Alla soglia dei quarant’anni, l’ex attrice hardcore, Nicole Midriani, si è rimessa i vestiti e fa l’assistente di produzione, dirigendo un film dopo l’altro con pugno duro. Dopo l’aggressione ai danni di Gioia, attrice e amica di Nicole, salvata da Mykola – l’immigrato ucraino addetto alle pulizie – la donna decide per un drastico cambio di rotta. Nicole e Gioia si mettono in proprio e fondano la A Star is Porn, che produce film hot a misura di palati femminili, basati su opere letterarie famose. In fin dei conti, quale lettrice non ha mai sognato di vedere Mr. Darcy ed Elizabeth darci dentro? Le due offrono a Mykola un lavoro di spicco grazie alle notevoli doti nascoste del ragazzo, una delle quali di ben 25 centimetri. Scena dopo scena, la nuova star del porno penetrerà nel cuore delle fan, puntando però a quello più inaccessibile e ferito: il cuore del suo capo, la gelida Nicole. Ma come mostrarsi davvero alla donna amata, quando lei ha già visto tutto di te?
Un’irriverente commedia che dosa sapientemente erotismo, ironia e tematiche profonde, in un mix tutto da gustare.
RECENSIONE
C’era una volta una diversamente giovane lettrice che, nell’avventurarsi nel ginepraio che è Facebook, inciampò in alcuni estratti di un romanzo fiabesco che stava nascendo dall’arcolaio di un’autrice così incauta da piazzare stralci e stralci e stralci del suo lavoro alla mercè di chiunque passasse nei pressi della sua capanna Facebook.
La diversamente giovane lettrice, che per convenzione chiameremo con un nome a caso, Bianca Ferrari, decise di scrivere all’autrice, che per convenzione chiameremo con un nome a caso, Laura Nottari, suggerendole di dare MENO.
Per fortuna l’autrice non ascoltò l’ingenua lettrice e diede DI PIU’.
In tutti i sensi possibili.
Centimetri.
Pagine.
Risate.
Amore.
Posizioni.
Cocktail e sushi.
Ancora risate.
Frasi memorabili (Ti scopro pezzo per pezzo, amore, come Prato Fiorito su Windows).
E in questa fiaba magica, raccontata magistralmente, ogni lettrice poté trovare un principe azzurro dotato di un come un cavallo, una bacchetta magica dalle dimensioni pregevoli, dalla fattura unica, una fata trasformata in strega da un cattivo stregone maschilista, retrogrado e bastardo, un incantesimo capace di spezzare la maledizione e un bellissimo lieto fineeeehhhhahhhhahehhehahah.
Ecco. La mia recensione di ASIP – A star is porn di Laura Nottari non potrebbe essere più inappropriata di così. La storia di Mykola (addetto alle pulizie con un manico memorabile… della scopa, cosa state pensando?) e di Nicole (ex pornostar passata dall’altra parte della macchina da presa), però, sa essere davvero una favola.
Di quelle con materassi troppo molli che spaccano schiene e ginocchia, di quelle cui il kamasutra fa una pippa (e ce n’è anche di quelle, by the way), di quelle in cui il conflitto raggiunge livelli che bruciano dentro, perché tutti siamo stati Mykola e tutti vorremmo incontrare un uomo come lui e non solo per le sue doti fisiche, che in tutta onestà, pur essendo al centro del romanzo, sono la parte “meno memorabile” di lui.
Quando Laura mi ha concesso di leggere questo romanzo in anteprima, non nascondo che la mia curiosità e la mia aspettativa erano incredibilmente alte, perché gli estratti che aveva postato li avevo trovati geniali. E devo anche ammettere che di solito le aspettative mi ammazzano il piacere della lettura, perché raramente ritrovo in ogni pagina quel lampo di genio che ho letto nell’estratto.
E invece mi sono ritrovata a ridere per delle patatine col ketchup, a piangere (a piangere SUL SERIO), ad “accaldarmi”, a sperare, a ringhiare contro Nicole, a voler entrare nelle pagine per accogliere il dolore dei protagonisti, a chiedermi perché questo romanzo NON L’HO SCRITTO IO?
Sì, si parla di porno.
Se ne parla con arguzia, con intelligenza, con una ricerca che sarà anche stata piacevole, ma è approfondita. L’ambientazione è più che verosimile, sembra realistica, non è buttata a caso per fare folklore, ma è come se fosse un personaggio in più, con tutte le sue caratteristiche dettagliate, presente non come una cornice che abbellisce il tutto, ma parte integrante del quadro.
E si parla di amore.
Di autoamore, non di autoerotismo.
Di quell’amore che qualcuno ti toglie con parole gravi, che scavano e creano buchi che non sono colmabili neanche con 25 bellissimi e memorabili centimetri.
Di quell’amore che possiamo ritrovare solo smettendo di ascoltare quelle voci che hanno voluto ferirci perché non potevano guardarsi allo specchio e vedere la loro inadeguatezza e così l’hanno buttata su di te.
E poi magari arriva un ragazzino che sa di candeggina e ha occhi più verde del verde. Che non ha paura di se stesso, che indossa costumi improponibili e sa i classici a memoria. Che ti inchioda alle tue paure e te ne libera, lasciandoti libera.
Ma non sola.
E se non è una fiaba questa… io davvero non so cosa lo sia.
Ho ringraziato Laura allo sfinimento per aver scritto questa storia.
La ringrazio ancora qui, pubblicamente.
Per me il 2021 ha il sapore di… ASIP – A star is porn
(certo che siete proprio perverse, eh!)
