OLTRE LA RECENSIONE

OLTRE LA RECENSIONE

Riflessioni su “RUSHMORE”

Il lato oscuro dello showbusiness: il voyeurismo della nostra epoca, tra social e carta stampata alla spasmodica ricerca di like e con gli occhi voracemente puntati sulla vita privata di personaggi famosi e non.

La stand-up comedy è una forma di spettacolo in cui un comico si esibisce “in piedi” (in inglese stand-up) davanti a un pubblico, normalmente rivolgendosi direttamente a esso, senza la quarta parete. 

A leggerla così sembrerebbe una cosa abbastanza innocua, un comico fa divertire il suo pubblico in una delle tante forme di spettacolo che esistono, che è quasi intima, a tu per tu con gli spettatori. 

Ma quando il sipario si chiude, la telecamera si spegne e il comico leva la maschera per lasciare posto all’uomo siamo sicuri che anche il pubblico lasci da parte il proprio ruolo di spettatore? 

Su questa domanda Elle Eloise ha costruito una buona parte della trama della sua ultima uscita: RUSHMORE, in cui il protagonista è proprio uno stand up comedian, un comico che si è costruito un personaggio che non riesce a mettere da parte nemmeno a luci spente. 

Una maschera che indossa anche nella vita quotidiana, fatta di vizi, trasgressione e vuoto emotivo. 

Una buona parte di pubblico di oggi difficilmente pone i confini del sapere, del vedere, del seguire solo all’interno dello spettacolo. 

Molto spesso si travalica questo contesto per arrivare a conoscere, e sì anche a spiare, gli aspetti più intimi e privati delle vite dei personaggi pubblici. 

Il romanzo di Elle Eloise ci mostra con realismo questo aspetto che finisce per fagocitare non solo il diretto interessato ma anche la sua assistente, la protagonista femminile del libro, Ophelia. 

Io sapevo perché si nascondeva in questo modo. Io sapevo perché preferiva non finire sotto i riflettori e potevo immaginare perché avesse abbandonato la scuola di sceneggiatura per fare l’assistente delle star. 

Potremmo dare la colpa all’era dei social ma in realtà il pubblico si è sempre interessato anche agli aspetti non legati alla professione dei personaggi pubblici. 

La carta stampata è stata il primo luogo in cui ha trovato sfogo il desiderio voiyueristico di carpire particolare legati alla sfera privata: come non ricordare gli scandali che hanno messo fine a carriere politiche, l’era dei paparazzi appostati come sentinelle in attesa di catturare lo scatto più scottante, articoli più o meno esaustivi su fatti provatissimi di attori, cantanti, personaggi dello spettacolo in generale. 

L’era di internet e in particolare dei social ha solo amplificato questo dietro le quinte, dando modo a chi si mostra e a chi osserva di essere sempre in connessione, senza limiti posti dalla distanza. 

Accade anche nel libro: Darren affida ai social e ai mass media il compito di tenere accesi i riflettori sul suo successo proprio quando il riflettore in studio invece si spegne. 

Ma questo meccanismo è come una macchia d’olio, si espande e si allarga senza riuscire ad arginarne i confini e così i riflettori finiscono per spostarsi anche su risvolti che dovrebbero invece restare privati. 

Nel libro l’autrice evidenzia come questo sia uno degli aspetti dello show business, una macchina nata per fare soldi spesso a discapito dell’etica. 

Perché purtroppo è proprio così, informazioni, indiscrezioni, segreti, fragilità fanno aumentare le vendite, l’audience e la popolarità. 

E di etica diventa difficile parlare perché viene da domandarsi perché non dare al pubblico ciò che effettivamente vuole? 

Nel libro questo sistema e le sue dinamiche  emergono concretamente, mi si sono mostrate in tutto il loro cinismo in alcuni passaggi in cui si poteva toccare con mano quanto intorno a questo ambiente sia tutto artificioso, creato o manipolato ad hoc in base alle intenzioni. 

Il protagonista del libro ha alle sue dipendenze un intero staff di persone che hanno il compito di gestire e sovrintendere i rapporti con i mass media. 

Decidere cosa dire e come, camuffare la verità, smentire o confermare: il pensiero che mi è balenato a tal proposito è stato ma allora c’è qualcosa di vero in quello che leggiamo o che vediamo? 

«Questo lo abbiamo già smentito» si intromise Simon. «Ma le voci sui social continuano.» «Sì, ma se noi smentiamo anche questa volta dove diavolo sta la notizia del Post?» Simon prese la parola. «L’articolo non verterà su quello.» «E su cosa allora?» «Sarà una specie di inchiesta. Che fine hanno fatto le vittime dei processi più famosi della storia dei media.» 

Elle Eloise ha mostrato con questa storia la parte oscura del mondo che ruota attorno al palcoscenico dando voce con il garbo e la serietà che contraddistinguono le tematiche di cui sceglie di parlare anche alla questione del MeToo. 

<<Perché come al solito è la voce della persona con meno potere a non essere stata ascoltata in tutta questa faccenda. Tu hai creduto a tuo cugino alla fine. Quando ti ho rifiutato il giorno dopo, mi hai trattata come se lui avesse ragione sul mio conto.>> 

È Ophelia coinvolta attraverso la sua professione in vicende legate alle molestie a farsi portavoce di un movimento che pur con i suoi limiti ha portato l’attenzione alle incresciose situazioni in cui ancora troppo spesso si trovano a lavorare le donne. 

Possiamo parlare di parità di genere e di femminismo, ma la verità è che senza un cambiamento culturale che assicuri ad ogni la lavoratrice sicurezza, dignità e valore come essere umano sul posto di lavoro, la donna continuerà a trovarsi in posizione di svantaggio in ambito lavorativo. 

Le vicende un cui è coinvolta Ophelia sono aderenti ad una realtà come può essere quella del mondo dello spettacolo ma può esistere un’Ophelia in ogni settore. 

Non si tratta infatti di demonizzare un ambiente piuttosto che un altro così come non si può dare la colpa alla tecnologia che ci permette di essere connessi in continuazione. 

Gli ambienti di lavoro sono fatti dalle persone, e internet e i social sono strumenti che sempre le persone possono utilizzare. 

La considerazione che ne deriva è che l’elemento chiave siano le persone. 

Siamo noi a decretare il successo di un personaggio andando a vedere il suo spettacolo, siamo noi a garantire introiti a stampa di tipo scandalistico acquistando i loro contenuti, siamo sempre noi a decidere di accendere le telecamere nelle nostre case e mostrarci sui social o viceversa di accedere alle vite degli altri attraverso essi. 

Ognuno sceglie da quale parte del palcoscenico o del monitor stare, come sempre l’accortezza sta nell’utilizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione con ragionevolezza, fermandosi a riflettere se è proprio necessario essere sempre connessi, ma soprattutto in quale modo lo facciamo.

Fortunatamente libertà di scegliere vuol dire anche decidere di spegnere la telecamera, cambiare canale, non leggere un articolo.

The show must go on dice il famoso detto, ma ad un certo punto lo spettacolo deve anche terminare.