele con gli accadimenti storici dell’epoca, capaci di evocare punti fissi nel tempo a tutti noi noti:
1922. In quell’anno moriva Giovanni Verga. “Una donna non è che come vuol essere.” Queste erano le parole che lo scrittore aveva messo tra le voluttuose labbra della sua Eva, quasi cinquant’anni, per sedare la folle gelosia di Enrico Lanti.
La storia della vita di Adele percorre mille vie che disegnano un universo fatto di incontri significativi, fughe e trasformazioni di identità alla ricerca di un posto nel mondo come a rappresentare il mito della dea Ecate, appartenente alla mitologia greca e legata alla fertilità e al ciclo della vita. Nell’iconografia classica Ecate viene raffigurata con forma triplice, di natura trina come fanciulla, madre e anziana riassunta spesso come dea del tempo e del destino. Ed è in questo simbolismo che ho colto il significato della storia di Adele, poi Violetta e poi Antea, tre figure accomunate dalla speranza di ritrovare un’amore perduto e mai dimenticato.
È un fantasma, è l’ombra che mi porto appresso, è l’amore straordinario mai diventato ordinario, la forza vitale che mi ha fatto andare avanti, crescere e diventare la donna che sono.
Un lungo percorso in cui speranza e rassegnazione si alternano, portandola via dalla realtà di un piccolo paese di campagna fino alla sfavillante Parigi degli anni d’oro della Bella Epoque:
Parigi aveva un volto di ferro battuto e vetri splendenti che riflettevano il cielo. Aveva strade che correvano all’orizzonte, insieme agli alberi e ai palazzi, e fiumi di persone a rotolarci dentro. Aveva una voce squillante e scavata di echi, sembrava ridere e piangere insieme. Aveva un profumo di burro fuso e fragrante di pane, ma anche un’insospettabile puzza urbana che nel naso di Adele rimane insoluta, come i grandi misteri della vita.
Un viaggio in cui il destino la troverà spesso impreparata.
“I tre volti di Ecate” non è stata una lettura semplice e forse non è un libro per tutti ma onestamente mi sento di consigliarlo spassionatamente.
Ho ammirato la potenza e la poesia di un libro a mio avviso straordinario, tanto ben scritto che ho creduto fosse tratto da una storia vera. Il dolore e la disperazione di una vita, quella di Adele, segnata da ferite mai sanate e raccontate con verità, senza drammaticità, senza clamore. Una storia da leggere anche per ripercorrere la storia del nostro paese e grazie alla quale magari riscoprire le nostre radici.
A questo, si aggiunge uno stile di scrittura sapiente, di un livello così raffinato da farmi percepire questo libro come una lunga poesia dedicata alla speranza, nonostante il dolore e un destino avverso.
La bellezza dei “I tre volti di Ecate” è proprio quella di offrire una luce capace di illuminare l’anima, tanto forte come solo l’amore più puro è in grado di fare. Un romanzo che mi ha arricchito profondamente e che porterò sempre con me
Dean Nicholson non sapeva che direzione dare alla sua vita. Compiuti 30 anni senza arte né parte, aveva solo un desiderio: scoprire il mondo in bicicletta. Dopo tre mesi, il viaggio intrapreso non poteva però definirsi epico: troppi contrattempi, troppe false partenze. Finché un giorno, nelle montagne della Bosnia, si è imbattuto in una gattina abbandonata. Qualcosa in quei penetranti occhi verdi e in quel miagolio insistente lo ha convinto che non poteva lasciarla lì, ad affrontare la fame, la neve imminente e i rischi della strada, e così ha deciso di portarla con sé, nascondendola in una delle sacche della bici per passare la frontiera. Ma Nala – questo il nome scelto per lei – non aveva intenzione di perdersi lo spettacolo del mondo: ben presto è uscita da quel rifugio e gli è salita in spalla. Ed è così che Dean e Nala hanno preso a viaggiare insieme: inseparabili, uniti dallo stesso carattere curioso, indipendente e tenace e dallo stesso amore per l’avventura.
Questa è la storia dell’incontro che ha cambiato la vita a entrambi: Dean ha offerto a Nala una seconda chance; Nala ha fatto scoprire a Dean un senso di responsabilità mai conosciuto prima, la direzione che stava cercando. La loro è la storia di un viaggio che trova significato non nella meta da raggiungere, bensì nelle esperienze condivise lungo il cammino, lasciandosi sorprendere dall’inatteso: tra cuccioli feriti da salvare e ostacoli da superare, la realtà toccante di un campo profughi e la gentilezza di perfetti sconosciuti. Ma è soprattutto la storia dolcissima di un legame straordinario, un’amicizia unica, di quelle che, senza bisogno di parole, sono capaci di salvarti la vita.