Recensione a cura di Bianca Ferrari in esclusiva per Reading Marvels
Lo trovarono nel cesto della biancheria di una lavanderia a gettoni: aveva solo un paio di ore di vita. Lo chiamarono Moses. Quando dettero la notizia al telegiornale dissero che era il figlio di una tossicodipendente e che avrebbe avuto problemi di salute. Ho sempre immaginato quel “figlio del crack” con una gigantesca crepa che gli correva lungo il corpicino, come se si fosse rotto mentre nasceva. Sapevo che il crack si riferiva a ben altro, ma quell’immagine si cristallizzò nella mia mente. Forse fu questo ad attrarmi fin dall’inizio. È successo tutto prima che io nascessi, e quando incontrai Moses e mia madre mi raccontò la sua storia, era diventata una notizia vecchia e nessuno voleva avere a che fare con lui. La gente ama i bambini, anche i bambini malati. Anche i figli del crack. Ma i bambini poi crescono e diventano ragazzini e poi adolescenti. Nessuno vuole intorno a sé un adolescente incasinato. E Moses era molto incasinato. Ma era anche affascinante, e molto, molto bello. Stare con lui avrebbe cambiato la mia vita in un modo che non potevo immaginare. Forse sarei dovuta rimanere a distanza di sicurezza. Ma non ci sono riuscita. Così è cominciata una storia fatta di dolore e belle promesse, angoscia e guarigione, vita e morte. La nostra storia, una vera storia d’amore.
RECENSIONE
Siamo abituate a leggere Amy Harmon con un occhio di riguardo, consapevoli che oltre ad appassionarci alla storia d’amore tra i due protagonisti, ci ritroviamo a riflettere su varie tematiche, che toccano la diversità, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, le minoranze, la religione, la terra, il destino. I suoi romanzi dipingono i panorami sconfinati dell’America rurale, affondano le radici nella grande letteratura statunitense.
A mio avviso, l’opera che meglio la rappresenta è anche il suo lavoro più peculiare, dal profetico titolo The Law of Moses (in italiano Hai cambiato la mia vita, edito da Newton Compton). Si tratta di un romance non puro, una storia d’amore tormentata e sofferta che divaga verso altre direzioni, dal paranormal al thriller. Ma partendo sempre dal suo amore per la “terra” e per le sue “radici”.
Quelle che disegna la Harmon sono radici che, come catene, possono afferrare e imprigionare i protagonisti alla piccola zolla di terra a cui sono destinati. La partenza dal posto d’origine può provocare ai suoi giovani personaggi nefaste conseguenze: penso all’immagine ricorrente del treno in cui Eva si trova pressata insieme agli altri ebrei (e da cui riuscirà a saltare giù) in Il segreto di Eva, dapprima solo un sogno ricorrente poi una drammatica verità. Penso alla partenza per il fronte di Ambrose in Sei il mio sole anche di notte, una decisione che si rivelerà coraggiosa ma allo stesso tempo incosciente e che porterà alla morte dei suoi amici. Penso a Moses e alla sua fuga da Levan (Utah) il paese originario della Harmon: non riesco a fare a meno di pensare che se non avesse lasciato la città il destino di Georgia e del piccolo Eli sarebbe stato molto diverso.
A Amy Harmon piace giocare con il destino e lo fa con la consapevolezza e l’esperienza di una grande romanziera. A mio avviso è davvero riduttivo relegare le sue storie nella fruttuosa nicchia dei romanzi rosa: d’altronde si sa, su Amazon le categorie e le sottocategorie e le sottocategorie delle sottocategorie funzionano. Io non sono una grande amante delle etichette, da autrice anche a me stanno parecchio strette a volte, ma il popolo di internet spesso è poco curioso rispetto a tutto ciò che è ignoto e vuole essere certo di ciò che andrà a leggere: se prometti alle persone un contemporary romance o un angst o uno Young adult o un paranormal romance o un fantasy, loro si aspettano e vogliono leggere esattamente questo. Amy Harmon smentisce ogni volta cliché e stereotipi del genere, allargando la sua sfera d’azione fino a sfociare nella “narrativa”, quello strano genere che non è un genere, così difficile da collocare e quindi da vendere sul web.
Fingiamo quindi che The Law of Moses sia un romanzo rosa, ma lasciate che ve ne parli come un grande romanzo di narrativa, senza nulla togliere al rosa di cui, nel mio piccolo, sono una tenace sostenitrice.
Per parlare dei suoi temi più cari, in Hai cambiato la mia vita (titolo furbetto con il chiaro obiettivo di relegarlo nel sottogenere che funziona) utilizza l’ingrediente di un altro piatto, il sovrannaturale: Moses vede e dipinge i morti, o meglio, ciò che i morti vogliono che dipinga.
Moses, un “figlio del crack” (i bambini nati da madri con problemi di tossicodipendenza), è un orfano gettato via e ritrovato innumerevoli volte, poi finito sul grembo di una nonna che finalmente gli dona l’amore incondizionato che merita, a Levan, un villaggio rurale dello Utah, non troppo distante dalle montagne. Durante la sua turbolenta adolescenza conosce la Georgia, bionda Cowgirl senza paura, l’unica in grado di avvicinarlo. Moses è un ragazzo indubbiamente problematico, solitario, scontroso, diffidente. Persino i cavalli più miti si innervosiscono al suo cospetto, forse perché percepiscono la sua paura. Anche Moses ha paura. Non degli altri, ha paura di se stesso, di ciò che riesce a vedere, di ciò che riesce a fare. Ha paura di fare del male. Per questo fugge da Levan, lasciando dietro di sé una scia di delusione, di rimpianti e, anche se non direttamente per colpa sua, di cadaveri.
Georgia, d’altro canto, è spigliata, temeraria, un vero maschiaccio. Ama i cavalli e i rodei, la sua vita prima di incontrare Moses e innamorarsene perdutamente era tranquilla, quasi idilliaca, stretta nell’abbraccio di due amorevoli genitori che come lei amano la terra e gli animali. Una vita diametralmente opposta a quella di Moses, che vive a pochi metri dalla sua fattoria. Nasce così una storia fatta di amicizia e comprensione reciproca, pur nella fragilità della loro comunicazione, trattenuta dai segreti di lui e dal suo comportamento scostante. Una storia che, pagina dopo pagina, non fa sconti nella sua drammaticità, che affronta la morte con un piglio realistico e toccante, senza mai sfociare nel facile melodramma.
