DANCING IN THE DARK di Moloko Blaze

DANCING IN THE DARK di Moloko Blaze

Titolo: DANCING IN THE DARK
Autore: Moloko Blaze
Serie: Autoconclusivo
Genere: Spicy Romance
Narrazione: Prima e Terza persona
Tipo di finale:chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 23 Febbraio 2023
Editore: Self publishing

TRAMA


Quando le viene proposto di diventare la violoncellista dei Cult Of Essence, band indie folk in ascesa, capitanata dall’ambizioso frontman Eric Jordan, River Price sale su quel bus senza guardarsi indietro. In fondo, non ha nulla da perdere visto che ha già perso tutto, compresa una vaga affezione nei confronti della vita. River vive suonando per strada, le sue radici le ha recise da tempo e non ha il sogno di un futuro a cui affidarsi. Al contrario di Eric, che invece da quel futuro è tragicamente ossessionato. Un sogno che coltiva da dieci anni e che sarà il riscatto per la sua famiglia, che merita tutto ciò che lui sarà in grado di offrire con la fama e la ricchezza. E poi c’è la musica, su cui lui ha basato la sua intera esistenza, a costo di rinunciare a tutto il resto, amore compreso. Niente e nessuno dovrà frapporsi fra lui e quel futuro, nemmeno quella violoncellista prelevata dalla strada e che lo ha stregato dal primo istante. Ciò di cui Eric non tiene conto però è l’amore sconfinato che quella ragazzina a cui piace “danzare nell’oscurità” ha tutta l’intenzione di donargli, persino senza ricevere nulla in cambio.

RECENSIONE


You can’t start a fire
You can’t start a fire without a spark
This gun’s for hire
Even if we’re just dancin’ in the dark

Quante volte abbiamo ballato sulle note di questo pezzo? Probabilmente moltissime, considerando che è stato pubblicato la prima volta quasi quarant’anni fa, nel 1984. Una canzone che ha fatto la storia della musica consacrando il suo autore, Bruce Springsteen, sull’Olimpo dei più grandi musicisti di sempre. La genesi del brano fu particolarmente complessa perché nel testo Bruce espresse il profondo senso di inadeguatezza e isolamento che nutriva verso lo show business, un’amarezza che ricorreva già dal precedente successo, The River: «Più che ricco o famoso o di successo, io volevo soprattutto diventare grande» come ha detto lui stesso.
Il testo lo scrisse in una notte, esprimendo di getto tutta la frustrazione per l’imposizione della sua discografica di creare una hit. Già dalla prima strofa i suoi sentimenti divampavano cristallini: «Mi sveglio di notte e non ho niente da dire. Torno a casa la mattina, vado a dormire con la stessa sensazione. Sono solo stanco e annoiato da me stesso. Hey piccola potresti essermi d’aiuto?».

Un ritmo incalzante insieme a cui un testo disarmante che gridava voglia di autenticità in un mondo falso furono determinanti a raggiungere la vetta di tutte le maggiori classifiche di allora.

Una canzone bellissima e potente, proprio come questo libro, che ripercorre alcune tematiche che nel testo del famoso brano emergono vivide, trovando la loro massima espressione tra queste pagine appassionate: la voglia di successo, il prezzo da pagare per poterlo raggiungere, il complesso mondo dello show business con le sue insidie e patinate apparenze, la caduta nelle dipendenze per chi è troppo fragile e giovane per sopportare la pressione mediatica che ne consegue. Un effetto a catena disastroso e oggi ancora più devastante con l’avvento dei social, che spesso porta ad annullarsi, per far predominare il personaggio sull’essenza della persona.

Moloko Blaze, autrice eclettica e sperimentatrice, torna al suo pubblico con ciò che la rappresenta maggiormente, ovvero un genere di racconti profondamenti originali, in cui la chiave di lettura risiede spesso nelle complessità dell’animo umano, con l’insieme di ciò che lo rende fragile, sbagliato, controverso, spezzato e imbrigliato in tormentati conflitti interiori. Percorsi di crescita che non risparmiano nulla ai lettori ma soprattutto ai protagonisti, come avviene in queste pagine indimenticabili, intrise della passione bruciante che si scatena tra due giovani musicisti, Eric e River, uniti dalla musica ma divisi da molto altro: l’ambizione, l’insicurezza, il senso di inadeguatezza, la voglia di successo e la paura di soffrire.