RECENSIONE
Leggere questo libro è stata una bellissima scoperta. Mi rendo conto di quanto una storia mi sia piaciuta il giorno successivo alla sua conclusione, dopo l’ultima pagina, quando la storia stessa è ancora viva a ricordarmi le emozioni vissute, come se proprio la mia mente volesse ancora stare dentro il racconto insieme ai personaggi.
Con questa storia mi è accaduto proprio così. Stamattina mi sono alzata e il pensiero è corso a loro, Nala e Dean e posso dire che in un certo senso mi mancano. Ma continuerò a seguirli per sapere come procede il loro viaggio che tuttora sta proseguendo. Una delle ragioni per leggere questo bel libro è semplice, si tratta di una storia vera, autentica e ricca di mille significati.
Dean è un ragazzo come tanti. Vive con la sua famiglia in una piccola cittadina scozzese, Dunbar, situata sul mare a pochi chilometri da Edimburgo. Ha un sacco di amici, esce, si diverte ma è come se la normalità lo facesse sentire prigioniero, senza prospettive. Così al compimento dei suoi trent’anni sente di voler fare qualcosa da ricordare e, insieme al suo migliore amico Ricky con cui condivide la passione per la bici, progetta un’avventura, ovvero un giro intorno al mondo con lo zaino in spalla e pedali ai piedi. Un anno in cui staccare la spina dalle incertezze, provando a vivere davvero perché a Dean forse qualcosa manca, un obiettivo, un senso:
Mi dicevo che forse, in un modo o nell’altro, imbarcarmi in un viaggio e passare un po’ di tempo in un’altra parte del mondo mi avrebbe aiutato a trovare me stesso. O magari un modo migliore per essere me stesso. Una volta qualcuno mi ha predetto che per trovare la mia strada avrei fatto molta strada. E alla fine è andata più o meno così.
Ma condividere una passione forse non è abbastanza per un’esperienza così intensa, così Ricky dopo qualche mese dalla partenza decide di mollare, lasciando Dean a proseguire il viaggio da solo.
Trovarsi senza compagnia è un colpo duro per molti motivi, quasi un fallimento personale:
Ed è finita così. Niente abbracci, niente strette di mano, niente addii. All’inizio ero deluso. Il nostro progetto era andato in fumo. Mi sembrava di aver bruciato la mia grande chance.
Eppure, per Dean, si sta aprendo un varco nella mente, come se il viaggio si stesse trasformando in una sfida con sé stesso, tanto da acquisire sempre più spessore.
A poco a poco, però, ho capito che andava bene così.
Anzi, a essere sincero con me stesso, quella era l’unica strada percorribile. L’avventura poteva funzionare soltanto se l’avessi affrontata a modo mio e secondo i miei ritmi.
A poche settimane dall’allontanamento dell’amico, Dean, si trova nel bel mezzo delle fredde montagne del Montenegro ed è qui che farà l’incontro che lo cambierà definitivamente, dando un senso al suo viaggio.
Poteva mai essere? Era un miagolio. Mi sono voltato e l’ho intravisto con la coda dell’occhio. Un micetto tutto pelle e ossa. Trotterellava sul ciglio della strada, cercando a ogni costo di tenere il passo con la bici. Ho inchiodato e ci siamo fermati tutti e due. Ero sconvolto. «E tu che ci fai quassù?»
Il destino gli mette sulla strada una gattina di poche settimane che, nonostante sia pelle e ossa, inizia a seguire la sua bici fino a che lui, mosso a commozione, decide di caricarla in sella e portarla via di lì.
Inizia così un’avventura a due, delicata e unica, fatta di sguardi, istinto e prove di fiducia.
Dean e Nala vivranno mille vite in una, facendo grandi e piccole scoperte grazie a persone straordinarie, insospettabili sconosciuti provenienti da paesi per cultura e religione diversi dal suo, ma capaci di atti di generosità, tanto grandi da aprirgli il cuore e la mente. È un viaggio di cambiamento e scoperta:
Non solo Nala aveva cambiato il mio mondo, ma riusciva a cambiare anche il mondo intorno a me. Ovunque andassimo riusciva a conquistare nuovi ammiratori.