A tingere di giallo questo romanzo travestito di rosa, una scia di cadaveri di giovani ragazze bionde che si avvicina pericolosamente ai confini di Levan, intrecciandosi con la storia di Moses e Georgia. Cadaveri che la terra non saprà celare per sempre.
Sullo sfondo di questi intrecci, la vita di una cittadina provinciale, con i suoi rodei, le fattorie, i cavalli, le faide familiari, le malelingue, le discriminazioni. E la terra, quella terra sconfinata e selvaggia di cui l’America è piena, la terra che infanga, che sotterra, che entra nelle narici. La terra su cui Georgia e Moses fanno l’amore la prima volta, da ragazzini, concependo un figlio. La terra su cui finiscono per azzuffarsi disperati e arrabbiati l’uno con l’altra, alcuni anni dopo. La terra che bagneranno con le loro lacrime nel momento della tragica rivelazione sul destino che Moses ha messo in moto, scegliendo di partire. Perché al di là del destino, c’è anche la scelta, che non è mai facile, che può essere tragica così come provvidenziale.
Le storie della Harmon sono basate su libere decisioni, che a volte si rivelano giuste, altre sbagliate. Sono quelle decisioni a mettere in moto il beffardo e a volte crudele domino di eventi che coinvolge e sconvolge l’esistenza di Moses e Georgia.
È proprio questo che amo nei suoi romanzi, la possibilità di sbagliare e di rimediare a un torto, di fare ammenda, di aggiustare qualcosa che è rotto e che sembra perduto per sempre, nel preciso istante in cui i personaggi riescono a strappare quelle radici che li incatenano a un destino ingiusto che sembra scritto nella pietra, come un comandamento, e a gettarsi in quell’oceano in tempesta che è la vita.
Recensione a cura di Elle Eloise in esclusiva per Reading Marvels
Link per l’acquisto di Hai cambiato la mia vita. QUI
Comincia tutto con un incendio, durante la consegna di una partita di cocaina. Solo due persone sopravvivono, a stento: Beth Hoffman, agente speciale FBI, e Sven Myers, narcotrafficante. Da quel momento in poi inizia una specie di strano incubo: l’FBI abbandona il luogo dell’incendio, senza curarsi di controllare se ci siano sopravvissuti e Beth e Sven si ritrovano nel mezzo del nulla, a tre giorni di distanza dal paese più vicino, senza cibo e senza acqua. Confrontati con la concreta possibilità della morte, stanchi, spaventati e affamati, i due si trovano a fare fronte comune in più di un senso… anche perché l’operazione che li ha quasi uccisi ufficialmente non è mai esistita, Beth è stata bruscamente licenziata e la coca sequestrata è scomparsa nelle tasche di qualcuno.
RECENSIONE
Poiché non sono affatto portata per le recensioni, ho pensato di allungare il brodo raccontandovi come ho conosciuto Miss Black.
Era l’estate del 2016, ero al mare e avevo scaricato da Google Play Persuasione di J. Austen. A fine lettura l’app, amichevole e comprensiva, mi scrive: “Se hai letto Persuasione potrebbe piacerti anche…” e poi una sfilza di titoli, primo tra tutti Iniziazione al piacere di una certa Miss Black.
Leggo la sinossi e il breve estratto, li rileggo, li leggo di nuovo e mi chiedo per la terza volta consecutiva con quale criterio Google Play possa aver associato Persuasione a questo libro.
Naturalmente prevale la curiosità, la prosa è arguta e quindi scarico il libro.
E rimango letteralmente travolta.
Non avevo esperienza di romanzi erotici, non mi avevano mai incuriosita (nemmeno ora sarei in grado di dire come e dove si collocano le opere di Miss Black nell’ambito del loro genere), leggendo Miss B. restai però affascinata dai meccanismi psicologici, dalle dinamiche relazionali e dalle sfaccettature dei personaggi.
Ne lessi diversi, uno dietro l’altro.
Al quarto libro misi a fuoco che erano autopubblicati.
Nella scelta dei titoli mi mossi in modo randomaico.
Scelsi Dal fuoco in modo casuale, colpita dalla sinossi e dall’incisività dell’estratto.
Un tratto caratteristico di una certa categoria di personaggi di Miss B. è che sono degli autentici stronzi. Cattivi veri, non cattivi di peluche che dopo tre battute e la visione della donna del destino, si sciolgono come cubetti di ghiaccio restando inspiegabilmente privi della loro malvagità. No, quando Miss B. descrive un personaggio controverso, e Myers il protagonista di Dal fuoco lo è, non gli fa sconti, non gli fornisce attenuanti e non lo giustifica.
La cosa sorprendente è che il tizio finisce per far colpo lo stesso.
Per quanto mi riguarda credo che dipenda proprio dal fatto che l’autrice non vuole fregarmi e non tenta di blandirmi dicendo “È un pessimo soggetto, ma ne ha passate tante…”. Il pessimo soggetto si palesa in tutta la sua ‘pessimitudine’, parla, agisce e pensa con la crudezza che gli è peculiare ed è la sua disarmante sincerità che alla fine lo redime agli occhi del lettore.
In certi tipi di storie e con certi personaggi, credo sia davvero difficile mantenere un equilibrio credibile tra romance e bad boy. È un attimo renderli assurdi e sdolcinati. Ridicoli.
Miss B. ha un talento pazzesco in questo, l’equilibrio narrativo che sviluppa e mixa trama e personaggi, riesce sempre a creare un’atmosfera coinvolgente che sul piano psicologico stupisce senza lasciare increduli.
La riuscita di questa operazione sono persuasa che dipenda dall’abilità di costruire con sapienza anche l’abbinamento dei personaggi.
Beth, la protagonista di Dal fuoco, non è una crocerossina, non è candore allo stato puro, sa come va il mondo, ma ha un rigore e un’etica che la rendono la persona meno adatta a innamorarsi di Myers.
Abilissima Miss B. gioca sulle circostanze.
Costruisce una serie di eventi che lasciano Beth e Myers spogli e disarmati (in molti sensi), rade al suolo (letteralmente) il loro presente, le loro certezze, ciò su cui hanno fondato le loro vite (agli antipodi) e in questa nuova condizione, l’essenza di entrambi è in grado di incontrarsi davvero.
