VYNNYKI BAZAR di Massimiliano Alberti

VYNNYKI BAZAR di Massimiliano Alberti

Titolo: Vynnyki Bazar
Autore: Massimiliano Alberti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 16 dicembre 2022
Editore: Infinito Edizioni

TRAMA


Il Vynnykivskyi bazar è uno dei dodici mercati di Leopoli. Qui Oleh trascorre la sua infanzia aiutando i genitori al banco di frutta e verdura di famiglia. Fra quelle baracche di legno crescono anche Arseniy, Carpa e Mariya. Diventato adulto, Arseniy fa di tutto per imbarcarsi su una nave il cui equipaggio è dedito alla difesa dei cetacei attorno alle isole Fær Øer. Mariya supera l’esame per una borsa di studio che la porta a trasferirsi a Trieste. Se la massima aspirazione di Carpa è continuare a lavorare al bazar, per Oleh invece lasciare quelle mura diventa una sfida con se stesso fino a rendersi conto che l’unica via d’uscita è di darsi da fare sui libri. Ma il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina e qualcosa per loro e per la storia cambia per sempre.

RECENSIONE


È nel mese di dicembre che ho avuto l’occasione di assistere alla presentazione del terzo libro di Massimiliano Alberti che riesce sempre a vestire i suoi lavori con copertine particolari che catturano immediatamente la mia curiosità. 

Un titolo altrettanto insolito che subito fa immaginare un’ambientazione lontana, chissà se solo nello spazio o anche nel tempo mi sono chiesta. 

La lettura poi mi ha portata a considerare che il Vynnyki Bazar lo è in entrambi i casi. 

Un luogo e un tempo che diventano palcoscenico su cui mettere in scena un tema caro a questo autore e cioè la difficoltà di crescere e da cui il lettore trae un’ implicita riflessione: vivere richiede una certa dose di coraggio. 

Massimiliano Alberti con il garbo e la malinconica dolcezza che caratterizzano le sue narrazioni, racconta anche l’altra faccia della medaglia e cioè che avere coraggio implica avere anche paura. 

La paura di crescere, di cambiare, di restare indietro, di non farcela. 

Emozioni contrastanti, che incalzano soprattutto durante il passaggio all’età adulta, di cui l’autore ci narra attraverso le vicende del giovane Oleh e dei suoi amici tutti cresciuti nel contesto del Vynnyki Bazar, uno dei tanti mercati di Leopoli in Ucraina. 

Ragazzi che si trovano a sperimentare ognuno a modo proprio il difficile compito di diventare grandi e in qualche modo affrancarsi da un’esistenza fatta di contorni spesso ruvidi. 

Come è solito fare, questo autore racconta in particolare i turbamenti, le domande, i dubbi e le ribellioni dell’adolescenza, con una capacità narrativa che ha un sapore familiare e che mi fa sempre tornare indietro nel tempo, con un misto di nostalgia. 

Oleh, Arsiny, Marya e Carpa sembrano avere un destino già segnato come può esserlo quello di coloro che non nascono negli agi ma in un contesto più duro come quello che dà il titolo al romanzo, descritto con grande attenzione e cura di particolari. 

È un’ambientazione questa che il lettore “sente” oltre che immaginare, sicuramente a causa della attuale guerra in corso in territorio ucraino, ma a mio avviso anche e soprattutto grazie alla capacità stilistica dell’autore che con uno stile semplice e diretto trasporta il lettore all’interno di questo luogo come fosse una dimensione.  

Il Vynnyki Bazar infatti non è solo un mercato, un posto in cui lavorare o un’ambientazione, ma è il simbolo della paura e del coraggio che ci vogliono a lasciare quello che pensiamo essere il nostro posto nel mondo. 

Un microcosmo che non è accogliente né rassicurante ma che è comunque l’unica realtà conosciuta e che quindi è difficile lasciare perché andare verso l’ignoto spaventa. 


Nel mio immaginario il portone del bazar appariva così alto che non potei non chiedermi se fossi mai riuscito a vedere oltre.  


Se inizialmente Oleh non si pone nemmeno il problema di quale sarà la sua vita, è nel confronto con i suoi coetanei che comincia a insinuarsi in lui il timore di restare indietro, di rimanere fermo e di conseguenza solo. 


Le giornate a venire furono un cliché dei plurimi ritrovi presso le scalette colorate, con la sola differenza che più il tempo scorreva, più ognuno di noi portava con sé l’irrequietezza di voler correre verso una meta propria. 


Uno dei messaggi più significativi del libro è che per andare incontro al futuro e cercare di diventare qualcosa di più l’unico mezzo è la cultura. 

Uno strumento che faccia della vita non solo sopravvivenza ma realizzazione di sé, una spinta ad avere aspirazioni. 

