Intervista a Anna Chillon

Intervista a Anna Chillon

Difficile definire questa autrice perché le sue non sono solo storie ma coinvolgenti viaggi nell’animo umano in cui esplorare limiti e confini da oltrepassare, siano essi costituiti di tempo, spazio, valori per cui vivere, libertà da raggiungere o dimensioni da conoscere.

Un’osservatrice fuori del comune, dallo stile autoriale magnifico e intenso che le ha permesso di distinguersi nel panorama del self italiano e che abbiamo il piacere di avere come “Special Guest” del blog. Conoscerla meglio è stato un onore per cui vi proponiamo questa interessante chiacchierata che abbiamo fatto con lei, in cui ci racconta un po’ più di sé (e ammettiamo che la ammiriamo ancora di più!).

Curiosi? Scoprite cosa ci ha detto in esclusiva, in occasione della sua recente uscita col nuovo romanzo “Falling Down – L’Educatore”.

Anna Chillon

Se dovessi definirti come persona con tre aggettivi, quali sarebbero?

Sognatrice, timida, creatrice.

Qual è il titolo del primo libro che hai scritto?

“Alakim. Luce dalle Tenebre” è stato il primo romanzo.

Quando hai iniziato a scrivere?

Fin da ragazzina, diari e storie, ma la stesura del mio primo vero romanzo è avvenuta nel 2011.

Il tuo ultimo romanzo “Falling Down – L’Educatore” è un libro che oltrepassa i confini del puro romance, trasportando il lettore in un viaggio introspettivo particolarmente coinvolgente che tocca temi importanti come il senso di colpa, l’espiazione, il perdono fino a porsi domande sul senso della vita. Una storia difficile da catalogare. Come ti è venuta l’ispirazione per questo romanzo?

L’ispirazione è una cosa strana, nel mio caso si presenta sotto forma di stralci di immagini che mi balenano alla mente, intorno ai quali cerco di costruire un’intera storia.

Prima di cominciare quest’ultimo romanzo, volevo scrivere una storia leggera, romantica, per il grande pubblico, poi ho letto quel vecchio incipit che si svolgeva in cima al grattacielo e dei flash hanno iniziato a gironzolarmi per la testa. Non sono riuscita a stabilire una traccia dettagliata, ho dovuto scoprire strada facendo come arrivare a quelle scene. Del resto mi accade così ogni volta.

È come se mi venisse lanciato un amo e qualcuno mi dicesse: “Vieni, vieni a vedere cosa c’è nascosto qui”. E quel “qui” significa dentro di me.

Nel caso di Falling Down sono stata portata a compiere un viaggio nei miei sensi di colpa, nelle mie ferite e nella rinascita che sto vivendo fin da quel fatidico 2011.

Parliamo dei tuoi personaggi maschili, accomunati spesso da tratti duri, quasi manipolatori che però nei romanzi evolvono o si svelano con animo diverso, quasi fragile, che sono messi a dura prova da figure femminili tanto giovani quanto in grado di stupire e lottare. Qual è la tua idea di mascolinità e quale di femminilità?

Nelle storie amo l’idea più stereotipata possibile: Kahl Drogo e Danaerys, Achille e Briseide, l’archetipo del guerriero e dell’amante. È una combinazione che nella mia immaginazione risveglia l’energia dell’eros.

Anche nella realtà apprezzo un femminile fine, delicato, elegante, comprensivo, accogliente, e un mascolino rude, penetrante, impositivo, deciso, protettivo. Considero tuttavia questi tratti complementari come manifestazione esteriore di un’unica energia che si esprime in modo duale, perché qui sulla Terra tutto si esprime attraverso la dualità.

Ciò non esclude che ogni femminile (yin) presenti delle caratteristiche maschili (yang) e viceversa, in fondo ciascuno di noi è un essere completo. Trovato il nostro equilibrio, potremmo anche bastare a noi stessi… ma perché accontentarsi quando ci si può attrarre e incastrare così bene?

Nella quadrilogia di “Alakim” non c’è una netta divisione tra bene e male. Come è nata l’idea di protagonisti angeli così trasgressivi e dallo spiccato lato oscuro?