«Non puoi accendere un fuoco passando il tempo a piangere sopra un cuore infranto, anche se stiamo solo danzando nell’oscurità.»

Così cantava The Boss, un inno a non farci sopraffare dal dolore o dalle emozioni negative e non permettere che queste ci controllino, proprio come accade a River, meravigliosa creatura, protagonista di questa storia.


A lei non importava ricevere affetto, ma non si faceva alcuno scrupolo a darne. River era sempre stata una di quelle ragazze un po’ ingenue nelle relazioni, poco strategiche. Ne era abbastanza consapevole, eppure non lo sentiva come un difetto, amava quella caratteristica di sé. Non aveva mai avuto paura di affezionarsi. 


River è un’anima ferita, gravata da un passato che l’ha martoriata di sensi di colpa fino a farla (quasi) annullare. Vicende che l’hanno lesionata nel profondo, anestetizzandola alle emozioni e riempendola di vulnerabilità, accuratamente nascoste agli altri. Il suo candore emotivo disorienta e confonde fino a intenerire, rendendola un personaggio sfaccettato non convenzionale e per questo di intensa autenticità. Dotata di un talento musicale innato che ammalia, quando suona è capace di trasportare in un’altra dimensione non solo sé stessa, permettendo alla musica di divenire un rifugio personale dove fondersi e proteggersi così dal mondo, ma anche chi l’ascolta.


Un cuore che sanguina è un cuore che batte. Un respiro mozzato è la vita che esplode. L’unico modo di scoprire se esisti è farti male. Farti male è l’unica strada che ti fa stare bene. L’ombra è ciò che ti fa accorgere della luce. Tu sei l’unico modo per sapere chi sono io.


Il suo violoncello le offre ricordi struggenti ma anche attimi di preziosa serenità, la stessa che sembra aver perduto per sempre. Il suono è dolce e armonico, ma anche corposo, tipico di uno strumento tanto difficile quanto affascinante, soprattutto per chi ha l’animo sensibile, proprio come lei.

Ed è proprio attraverso la musica che River prova a rimettersi in strada, facendolo in ogni modo possibile, sia metaforicamente che letteralmente, accettando di salire sul tour bus di una giovane band composta da talentuosi musicisti indie-folk:


I Cult Of Essence erano tutti carini, ma Eric Jordan aveva qualcosa che lo poneva subito sotto un altro riflettore. Aveva carisma e lo riversava quasi tutto sul palco, ma ne conservava una piccola quantità per usarlo a suo piacimento nelle situazioni che lo richiedevano.


Determinato, magnetico, ambizioso, leader naturale non solo di un gruppo di musicisti ma anche di amici che riconoscono in lui il mentore di un progetto di vita, su cui scommettere ogni attimo della loro esistenza, ogni desiderio o sogno in cui condensare i loro singoli talenti e generare una particolare alchimia.

Eric concentra in sé ogni aspetto tipico di una rockstar: la sfrontata bellezza, l’indiscusso carisma, il fisico sexy, il perfetto magnetismo da frontman e una voce graffiante e oscura. Caratteristiche che se da una parte fanno impazzire migliaia di groupies (come negare l’evidenza, d’altronde), dall’altra gli promettono di avere sempre più successo, soprattutto grazie ad una mente lucida e determinata che gli evita di cadere nelle comuni spirali di auto-distruzione, di cui spesso sono vittime protagonisti di questo calibro.

Ci troviamo stavolta davanti a un uomo adulto (seppur appena trentenne), centrato e con uno spiccato senso di responsabilità non solo per sé stesso ma anche verso gli altri, come i suoi compagni e la sua adorata famiglia, composta dal padre e dalla sorellastra Dana.

Un protagonista schietto, puro, molto lontano dal poter essere definito stereotipato:


«Continui a non rispondere, Nashville.» Lei scrollò le spalle, come se il motivo non fosse importante. «Ecco…io…io credo di aver perso un po’ la bussola.» «Per cui hai deciso di perderti ancora di più salendo sul nostro tour bus» concluse lui, come se fosse anche un suo pensiero. River non poté fare altro che interpretare quel commento come un modo per dire che entrambi erano saliti su quel bus per perdersi ancora e ancora, non avendo idea di quale fosse la loro direzione. Ma dubitava che per lui fosse davvero così. Lui sapeva benissimo cosa voleva raggiungere e i tempi in cui lo avrebbe fatto.