Un particolare che il protagonista coglie in questo passo e che l’autore ha immortalato in immagine nella stessa cover del libro. 


Dopo pochi metri, però, qualcosa in alto mi distrasse. Incastonato sulla parete di una casa che si affacciava verso il bazar, c’era un mosaico con raffigurate due donne: una teneva fra le braccia un mazzo di spighe, l’altra aveva un libro aperto tra le mani. 


L’autore caratterizza personaggi molto diversi tra loro per cui è impossibile non provare empatia o identificarsi con essi. 

Ripercorriamo le stesse fragilità che spingevano anche noi da ragazzi a mostrarci più in gamba, più interessanti e più forti di quello che in realtà eravamo. 

Il libro è breve perché come lo stesso autore mi ha raccontato il suo era il desiderio di dare alla storia un’impronta da sceneggiatura ma ciò non toglie che sia ricco: ritroviamo un’Ucraina che conserva ancora le tracce del suo legame con la Russia, i movimenti politici che guardano all’ingresso in Europa, ci sono l’amata Trieste, la durezza della vita in un paese che cerca di affermare una propria identità e la speranza di renderla migliore. 

E infine come tristemente la cronaca ci racconta c’è la guerra. 

Sarà proprio il conflitto tuttora in corso a mettere i ragazzi del bazar ormai adulti davanti al destino che li attende, riportando i desideri passati, le paure e i progetti su tutt’altro piano. 


Ma a un tratto quel Paese che guardavano con malinconia, come quando ci si incanta davanti a un carillon, smise di suonare il tenero motivo della loro infanzia. I confini dell’Ucraina avevano iniziato a scricchiolare e dai telegiornali traspariva l’orribile presagio che la terra stesse per staccarsi fra due realtà. 


 

LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

LA PICCOLA PARIGI di Massimiliano Alberti

Titolo: La piccola Parigi
Autore: Massimiliano Alberti
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 19 novembre 2020
Editore: Infinito Edizioni

TRAMA


Un omaggio a una delle tante perle che, nel corso della storia, la regina della Senna ha “nascosto” nei sobborghi di molte metropoli europee. Vicoli stretti, costruzioni basse e rustiche. Proprio come a Montmartre, nel grembo della bella e unica Trieste tante piccole case sorgono accatastate una vicina all’altra, in un’area che ricorda lo spirito Bohémien ma senza le notti del Moulin Rouge o de Le Chat Noir. Niente Cancan. Storie di sola gente e di gente sola, in questo luogo. Talvolta di andate e di ritorni. Di calzini appesi accanto al fuoco e di corti umide. Storia d’amore e d’amicizia. Di Lorenzo e di Marie Jeanne. Del matto Willy Boy e dei suoi “pen pen” urlati al cielo. Di Tullio e di Christian. Di gatto Benny e gatta Maria. Della Dea Incantatrice e Assassina: la Brown Sugar. Storia di mamma Rosalia. Di una carta da gioco appiccicata su di un muro in una viuzza nascosta. E di un rione ormai dimenticato fra nuovi e sovrastanti palazzi. Benvenuti nella Piccola Parigi. “Non state sognando, esiste realmente…!”. (Brigitte Bardot) Parte dei diritti d’autore derivanti dalla vendita di questo libro sono devoluti in beneficienza a “Il Gattile” di Trieste.

RECENSIONE


Sono nato e cresciuto in quella città all’estremo nord- est dello Stivale, dove per più di cinque secoli sventolò la bandiera degli Asburgo e, per ben tre volte, il tricolore francese. E fu proprio nella terza e ultima occupazione della Grande Armée che vennero edificate delle piccole case accatastate spalla contro spalla. Una ristretta lingua di terra che da valle risale una collina.


Trieste, una città variegata e vivace, come tutte le città di mare, crocevia di culture che si mescolano da secoli (non sempre pacificamente) e che proprio in virtù di questa peculiarità nasconde al suo interno tesori insospettabili come “La piccola Parigi”.

Perché intitolare il libro proprio a questa particolare zona di Trieste lo racconta Massimiliano Alberti in questo suo secondo lavoro e lo fa con maestria.

Questo è il caso in cui l’ambientazione è molto di più che un semplice luogo, non è solo uno spazio fisico in cui far scorrere la storia, ma è la storia stessa.

Perché i luoghi a volte non sono solo posti, ma sono radici da cui dipende il futuro sviluppo della pianta da cui traggono nutrimento.

Così come dice l’autore non si possono scegliere le famiglie da cui nascere, gli amici dell’infanzia e in questa ottica nemmeno il luogo in cui venire al mondo.


E non basta sfuggire ai pregiudizi della propria città o dell’intera provincia o persino del Paese, ma è inevitabile confrontarsi anche– anzi, innanzitutto– con quelli del quartiere in cui si è nati, di cui in qualche modo si è figli.