Non c’è una netta divisione perché penso che non ci sia neppure nella vita reale. Considera che la serie Alakim, pur essendo fantasy/paranormal, per ciò che riguarda la sfera dell’emotività umana è molto concreta. Quando ho scritto il primo volume era il momento della letteratura dedicata ai vampiri, ebbene Alakim in principio ha rischiato di essere un vampiro, poi un leader di un popolo del sottosuolo, finché è diventato qualcosa che aveva a che fare con concetti appartenenti al mio passato (compreso il concetto di fede) e che quindi poteva permettermi di affrontare un viaggio più profondo.

Alakim ha dato voce al mio bisogno di guardare al buio, quando mi era stato sempre insegnato a fuggirlo e a temerlo. Nascosto in un paranormal, con l’avanzare dei volumi ho sviscerato concetti che nell’ultimo capitolo mi hanno portato faccia a faccia con il male assoluto in un percorso completo e, non ci crederai, ma mi sono immersa a tal punto da compiere un tangibile cambiamento personale.

Per concludere, è assai probabile che questa mia tendenza a ricercare personaggi oscuri sia semplicemente un modo per esplorare l’ombra dentro di me.

La protagonista femminile di Alakim è molto combattuta tra il cedere ai propri istinti e il seguire le convenzioni. Parlaci della tua opinione al riguardo.

Nicole affronta una lotta che compiamo in molti: uscire da tutta una serie di consuetudini e preconcetti che ci hanno insegnato a osservare fin da bambini. In questi termini, cedere all’istinto significa compiere un forte atto di volontà, e Nicole non si accontenta di compierlo per rompere le convenzioni al fine di seguire quella che sente essere la propria strada. Lei guarda in faccia all’oscurità, arriva a dialogare con il male puro (a proposito della risposta precedente) e ci si immerge liberando una a una tutte le paure, pur di riuscire a raggiungere una comprensione indispensabile per accedere alla luce.

Mi sto facendo ripetitiva, ma Alakim, tra righe di erotismo e lotte all’ultimo sangue, alla fine per me è questo. Proprio come dice il titolo del primo romanzo: un viaggio nelle tenebre dentro noi stessi, ossia quello che siamo venuti a compiere per abbracciare la dualità e prendere coscienza del nostro essere, che è luce.

Cosa pensi della trasgressione in genere e della difficoltà a volte di essere sé stessi in relazione all’immagine comunemente accettata dalla società che ognuno dovrebbe mostrare?

Tutte semplici queste domande, eh? … Una di riserva? Tipo qual è il tuo piatto preferito?

Ammettilo che vuoi farmi dire cose scomode. Scherzi a parte, sarò sincera. Penso che la società non sia altro che lo specchio che ci viene posto davanti per spingerci a capire chi siamo. I giudizi altrui servono a stimolare le nostre paure, sollecitare le nostre ferite, affinché possiamo acquisirne consapevolezza (si torna sempre lì) e liberarcene. In pratica ciò che vediamo come ostacolo alla nostra felicità ci sta offrendo invece un grande servigio. L’errore più grande è conformarsi per fingersi degni della società, questo è il modo più sicuro per ingabbiarci da soli.

Combattere le aspettative e l’ipocrisia del sistema è difficile, ma prenderne coscienza è già un buon modo per cominciare a difendersi. Possiamo iniziare a renderci conto di come “la società” sia un giochino che funziona alla perfezione, svelarne il meccanismo… e arrivare a sorriderne. Sì, proprio a riderne, come se fosse nulla di più di uno spettacolino da teatro. Qui mi fermo per non andare oltre affermando cose ancora troppo impopolari, mi permetto solo di chiudere usando le parole di Alakim:

«Di quali limiti parli? Esistono solo quelli che ti imponi.»

«La paure sono un frutto della mente umana e la sfiducia in se stessi è il loro concime. Quando ti renderai conto che puoi fare ciò che vuoi e che una scelta non è mai esclusivamente giusta o sbagliata, ma deve essere sempre e soltanto una tua scelta, le paure si dissolveranno come spettri alla luce.»

Credi negli angeli?

.. Quanto tempo ho a disposizione? O forse dovrei dire quante righe.

La farò brevissima: penso che ci siano una quantità di creature che non possiamo nemmeno immaginare, angeli compresi. Ci credo fermamente, solo che ne ho una concezione “un po’ diversa” dalle comuni credenze.