A quel punto le circostanze perdono valore, perché l’essenza fa impallidire tutto ciò che adorna la nostra esistenza.
I motivi per leggere Miss B. sono tanti: è ironica, divertente, sensuale, arguta. Più di tutto, però, io trovo sorprendenti il tratteggio psicologico e le dinamiche relazionali che sa imbastire.
I motivi per leggere Miss Black sono tanti: è ironica, divertente, sensuale, arguta. Più di tutto, però, io trovo sorprendenti il tratteggio psicologico e le dinamiche relazionali che sa imbastire.
Recensione a cura di Rebecca Quasi in esclusiva per Reading Marvels
Il giorno del mio diciottesimo compleanno pensai che la vita stesse per sorridermi, lungi dall’immaginare cosa in realtà stesse per serbarmi. Qualcosa più grande di me mi avrebbe presto travolta, scossa alle fondamenta, gettando il mio corpo e il mio cuore in pasto a una persona con l’animo di un lupo selvatico. Per tutti sarebbe stato uno scandalo e una vergogna: nessuno avrebbe compreso, perché nessuno conosceva le molteplici verità che quel lupo era stato così bravo a celare. Forse un cuore, seppur logoro, l’aveva anche lui. E forse, se avessi lottato e ignorato le apparenze, prima o poi lo avrei scoperto.
RECENSIONE
Ho conosciuto la Chillon grazie a Alakim e mi sono innamorata all’istate della sua penna. La particolarità, oltre all’eleganza, è il saper esprimere in maniera sottile ma potente il senso del proibito. È un’autrice eclettica, che spazia dallo Urban Fantasy, allo storico, fino all’erotico. E lo fa in maniera egregia, con quella fluidità propria di chi ha un vasto bagaglio culturale e un talento raro per l’arte del raccontare.
Ne ho avuto l’ennesima conferma con l’erotico Giada, un amore colpevole, primo volume autoconclusivo della trilogia pietre preziose.
La storia gira intorno a uno dei cliché più controversi, ovvero il legame tra un uomo maturo e una ragazzina. Tuttavia, l’illecito non si riduce alla sola differenza anagrafica tra i due protagonisti.
Vincent ha quarantatré. È il miglior amico del padre, frequenta da sempre la loro casa, tanto che per Giada è un secondo genitore. A un certo punto, però, smetterà di essere lo zio acquisito che giocava con lei da bambina, si accorge, infatti, di tutta una gamma di peculiarità che lo schermo dell’infanzia le impediva di vedere. Lui possiede quella cupezza che è la cifra del suo fascino. Vincent è oscuro, pericoloso, è il salto nel buio che nessuna brava ragazza si sognerebbe di fare. E Giada è una brava ragazza: ha appena diciotto anni, è studiosa, pacata, introspettiva, insicura di sé, non si crede bella né interessante, per tale motivo cerca conforta nel dolore.
Il punto però è un altro: chi seduce chi?
Il lupo cattivo che attende la vittima nascosto nell’ombra, o la fanciulla che perde consapevolmente la strada maestra? A dividerli c’è un abisso che appare incolmabile e che loro riempiranno di sotterfugi, baci rubati, bugie, carezze e morsi. E mentre il loro amore si plasma intorno a una voracità insaziabile, verità inconfessabili vengono alla luce e rimescolano le carte.
Non è certo la prima volta che viene trattato questo argomento scabroso – come dimenticare Vladimir Nabokow e la passione scandalosa del maturo professor Humbert per la dodicenne Dolores – ma la vena sensuale dell’autrice, il sottofondo proibito e non ultimo lo stile raffinato e introspettivo fanno di questo romanzo un indimenticabile.
Recensione a cura di Estelle Hunt in esclusiva per Reading Marvels
Link per l’acquisto di Giada. Un amore colpevole. QUI
Alyssa Gardner ha scoperto di avere un dono speciale: riesce a sentire i sussurri dei fiori e degli insetti. Tutte le donne della sua famiglia hanno avuto la stessa sorte, fin dai tempi della sua antenata Alice Liddell, colei che ha ispirato a Lewis Carroll il suo celebre libro. E lei sta per compiere una scoperta che le cambierà completamente la vita: il Paese delle Meraviglie esiste davvero, non è una finzione ma un’incredibile verità. È un luogo molto più oscuro di come l’abbia dipinto Carroll e quasi tutti i personaggi sono in realtà perfidi e mostruosi. Per sopravvivere e per salvare sua madre da un crudele destino che non merita, Alyssa dovrà rimediare ai guai provocati da Alice e superare una serie di prove straordinarie. Tra insidie, pericoli e creature spaventose (dal Bianconiglio alla malvagia Regina Rossa) avrà al suo fianco Jeb, il suo migliore amico, di cui è segretamente innamorata e l’ambiguo e attraente Morpheus, la sua guida in quelle ignote lande incantate.
RECENSIONE
Mi è stato chiesto di scrivere una recensione di un romanzo che mi piace e io ho subito pensato in grande, non a un solo libro, ma a una saga, questa incredibile serie urban fantasy di A. G. Howard.
La serie è composta da:
Splintered (che in inglese significa scheggiato), pubblicato in Italia col titolo Il Mio Splendido Miglior Amico.
Uninged (scardinato, svitato), Tra Le Braccia Di Morfeo.
Ensnared (intrappolato), Il Segreto Della Regina Rossa.
Untamed (selvaggio) 6 Cose Impossibili (sequel, tre racconti)
The Moth In The Mirror (novella che si colloca tra Splintered e Unhinged, solo in inglese)
Alice The Absent: A Splintered prequel story (novella prequel, solo in inglese)
Il primo volume, Splintered, che poi dà il nome alla serie, è uscito nel 2013. Se riuscirete a superare il fastidio per il ridicolo titolo in italiano che richiama più un film con Carlo Verdone che un fantasy, rimarrete coinvolti in una storia eccezionale, dichiaratamente ispirata ai romanzi di Lewis Carroll, Le Avventure Di Alice Nel Paese Delle Meraviglie, (1865) Attraverso Lo Specchio E Quel Che Alice Vi Trovò, e ambientata parzialmente in quel mondo magico.