In un crescendo di avventure e imprevisti non facili da risolvere, la presenza di Nala diventerà per Dean sempre più importante, fondamentale mostrandogli cosa significhi prendersi cura di qualcuno, forse anche di sé stesso, trasformando a poco a poco il viaggio in un percorso di rinascita. Una piccola gatta ci collocherà al centro dei suoi pensieri, fino a cambiare le sue priorità, preparando il terreno ad una rivoluzione interiore:
A conti fatti, mi ripetevo pedalando, aveva dirottato la mia esistenza. Era diventata la mia priorità assoluta. Forse era quello il cambiamento principale. Ovunque fossi, ormai, non facevo che pormi interrogativi su di lei. Dov’è finita Nala? Sta bene? Non sarà ora di darle da mangiare? Avrà caldo a sufficienza? Dove la metto a dormire stanotte? Era come avere un bambino. Era diventata il mio primo pensiero, il perno del mondo in cui vivevo. Anzi, forse, riflettendoci, io ero solo un comprimario. Forse era il suo mondo a ruotare intorno a me.
Il viaggio che intraprendono continua tra montagne, sabbia e mare arricchendosi di un significato profondo, qualcosa di inaspettato, fino ad offrire a Dean la possibilità di fare del bene concretamente e restituire indietro, in segno di gratitudine, l’immenso affetto ricevuto dalle persone che ogni giorno lo seguono sul suo profilo Instagram, “1bike1world”, popolato da migliaia di followers appassionati a questa strana coppia di viaggiatori in giro per il mondo, offrendo loro aiuto in mille forme.
Tra gli aspetti che più mi sono piaciuti nella storia c’è stata anche la costruzione progressiva del rapporto che Dean instaura con Nala, una relazione basata su profondo rispetto e sul prendersi man mano l’uno cura dell’altro. Amo i gatti da sempre, li ho sempre avuti nella mia vita e so bene che il rispetto dei loro spazi e, nonché dei loro tempi, è basilare a conviverci in armonia, senza dimenticare che sono animali tanto sensibili quanto istintivi, ma anche spiriti liberi, padroni di loro stessi fino alla fine. Sono loro che scelgono te.
«Perciò si dice che amare i gatti è segno di una fede pura.»
L’alchimia che nasce tra Dean a Nala mi ha fatto pensare, pensare sì, ad un segno del destino, qualcosa che fosse già scritto, ma anche ad una scelta, quella che Nala fa diventando parte della vita di Dean:
Ed è il destino che mi ha fatto conoscere Nala. L’ho sentito fin dal primo istante, quando ci siamo ritrovati tutti e due nello stesso luogo sperduto, al posto giusto nel momento giusto: non può essere stato un caso. E non è un caso che lei sia entrata nella mia vita proprio allora. Era come se qualcuno l’avesse mandata per guidare i miei passi, per indicarmi una meta che ancora non intravedevo. Mi piace pensare che anch’io le abbia regalato qualcosa che stava cercando. Ovviamente non potrò mai saperlo, ma più ci rifletto, più ne sono convinto. La nostra amicizia era scritta nelle stelle, per lei come per me. Eravamo destinati a crescere e scoprire il mondo insieme.
Un libro come dicevo, dai mille significati. Una storia di rinascita attraverso un viaggio. Si dice infatti che viaggiare sia “aggiungere vita alla vita”, una metafora che mi appartiene personalmente.
I viaggi sono una delle mie passioni, oltre ai gatti e i libri, e adesso che viviamo questo momento storico assurdo purtroppo mi è impossibile spostarmi come sognerei. Eppure, leggendo questa bellissima storia, ho potuto fare un’immersione nelle mille emozioni che i viaggi mi hanno sempre offerto, tra le quali l’entusiasmo di vivere e conoscere posti nuovi e incontrare persone di diversa cultura. Provo a farlo sempre con la mente aperta in modo che le scoperte che faccio, sia belle che brutte, mi permettano di sperimentare tutto senza pregiudizi per mettermi alla prova sui miei limiti, le mie convinzioni fuori dalla mia “comfort zone”; ed è così per me che ogni ritorno a casa corrisponde all’aggiunta di un tassello con un significato in più nel puzzle della vita. A volte è la mancanza di un pezzo a metterci sulla strada.
Tutto ciò, è quello che mi piace pensare essere stato il motivo della scelta dell’avventura di Dean, che, tuttora sta continuando il suo viaggio in giro per il mondo.
In bocca al lupo ragazzone scozzese, continuerò a seguire le vostre avventure su Instagram con l’augurio che il tuo bellissimo messaggio, pieno di speranza e gratitudine, entri nei cuori di molti.