Intervista a Rebecca Quasi
Tanto riservata quanto amatissima, protagonista di questa intervista esclusiva Rebecca Quasi.
Un’autrice italiana nota per il suo talento intenso e raffinato che in pochi anni dalla sua prima pubblicazione, circa dieci anni fa, ha raggiunto un seguito di lettori fedelissimi, che aspettano ogni suo libro con grande trepidazione.
Un successo dettato da una molteplicità di fattori, in primis l’innata bravura di raccontare storie ordinarie con l’abilità straordinaria di nobilitare il percorso dell’evoluzione dei sentimenti, tramite l’uso magistrale della parola e dialoghi spassosi e acuminati.
In occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo, “Entropia”, Rebecca ci ha concesso una chiacchierata per conoscerla meglio, scoprendo lati nascosti e dettagli personali che ce la fanno amare ancora di più.
Ecco cosa ci ha raccontato.

Come è nata la decisione di scrivere e come poi si è tradotta nel concreto? Ricordi il titolo del tuo primo libro?
Eh, non lo so. Ho sempre scritto, fin da piccola. In modo discontinuo e poco organico, ma ho sempre avuto storie in testa che mi piaceva raccontarmi. La decisione di pubblicare è nata per caso scoprendo che esisteva il self publishing. La prima persona che ho contattato per avere delucidazioni sul self è stata Miss Black, avevo letto alcuni suoi libri, avevo messo a fuoco che erano self e così le ho chiesto lumi. Lei è stata di una gentilezza e di una disponibilità senza paragoni. Il primo libro che ho pubblicato si intitola “Dimmi di noi”, è un libro molto vecchio che scrissi più di dieci anni fa.
Quanto ha contato nel provarci il supporto di chi ti ha sostenuto ? Ci sono state porte sbattute in faccia, rifiuti e critiche che ti sono servite per migliorare o al contrario che ti hanno abbattuta ?
Come autrice self i lettori, i lettori beta e gli altri autori self che ho incontrato sono il mio supporto. In gioventù, quando non c’era il self, inviai qualche manoscritto alle case editrici, non mi hanno mai risposto, mai, nemmeno una riga per dirmi che il mio lavoro non rientrava nelle loro linee editoriali. Recentemente ho collaborato con due case editrici ma sono stati loro a contattarmi, si tratta di case editrici digitali. L’esperienza è stata formativa, ma mi ha fatto capire che preferisco il self.
Avendo sperimentato con la scrittura sia il contemporaneo che lo storico, a quale genere ti senti più affine come autrice ? E come lettrice?
Come lettrice mi sento senz’altro più affine allo storico, quando leggo mi piace viaggiare il più lontano possibile, sia nel tempo che nello spazio. Mi piace immedesimarmi in culture diverse, abitudini e stili di vita sorpassati. Quando scrivo trovo più facile raccontare ciò che mi è vicino che vedo e sento ogni giorno, però l’attrazione verso gli storici è irresistibile per cui di tanto in tanto mi lascio sedurre.
Se dovessi scegliere tre aggettivi per definirti quali sarebbero?
Pigra, riservata, romantica.
Cosa ti sentiresti di consigliare ad un giovane autore emergente che cerca di farsi conoscere nel mondo dell’editoria?
Non credo di essere nella posizione per dare consigli. Mi sono buttata nel mondo del self publishing senza pianificare nulla con la consapevolezza di essere la prima spettatrice di me stessa. Di lavoro faccio altro, sono un’insegnate, per cui non avevo nemmeno aspettative economiche rispetto a questa avventura. Mi sento di dire solo una cosa: regalate i vostri libri, spesso e volentieri.
Nei tuoi romanzi l’ironia è sempre parte di dialoghi pungenti. Ti definiresti una persona ironica anche nella vita o dotata di autoironia?
Cerco di prendere le cose con leggerezza, quando è possibile, e di sorridere.