Se soffrite di entomofobia, ossia della paura verso gli insetti, inizialmente questo primo capitolo potrà farvi storcere la bocca ma vi posso assicurare che alla fine riuscirete a guardare una falena con sguardo diverso, visto che il fascinoso e misterioso protagonista maschile, Morpheus, si trasforma appunto in falena, ed è proprio lui che dà il titolo alla novella The Moth In The Mirror (La Falena Nello Specchio) purtroppo non tradotta in italiano a causa delle solite motivazioni prettamente economiche delle case editrici.
Il primo libro si apre nell’assoluta normalità, con una disincantata occhiata sulla vita dell’adolescente Alyssa Gardner, ragazza problematica, dalla famiglia disfunzionale da quando la madre è stata ricoverata in una clinica per malattie mentali. La sua passione è lo skateboard e l’arte; e il suo miglior amico, il bellissimo outsider e artista di talento, Jeb.
Sembra l’inizio di un romanzo giovanile di denuncia della società contemporanea ma, già dopo poche pagine, il sovrannaturale, come in un’opera teatrale di Harold Pinter, irrompe improvvisamente in quella quotidianità borghese e noi cadiamo in una serie di eventi paranormali che ci conducono nella fiabesca tana del Bianconiglio, per scoprire che di fiabesco non c’è proprio niente ma, anzi, è un mondo completamente reale, con le sue leggi, le sue regole, i suoi strani abitanti.
Partendo dal famoso libro di Carroll, la Howard lo rivisita magistralmente, a mio modesto avviso. Dimenticate la versione, seppur affascinante, del cartone animato della Disney, qui ne siamo ben lontani. La scrittrice costruisce una storia onirica, con scenografie caleidoscopiche e punkeggianti, irresistibili, un ritmo veloce, trascinante, che ci avvince nelle sue spire magiche senza darci tregua, catapultando il lettore accanto ad Alyssa (un nome che non è altro che un’altra versione del classico Alice), discendente dell’originaria Alice Liddell che finì in quella che è un’Altra dimensione, reale tanto quanto quella umana. La Howard pesca e mescola sapientemente da Carroll, da Neil Gaiman e da Tim Burton, ottenendo un effetto finale fantasmagorico, e caratterizza il personaggio più affascinante, Morpheus, come sosia di Brendon Lee, l’attore morto tragicamente durante le riprese del film Il Corvo.
Il personaggio di Morpheus è il mio preferito in tutta la saga, egli esercita quel fascino misterioso che da una parte ci fa temere delle sue buone intenzioni, dall’altro ci spinge ad abbandonarci fra le sue braccia. Da Morpheus ci si sente attratti come ci si può sentire attirati dal Lato oscuro di Anakin Skywalker in Star Wars: multisfaccettato, ambivalente, misterioso, pericoloso ma maledettamente affascinante.
Lui solleva una mano e inclina il cappello con un gesto incredibilmente sexy «Tu mi desideri, ammettilo!»
Anche se quello che ha detto non è del tutto falso, non glielo confesserò mai «Perché dovrei desiderarti?
Lui mi mostra tre dita e fa il conto alla rovescia «Misterioso. Ribelle. Inquieto. Tutte qualità che le donne trovano irresistibili.»
(Morpheus e Alyssa, da Splintered)
L’autrice, non paga di aver trasformato Alice in una ragazza punk e averla affiancata a un Brucaliffo uguale a Brendon Lee, unisce alla magia del Mondo delle Meraviglie anche il richiamo della vita terrestre, rappresentato da Jeb, l’artista umano pieno di talento e di guai, che ricorda vagamente lo splendido James Dean di Rebel Without A Cause (Gioventù Bruciata), ma con più testa sulle spalle, capace di gettarsi attraverso lo Specchio pur di seguire e proteggere la ragazza di cui è innamorato.
Proseguendo con la serie, i libri seguenti, ovviamente, non sono più intrisi da quel senso di straniamento che ci ha assaliti col primo capitolo, quando la quotidianità borghese di un romanzo che pare di denuncia alla società, viene rotta dall’erompere del sovrannaturale; con gli altri siamo già totalmente immersi in quell’atmosfera, anzi, le piccole parti nel mondo umano sono, stavolta, quelle ad apparirci maggiormente strane, perché sappiamo già che sono destinate ad avere un ruolo marginale. La Howard costruisce una trama originale pur ispirandosi largamente a una storia già nota, aggiunge particolari geniali e personaggi di contorno che non hanno nulla da invidiare a quelli principali: anche noi cadiamo nella tana del Bianconiglio e veniamo condotti laddove vuole la scrittrice, ricostruendo pezzo per pezzo un puzzle che potremo capire totalmente soltanto una volta sistemato l’ultimo tassello: niente è scontato.
I personaggi sono del genere che preferisco: vividi e multisfaccettati, con lati in ombra e lati alla luce, non i classici tipi fissi delle fiabe come il buono più puro della neve e il malvagio fino al midollo. Sono personaggi contrastanti, che mutano, che si evolvono, che possono crescere o regredire, come gli esseri umani, e quello che farà il percorso più lungo e difficile sarà Morpheus, e forse proprio per quello lo ameremo di più.
«Hai aperto il vaso di Pandora dentro di me, liberando le fantasie e le emozioni di un Netherling, e ora non è più possibile richiuderlo.»
