VIVA LA VIDA di Pino Cacucci

VIVA LA VIDA di Pino Cacucci

Titolo: Viva la vida
Autore: Pino Cacucci
Serie: Autoconclusivo
Genere: Narrativa
Narrazione :Prima persona
Tipo di finale: Chiuso
Editing: Ottimo
Data di pubblicazione: 16 gennaio 2014
Editore: Feltrinelli Editore

TRAMA


Un monologo fulminante che ripercorre i patimenti della reclusione forzata di Frida Kahlo, i lucidi deliri artistici di pittrice affamata di colore, la relazione con Diego Rivera. In un Messico quanto mai reale e al tempo stesso immaginifico, Pino Cacucci mette in scena la sintesi infuocata di un’esistenza, la parabola di una grande pittrice la cui opera continua a ottenere altissimi riconoscimenti. In poche pagine c’è il Messico, c’è il risveglio dell’immaginazione, c’è la storia di una donna, c’è la rincorsa di una passione mai spenta per un uomo. L’ardente esistenza di Frida Kahlo dal vertice estremo dei suoi giorni. Un breve libro che contiene una storia immensa.

RECENSIONE


Una citazione letta recentemente diceva: se l’aver sofferto vi ha reso cattivi, l’avete sprecata. 

La sofferenza fisica, quella interiore sono paludi che nessuno vorrebbe esplorare ma dovendo trovarsi ad averne a che fare non sappiamo cosa queste tireranno fuori. 

Il dolore può essere seme da cui far germogliare qualcosa d’altro che diversamente abbia a che fare con la bellezza, ma può fare anche il contrario, inaridire, indurire, chiudersi.

Una buona fetta di prodotti artistici se ci pensiamo ha avuto origine così, da stati di sofferenza di diversa natura. 

È da grandi tumulti interiori, sensibilità estreme, anime inquiete e bisogno di esprimere queste tempeste che hanno preso vita romanzi, quadri, sculture, canzoni, poesie di rara bellezza e immortalità, opere globalmente riconosciute come patrimonio di tutti. 

Anche Frida Kahlo fa parte di questa fetta perché è riuscita a trasformare la propria sofferenza nelle opere che ci ha regalato attraverso le sue pennellate, soprattutto negli autoritratti dal forte impatto emotivo, evocativi, quasi sconvolgenti. 


Perché davanti ai miei quadri è molto più facile restare sconvolti che affascinati. 


È lei stessa a raccontare i suoi demoni, i suoi stati d’animo in un monologo intenso, intimo e vivo nelle parole di Pino Cacucci che ci regala in questo breve libro il ritratto di una donna che amava profondamente la vita tanto da celebrarne la bellezza anche se lei stessa ne è stata largamente privata. 

Il motto che l’ha sempre l’accompagnata e che dà il titolo al libro, Viva la vida! 

Quale modo migliore e irriverente, coraggioso e autentico di celebrarla se non quello di venire a patti con la morte, una presenza costante nella vita di Frida fin da giovanissima. 


Quanta passione ci ho messo, credendoci con tutta me stessa. Ma alla fine era, ed è, soltanto il mio modo di distrarre la Pelona, di irridere la Morte, di beffarla e corteggiarla, di scendere a patti con lei, perché ogni tanto vorrei che mi prendesse tra le braccia per darmi requie, un po’ di sollievo al dolore… Il sollievo definitivo. 


Nonostante questo libro sia breve vi è celata un’intensità che stordisce perché fornisce un ritratto a tutto tondo di questa donna passionale e appassionata, legata alle proprie radici, che incarna la sua terra il Messico con tutte le sue sfaccettature.

Testimone e artefice della rivoluzione politica del suo paese e del suo tempo, capace di raccontare attraverso sé stessa la tenacia dello restare aggrappati alla vita, andare avanti comunque e sempre, senza mai abbandonare la capacità di sognare, dare materia alle nostre passioni lucidamente, senza ipocrisie. 


L’unica certezza è che la vita non avrebbe senso, se smettessi di sognare. 


La Casa Azul prigione e rifugio, il desiderio di non arrendersi ma soprattutto di non rinunciare alla propria autenticità, il desiderio di maternità, l’amore consumante  per Diego Rivera marito fedifrago e amante irrinunciabile sono raccontati come se fosse Frida stessa a parlarci, a mettersi a nudo senza veli, diretta, affilata, vivida. 

Se c’è una cosa che mi ha sempre colpito nelle immagini fotografiche di questa artista è la profondità del suo sguardo, occhi che sono come abissi. 

L’autore è riuscito a raccontare questi abissi in un’opera che nasce come sceneggiatura teatrale, progetto che poi non vedrà la luce, ma che fa sentire il lettore proprio così, uno spettatore in ascolto quasi reverenziale, al cospetto di una donna che racconta di sé non dal palcoscenico di un teatro, ma dal proprio letto in una piccola stanza i cui oggetti parlano del suo dolore ma che lei trasforma in strumenti per creare qualcosa di bello. 

È da lì immobilizzata in un busto che le consente di dipingere praticamente solo se stessa riflessa nello specchio sopra di lei, il lettore entra in quello specchio e riesce a vedere il mondo interiore di questa donna così ferocemente attaccata alla vita da far sentire questo desiderio come un urlo, quello che si traduce nel motto Viva la vida! 


Quel 17 settembre 1925, la Morte mi ha fissato negli occhi, ha osservato il mio corpo nudo, insanguinato, coperto di polvere d’oro, e quando stava per protendere le braccia verso di me, quando ho sentito il suo alito gelido… ho lanciato quell’urlo che non poteva uscire dalla gola di una moribonda, un urlo di rabbia, un urlo di amore per la vita che non volevo abbandonare a diciott’anni, ho urlato il mio “¡ Viva la vida!”, e la Pelona, assordata, è rimasta stupefatta almeno quanto i vivi che mi si accalcavano attorno. 


Tralasciando la popolarità di questa figura che è diventata soprattutto dagli anni 90 in poi un’icona, un prodotto dal fascino intramontabile, la vera forza di questo libro è stata quella di averci raccontato in modo intimo e accorato la donna che si cela dietro queste celebri sopracciglia ad ali di gabbiano nero, come era solito chiamarle il marito. 

Ed è questo che io cerco e che mi auguro troverete se vi approccerete a questa lettura, la persona e non il personaggio. 

Ma soprattutto il suo messaggio, tradotto in queste semplici parole: 


Ma a che mi servono le gambe, se ho ali per volare…