I tuoi personaggi maschili sono spesso caratterizzati da una certa imperturbabilità, che maschera a volte fragilità nascoste. C’è una ragione precisa in questa scelta? Hai un prototipo di uomo a cui ti ispiri per i tuoi romanzi?
Non c’è un archetipo ideale a cui faccio riferimento. Mi sforzo di adattare il personaggio al ruolo e al contesto. Anche se scrivo storie di fantasia, mi piace che siano convincenti e verosimili, non è detto che ci riesca, ma è questo il mio intento per cui sto alla larga da uomini che reputo troppo ‘estremi’ per essere credibili.
Il tuo ultimo romanzo “Entropia” mette al centro quanto le relazioni siano state messe alla prova durante questa pandemia, suggerendo una profonda riflessione sulle dinamiche di coppia. Una scelta accurata per offrire un messaggio preciso? Hai avuto esperienze dirette o indirette che ti hanno fatto riflettere?
La pandemia mi ha donato momenti molto belli in famiglia. Dico sempre che ha strappato qualche mese in più all’infanzia delle mie figlie, ma anche così ha stravolto la vita di tutti, ha sovvertito le nostre abitudini e ha messo a dura prova la nostra psiche.
In ambito narrativo non ho resistito a non usare la pandemia come leva per far detonare una situazione silente che aspettava solo l’innesco adatto.
Le donne protagoniste dei tuoi romanzi sono spesso inconsapevolmente dotate di grande fascino. Qual è il tuo concetto di femminilità?
Non ho un modello univoco. Una cosa che trovo irrinunciabile però è la sicurezza in se stesse, i miei personaggi o ce l’hanno di serie o la conquistano strada facendo.
Le ambientazioni dei tuoi romanzi sono spesso incentrate su realtà di provincia italiane. Trovi maggiore ispirazione in luoghi di questo tipo perché li conosci meglio?
Sì, è così. Non posso proprio scrivere una storia di cui non sia padrona dell’atmosfera. Credo che l’atmosfera, di cui l’autore deve essere intimo conoscitore, giochi un ruolo fondamentale nel rendere credibile e avvincente la storia.
I nomi e cognomi dei tuoi personaggi sono spesso originali. E’ una scelta che fai ispirandoti anche a persone che hai conosciuto direttamente o indirettamente, oltre che usando la fantasia?
La maggior parte dei nomi sono presi dalle visite al cimitero.
C’è un romanzo a cui sei affezionata in modo diverso dagli altri?
“Didattica del sesso per gufi e zanzare” lo amo in modo particolare. Inizia in un luogo che per me è molto importante.
Hai qualche autore / autrice che ammiri particolarmente?
Tantissimi, tra gli stranieri Anne Tyler, una scrittrice americana che racconta il quotidiano con una delicatezza e una pacatezza che mi lasciano sempre senza fiato.
Tra gli italiani seguo con interesse il giallista Marco Malvaldi, i delitti del “Bar Lume” sono tra le storie più divertenti che abbia letto recentemente.
Nella mia avventura di scrittura ho avuto il privilegio di leggere e conoscere di persona alcune autrici con le quali ho istaurato un bel rapporto di amicizia: Amalia Frontali, con cui sto scrivendo a quattro mani, Marilena Boccola, Bianca Marconero, Anita Sessa, Laura Nottari e Paola Garbarino.
Hai un genere che vorresti ancora approcciare, per curiosità o altro motivo?
Da tempo ho la voglia e la curiosità di cimentarmi con un giallo. Non so se lo farò, scrivere gialli presuppone avere un rigore che a me manca.
Ci puoi anticipare qualcosa su progetti futuri a cui stai lavorando?
Dopo “Entropia” lavorerò a un progetto in collaborazione con KOBO e contemporaneamente porterò avanti, insieme ad Amalia Frontali, il terzo volume della nostra Belle Époque. Stiamo scrivendo la storia di Ernest, il fidanzato di Ina conosciuto in “Centro”.
Grazie Rebecca.