(Morpheus e Alyssa, da Ensnared)
La saga si conclude in modo geniale con il terzo capitolo Il Segreto Della Regina Rossa, dove l’autrice supera ogni aspettativa, soprattutto nella scelta di come sciogliere l’intricatissimo nodo dell’amore fra tre creature. Il triangolo è sempre un’arma a doppio taglio, in un romanzo, come nella vita vera, poiché, inevitabilmente, qualche lettore rimarrà deluso dalla scelta dell’autore, qualcuno soffrirà. In Letteratura, spesso uno del trio si rivela non degno d’amore oppure, semplicemente, finisce per soffrire più degli altri due; o, se possibile all’interno del proprio genere letterario, gli viene inventata una scappatoia (basti pensare alla famosa saga Twilight e al modo in cui finisce Jacob Black, l’altro aspirante al cuore di Bella Swan). Ma la Howard, qui, ha inventato qualcosa di strepitoso, aiutata dal genere proprio del romanzo: è un fantasy, molto è concesso, appunto, alla fantasia, alla magia, si possono prendere strade che un romanzo classico non può permettersi.
Il quarto libro, Untamed, 6 Cose Impossibili, titolo ripreso da una frase della Regina di Cuori nel romanzo di Carroll, (Alice rise: «È inutile che ci provi», disse; «non si può credere a una cosa impossibile.» «Oserei dire che non ti sei allenata molto», ribatté la Regina. «Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.») contiene tre racconti che ci mostrano eventi che, credetemi, vorrete assolutamente approfondire una volta finiti i primi tre libri, per me è stata una graditissima conferma scoprire che questo quarto capitolo non era un mero espediente editoriale per racimolare ancora denaro da una saga che vende.
Consigliatissimi, a chi sa leggere in inglese, anche le due novelle seguenti, che ci danno ancora qualcosina in più.
La saga è disseminata da citazioni che ho apprezzato moltissimo ma, anche per un lettore non in grado di cogliere i tanti riferimenti, la storia è davvero piacevole, intensa, la forma scorrevole, induce a continuare la lettura anche quando i basilari bisogni primari c’indurrebbero a smettere. Le atmosfere sono ipnotiche, cupe e sensuali, una rivisitazione davvero particolare di un classico come Alice ritenuto erroneamente un libro per bambini, la Howard coglie tutto ciò che sta dietro, laddove un bambino, leggendo il romanzo di Carroll o guardando il film d’animazione della Disney, coglie soltanto la superficie stramba e giocosa.
La scrittura è accattivante, le parti più tormentate vengono talvolta alleggerite dalla figura ironica e sarcastica di Morpheus, che, per il senso dell’umorismo, a una lettrice fantasy come me ha ricordato quel personaggio eccezionale che è Magnus Bane della saga Shadowhunters di quell’altro genio urban fantasy che è Cassandra Clare.
Un motivo in più per leggere questa straordinaria saga, soprattutto se acquistate in cartaceo, è per le artistiche copertine.
Assolutamente consigliato a chi ama l’Urban Fantasy, il Paranormal Romance, i retelling, la cultura Punk, i visionari film di Tim Burton; e gli onirici racconti e il fumetto Sandman di Neil Gaiman.
Per alcune tematiche affrontate e la passione sprigionata dal triangolo, consiglio la lettura a un pubblico dai quattordici anni in su.
Sconsigliato a chi ha la fobia degli insetti ma, se riuscirete a vincerla almeno un poco, come ho fatto io, scoprirete un meraviglioso mondo.
Recensione a cura di Paola Garbarino, in esclusiva per Reading Marvels.
Aprile 1944: appesa ai cornicioni delle finestre, una donna fugge dalle finestre dell’ospedale Niguarda, a Milano. È Maria Peron, un’infermiera trentenne, nubile, che abita in un convitto di suore e non ha alcun interesse per la politica, né tantomeno per la lotta armata. Però è coraggiosa, affamata di libertà e la sua bussola morale è infallibile. Ricercata dai fascisti, prende una decisione che le cambierà la vita: salire sui monti della Valgrande e diventare una ribelle.
Maria trascorre un anno insieme ai partigiani e si spende senza riserve per prestare aiuto, senza mai imbracciare un’arma. Organizza un’infermeria e un presidio sanitario, si guadagna un grado da ufficiale e i galloni di chirurgo sul campo. Attraversa l’inferno della guerra, trovandosi testimone e protagonista di eventi drammatici e atti di ordinario eroismo e facendo i conti, giorno dopo giorno, con la propria coscienza. Infine incontra persino l’amore, a cui credeva di avere già rinunciato.
Nel pieno di una tragedia collettiva, Maria si scopre piena di risorse, pragmatica e coraggiosa, capace di ridisegnarsi sulle proprie esperienze restando coerente a se stessa.
Questa è la sua storia ed è una storia vera.
RECENSIONE
Ho sempre amato le storie partigiane, forse perché quello della Resistenza è l’ultimo vero periodo eroico dell’Italia. Persone che, normalmente, avrebbero avuto delle vite tranquille, messe di fronte all’ingiustizia del fascismo e dell’occupazione tedesca, decisero di prendere su di sé rischi enormi. Qualcuno forse per caso, ma molti ben consapevoli che le loro scelte avrebbero potuto portarli alla morte.
Quindi, ho sempre amato le storie partigiane, ma Maria, nata per la libertà per me aveva un ulteriore motivo di fascino. Parla cioè di una Resistenza in parte dimenticata, mettendo al centro della narrazione una donna. Per decenni, infatti, il ruolo delle donne durante la Resistenza è ha avuto una posizione marginale nella storiografia del periodo, quasi relegato a una nota a piè di pagina. Se pensate ai più grandi capolavori sulla Resistenza, vi verranno in mente solo libri scritti da uomini che parlano di uomini. Grandi libri e grandi uomini, intendiamoci, ma secondo i calcoli fatti dall’ANPI in Italia ci furono qualcosa come 35.000 partigiane combattenti, 20.000 patriote con funzioni di supporto, 70.000 donne appartenenti ai Gruppi di Difesa. 4.563 furono quelle arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 2.900 quelle giustiziate o uccise in combattimento, 2.720 quelle deportate. A fronte di tutto questo, solo 16 ricevettero la medaglia d’oro al valor militare, 17 la medaglia d’argento.
In poche parole, avevo davvero voglia di leggere un libro sulla Resistenza che fosse narrato dal punto di vista femminile.
