
OPEN, LA MIA STORIA di Andre Agassi
Titolo: Open, la mia storia | |
Autore: Andre Agassi | |
Serie: Autoconclusivo | |
Genere: Narrativa | |
Narrazione: Prima persona | |
Tipo di finale: Concluso | |
Editing: ottimo | |
Data di pubblicazione: 27 Ottobre 2015 | |
Editore: Einaudi |
TRAMA
Costretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo: l’odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l’autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli ossigenati, l’orecchino e una tenuta più da musicista punk che da tennista, Agassi ha sconvolto l’austero mondo del tennis, raggiungendo una serie di successi mai vista prima.
RECENSIONE
Era da tempo che volevo leggere questa autobiografia, convinta dai numerosi commenti positivi che mi era capitato di sentire da parte di più persone, molte delle quali non sportive e neppure appassionate di tennis. Coincidenza che mi ha incuriosito, ammetto, facendomi superare la diffidenza che ho sempre avuto verso questo genere di libri, considerati più come il risultato di sapienti operazioni di marketing che altro.
Sbagliarsi non è mai stato tanto illuminante perché “Open, la mia storia” è uno dei libri più belli letti fino ad ora.
Un viaggio tanto bello quanto doloroso, in cui fallimenti, vittorie, sconfitte segnano il destino di un uomo divenuto leggenda dello sport, attraverso un percorso umano tortuoso, raccontato dall’infanzia fino al ritiro, avvenuto nel 2006.
Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato. Quando quest’ultimo tassello della mia identità va al suo posto, scivolo sulle ginocchia e in un sussurro dico: Fa’ che finisca presto. E poi: Non sono pronto a smettere.
Cresciuto a Las Vegas da una famiglia ordinaria, Andre Agassi conosce il tennis fin da piccolissimo grazie al padre, ex atleta e ossessionato da questo sport fino a trasformare la sua vita in una missione: far divenire il figlio un campione. Un padre despota che gli nega un’infanzia fino a chiudere la sua adolescenza in una prigione blindata. Una figura a tratti disturbante e odiosa, con cui Andre nutrirà un rapporto complesso per tutta la sua lunga carriera, fluttuando tra odio e amore, bisogno e rifiuto. Una contraddizione in termini, come lui più volte ammetterà, che riflette i sentimenti interiori vissuti verso lo stesso sport che lo segnerà nel profondo, consacrandolo l’unico tennista ad aver vinto in carriera tutti e quattro tornei dello Slam, la medaglia d’oro del singolare olimpico, il torneo ATP World Championship e la Coppa Davis.
Obiettivi incredibili e impensabili per la maggior parte degli sportivi professionisti, raggiunti pagando però quale prezzo?
Il dolore di perdere, il dolore di giocare. Ci ho messo trent’anni io a capirlo, a risolvere il calcolo della mia psiche.
Un costo altissimo, sia a livello fisico che psicologico, che minerà le fondamenta della vita di un ragazzo fragile, alla perenne ricerca di sé stesso e in costante conflitto con il mondo che lo circonda.
Ricordo da ragazzina Agassi come sportivo ma soprattutto come personaggio, per i suoi look stravaganti e i capelli lunghi, che indignavano i giudici di gara di allora e che facevano impazzire le ragazze. Un’icona sportiva e di stile per più di una generazione e che segnò l’epoca dei ruggenti anni ottanta. Un campione che divenne facile preda del mondo del gossip per i suoi matrimoni, il primo con l’attrice Brooke Shields, e la successiva caduta nella dipendenza da metanfetamine, nonché l’irriverente atteggiamento di tennista insofferente alle regole, tra cui il rifiuto di rispettare il dress code imposto dal rigido torneo di Wimbledon, che gli costò la sua partecipazione per anni.
Una patina da star dal quale traspariva la luccicante superficie glamour e che ben nascondeva la sofferenza e il tormento di un ragazzo che visse una gioventù turbolenta, in un mondo altamente competitivo.
Una storia toccante che insegna moltissimo, in cui è facile identificarsi perché il tennis è un po’ come la vita:
Non è un caso, penso, che il tennis usi il linguaggio della vita. Vantaggio, servizio, errore, break, love (zero), gli elementi basilari del tennis sono quelli dell’esistenza quotidiana, perché ogni match è una vita in miniatura.
Un libro messaggero di speranza, in cui riscatto e rinascita sono al centro di una vita vissuta agli estremi, come i lati di un campo, tra l’ossessiva ricerca della perfezione e la paura del fallimento. Un divario come simbolo ricorrente che segna l’eterno conflitto tra ciò che vorremmo e ciò che in realtà facciamo, come succede ad ognuno di noi.
Lo stile narrazione serrato ed incalzante, raccontato al presente, segna il ritmo della lettura e coinvolge senza lasciare sosta, come se si assistesse virtualmente ad un match combattuto all’ultimo sangue su un campo di tennis, in cui è impossibile staccare gli occhi dalla palla.
Alla fine della lettura sono andata a sbirciare nel profilo Instagram di questo campione, incuriosita ancora di più dalla sua vita. Quello che mi ha maggiormente colpito è stato il suo sorriso luminoso, immortalato in scatti privati autentici che lo ritraggono in una vita ordinaria, condivisa da quasi vent’anni accanto alla moglie Steffi Graff, campionessa di tennis con cui ha avuto due figli, oggi adolescenti. Una coppia solida, che forse nasconde il segreto della sua longevità in aver condiviso un’infanzia con dei padri manipolatori e una gioventù vissuta sotto i riflettori. Il sogno più grande che volevano realizzare era proprio quello dell’anonimato, come stanno facendo da anni.
Nonostante i chili in più e un aspetto visibilmente più maturo, quello che oggi appare chiaro è che Andre Agassi è un uomo appagato, sorridente, sereno, sicuramente molto diverso dalle immagini che si alternano nel suo profilo Instagram da giovane, più magro e in forma ma con quegli occhi bellissimi e tristi che ammaliavano orde di ammiratrici.
Sapere oggi cosa nascondesse quello sguardo così malinconico mi ha commosso profondamente, facendomi apprezzare ancora di più la sua storia, costellata di ricordi ed esperienze che testimoniano una vita straordinaria. Un uomo che ha trasformato le sue cadute in trampolini per lanciarsi in sfide sempre più difficili, alla ricerca di sé stesso e di un’identità per anni privata, raggiungendo quella pace interiore così a lungo negata, per trovare il significato della propria esistenza accanto ai propri affetti più cari e facendo del bene agli altri.
Quello che la gente vede adesso, nel bene e nel male, è la mia prima formazione, la mia prima incarnazione. Non ho alterato la mia immagine, l’ho scoperta.
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