Intervista a Miss Black
Definirla è impossibile, sapere la sua identità tanto meno, confermando quanto spesso l’aura di mistero che si crea intorno ad una persona possa essere affascinante. E se ad aggiungere intrigo si intreccia un talento raffinato, sagace e sublime ironia il risultato può superare le comuni aspettative, sfiorando vette indimenticabili.
Protagonista di questa intervista esclusiva un’autrice a cui teniamo molto, Miss Black, alias Amanda Blake, che ad ogni uscita non smentisce mai i suoi lettori, con storie divertenti e sensuali scritte col suo stile diretto, incisivo, crudo e ricco di impercettibili sfumature e capace di farci immergere in squarci di viva realtà.
Grazie a lei il genere erotico è diventato un fine strumento per offrire messaggi di incredibile spessore.
Scopriamola (ops!) insieme.

Sperimentatrice, femminista, misteriosa, amante dell’eros, artista. Ti ritrovi in qualcuna di queste definizioni oppure non ami essere definita in nessun modo?
Se fosse per me cambierei una definizione al giorno, perché credo che ognuno di noi abbia diversi aspetti che non sempre si esprimono in tutti i momenti. Artista vorrei esserlo, ma non lo sono. È un po’ un rimpianto, ma è una cosa con cui convivo, anche perché nessuno mi vieta di disegnare, colorare e giocare con la grafica per il mio puro piacere. Femminista credo sia più una necessità che una scelta. Se le donne non tengono per loro stesse, perché dovrebbe farlo qualcun altro? Amante dell’eros è più complicato. Quando ho iniziato a scrivere, per me stessa, un bel po’ di annetti fa, mi sono resa conto che le relazioni tra le persone erano la cosa cui continuavo a ruotare attorno, e credo che l’erotismo sia molto chiarificatore, molto eloquente, il gesto amoroso è un gesto che porta tutti i nodi al pettine. Di certo non l’unico, ma quello di cui è più divertente scrivere!
Cosa ti ha spinto ad iniziare a scrivere? Ti ricordi di che parlava il tuo primo libro?
Ho scritto per tanto tempo, sempre pensando di non esserne capace. E in fondo lo credo ancora. Al mio interno c’è una voce che mi dice di non essere pronta. Ma poi si cresce e si capisce che pronti non lo siamo mai e che a forza di tergiversare non sarei migliorata. Così ho pubblicato la mia prima storia, “Strumenti di piacere”, che univa due delle mie cose preferite al mondo: il sesso e la musica classica. Rileggendola ora la trovo così legnosa e prevedibile, fin troppo estetizzante in certi punti… ma di lì in poi, lavorando su vecchie storie e scrivendone di nuove, credo di aver iniziato un percorso di evoluzione, che ora mi sta portando a confrontarmi anche con trame più lunghe e complesse: una cosa che non avrei mai creduto di poter fare. E invece! Insomma, la pratica di certo non mi ha resa perfetta, ma mi ha fatto compiere qualche passo avanti.
L’erotico è un genere letterario a volte controverso, che attira ma allo stesso tempo è spesso al centro di facili pregiudizi. Qual è la tua opinione da autrice del genere?
La triste verità è che ci sono tanti brutti erotici in giro. Libri che sembrano quasi manuali ginnici, oppure, cosa più grave secondo me, libri triti, melensi, semplici riproposizioni di fantasie erotiche molto basilari, che mi danno sempre una sensazione un po’ triste, come se gli autori e le autrici davvero non avessero mai esplorato oltre, e si fossero fermati a quell’erotismo lì, da commedia scollacciata anni ’70. Però non dobbiamo dimenticare un’altra cosa: il genere erotico ci ha dato alcuni dei più grandi capolavori di tutti i tempi, dal divino DeSade a Henry Miller, da Anaïs Nin ad Aury, fino ad arrivare al delizioso “Porci con le ali” di Ravera e Radice, che ha descritto in modo irresistibile i turbamenti dell’adolescenza. Anche oggi penso che il genere erotico sia un ottimo tramite per abbattere gli stereotipi, se c’è la volontà di farlo.