Volenti o nolenti siamo figli della nostra realtà e questo romanzo lo racconta con una leggerezza capace però di andare in profondità, con un’ironia elegante e con una prosa originale, semplice ma non banale capace di rievocare il periodo legato alla giovinezza di chiunque sia stato bambino negli anni 80.


Così, giusto per assaporare l’odore di corti e viuzze umide, tolgo il velo da un quadro ben diverso dalla romantica definizione di vecchio borgo: gradini scoscesi, malte decadenti, un albero secolare graziato dal Comune e biancheria intima appesa su spaghi sfilacciati trainati da carrucole cinguettanti.


Sembra proprio di vederlo questo scorcio di una città ricca di storia come Trieste, di cui ammetto con un po’ di vergogna, non conoscevo l’esistenza pur abitando a pochi chilometri da essa.

Un quadro che non ha nulla di poetico ma che suscita comunque un’emozione dinanzi all’ immagine di un quartiere povero, come ce ne sono in ogni città, teatro di scorribande tra ragazzi prima e della salita intrapresa per diventare adulti dopo.

All’interno di questo dipinto si dipanano infatti vicende capaci di portare in superficie sensazioni che dimorano nei corridoi della memoria, quella che riporta all’infanzia e all’adolescenza, ricordi frammentati di una stagione che non c’è più ma che se proviamo ad unire come puntini, creano un’ immaginaria porta, quella che una volta varcata consacra il difficile ingresso nell’età adulta.

Sono Lorenzo, Tullio e Christian ad accompagnarci a conoscere la piccola Parigi, un quartiere della città sul mare costituito da casette colorate risalenti alla dominazione francese e che per questo riportano struttura e caratteristiche dell’architettura parigina, che sarà il teatro del consolidarsi delle prime amicizie importanti, dei primi tormenti amorosi, della nascita dei sogni e l’incontro con i fallimenti, la presa di consapevolezza di sé attraverso i propri successi, ma soprattutto attraverso gli insuccessi.

Un borgo antico in cui case ed esistenze stanno in piedi in modo precario, oppure la cui facciata curata e abbellita cela in realtà al proprio interno stanze povere di amore, arredate da sporcizia e solitudine.

Ma in cui dimorano anche affetti e sogni da realizzare, alleanze e progetti futuri.

Questo libro è un piccolo mondo da scoprire, dove l’esistenza umana con tutte le sue contraddizioni e complessità viene raccontata con toni poetici, dal sapore nostalgico, ma aderenti alla realtà, in cui un oggetto riparato, una carta da gioco, le mura di un vecchio manicomio e una coperta sporca raccontano delle esistenze dei protagonisti e nello stesso tempo anche di noi, anche più delle parole.

Credo che tutti possediamo degli oggetti che per noi hanno  un significato speciale , evocativi di un ricordo, di un affetto, di un periodo.

Così accade anche nel libro, dove così come per i protagonisti determinati oggetti assumono un significato molto più importante del loro mero utilizzo, così restano impressi nella memoria del lettore che riesce a sentire come questi siano testimoni di momenti importanti, simbolo di un passaggio, un cambiamento, un’ evoluzione o una presa di coscienza e l’autore riesce così a darvi un’anima.

Se gli oggetti costituiscono una sorta di traccia, un sassolino lasciato lungo il cammino della vita dei personaggi c’è però anche un altro elemento che si interseca con le vicende narrate, legate tra loro da un filo rosso : l’amore per i gatti.

Gli amici felini sono i coprotagonisti di questo libro, creature solitarie ma capaci di amare, indipendenti a volte approfittatrici, con grande capacità di adattamento e sovente un sano menefreghismo, il cui affetto va conquistato e meritato.

Un elemento che ad un attento osservatore si evince già dalla copertina, bellissima: mi ha colpito istantaneamente capace di instillare curiosità e un po’ del fascino della Parigi degli artisti.

Una nota di merito rivolto all’autore è quello di aver dato anche una piccola voce al tema delle malattie mentali, una realtà spesso trascurata di cui nel mio territorio si possono ancora toccare i resti, come quelli del vecchio manicomio citato nel libro e di cui Trieste simboleggia la rivoluzione.

È vero che non tutto si può aggiustare?

Lascio ai lettori la risposta che deciderà di darsi al termine della lettura, che per me è la migliore di questo inizio anno.

Un libro che racconta il faticoso e complicato processo che si chiama crescere:  Lorenzo è il ritratto perfetto di come ancor più delle vittorie siano in realtà le difficoltà che incontriamo e le cadute che facciamo a essere determinanti nella nostra formazione.

Un insegnamento che prima o poi la vita dà ad ognuno di noi.


Così, oltre ai convenzionali saluti, aggiunsi in fondo un sincero ti voglio bene. Dopotutto, pensai, era dalle sconfitte che avevo imparato a vivere.