Due protagonisti caratterizzati in modo così originale e accurato da essere veri, credibili. Eric col suo implacabile pragmatismo e la sua solida personalità; River con la sua candida sensibilità miscelata ad arte a una confondente onestà emotiva.

Tra loro nascerà un sodalizio artistico raro e prezioso, capace di distaccarli dalla realtà e farli toccare livelli di immersione emotiva che sfiora la perfezione. Non solo da un punto di vista musicale. Emozioni così forti e sconosciute da spaventare entrambi, fino a respingersi, cercarsi, nascondersi, volersi, perdersi e disperarsi fino a farsi inghiottire in un vortice di luce e buio, vita e morte, amore e odio.


La verità era che mi spaventava la sua luce tanto quanto la sua ombra.


Un viaggio on the road stupendo e avvincente, grazie al quale il significato stesso del viaggio si estende in molte direzioni: scoprire nuove realtà e umanità, oltrepassare la propria comfort zone, allargare la mente e soprattutto crescere e maturare per conoscere meglio sé stessi, affrontando angosce, manchevolezze e sensi di colpa, in un lungo e duro percorso a ostacoli.

Viaggiare è un modo di cambiare, una trasformazione che avviene attraverso la visione di nuovi luoghi e il contatto con persone diverse. Se da una parte Eric è in viaggio per affermarsi e migliorare la propria esistenza, per River è fuga, ricerca di libertà e pace.

Dancing in the dark racchiude in sé l’eterno fascino del viaggio, con le sue molteplici accezioni, capaci di rispecchiare la vita stessa.
Vita e viaggio, effettivamente, sono forme di movimento e contengono il desiderio di cambiamento.
Il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso, che ha una funzione formativa, come accade ai due protagonisti, che impareranno a entrare in contatto con loro stessi, e ad aprire finalmente il loro cuore all’altro. Un cammino tutto in salita, spesso sull’orlo del precipizio, in bilico, soprattutto per River:


L’acqua l’aveva sempre affascinata. L’acqua era in grado di ripulire, ma anche di distruggere. L’acqua poteva far nascere una vita ma poteva anche uccidere. L’acqua di un fiume era viva, dinamica, sempre in movimento, ma correva inesorabile verso l’oceano, annullandosi in esso. River si sentiva ben rappresentata dal suo nome, si sentiva esattamente come un fiume. Il lago era diverso, più stabile, meno impervio. Più solido. River lo associava all’immagine che aveva sempre avuto di Eric.


È proprio lei che dovrà percorrere la strada più lunga, come l’acqua più inquieta e tormentata che deve attraversare strettoie e superare pendii per raggiungere la quiete del lago. È lei che evolverà maggiormente, per lasciarsi alle spalle dolore, eccessi, ingenuità, ossessioni, insicurezze, che la intrappolano in dipendenze e relazioni tossiche cercate per annullarsi e non sentire niente. Un itinerario che la porterà ad attingere alle sue risorse interne, mostrando quanto questo “pulcino” abbia in realtà più coraggio e forza di volontà di quanto non ci si aspetti.

L’autrice alterna il racconto tra la terza e la prima persona. Una scelta originale che mette in prospettiva una parte della narrazione e, simultaneamente, consente al lettore di entrare nei pensieri del protagonista maschile (solitamente tenuti nel mistero grazie al POV solo femminile) in modo diretto . Stavolta avviene diversamente: è Eric a mostrare i suoi pensieri, mentre River è più distante. Uno scambio sofisticato e ritmato a dovere tra punti di vista differenti, che amplifica la natura dei due protagonisti: la schiettezza di lui e l’oscurità di lei.


L’aveva intitolata “Dark River”, e ora lei gli avrebbe dimostrato quanto oscuro fosse il fiume che lo avrebbe travolto. Cominciò a muoversi sinuosa come una sirena, lentamente ma accogliendolo fino in fondo, fino a farsi male. Fino a fare male. Voleva entrare in lui, così come lui era entrato in lei, nel suo ventre, nei suoi occhi, nel suo cuore. Si era piantato lì al centro del petto, come un seme. Ne era cresciuta una pianta che le aveva donato una nuova linfa vitale. Era così che si sentiva quando faceva l’amore con lui. L’atterriva e la galvanizzava contemporaneamente, due estremità che escludevano qualsiasi via di mezzo. 