Nella trilogia delle “Pietre preziose” il filo conduttore è la lotta al superamento della morale comune mediante la scoperta di sentimenti forti, amori contrastati, perfino proibiti, con grandi ostacoli da superare come la differenza anagrafica, la disabilità, il grado di esperienza in una cornice dove l’eros spicca sovrano. Credi che l’intensità di un sentimento si amplifichi con distanze da colmare?

No, credo che l’intensità di un sentimento dettato dal cuore non consideri distanze, sesso, morale e cose simili, ma al contempo penso che la presenza di un grande divario renda la storia più interessante da raccontare. Io stessa, come lettrice, in un romanzo voglio essere chiamata a lottare per la sopravvivenza, per la vittoria o per l’amore; voglio vivere la parabola dell’eroe insieme al protagonista.

C’è chi vuole farsi accarezzare da un libro, io voglio essere shakerata.

In quali libri che hai scritto hai più sofferto e in quali ti sei identificata maggiormente?

Alakim, e sempre Alakim. Non nascondo che Falling Down mi abbia fatto compiere un bel viaggio all’esplorazione delle mie ferite, ma Alakim ha accompagnato il mio viaggio interiore ed esteriore riflettendo un cambiamento radicale di vita, di credenze e di obiettivi. In quella serie ho messo tutta me stessa… si era già capito?

Ad oggi hai scritto solo un romanzo storico che spicca per un erotismo sensuale: un esperimento che rifarai? Se sì, scriverai il seguito (tanto atteso)?

Lo ammetto, ci sto pensando da tanto tempo… troppo.

Sei un’autrice molto versatile che ti piace sperimentare: che generi preferisci e quale ti piacerebbe ancora scrivere?

Vado a periodi, in genere per la maggior parte del tempo preferisco leggere romanzi di genere urban-fantasy.

Mi piacerebbe però cimentarmi nella scrittura di un dark romance puro con un personaggio maschile che sia un bastardo tra i bastardi e che non si smentisca mai… chissà. So che in molti storcerebbero il naso, ma sarà quel che dev’essere, io ormai ho rinunciato a cercare di impormi una strada. Provo a farmi trasportare da calesse, cocchiere e cavalli, e a godermi il paesaggio.

Come nasce l’idea di una storia?

Mi isolo, metto le cuffie con un brano suggestivo, apro il file dove raccolgo le idee, comincio a fantasticare e visualizzo una scena in attesa di sentire una piccola scintilla. Quando la trovo può essere che si esaurisca subito, come può essere che la mia mente continui a tornarci da sola. Se accade significa che ho trovato il romanzo da scrivere, e lì viene la parte più difficile per me: la traccia.

Per quanto ci provi, non riesco mai a impormi una traccia dettagliata. L’ultima volta, dopo una decina di giorni di tentativi, ho optato per un filo conduttore sommario e mi sono buttata. In pratica, per molti versi, quel che accade nei miei romanzi è una sorpresa anche per me.

C’è prima molta ricerca da cui trarre ispirazione o viceversa?

No, all’inizio ci sono solo fantasia e sospiri. La ricerca più approfondita avviene in corso d’opera, in base alle informazioni scientifiche, storiche o di qualunque altra natura, di cui abbia necessità sul momento.

Quali autori ammiri particolarmente e quali ti hanno ispirata?

Per Laurell K. Hamilton ho una venerazione particolare perché è stato leggendo la sua serie su Anita Blake che ho cominciato a desiderare di scrivere una serie mia, quindi a lei va il merito di avermi ispirato in tal senso. L’atmosfera delle sue pagine, la sensualità dei suoi vampiri e licantropi, mi hanno lasciato il segno. Peccato che al venticinquesimo volume abbiano smesso di tradurla!

Puoi anticiparci qualche progetto a cui stai lavorando?

Magari. Di progetti ne ho molti, tutti fermi a livello astratto: un prequel di Alakim su “Muriel”, un secondo volumetto per “Nobili Parole, nobili abusi”, un dark romance fermo alla cinquantesima pagina, e altri ancora.

In questo momento ho bisogno di creare qualcosa di più materiale, perciò mi sto dedicando al macramè… sperando nel frattempo di essere folgorata da una nuova idea per un romanzo.

In sostanza sto ricaricando le batterie.

… E da gennaio si ricomincia!


Grazie Anna.