
GEOGRAFIA DI UN DOLORE PERFETTO
di Enrico Galiano
| Titolo: Geografia di un dolore perfetto | |
| Autore: Enrico Galiano | |
| Serie: Autoconclusivo | |
| Genere: Narrativa | |
| Narrazione: Prima persona | |
| Tipo di finale: Chiuso | |
| Editing: Ottimo | |
| Data di pubblicazione: 16 maggio 2023 | |
| Editore: Garzanti Editore |
TRAMA
Quando sei bambino tuo padre è un supereroe. Nessuno ti spiega che anche i supereroi possono cadere e farsi male, e soprattutto farti male. Pietro lo sa fin troppo bene: suo padre lo ha abbandonato quando era ancora un ragazzino. L’unica cosa che gli ha lasciato è quella che lui chiama spezzanza, la sensazione di essere spezzati, di vivere sempre a metà. Eppure Pietro ha un vita perfetta: è diventato un professore universitario e ha una moglie e un figlio che ama. Fino a quando riceve una telefonata che cambia tutto. Deve andare a Tenerife il prima possibile: un viaggio in aereo attraverso il mare lo divide dall’attimo più importante della sua vita. Pietro corre, e più corre più si rende conto che sta andando incontro al vero sé stesso e ai suoi fantasmi. Sono lì a ricordargli che capita, a volte, di trovarsi all’improvviso lontanissimi da sé stessi, così tanto da non sapere più chi si è veramente: come i punti che gli atlanti chiamano «poli dell’inaccessibilità», quelli più lontani e irraggiungibili del globo. Quando succede, i geografi dicono che, per salvarsi, l’unica cosa da fare è guardare su. Cercare una stella, e poi andare dritti dove dice lei. Può avere i contorni di un amore o di un dolore. Di un desiderio o di una paura. Perché a volte non siamo nel posto sbagliato, stiamo solo cambiando. A volte arriva il momento di fare pace con tutte le ferite di quando si era bambini.
Enrico Galiano apre la sua anima ai lettori in un romanzo che indaga il rapporto più antico, autentico e complicato: quello tra figlio e genitore. Un romanzo che pone una domanda che va dritta al cuore: quando si smette di essere figli? C’è un giorno, un momento, una linea che si supera e poi non si è più figlio di qualcuno, ma solo un uomo o una donna? Con la sua inconfondibile delicatezza, Enrico Galiano ci regala una prova di narratore maturo con una storia avvincente e coinvolgente. Una storia che, pagina dopo pagina, diventa sempre più la storia di tutti noi.
RECENSIONE
Geografia è la scienza che vive descrivendo: mentre il resto delle scienze è silenzio da laboratorio, la geografia è rumore di penna che gratta sul foglio, è passi sui sassi in salita in montagna, è onde del mare mentre il cuore cerca invano di andare a tempo.
Devo essere onesta a scuola la geografia non ha mai destato in me particolare interesse o la curiosità e la passione per esempio che invece mi suscitavano storia e letteratura.
Ho sempre pensato che certo è importante sapere come è fatto un territorio, uno stato, un continente ma imparare i nomi di città, fiumi, montagne (che mai vedrò e che sono veramente numerose) potesse essere anche un po’ inutile e noioso.
Come mi sbagliavo, ad aver avuto un professore come Enrico Galiano invece ne avrei saputo intravedere la bellezza anche allora.
La stessa di cui ci fa partecipi nell’ultimo suo libro, Geografia di un dolore perfetto, una storia diversa da quelle a cui l’autore ci aveva abituati nei suoi lavori precedenti.
Un racconto maturo dalle venature chiaroscure.
Dichiaratamente autobiografico, come sempre questo scrittore tesse una narrazione densa di messaggi e riflessioni, mettendo in gioco un sentire profondo e autentico in cui è impossibile non identificarsi.
Un sentire che non riguarda mai un’unica tematica: sebbene il filo conduttore di tutto il romanzo sia il rapporto padre-figlio in realtà esso è l’impalcatura che sorregge tutta una serie di altri temi umani di cui la geografia appunto, è molto articolata.
Perché vuoi o no il rapporto con i propri genitori imprime su di noi un timbro, modella inesorabilmente il nostro io e il nostro modo di approcciarci al mondo esterno, inconsapevolmente, sia nella forma che nella sostanza, diventando unità di misura delle relazioni umane che avremo in seguito.
Quelle con gli altri e specialmente quella con noi stessi.
È raccontando il rapporto con il proprio padre che abbandonò la famiglia quando lui aveva otto anni che l’autore si mette a nudo, venendo forse a patti con la consapevolezza che la crescita e la costruzione della propria identità sono indelebilmente segnate da questo abbandono.
La spezzanza esiste ed è quando ti senti spezzato, sempre. Anche quando sorridi, anche quando sei felice e spensierato, sai che sei rotto in qualche punto, come un giocattolo difettoso. Cerchi di nasconderlo, camuffi più che puoi, ma sai che è così e hai sempre paura di essere scoperto.
Quest’autore riesce sempre a coniare parole che nel vocabolario non esistono ma il loro significato è immediato.
Pietro infatti il protagonista del libro è un uomo in apparenza realizzato professionalmente e socialmente ma in realtà è un uomo il cui spirito è eroso dalla “spezzanza”: è spezzato dal dolore di un’infanzia privata della figura paterna e consumato allo stesso tempo dalla speranza che qualcuno possa riparare i pezzi rotti che ne sono il risultato.