L’autrice, Moloko Blaze, conferma con questa uscita il suo profondo legame con la musica, di cui è una grande conoscitrice e che trasmette con amore incondizionato ai suoi lettori. Già in altre sue precedenti opere, come Playing Time, era chiaro quanto la musica fosse connessa all’atmosfera della storia, come a ricreare ogni volta il perfetto scenario per i suoi protagonisti.

È grazie alla musica che si creano incontri, intrecciano sguardi, generano emozioni in un scadenzato fluire di parole e sonorità magnifiche, quelle dei Cult of Essence, in cui Eric e River troveranno il loro palcoscenico, grazie anche a canzoni scritte in modo autentico e convincente, tanto da poter essere composte in musica.


River si lasciò sfuggire un sorriso amaro. Avevano un altro brano, parole e parole emergevano come piante su un campo seminato. Raccoglievano i suoi frutti, li rendevano presentabili, li lucidavano per la vendita. Davano al mondo qualcosa che all’inizio era sottoterra, al buio. Davano al mondo buona parte di loro stessi, consapevoli di aver costruito qualcosa in continua crescita, una creatura viva che di giorno in giorno regalava un ramo, un fiore. Un’idea. Insieme a Eric le veniva tutto facile, anche vivere.


Un aspetto importante è rappresentato dalla folta schiera di personaggi comprimari, molto interessanti e soprattutto ben assortiti: i membri della band, ognuno con le sue manie/debolezze/diversità; il manager Brian; la seducente e velenosa promoter Sandra; il pusher Rubens; l’antagonista Kenneth, leader della band rivale; i familiari dei protagonisti fino all’autista – bodyguard Phil.

Ognuno di loro è perfettamente delineato e collocato per funzionare a dovere come fosse un elemento di un’orchestra, che per rendere al meglio deve entrare in sintonia l’uno con l’altro. Un esercizio perfetto che crea le basi per offrire ai protagonisti il loro percorso individuale, e calibrare al meglio luci e ombre sul palco e dare ad ogni scena la perfetta atmosfera.

Ognuno ha un ruolo designato, nessuno esce o entra dalla scena in modo improprio, grazie all’esperta conduzione di una regista impeccabile, che non lascia nulla al caso.


Non mi sarei mai liberato del sogno di lei. Mi sarebbe rimasto incollato all’anima come una canzone, una lacrima invisibile che avrebbe solleticato il mio cuore per sempre. Un cuore che per molto tempo avevo creduto inutilizzabile.


Quanta voglia di vita si intesse in queste pagine, che richiamano con forza le parole del brano che le ha ispirate: per accendere un fuoco serve una scintilla.

Una lettura che travolge e convince facendo riflettere sull’importanza di avere una passione nella propria vita per qualcosa, qualsiasi cosa che possa accendere il fuoco della gioia e mantenere viva la speranza di farcela, nonostante tutto, pur muovendosi nel buio.

Si parla anche di “fame” e della necessità, a volte, di avere una “reazione d’amore”, adducendo al bisogno di connessione e intimità, non solo in ambito romantico, ma anche nel trovare qualcuno che ci capisca a un livello più profondo. Un viaggio in cui ritrovare se stessi, come accade tra Eric e River, che impareranno a uscire dall’oscurità insieme, dopo aver iniziato ad amarsi in silenzio, di nascosto, dietro una tenda, nel buio di una cuccetta sospesa sulla strada, tra promesse infrante e sogni da avverare.


Ho deciso di farmi trascinare dalla corrente.

Insieme a te.

Ho paura dell’acqua scura.

Ma è bello avere paura. Insieme a te.


Dancing in the dark, letteralmente “ballando col buio”, è una storia graffiante, a tratti cruda ma di una profondità emotiva che spiazza.

Una storia d’amore meravigliosa come una canzone indimenticabile, una di quelle che restano in testa e tatuano l’anima. Sensazioni forti come una corsa a perdifiato, verso il successo o per riconnettersi alla vita, su un bus che sfreccia sull’asfalto senza fermarsi, all’inseguimento di desideri da raggiungere, priorità da rivedere, cuori da salvare.

Tra cadute, risalite, rincorse e attese Moloko Blaze racconta la vita, scrivendo una delle sue storie più belle e intense.

Chapeau.

