IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

IL SAPORE DELLE PAROLE INASPETTATE di Giulia Zorat

Titolo: Il sapore delle parole inaspettate
Autore: Giulia Zorat
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione: Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 14 maggio 2020
Editore: IoScrittore

TRAMA


Mordere un sogno, strappare un sorriso, asciugare una lacrima. Cinque anime, cinque esistenze si perdono e si ritrovano dietro la porta di una minuscola patisserie ai margini di Parigi; Jacques e Josephine, capaci di impastare le loro vite con sapiente delicatezza, necessari l’una all’altro come ingredienti di un dolce mai finito. Irene, il cui sguardo racconta la capacità di equilibrare sbagli antichi e nuove possibilità; Enea il suo piccolo tesoro, dieci anni di poesia leggera, diretta e invincibile come l’infanzia. Infine François, che trova il coraggio di scrollarsi di dosso il gelo che gli opprime l’esistenza e abbracciare l’amore, come si fa in una notte di festa, d’inverno. Intorno a tutto Parigi, che sa essere scura e accogliente, come un mot du chocolat, un dolce al cui interno si trovano esattamente le parole che avevamo bisogno di sentire

RECENSIONE


Che le parole abbiano un peso ed un’ importanza a seconda di come vengono utilizzate è un fatto assodato, ma se c’è un aspetto che forse è ancora più rilevante è il potere che possono avere soprattutto a seconda del momento in cui giungono a noi.

Nessun sapore, nemmeno quello della pietanza più buona può eguagliare quello di parole che giungono nel momento perfetto, e cioè quando non te le aspetti ma sono esattamente quelle che ti servivano in quel preciso momento, l’unico giusto per assaporarle.

Una telefonata per dire a qualcuno che gli vogliamo bene, un messaggio di un amico che vuole farti un saluto nonostante gli impegni, un buongiorno da uno sconosciuto che incroci sulla strada e la giornata può svoltare, l’umore può cambiare, alcune domande possono trovare risposta, un pensiero o un’idea, una nuova consapevolezza prendono forma nella mente ma anche nel cuore.

Sono questi infatti i luoghi in cui le parole attecchiscono, in entrambi i sensi sia chiaro, per fare del bene e però anche per fare del male, diventando veicolo di emozioni la cui intensità è ancora maggiore se giungono inattese.

Una cosa che fanno anche i libri se ci pensate, quando in mezzo a tante troviamo quelle perfette per lo stato d’animo del momento, quelle che parlano di noi, quelle che rispondono alle nostre domande in sospeso.

Giulia Zorat ne fa un uso ammirevole, per stile, profondità, dolcezza e verità.

Raccontando attraverso cinque personaggi diversi la nascita, la vita e la morte.

Tre fasi della vita di tutti, come tre sono le parti in cui è suddiviso il romanzo, e tre come le componenti del titolo della rubrica di un giornale parigino da cui tutto avrà origine e termine.

È stata una lettura sorprendentemente ricca di riflessioni, soprattutto in relazione alla solitudine che secondo me è il fulcro dell’intera vicenda ma che viene espressa e raccontata in modo diverso.

Avete mai pensato a quanti modi ci sono per sentirsi soli?

Molti e differenti come siamo noi e le nostre vite e forse per questo “Il sapore delle parole inaspettate” mi ha attirata, inconsapevole forziere di pensieri sulle sensazioni che ci accompagnano durante quei momenti dell’esistenza in cui la solitudine ci rende immobili.

A modo loro tutti i personaggi del libro si trovano in una condizione di immobilismo, in un guscio in cui sono protetti ma incompleti, smarriti.

Jacques che non ricorda più come si fa a esistere da soli, Irene che si è fermata ai suoi vent’anni e non conosce il gusto di vivere veramente, Enea che soffre per un’assenza importante, Francois un quarantenne in crisi esistenziale.

Quest’ultimo potrebbe infastidire per l’apatia che dimostra, quasi esistesse e basta anziché vivere, insoddisfatto all’ennesima potenza, consumato dalle domande a cui non sa dare risposte, colmo di rimpianti ma incapace di spostarsi dal rimuginare su di essi.

E invece ha suscitato in me un’immediata e spontanea empatia confermandosi il mio personaggio preferito, perché si sveste di fronte al lettore mettendo a nudo fragilità e incapacità che tutti abbiamo e che pochi sono disposti ad ammettere persino con sé stessi.

Attraverso le elucubrazioni mentali di Francois Giulia Zorat ci permette di osservare dal di fuori quei rimpianti, quelle occasioni mancate e quel senso di fallimento che prima o poi tutti proviamo almeno una volta nella vita e riconoscerli perché provati su di sé.


Ho imparato che bisogna sapere ascoltare gli altri e arrendersi al fatto che qualche volta bisogna lasciarsi guidare da chi è più esperto, perché la cosa più importante che ho imparato è che non si viene al mondo per stare da soli con se stessi.


Sullo sfondo di una città che può accentuare questa condizione se non si è capaci di trovare un appiglio, un luogo che sia un rifugio.

Parigi è così come la descrive l’autrice:


È una città dove non sei mai da sola, eppure ti ci senti e allora diventa fondamentale avere un legame per sopravvivere qui, uno di quei legami primordiali che nascono in un posto lontano molto simile a quello da cui proviene la vita e ti accompagnano ovunque. Un legame intimo e imprescindibile, costruito sulla gestualità e sugli sguardi in una città in cui non servono parole, perché tutto intorno fa già troppo rumore.


Ed è in questa cacofonia di rumori, prodotti di vite, situazioni e persone che si sfiorano o che incrociano il loro cammino, che la piccola pasticceria di Irene diventa questo appiglio, questo luogo in cui dare per un po’ una spallata a quella sensazione di solitudine e inadeguatezza ma soprattutto dove inaspettatamente si trovano anche molte risposte attraverso parole di cioccolato.

Una pasticceria che non è solo un luogo ma uno spazio in cui anime diverse si incontrano, nato dall’amore tra Jacques e Josephine ma che poi diventa il salvagente di molti altri personaggi.

Ognuno dei quali rappresenta una stagione della vita con le fragilità e le pene che si porta dietro, ma sono fragilità di cui avere cura, preziose perché fanno di noi ciò che siamo e perché costituiscono spesso le parti belle del nostro essere.


Le cose belle sono fragili, è la regola. Non fai in tempo ad abituartici che svaniscono.


Giulia Zorat ci regala un libro che è un misto di dolcezza e amarezza, di sogni attesi e altri disillusi, di domande a cui ognuno di noi cerca una risposta diversa perché possa considerarsi corretta.

Proprio come le parole quelle dette, scritte, pensate quando meno ce lo aspettiamo ma che incredibilmente giungono proprio quando ne avevamo più bisogno.

Le stesse che in alcuni pomeriggi di aprile poco primaverili mi ha regalato questo libro, permettendomi di condividere le riflessioni di Francois, i timori di Irene, e vedere attraverso gli occhi del piccolo Enea.

E di cui inconsapevolmente avevo bisogno proprio in quel momento, sebbene non potessi saperlo prima di giungere all’ultima pagina letta.

Perché è proprio così che fanno le parole importanti, quelle capaci di aprire o chiudere porte, accendere un’ idea, regalare un’ emozione: arrivano inaspettate proprio quando non le stai cercando.