È infatti radicato in lui un senso di inadeguatezza, che ha fatto sì che egli si costruisse un’identità che lo mettesse al riparo dalla solitudine e dalla delusione provati nei confronti di un padre con cui il rapporto è stato sempre difficile fino a interrompersi per molti anni.
Due le figure di uomo e padre che questo bambino e poi adolescente mette a confronto e di cui si nutrono il dolore dell’ abbandono e il bisogno di sentirsi amati e accettati.
Nando che non gli ha mai restituito l’immagine di sé che avrebbe voluto e Paco che al contrario lo ha sempre fatto sentire accettato, importante.
Era proprio questa la differenza fra Paco e Nando: lui non mi faceva mai sentire sbagliato. Anche quando sbagliavo, soprattutto quando sbagliavo, io sapevo che gli andavo bene lo stesso, così com’ero, tutto storto eppure perfetto così.
È una telefonata da Tenerife che mette davanti Pietro alla resa dei conti, non tanto con questi due uomini ma con se stesso.
Che si riferisca al passato o al presente dei protagonisti infatti questo è il racconto di un uomo che si è perso, che non sa più chi è perché improvvisamente si rende conto che sta vivendo a metà.
E che però butta coraggiosamente all’aria tutte le sue paure per tentare di ritrovarsi.
Il romanzo è diviso in cinque parti con cambi temporali ben coesi, una narrazione intima come può esserlo quella scaturita dalla prima persona.
Non dirò che è il solito libro a cui ci ha abituati Enrico Galiano, all’inizio i toni della narrazione sono un po’ grigi, ci si immerge in modo intenso nel dolore di un figlio abbandonato da un genitore, nella pena e nella tenerezza che suscitano i pensieri di un Pietro bambino, indifeso nei confronti delle paure e delle sensazioni provocate dal crescere con questa mancanza.
Un dolore racchiuso tutto nell’immagine di un bimbo seduto alla finestra ad aspettare il padre come si aspetta l’arrivo della neve.
Ma prosegue poi anche con qualche sorriso fino ad arrivare a episodi quasi grotteschi (come può esserlo Terminator doppiato in spagnolo) che fanno da contraltare alla prima parte del libro.
Colonna sonora di Vasco Rossi, riferimenti a oggetti e vissuti degli anni ’80 , una nevicata che cambierà tutto, danno vita ad un mix di profondità e leggerezza in perfetto stile Galiano, uno stile che personalmente adoro anche per la capacità di parlare alle parti più intime e recondite del nostro io in modo diretto ma mai banale, soprattutto moderno.
Enrico Galiano è un comunicatore del suo tempo, che riesce a porre domande e spingere a riflettere su temi che nell’ era della globalizzazione e delle relazioni virtuali potrebbero sembrare demodé, facili alla retorica, invece attraverso la sua penna diventano senza epoca.
Questo libro è un autoritratto in cui egli mette sul piatto la propria fragilità di bambino, adolescente e anche uomo adulto per comunicare che non siamo gli unici, non siamo soli nelle nostre fragilità.
Le analogie e le similitudini con la geografia di cui l’autore infarcisce la narrazione sono molto affascinanti, i teoremi di Paco l’esploratore dovrebbero entrare a fare parte del programma scolastico.
Una su tutte la fa da padrone e mi è rimasta impressa tanto da farne argomento di domanda all’autore durante la presentazione del libro.
Quando studi i paesaggi studi anche le persone, perché le persone sono paesaggi. C’è chi è foresta tropicale, chi è fredda tundra, chi vento e Mare del Nord. C’è chi è fatto di mare, chi di neve. Siamo posti, e le facce sono mappe.
Le persone sono paesaggi.
È così che alla presentazione del romanzo a cui ho assistito ho chiesto a Enrico Galiano quale paesaggio egli fosse.
Non posso fare spoiler sulla sua risposta ma io l’ho trovata azzeccata.
L’autore mi ha omaggiato poi di una bella dedica sulla mia copia del libro, ricambiando a sua volta la domanda da me posta: e tu Annalisa che paesaggio sei?
Caro Enrico credo adesso di poterti rispondere così: io penso di essere un lago che molto spesso vorrebbe però essere mare.
Placida a prima vista, calma, solo all’apparenza, appunto come la superficie di un lago, nascondo una profondità difficile da raggiungere, su cui poggiano molte pietre che a volte ne hanno increspato la superficie fino a posarsi sul fondale.
Io però vorrei essere mare, che vive i propri moti ondosi in libertà, riesce a toccare terre diverse e al bisogno vive le proprie tempeste senza soccombervi.
Questo per dire che siamo un po’ tutti come Pietro: non sempre ci riconosciamo nell’immagine che ci rimanda lo specchio e sentiamo di non vivere la vita che vogliamo, ed è lì che arriva il momento in cui in qualche modo dobbiamo provare a ritrovarci.
Ogni tanto ci finiamo anche noi, nei poli dell’inaccessibilità. Che siano occhi che cercano un mare distantissimo o piedi che desiderano una terraferma che non c’è, siamo lì, lontanissimi da noi stessi, così tanto che nemmeno sappiamo più chi siamo. Inaccessibili. Quando succede, i geografi dicono ci sia solo una cosa da fare, per salvarsi: guardare su. Cercare una stella. E poi andare dritti dove ci dice lei.