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PLAYING LOVE di Moloko Blaze

PLAYING LOVE di Moloko Blaze

Titolo: Playing love
Autore: Moloko Blaze
Serie: autoconclusivo
Genere: Hot Contemporary Romance
Narrazione: POV singolo (Jolene)
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 Ottobre 2021
Editore: Self Publishing

TRAMA


Quando Jolene Davis, giovanissima vedova di venticinque anni dai modi alquanto ruvidi, chiede a Rhys Aglukark, l’aitante fotografo dello star system proveniente da New York, di farle delle foto per un appuntamento al buio, non avrebbe mai creduto di finire dentro a un vortice di passione e di sensualità. In poco tempo, si innamora perdutamente di quell’uomo misterioso e sfrontato, che pare trovarla bella nonostante la cicatrice che le deturpa il volto e che le ha fatto perdere fiducia negli uomini. Sembra tutto perfetto fino a quando non si scoprono le carte nel complicato gioco dei sentimenti, fino a quando questo gioco non diventa un massacro. Un avventuroso viaggio in completa solitudine a bordo di un camper, porterà Jolene a riconquistare quella forza e quella consapevolezza per essere di nuovo padrona della sua vita.
Da una prima parte ambientata sulle montagne del Vermont a una seconda on the road per gli Stati Uniti, Rhys e Jolene si scopriranno semplici compagni di giochi e poi amanti, ossessionati l’uno dall’altra. In Playing Love non mancano sensualità, passione, avventura e soprattutto… amore, quello che può far bene ma anche molto male, quello che però è anche in grado di condurre i due protagonisti in un luogo che possono finalmente considerare “casa”.


RECENSIONE

Playing love”, ovvero letteralmente giocare all’amore. Due parole apparentemente semplici da comprendere ma che in verità nascondono un fitto intreccio di significati.

Quali? Difficile rispondere in poche righe perchè stavolta Moloko Blaze ha superato i canonici confini del genere erotico per espandersi verso sfumature dalle tonalità di un rosa davvero intenso, offrendo un romanzo difficilmente etichettabile e che grazie ad una trama ricercata ed originale affronta con magistrale bravura tematiche emotivamente complesse. Una dislocazione di genere particolarmente interessante che non disorienta ma anzi libera il lettore da comuni stereotipi, rendendolo testimone privilegiato di un romanzo straordinario e potente.

Un’esperienza in cui ci si perde fin dalle prime pagine per ritrovarsi nello strato più profondo dell’anima fino a trovarsi travolti da un susseguirsi di emozioni contrastanti: la riscoperta della passione, la rabbia verso sé stessi, la rinascita di un sentimento, il senso dell’abbandono, la tristezza del fallimento, la meraviglia di sentirsi amati, la paura di soffrire, il terrore di fidarsi. Scenari che alternano luce e ombra e su cui predomina sovrana l’abbagliante bellezza di una struggente storia di amore che una volta letta è difficile lasciare andare.


Le uniche differenze che avevo riscontrato rispetto ai soliti turisti erano che fosse un nativo americano con scurissimi capelli lunghi e la pelle terrosa, che avesse un aspetto a dir poco attraente e che fosse piuttosto giovane.


Rhys Aglukark, 35 anni, fotografo. Misterioso, affascinante, di un’intrigante bellezza dai tratti esotici tale da divenire uno dei protagonsti maschili più intensi e autentici conosciuti negli anni. Un uomo dagli “occhi antichi”, ricco di anima ed di esperienze, tratteggiato ad arte dalla penna di questa autrice che per lui non si è risparmiata nulla, delineandone ogni sguardo e dettaglio fino a far percepire al lettore il suo profumo “terroso”. Una personalità solida, capace di trasmettere sicurezza e quella assertiva consapevolezza propria di chi della vita ha voluto sperimentato tutto, forse fin troppo, e che ha fatto del controllo un’attitudine personale.


«Io sono Jolene. Ma tutti mi chiamano Joy.» Non specificai il fatto che mi chiamavano “Joy”, Gioia, in modo ironico visto che sorridevo raramente e parlavo poco.


Jolene, 25 anni. Una vita vissuta a metà, tra un passato da espiare e un futuro inesistente. Schiva, riservata, scontrosa, indipendente e troppo ferita per concedersi agli altri, troppo insicura per vivere davvero. Giovanissima sposa e giovane vedova, acerba nelle esperienze di vita ma troppo matura per aver già conosciuto il dolore grazie ad un marito violento e carnefice, capace di annullarla come donna e privarla della sua giovinezza. Jolene, una sopravvissuta resiliente e combattiva, una protagonista femminile straordinaria in cerca di riscatto ma imprigionata dai sensi di colpa con un corpo, un cuore e una faccia divisi a metà.