Il tuo stile di narrazione si identifica per un linguaggio diretto, asciutto e senza fronzoli, in cui i dialoghi sono velati da un’ironia raffinata e originale. L’uso della terza persona predomina su quasi tutta la tua biografia, trasmettendo con più efficacia i messaggi offerti dalle tue storie. Una scelta stilistica precisa o semplice gusto personale?
Oggi come oggi va molto di moda la prima persona al presente, che permette nel lettore un’identificazione veloce, quasi brutale. Come lettrice io preferisco un passaggio più morbido, la possibilità di distanziarmi ed elaborare, per cui è quello che cerco di offrire anche alle mie lettrici e ai miei lettori. Poi è anche una questione anagrafica: quasi tutti i libri che ho amato erano scritti nella classica terza persona al passato remoto, di certo è la modalità che mi è più familiare. A volte scrivo in prima persona, però al presente credo di non aver scritto mai.
In quanto alla prosa, faccio quello che so fare. Ammiro chi è in grado di usare uno stile più letterario, ma vedo anche delle brutte prose pretenziose e la possibilità di finire tra questi spalatori di metafore trite mi atterrisce così tanto che preferisco non provarci nemmeno. Forse è strano per un’autrice erotica, ma credo che il mio stile sia dominato dal pudore.
Ci puoi dire cosa significa per te “trasgressione” e se al giorno d’oggi si possa ancora essere trasgressivi?
Credo che ai giorni nostri essere trasgressivi sia essere se stessi, se chi siamo non è allineato con la maggioranza favorita dalla nostra società. Ci sono persone che non hanno scelta, possono solo essere trasgressive, perché in caso contrario dovrebbero fingere di essere qualcun altro. Ma siccome ognuno di noi, almeno per certi versi, si discosta dalla norma, anche le persone più bianche, ricche, etero, cis, giovani, magre, in salute e privilegiate hanno dentro un seme di diversità, e quindi un seme di potenziale trasgressione. Farlo uscire allo scoperto non è un lavoro per fragili di cuore.
Al centro dei tuoi romanzi ci sono spesso temi di un certo spessore sulla società, come le ingiustizie, il lato oscuro di chi è al potere (come nel “Cancelliere e la ballerina”), il divario sociale tra uomini e donne, ricchi e poveri, chi è straniero e chi regolare cittadino (come in “Senza pace”) nonché le perversioni della guerra. Quanto c’è nelle tue opere di realmente vissuto (direttamente o indirettamente) e quanto è frutto di fantasia e di accurata documentazione?
In un certo senso è tutto realmente vissuto, perché noi tutti viviamo in una società spesso iniqua, quindi nessuno può dirsi davvero estraneo a queste tematiche, se non nascondendo la testa sotto la sabbia. Ma non ho mai vissuto sulla mia pelle la maggior parte delle discriminazioni più comuni, perché sono bianca e di classe media. Ho avuto una vita per certi versi irregolare, ma non mi è mai capitato di arrivare in un paese straniero tramite un passaggio illegale: come molti di noi, ho un passaporto che mi consente di andare più o meno dappertutto. Ma conosco tante persone diverse e cerco di tenermi informata leggendo riviste e giornali… credo che sia giusto parlare anche degli aspetti del nostro mondo che preferiremmo non vedere. Cerco sempre di partire da un ambiente che conosco, per poi espandere l’orizzonte. Per cui, per esempio, cerco di ambientare le mie storie in luoghi che conosco o che mi sono familiari. Non sempre è possibile e per tutto il resto c’è la documentazione. W internet!
I protagonisti maschili dei tuoi libri sono spesso imperfetti, corrotti, sporchi, a volte veri e propri criminali con storie complesse alle spalle (come in “Quello sbagliato”, oppure “Sulla parola”). Uomini da cui apparentemente è meglio stare alla larga eppure capaci di dimostrare enormi fragilità o risorse inestimabili per cui innamorarsene è facile e salvarli lo è altrettanto (come “Nel profondo”). Parli della tua fantasia di maschio ideale o c’è altro?
