
LA LUCE ALL’ IMPROVVISO
di Alessia Figini
| Titolo: La luce all’improvviso | |
| Autore: Alessia Figini | |
| Serie: Autoconclusivo | |
| Genere: Narrativa | |
| Narrazione: Prima persona | |
| Tipo di finale: Chiuso | |
| Editing: Ottimo | |
| Data di pubblicazione: 30 settembre 2021 | |
| Editore: Morellini Editore |
TRAMA
L’amore culla, riempie, appaga. Daniele lo sa bene, ha al suo fianco la donna che ama e dalla quale sta aspettando una figlia. Lui è innamorato di Sara dal giorno in cui, ancora adolescente, ha incrociato il suo sguardo per la prima volta, ma i loro destini hanno preso inizialmente strade diverse. Sara ha dato fiducia al ragazzo sbagliato e si è trovata a vivere un incubo, da cui è riuscita a risvegliarsi proprio grazie alla presenza di Daniele. Da quel momento è nata una storia d’amore fatta di piccole attenzioni, attrazione fisica, complicità. Una maledetta sera, però, la sua vita viene distrutta. Lui vorrebbe essere morto e invece è costretto a sopravvivere, ma non ha la forza di rialzarsi, trova pace solo nell’oblio portato dall’effetto dell’alcol. La sofferenza e il dolore lo annientano, lasciando in breve tempo il posto a un altro sentimento: il desiderio di vendetta. Daniele è pronto a colpire. La luce, però, filtra all’improvviso e arriva al suo cuore, facendo intravedere la speranza di poter ricominciare.
RECENSIONE
Potrei definire questo primo libro di Alessia Figini il libro degli opposti.
Caratteristica che si annusa già dall’introduzione nella quale Alessandro Barbaglia lo definisce leggero quanto abrasivo, due aggettivi in apparenza incompatibili.
In effetti è così, ho pensato anch’io che racchiudesse molti elementi che potrebbero sembrare in contrasto tra loro eppure l’autrice li ha ben amalgamati, dando così ritmo alla vicenda, una scansione che tiene il lettore un po’ in ostaggio, alternando capitoli di tenore diverso in un’altalena di sensazioni da cui è difficile scendere.
Perché si sta in un saliscendi costante, tra la nascita della storia d’amore tra Sara e il protagonista Daniele e i momenti in cui invece egli sprofonda nell’abisso.
Sono soprattutto questi ultimi che attanagliano il lettore, proprio per come l’autrice è riuscita a trasmettere la disperazione, la rabbia, il dolore del protagonista e che sono proprio gli elementi che invogliano ad andare avanti per comprendere in quale modo riuscirà a farlo uscire da questo pozzo.
Perché è questo che ci si aspetta per tutta la durata del libro: come farà l’autrice a dare una svolta a una vicenda tanto drammatica?
Per scoprirlo invito a leggere questo esordio letterario edito da Moellini della cui squadra fa parte anche Sara Rattaro, in cui Daniele causa un evento tragico si ritrova in un profondo stato di annichilimento in cui gli unici sentimenti che hanno posto ormai sono il dolore e il desiderio di vendetta che permeano gran parte del racconto.
La rabbia ormai mi teneva all’amo, era tale che non riuscivo a pensare ad altro se non alla vendetta, ma nei pochi momenti di lucidità in cui la mia coscienza tornava a farsi sentire mi ritrovavo lacerato nell’animo.
Tornando agli opposti infatti sono due i modi a cui si può reagire alla sofferenza: facendo del bene agli altri o nutrendo il male che si prova fino a trasporlo all’esterno.
Daniele fa parte della seconda categoria e porterà il lettore giù con lui in una spirale che l’utilizzo della prima persona rende in modo molto efficace: una scelta ben congeniata e ben utilizzata.
Lo stile è scorrevole, i dialoghi non sono numerosi ma non ci si annoia mai.
Ho apprezzato la scelta di alternare la narrazione tra passato e presente, una scelta narrativa che permette la conoscenza graduale dei personaggi e consente di comprendere l’evoluzione delle vicende alla luce del loro vissuto.
Una storia questa che si svolge per gran parte nel buio della sofferenza e a cui l’autrice dà uno spiraglio di luce alla fine del libro in modo non scontato e nemmeno retorico, quasi inaspettatamente, come dice lo stesso titolo.
Se devo riconoscere una qualità di questa autrice è proprio quella di essere riuscita ad utilizzare il dolore senza banalizzarlo, evitando facili espedienti narrativi che guariscono miracolosamente un protagonista prigioniero del buio.
Tutt’altro, l’autrice lascia solo una piccola fessura da cui si comincia ad intravedere un po’ di luce ma che dà al lettore la fiducia che ci potrà essere guarigione da tanto male.
Ognuno di quei bambini colpì il muro che aveva letto intorno a me e vi fece una piccola breccia. La luce, benché fievole, inizio a filtrare dove prima dominava il buio più tetro.
In fin dei conti è questo il seme da cui si può provare a rinascere: la speranza.
In quel momento provai una strana sensazione, il desiderio di aggrapparmi una scialuppa, di farmi guarire le ferite, di avere di nuovo fiducia in qualcuno.
Ecco allora mi sento di dire che Alessia Figini ha voluto regalarci una storia sulla speranza, sicuramente sofferta e molto intensa, ma la speranza d’altronde germoglia nei luoghi in cui ve n’è più bisogno.