Aveva ragione lui, mi ero sentita libera per la prima volta in vita mia. Libera di dire di no, libera dalle responsabilità, libera dal perbenismo che mi inchiodava in una vita da vedova senza futuro. Mi ero sentita di nuovo una donna, non una ragazzina violata. Rhys mi guardava dall’alto della sua statura, potevo avvertire il calore emanato dal suo corpo tanto era vicino al mio.


Per quanto si possa aver paura di fidarsi ancora, di meritarsi un futuro, per quanto si possa aver sofferto, a volte l’incontro con qualcuno segna l’inizio di una resa, lanciando minime ma inconfondibili avvisaglie che sarà l’istinto a prevaricare sulle nostre scelte, e farci percepire anche il più piccolo richiamo a quel risveglio desiderato. Sensazioni così primordiali e potenti da farci immaginare liberi dalle catene, e creare una crepa nella più spessa delle corazze.

Una storia di rinascita toccante al cui centro c’è Jolene, che racconta in prima persona la sua voglia di vita, le sue paure e soprattutto quell’inconsapevole desiderio di sentirsi ancora giovane e riprendersi quando tolto.


Mi guardò per un attimo infinito e io fui certa che da quel momento in avanti il tempo e lo spazio avrebbero perso ogni concretezza in sua presenza. E che avrei misurato tutto in funzione di lui. Rhys Aglukark, l’artista della mia immagine, lo scultore del mio corpo, il paziente artigiano della mia femminilità.


Un percorso tortuoso in cui a farle da coraggioso pigmalione sarà Rhys, che le farà riscoprire la femminilità perduta mediante l’arte della fotografia in un gioco di visioni e percezioni capaci di riaccendere la fiamma del piacere di guardarsi ed essere guardata da chi è capace di vedere al di là di un viso a metà. Un’esperienza educativa che li connetterà intimamente e sentimentalmente ma che non basterà perché per superare convinzioni e paure troppo invalidanti occorre andare oltre i limiti conosciuti e sperimentare altro, quanto ci è sconosciuto per crescere, cadere e rialzarsi.

Una scelta coraggiosa che Jolene affronta con un viaggio on the road appassionante ambientato nelle strade dell’America più vera, dal Vermont, al North Carolina, Texas, Utah fino in California. Un’avventura in cui ogni miglio le regalerà momenti di vita negati e che ribalterà gli equilibri tra lei e Rhys, a conferma di quanto l’autrice ami mettere in discussione le certezze dei suoi personaggi, sempre indiscutibilmente così autentici da toccare nel profondo, proprio perché imperfetti e quanto più lontani dall’essere accomunati a facili stereotipi.

Un libro in due parti che richiama un ricorrente dualismo che si dipana a più livelli: una faccia a metà, la zucca Missy ammaccata dura fuori ma dolce dentro, l’essere lupo o agnello, vittima o carnefice, l’ambientazione della metropoli in cui perdersi e quella pervasa dalla natura in cui ritrovarsi, in un complesso intreccio che rende “Playing love” un romanzo davvero indimenticabile perché in grado di celebrare l’amore più istintivo e primordiale, anche verso sé stessi, in un lungo viaggio che riporti a casa.

Come accaduto per le precedenti opere, ovvero “The Undressed Series” e “Playing time”, l’autrice predilige il POV della protagonista femminile, lasciando volutamente più nel mistero quello maschile, a rimarcare il potere e il fascino dell’immaginazione. Un’accurata selezione musicale ricorda l’altro marchio di fabbrica di Moloko Blaze, che per questo libro ha scelto sonorità retrò tra Elvis Presley e Jhonny Cash, senza dimenticare la mitica Dolly Parton, con la sua “Jolene”.

L’epilogo raccontato in terza persona è la ciliegina sulla torta, che nobilita un finale impeccabile consegnato al lettore come un regalo, dotato di un perfetto distacco emotivo ma tale da far entrare la storia nell’anima di chi lo leggerà.
Jolene toccherà il cuore di moltissime donne che come lei sono in cerca di riscatto, che vogliono riappropriarsi di un tempo perduto o semplicemente di una vita diversa. Mi piace pensare che saremo tutte “Jolene” per un giorno, perché in lei è racchiuso un pezzetto di ogni donna.

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