E Amalia Frontali sceglie quello di Maria Peron, una donna realmente esistita, un’infermiera che durante l’ultimo anno di guerra prestò servizio tra le montagne della Valgrande. La ricostruzione storica, trattandosi di Frontali, è ovviamente perfetta, ma non è il maggiore dei pregi di Maria, nata per la libertà.
Quello che ho amato di questo libro è appunto la voce, il punto di vista. Maria è una donna pragmatica che prende una decisione folle: unirsi alla Resistenza e, come infermiera, combattere senza sparare un colpo, anzi, salvando vite. Maria è una con la testa sulle spalle, è mossa da alti ideali, ma ha una visione realistica del mondo. Non è una pasionaria, non è un’avventata, è una persona molto perbene che fa una scelta di coscienza.
Si trova sui monti, circondata da uomini, a confrontarsi con le difficoltà della situazione, cercando di fare del suo meglio con calma, con pazienza, con perseveranza e con amore. Ha l’elasticità mentale di cambiare idea, di confrontarsi con i propri pregiudizi e di capire il punto di vista altrui.
Maria, nata per la libertà è la storia di una persona normale, di una donna non bella per gli standard dell’epoca (ma bellissima per noi), una che si rimbocca le maniche e fa quello che ritiene giusto. All’amore ormai ha rinunciato, ma su quello si sbaglia. L’amore trova sempre una via, pure con lei.
Leggere questo libro è come guardare un paesaggio noto dall’altra sponda del fiume, e scoprire dei dettagli fino a quel momento ignorati. Una storia appassionante che era rimasta nelle note a piè di pagina.
Recensione a cura di Amanda Blake, in esclusiva per Reading Marvels.
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Solo un passo divide Giulia dalla vetrina. Un passo che, però, le sembra il più lungo che abbia mai fatto in vita sua. Dietro il vetro, c’è un oggetto che non vede da tanto tempo, ma la cui immagine è impressa a fuoco dentro di lei. Per tutti è una semplice trottola, ma per Giulia rappresenta l’attimo in cui il mondo si è fermato, lasciandola in bilico sull’abisso. Ora è di nuovo davanti ai suoi occhi. All’improvviso rivede sé stessa giovane. La ragazza che nel 1943, nei mesi dell’occupazione tedesca di Roma, ha trovato il coraggio di combattere per la libertà, di impugnare una pistola per reagire all’orrore nazista, di premere il grilletto con le mani che fino al giorno prima sfioravano con delicatezza i tasti di un pianoforte. Come se fosse l’unica scelta possibile, come se un’altra strada non fosse percorribile. Accanto a lei, Leo e il loro amore, nato nei rifugi in cui sono stati costretti a nascondersi e tra gli abbracci per superare la paura. Leo che una notte le ha detto che, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe dovuto custodire la trottola che le aveva mostrato. Un oggetto che, per lui, significava moltissimo. Così nulla sarebbe mai cambiato tra di loro. Quando, dopo una retata, Giulia ha perso le sue tracce, non è più riuscita a ritrovare la trottola. Quel giorno tutto ha smesso di girare. E adesso eccola di fronte a lei, dietro quella vetrina. Giulia deve scoprire come sia finita lì. C’è un’unica persona a cui è pronta a raccontare la propria storia: Flavia, che ha cresciuto come fosse una nipote. Perché sappia che non è vero che i vuoti lasciati dalle persone che abbiamo amato non si riempiono più. In realtà sono sempre colmi della loro presenza: bisogna solo non aver paura di ascoltare.
RECENSIONE
Salve gente, ringrazio prima di tutto queste fantastiche blogger per avermi ospitata in una veste inedita su Reading Marvels. Premetto che non ho mai scritto una recensione per un blog, ma ho deciso di parlarvi di un libro che ho amato particolarmente: Quello che si salva, di Silvia Celani, edito da Garzanti a settembre 2020.
Perché ho scelto proprio lui?
Perchè Quello che si salva è un romanzo che tratta in modo non banale un tema necessario e lo fa con una penna poetica, magica, evocativa e potente.
Ma partiamo dal principio.
Il romanzo, composto da 288 pagine, racconta una doppia storia che si intreccia su due piani temporali, giocando anche con il punto di vista. Nel passato Silvia Celani ci mostra gli eventi tramite gli occhi della protagonista, in prima persona, nel presente, invece, lo fa con una terza persona e un narratore esterno.
La storia inizia, come anche nel suo romanzo d’esordio Ogni piccola cosa interrotta, da un oggetto che riaffiora dal passato e dal magma della storia per rompere l’equilibrio apparente che avvolge le due protagoniste.
Flavia, giovane e smarrita in una vita priva di certezze e rapporti solidi e Giulia -nonna Luli- un’anziana signora che ha cresciuto la ragazza come una nipote, nonostante non ci siano tra le due legami di sangue.
Flavia e Giulia ci introducono a passi sospesi nella Storia, durante una passeggiata tra le Vie di Roma che ogni 9 settembre intraprendono insieme, come una ricorrenza da rispettare e di cui Flavia non conosce il vero significato.
In una capitale di vicoli pittoreschi, le due si trovano di fronte alla vetrina di una casa d’aste.
Dietro il vetro, c’è un oggetto che Nonna Luli non vede da tanto tempo, ma la cui immagine è impressa a fuoco dentro di lei. Per tutti è una semplice trottola, ma per Giulia rappresenta l’attimo in cui il mondo si è fermato, lasciandola in bilico sull’abisso. Ora è di nuovo davanti ai suoi occhi. All’improvviso rivede sé stessa giovane. La ragazza che nel 1943, nei mesi dell’occupazione tedesca di Roma, ha trovato il coraggio di combattere per la libertà, di impugnare una pistola per reagire all’orrore nazista, di premere il grilletto con le mani che fino al giorno prima sfioravano con delicatezza i tasti di un pianoforte.
Perché, anche se Flavia non lo sa, Nonna Luli ha fatto parte della resistenza e ha combattuto. Come se fosse l’unica scelta possibile, come se un’altra strada non fosse percorribile.
La trottola, la riporta nel passato e riporta anche noi tra le vie della Roma bombardata e occupata, pattugliata dai tedeschi, in un vortice di paura, orrore e tenebra.