Uff, diciamo che il cavaliere senza macchia non solo non esiste, ma è anche molto noioso. Quasi-quasi ne sospetto un po’, nel senso che se immagino un uomo con la testa sulle spalle, affidabile, bello, mai vigliacco, mai superficiale, senza problemi e senza ferite, inizio a pensare: “Oddio, probabilmente è un serial killer”. E credo che, da un punto di vista narrativo, sia molto più interessante prendere personaggi che non sono all’altezza della situazione e sbatterli nei peggiori guai della loro vita. Vedere come se la cavano, quali risorse tirano fuori, quali errori fanno. Perché credo che sia facile immedesimarsi in persone che hanno difficoltà e problemi, in quanto, come dire… chi non ne ha?
Dalle tue storie, le protagonisti femminili emergono spesso come il centro nevralgico del cambiamento della coppia e non solo, perché forti e solide (come in “Dal fuoco”). Un’idea di donna combattiva che richiama quasi agli ideali post-femministi, come le tre sorelle Vessemer della trilogia storica di UnFit, di cui è uscito il secondo capitolo in questi giorni. Una similitudine che ti rispecchia anche come donna?
Le mie eroine rispecchiano sempre parti di me. O, se vogliamo, parti di me che vorrei fossero più sviluppate. Quindi in pratica, sì, le mie protagoniste sono quasi tutte Mary Sue, anche se cerco di limitarne e circoscriverne i “superpoteri” per farle rientrare comunque nel regno del possibile.
Le tue cover hanno uno stile preciso, richiamante più ad un design dei manifesti / locandine degli anni settanta. Le ultime produzioni stanno virando verso immagini più realistiche. Come scegli la grafica della cover? Te ne occupi personalmente?
Sì! Mi diverto moltissimo. Ho avuto diverse fasi. In un primo momento lavoravo molto con fotografie ritoccate e fotomontaggi con viraggi da pellicola anni ’70 e contrasti molto forti. Più avanti ho iniziato a inserire soluzioni più grafiche, usando sovrapposizioni e fondi omogenei per staccare con il soggetto in primo piano. Ora con “Unfit” ho deciso di usare un altro stile ancora, ispirandomi alle silhouette vittoriane (in quegli anni erano illustrazioni molto popolari) e modernizzandole con l’aggiunta di colori pastello. Lavoro tantissimo anche sulle font… ci metto giorni a scegliere quelle che poi rappresenteranno la grafica dei miei libri di quel periodo.
Hai degli autori italiani e/o stranieri che ammiri in modo particolare?
Ne ho tantissimi, a elencarli tutti ci metterei una vita. Anche perché leggo di tutto, non solo romance. La maggior parte sono autori di lingua inglese, come Janet Evanovich, che per me è un mito, o Jodi Taylor. Leggo molta fantascienza, tra i miei autori preferiti degli ultimi tempi ci sono Ian Banks e NK Jemisin. Poi sono anche molto affezionata ai classici, per cui ogni tot devo rileggermi tutte le Bronte e ovviamente Jane Austen. Tra le italiane non posso non citare le mie amichette del cuore – che lo sono perché mi sono innamorata di come scrivono – Rebecca Quasi e Amalia Frontali. Un’altra autrice che mi ha colpita moltissimo con un suo libro, e mi ha colpita perché mi ha spinta ad amare il libro anche se non è di un genere che di solito pratico, è Silvia Moro.
“Miss Black”: il nome è tutto un programma Come mai tutto questo mistero?
Le cose misteriose sono sempre le migliori. Togli quello, e che cosa resta? Una signora al suo computer che quando smette di scrivere va a fare la spesa e mutila piante pensando di potarle. E, diciamolo, essere anonima mi salva da un bel po’ di rotture di palle.
Puoi rivelarci qualche progetto a cui stai lavorando per il futuro?
Vorrei poter dire “le mie vacanze”, ma in realtà quali vacanze? Qua siamo di nuovo pieni di Covid. Per cui credo che durante l’estate lavorerò a Unfit 3 – però con calma – e almeno a un progetto contemporaneo. Nel mio futuro c’è anche una collaborazione con una piattaforma ben nota, e per un’autrice self come me lavorare con loro credo sarà… diverso. Okay, terrificante.
Grazie Amanda. Alla prossima!