UN BUON POSTO IN CUI FERMARSI di Matteo Bussola

UN BUON POSTO IN CUI FERMARSI di Matteo Bussola

Titolo: Un buon posto in cui fermarsi
Autore: Matteo Bussola
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 20 giugno 2023
Editore: Einaudi

TRAMA


A volte la vita ci colpisce fino ad abbatterci. E se invece di rialzarci, provassimo a guardare il mondo con gli occhi di chi è a terra? Forse proprio la resa può regalare un’inaspettata felicità. Dopo “Il rosmarino non capisce l’inverno”, il nuovo commovente romanzo di Matteo Bussola. In pochi hanno saputo raccontare la fragilità maschile senza stereotipi, senza pregiudizi, senza vergogna. Matteo Bussola sa farlo con schiettezza e umanità. In queste pagine lancinanti eppure piene di luce, un uomo trova il coraggio di disertare la propria esistenza e costruire un sogno. Un padre in neuropsichiatria con il figlio impara ad accogliere la ferita di chi ha messo al mondo. Un anziano marito, prendendosi cura della moglie malata di Alzheimer, si domanda che cosa rimanga di una relazione quando chi amiamo sparisce, anche se possiamo ancora toccarlo. Un hikikomori che si è innamorato online vorrebbe incontrare chi è diventato per lui così importante, ma la paura di uscire lo imprigiona. Un bambino ubbidiente scopre la bellezza inattesa di deludere le aspettative. Incrinati, piegati, sconfitti, capaci però di cercare un senso, di intravederlo lì dove mai avrebbero creduto, questi protagonisti trovano ognuno un modo personale, autentico, spudoratamente onesto, di rispondere alla domanda: «Che cosa fa di un uomo un uomo?»

RECENSIONE


Poter assistere alla presentazione di un libro  dal vivo è sempre un valore aggiunto alla lettura, un plus che mi dà spesso la possibilità di trovare conferma e condivisione alle riflessioni che mi sono scaturite ma, ancora più interessante, mi permette di entrare più a fondo nelle riflessioni che l’ autore stesso ha fatto e ha voluto regalare al pubblico. 

Se nel “Rosmarino non capisce l’inverno” Matteo Bussola parlava della resistenza al femminile nel suo ultimo libro invece, “Un buon posto in cui fermarsi” racconta della fragilità maschile. 

È proprio dalla sua voce durante l’intervista che ha gentilmente concesso a Reading Marvels che l’autore spiega il perché di questa scelta. 

Non solo per contrastare, come spesso fa nei suoi lavori, gli stereotipi di genere di cui tutta la società e quindi anche le forme di comunicazione sono abbondantemente infarcite, ma anche perché come egli stesso dice, è quando cadiamo che mostriamo il nostro lato più vero, la nostra forza, il nostro essere umani al di là del genere. 

Nel caso dell’universo maschile questo è un aspetto ancora più importante, a contrastare la convinzione comune che invece un vero uomo non debba mostrarsi mai fragile, non far trasparire le emozioni, non restare fermo ma debba invece agire, muoversi, combattere, mai deporre le armi. 



Sono quasi tutti uomini infatti i protagonisti di questo libro, una raccolta di racconti tenuti insieme da un filo comune e che solo ad un attento osservatore svelano anche dove sono ambientati. 

Protagonisti diversissimi, per età, estrazione sociale, provenienza, lavoro e vissuti, eppure messi alla prova dalla vita, fotografati nel momento di maggiore vulnerabilità quello attraverso cui l’ autore vuole dire proprio questo: che non c’è da provare vergogna per un uomo a mostrarsi nel momento in cui cede schiacciato dal peso delle difficoltà. 

Perché è quando siamo a terra che mostriamo il nostro essere più autentico, e a volte restare giù quando siamo caduti aiuta a capire meglio ciò che ci circonda dandoci quindi strumenti inattesi per cercare di rialzarsi. 



L’ autore rivela che la stesura di questo libro nasce dal desiderio di dare risposte ad alcune domande: 

Cosa succede all’ amore quando se ne perde la memoria? 

Non sarà che la ricerca della felicità sia sopravvalutata? 

Perché a qualcuno sì e a qualcun altro uguale a noi no? 

Cosa fa di un uomo un uomo? 

Matteo Bussola è quindi un uomo che scrive di uomini in maniera però del tutto diversa da quella che ci si aspetterebbe da una penna maschile appunto, e molto lontana rispetto ai cliché quasi impliciti nella credenza comune di cui spesso anche noi siamo inconsciamente sostenitori. 

E cioè che l’uomo, anche in letteratura, non mostra le sue fragilità, non manifesta le emozioni, non concede spazio al fallimento, deve sempre mantenere le promesse, trasmettere sicurezza, mirare in alto, perché in quanto rappresentante del genere maschile deve sempre mostrarsi forte, indipendente, sicuro di sé, in poche parole un vero maschio. 



È in questo e in molti dei suoi precedenti lavori che Matteo Bussola cerca di scardinare questi e molti altri stereotipi di genere, con una prosa la cui principale caratteristica è di avvalersi di una scrittura delicata, introspettiva, che riesce a mixare una certa poetica del vivere, frutto della sua sensibilità artistica, con il realismo del quotidiano risultato invece della sua vita fuori dai libri e cioè di compagno e di padre di tre figlie. 

Una fusione tra uomo e scrittore che emerge sempre nei suoi scritti e che ne decreta il grande successo di pubblico. 

Un uomo comune che racconta di uomini comuni ma inaspettatamente in modo non comune. 

Il libro è costituito da una serie di racconti in cui potrete ritrovare anche qualche conoscenza del precedente “Il rosmarino non capisce l’inverno”, una lettura che scorre, fluida lungo la scia che lega i diversi protagonisti. 

La scrittura in prima persona ricca di piccoli dettagli, come un portasapone sbrecciato o la potatura di un calicanto, avvolge in un abbraccio intimo il lettore complici dialoghi che mostrano il sentire profondo dei protagonisti, tanto da farceli sentire vicini e familiari sebbene li si possa incontrare per poche pagine. 

Nella parte introduttiva e in quella finale risiede tutto il significato del libro e del titolo che può essere racchiuso nella metafora dell’albero, che l’ autore racconta nel capitolo dedicato a Biagio e con cui risponde anche all’ ultima domanda dell’ intervista. 

E cioè che alla fine bisogna scegliere il proprio metro quadrato, qualsiasi cosa esso sia. 

Un messaggio semplice ma non facile da concretizzare che egli sembra voler lanciare nelle sue pagine come si farebbe con un messaggio in bottiglia lasciato nel mare. 

Una mappa che ognuno può interpretare a modo proprio ma che ha sempre come meta le cose semplici, quelle importanti per noi come esseri umani al di là del genere, quelle che troviamo nel posto in cui decidiamo di fermarci.