E in questo scenario accanto a Giulia conosciamo Leo e il loro amore, nato nei rifugi in cui sono stati costretti a nascondersi e tra gli abbracci per superare la paura. Leo che una notte le ha detto che, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe dovuto custodire la trottola che le aveva mostrato. Un oggetto che, per lui, significava moltissimo. Così nulla sarebbe mai cambiato tra di loro.
Quando, dopo una retata, Giulia ha perso le sue tracce, non è più riuscita a ritrovare la trottola.
Quel giorno tutto ha smesso di girare. E adesso eccola di fronte a lei, dietro quella vetrina, riportandola a quel dolore e quella separazione.
Ma il passato si intreccia col presente, dando ancora più forza alla narrazione che procede a ritmo veloce e crescente. Perché Flavia, di fronte alla chiusura e ai segreti di Nonna Luli, non accetta di perdere anche lei, non si dà per vinta e inizia a indagare sul passato dell’anziana e sul significato della trottola, ritrovando così non solo il senso di ciò che è stato, ma anche della sua vita sgangherata.
Tra passato e presente, Flavia conosce infatti l’amore, e riesce ad accettare gli abbandoni che l’hanno segnata fin da bambina.
Quello che si salva è proprio questo: una matassa di fili e di vite che si intrecciano in modo perfetto, senza sbavature o parti superflue.
Una panna poetica che riesce a raccontare La resistenza senza orpelli, ma per quello che è stata davvero: la lotta di ragazzi appena ventenni che non si sono rassegnati alla devastazione della guerra e che non hanno avuto scelta.
La scelta che invece abbiamo noi, oggi, di ricordare, di non dimenticare.
Di leggere, scrivere, parlare di ciò che è stato per impedire che si ripeta.
Per questo, il romanzo di Silvia Celani, è una lettura che vi consiglio con tutto il cuore e che per me resterà speciale.
Recensione a cura di Silvia Ciompi, in esclusiva per Reading Marvels.
Figlio di un ubriacone violento e di una madre provata dalle continue gravidanze, Farrell ha vissuto una giovinezza tormentata. Quando incontra e sposa Grace, bella, fragile, raffinata, l’illusione di un amore duraturo sembra a portata di mano.
Ma il confronto ancora irrisolto con l’autorità paterna, che si riflette nei conflitti con il padre di Grace, le diversità tra i due sposi e i fantasmi che continuamente emergono dal loro passato sono ostacoli troppo grandi da superare. Sconfitto da ragazzo Farrell non può sopportare l’idea di perdere il controllo della sua vita e delle persone amate e ciò porterà a conseguenze imprevedibili.
RECENSIONE
Parlare di donne non è mai semplice e neppure di rapporti amorosi viziati dalla follia e dalla possessività. Il rischio di scadere nell’ovvio o nel melodrammatico è sempre dietro l’angolo così come quello di gestire banalmente dinamiche e concetti che non lo sono affatto.
Ebbene, Catherine Dunne è immune da questi rischi.
La sua prosa è lieve ma profonda, garbata ma tagliente, intima e allo stesso tempo didascalica, quasi giornalistica.
In questo romanzo, un affresco minore di quotidiana follia, la storia di un uomo e di una donna, del loro amore tormentato, della gelosia e della lenta perdita di contatto con la realtà.
Farrell è un uomo apparentemente solido, posato, gran lavoratore. Parla poco ma emana energia vitale e sa farsi apprezzare e rispettare dai suoi colleghi e superiori.
Grace è una ragazza solare, nata e cresciuta in una famiglia piccolo borghese, impiegata nella ditta del padre, nella segreta speranza di poter avviare una propria attività e fabbricare bambole e giocattoli artigianali.
L’incontro tra i due avviene per caso, quasi in sordina.
Farrell prova da subito attrazione per Grace che accetta per gioco il suo corteggiamento impacciato ma serio.
Niente di nuovo, dunque.
Lentamente ma in modo costante, Farrell e Grace si innamorano e ben presto decidono di sposarsi e di iniziare una vita insieme.
Un incontro, un innamoramento, un matrimonio.
La Dunne ci presenta la vita nelle sue tinte più vere.
Eppure, nonostante l’armonia edulcorata della coppia, le promesse di amore eterno, le cene romantiche e perfino la casa che i due innamorati ristrutturano e approntano per coronare il loro sogno d’amore, qualcosa non quadra.
Le loro anime sono davvero ciò che sembrano essere?
Grace scivola lungo la dorsale del suo destino senza comprendere appieno chi le sta a fianco.
Farrell vive un mondo di incubi perenni, di paure e fantasmi che iniziano a tormentarlo blandamente per poi diventare assillanti, soverchianti, mortali. La sua infanzia devastata, i suoi rancori, la paura dell’abbandono faranno il resto.
Apparentemente le vicende narrate da Catherine Dunne in questo romanzo, pubblicato negli anni Novanta e che fa seguito al più famoso La metà di niente, sembrano piuttosto scontate, quasi banali. Tuttavia l’autrice ci spinge a guardare oltre l’apparenza, al di là di colpi di scena o di facili espedienti narrativi.
Ci chiede di accompagnare in silenzio il doloroso percorso dei suoi protagonisti, di osservarne lo scempio, la disgregazione delle emozioni e dei sentimenti fino ad un epilogo che non è altro che un richiamo alla paura di vivere e all’incapacità di guardarsi dentro.
Neppure l’amore può nulla quando non si è in grado di accettare sé stessi.
Farrell guarda sua moglie che dorme. Il suo viso minuto è pallido, incorniciato dai lucidi capelli scuri. Nel riposo ha un’espressione fiduciosa, come quella di un bambino. Lui si china a scostarle i capelli dalla fronte. Sente una stretta proprio sotto il cuore nel ripetere quel gesto consueto, familiare… Le rimbocca il lenzuolo di cotone bianco sotto il mento. Non vorrebbe lasciarla, non ancora… Arriveranno fra ventiquattro ore. Lui sarà pronto a riceverli.